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Autore: frafrancesca    14/09/2012    1 recensioni
Durante la Rivoluzione Francese due bambini, che si sono fatti un'eterna promessa, vengono allontanati l'uno dall'altro. Lei diventerà una delle ragazze più corteggiate della Francia di Napoleone; lui un armatore delle Compagnie delle Indie. Lei attenderà fino all'ultimo, nella speranza che lui torni da lei. Lui sposerà e cercherà di amare la ragazza che gli ha salvato la vita. Così, in un'Europa a cavallo fra Settecento ed Ottocento, le vite di Vittoria Arielle du Saucy de Motteville e quella di Luise de Chatouraux si intrecceranno l'una all'altra in maniera permanente.
Genere: Drammatico, Romantico, Satirico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Rivoluzione francese/Terrore
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Era il 1785 e Vittoria Arielle du Soucy de la Valliere era solo una bambina di sette anni, ma sul suo volto già si potevano notare quei lineamenti che avrebbero fatto di lei una rara bellezza del suo tempo.
Come tutte le bambine ella desiderava solo assomigliare alla propria mamma, l’affascinante Contessa Caterina dalla quale, però, aveva ereditato solo il piccolo e delicato naso; per questo invidiava con tutto il cuore sua sorella maggiore Clarisse, copia esatta della madre. Clarisse e la Contessa Caterina avevano gli stessi occhi sempre gentili e limpidi del color del cielo, i capelli morbidi e disciplinati color del grano e la pelle semplicemente perfetta. La piccola Vittoria, invece, si ritrovava con grandi occhi color smeraldo, vivi e brillanti come quelli di una gatta, capelli rosso vermiglio, crespi e riccioluti e una pelle coperta di finissime lentiggini. 
Capendo che non avrebbe mai assomigliato alla madre, Vittoria cercò di concentrarsi sul comportamento, ma esso era incompatibile per il suo carattere: era uno spirito curioso, intrigante, simpatico, testardo ed egoista e a nulla erano serviti i rimproveri dell’istitutrice, la quale cercava invano di insegnarle il giusto comportamento da tenere a seconda dell‘occasione. Nulla, Vittoria continuava a crescere senza assimilare una sola regola e mentre Clarisse diventava giorno dopo giorno un’educatissima bambina, ella cercava di capire il mondo facendo domande a tutti coloro che si dimostravano interessati ascoltarla.
- Diventerà una creatura dall’incredibile fascino! - esclamava la maggior parte della gente dopo aver ascoltato la bambina parlare, ma Caterina non era dello stesso parere: davanti a quelle affermazioni faceva semplicemente finta di non sentire, preferendo ostentare la bellezza della primogenita, con gran disappunto di Vittoria, la quale cercava da sempre l'attenzione e l'approvazione della madre.
Solo Aline, la governante dei bambini, pareva accorgersi dell‘ingiusto comportamento della Contessa Caterina. La domestica era stata assunta dalla madre di Caterina quasi quarant’anni prima per prendersi cura della sue quattro figlie; ella ricordava perfettamente la bellezza leggendaria della madre di Caterina, Francois d'Emtress e riconosceva nella nipotina di quest'ultima il fascino e i lineamenti perfetti. Tuttavia capiva anche cosa spingesse la Contessa a ignorare le qualità della sua bambina: ella nutriva un profondo odio nei confronti della mandre che non aveva neanche conosciuto. Questo sentimento era maturato in lei dopo che suo padre l’aveva rinchiusa nell’Istituto femminile di Saint-Cyr, accusandola di aver ucciso Francois venendo alla luce.
Francois d'Emtress era nata nel 1738 in una famiglia di mercanti parigini che si era arricchita a dismisura durante la guerra dei sette anni. Il padre di Francois era un uomo senza scrupoli il cui unico scopo nella vita era quello di accumulare ricchezze. Egli cercava di trarre guadagno da ogni cosa: aveva sposato una donna che non amava, ma con una cospicua dote e aveva precisi piani sul futuro dei suoi figli che gli avrebbero fruttato molti quattrini. Fu per lui un duro colpo, quindi, vedere i suoi progetti sfumare a causa della morte dei suoi unici figli maschi, periti nella guerra dei sette anni.
Dal giorno in cui seppe che i figli erano ormai un affare andato male egli si buttò anima e corpo nell'ultima carta rimastagli: la figlia quindicenne; siccome non le aveva mai prestato molta attenzione, certo che i  maschi valevano molto di più dell’ultimogenita, l’uomo rimase del tutto sorpreso quando, osservandola bene, si rese conto che aveva fra le mani un vero e proprio gioiello.
Il vecchio d'Emtress era perfettamente conscio che Francois non era nobile, ma d‘altro canto ella poteva vantare una rendita mensile molto maggiore di quella annuale di un aristocratico e per di più era bella da togliere il fiato. Tenendo conto di ciò, Francois avrebbe potuto certamente sposare un nobile, anche se si sarebbe dovuta accontentare di un uomo maturo, forse un vedovo, perché nessuna buona famiglia avrebbe concesso il permesso a un giovane di sposare un’ignota, borghese, bellissima ragazza. 
A questo scopo, il padre di Francois, durante i suoi frequentissimi viaggi all'estero, non mancò mai di accennare ai quattro venti di avere una figlia bellissima, intelligente e in età da marito. Di conseguenza Francois si trovò sposata all'età di sedici anni con un uomo che le faceva letteralmente ribrezzo: il Conte de Motteville, un uomo di quarantasette anni, vedovo e con un figlio di nove anni. L’uomo, la cui fama da libertino lo precedeva in ogni città dove metteva piede, sentì d’Emtress tessere le lodi della propria figlia durante un viaggio a Vienna e, una volta giunto a Parigi, volle andare a controllare di persona se gli elogi su Francois erano veritieri o inventati di sana pianta. 
Nel momento in cui gli occhi del Conte de Motteville si posarono su Francois egli decise che l’avrebbe fatta sua, ma d’Emtress si oppose con forza: il Conte era pieno di debiti.
Francois, che aveva passato parecchi giorni a pregare il padre di non darla in sposa a quell’orribile uomo, tirò un sospiro di sollievo quando egli le spiegò, con aria di superiorità, - Non accetterò mai il Conte come genero. Tutta Parigi sa che possiede solo le vesti che indossa e che secondo le usanze della famiglia de Motteville tutti i beni e i titoli passeranno al primogenito. Non mi converrebbe affatto prepararti una dote… perché avrai bisogno di una dote… se poi tutti i beni andranno a suo figlio e i tuoi pargoli potranno solo mirare a un buon matrimonio!
Ma dopo che il Conte parlò a quattrocchi con d’Emtress, quest’ultimo cambiò idea e spiegò a Francois con poche e semplici parole che la situazione era leggermente cambiata, - Evidentemente quel tonto si è preso una bella sbandata per te, piccola mia! Beh, non crederai a quello che mi ha detto! Pensa un po’ non ci credevo neanche io! Sfido che è pieno di debiti! Se tratta tutti gli affari in questo modo… che tonto! Beh, quell’uomo ha deciso di sposarti anche se tu non avrai una dote!
- No, per come è la situazione non penso che verserò per la tua dote neanche un centesimo! Non ora che so che a lui non interessa! Non sono mica stupido! Non so bene come ti manterrà, ma questo non mi interessa, non è un mio problema. Il Conte de Motteville ha infatti detto che non vuole nulla da me se non te! Oh, come si fa ad essere tanto tonto! Ha detto anche che mi farà conoscere un certo numero di persone… suoi amici, gente ricca, nobile e, spero, stupida quanto lui! Farò ottimi affari con questi mammalucchi e poi lascerò tutto a te. Io ormai non ho altri figli! Che cosa vuoi che me ne faccia dei soldi? Per mia sfortuna non posso portarmeli all’altro mondo! Ma questo che ci capita oggi è un gran privilegio: tu entrerai nell’aristocrazia e sappiamo bene che quell’uomo morirà prima di te. Tu sei forte! E per quanto riguarda quel marmocchio che si ritrova come figlio… lo hai visto anche tu, non sembra in ottima salute! Durerà si e no un paio di anni e poi… beh, poi tu avrai tutto, si, beh, i tuoi figli… il primogenito avrà il titolo, le rendite, i palazzi. Oh, sarò così fiero di te! 
Francois fissò il padre senza parole. - Ma è brutto. - concluse esterrefatta.
- Penso che a nessuno sia mai piaciuto il proprio marito… e viceversa. Insomma Francois non possiamo farci sfuggire una tale occasione! Pensaci per la miseria! Parli come tua nonna… anche mia madre diceva che non contavano solo le rendite! Ah! Stupida! Bisogna fare sacrifici invece per i soldi e avere sempre uno scopo! Sempre! E il nostro scopo è questo: tu sposerai de Motteville e io continuerò a fare i miei affari senza avere le perdite che avrei se dovessi fornirti una dote… una dote mi rovinerebbe! In questo modo inizierò a fare affari con la nobiltà! Faremo tanti soldi che mio nonno… pace all’anima sua… tornerà sulla terra a ringraziarmi! Sì, così ho deciso: non c’è motivo per cui tu non sposi il Conte de Motteville.
Dieci mesi dopo Francois e suo marito si trovavano a Vienna ed ella diede alla luce la prima bambina a cui venne dato il nome di Maria Antonia, in onore dell'ultimogenita dell'imperatrice  Maria Teresa d'Austria e nei sette anni successivi seguirono altre tre bambine: Anna, Elisabeth e Caterina, rispettivamente come la regina Anna d’Austria, la regina Elisabetta I d’Inghilterra e l’italiana Caterina de Medici.  
A prendersi cura delle bambine del Conte de Motteville fu assunta Alain che all’epoca era poco più che una fanciulla, ma che Francois trattò sempre con rispetto guadagnandosi la sua più totale devozione.
- Sono davvero stupende le vostre bambine Madam! E sono certa che anche quella che state aspettando sarà bella altrettanto! - disse un giorno Alain a Francois che aspettava la nascita della quarta figlia. 
Francois guardò la domestica in un modo che ella ricordò per tutta la vita perché sul suo viso si potevano leggere la gratitudine per le belle parole e l’affetto che provava per le figlie, ma anche un leggero senso di angoscia.
- Oh, Alain, quanto vorrei che quest’ultima non assomigliasse per niente a me! Spero che le mie figlie saranno forti e indipendenti e che non siano mai e poi mai belle come me! No! La bellezza non porta da nessuna parte, se io non fossi stata tanto bella non avrei sposato il Conte de Motteville! E ora, guardatemi! Mio padre è morto, ma la mia dote è passata direttamente nelle mani di mio marito. Certo, lui mi mantiene e mantiene le mie bambine, ma non ha mai passato un singolo pomeriggio con loro e non penso che le prenderà mai in considerazione! Oh, no, no spero che la mia ultima bambina… se sarà una bambina… non nasca bella. Mio padre! Oh, credo che ora stia piangendo lacrime amare! Il poco sangue dei d’Emtress che scorre nelle mie bambine continuerà ad essere sangue delle nipoti di un mercante e non sarà mai sangue nobile. Ah! Sciagura a chi decide il destino dei propri figli!
Qualche settimana dopo, dando alla luce l’ultimogenita, la donna si spense.
Palazzo de Mottive fu invaso da un senso di tristezza e un velo buio avvolse tutta la casa: il Conte era impazzito dal dolore. In principio nessuno ci badò, l’uomo da molto tempo era soggetto a stranezze, ma la morte della moglie gli aveva dato il colpo di grazia: fece oscurare con pesanti tende nere le decine di quadri che la ritraevano e per settimane vagò per le stanze buie chiamandola.
I domestici erano restii a credere che il Conte amasse così sentitamente Francois, ma alla fine dovettero ammettere che l’uomo era davvero distrutto per la perdita e temettero che volesse raggiungere la moglie il più presto possibile.
Ma con gran sorpresa di tutti egli intraprese un lunghissimo viaggio e quando tornò a casa si decise a incontrare, - forse per la prima volta -, le sue bambine che in un primo momento non aveva voluto vedere per paura che gli ricordassero troppo l’amata moglie.
Era un uomo diverso dal Conte de Motteville che Alain ricordava quello che si presentò, sette anni dopo, nell’ala nord del palazzo, per conoscere le quattro bambine. La domestica stentò a riconoscerlo: era profondamente invecchiato, - dimostrava più anni di quanti non ne avesse realmente -, faticava a muoversi e sembrava profondamente pentito. 
- Sono stato così cieco! - continuava a ripetere di tanto in tanto.
Infine qualche giorno dopo il suo rientro a Parigi l’uomo convocò Aline nel suo studio e la guardò con occhi stanchi, ma pieni di luce. - Ho preso una decisione per quanto riguarda le mie figlie. - disse infine, dopo aver studiato la domestica per qualche istante.
- Maria Antonietta e Anna continueranno a vivere qui! Mi occuperò io della loro istruzione! Chiamerò il migliore precettore, avranno anche una governante inglese… devono imparare l’inglese!… voi vi occuperete di tutto quello che riguarda l’educazione… per così dire da signorine! Soprattutto quella di Anna, Maria Antonietta è troppo intelligente per perdere tempo in queste cose! Le insegnerò io stesso la filosofia! So che non pensate che sia giusto che una signorina sappia chi era Aristotele ma io me ne frego! È troppo in gamba quella ragazza, fa dei discorsi tremendamente interessanti e Dio sa quanto io non sia stato cieco e villano nei confronti di sua madre! Lo devo a Francois.
Gli occhi dell’uomo si riempirono di lacrime, ma egli scosse il capo e riprese la solita espressione dura e rude.
- Elisabeth non sembra troppo in gamba.
- E’ solo una bambina Signore! - lo interruppe Alain.
- Beh, a me non interessa non vedo lo spirito che percepisco nelle altre due. L’ho già iscritta alla Maison Royale de Saint-Louis a Saint-Cyr, partirà la settimana ventura.
Alain abbassò lo sguardo per nascondere la tristezza. - E per quanto riguarda la piccola Caterina? - chiese in fine.
L’uomo non disse una parola, le sue labbra si scomposero in una smorfia quasi di dolore e poi con un tono che non ammetteva repliche disse, - Caterina andrà con Elisabeth, ma non voglio che torni per le vacanze. È colpa sua se Francois è morta.
 
La Maison Reale di St. Louis era un collegio per ragazze fondato nel 1684 a Saint-Cyr da re Luigi XIV su richiesta di Madame de Maintenon; le 250 alunne che potevano essere ospitate, per essere ammesse, dovevano presentare un documento al re che garantisse lo stato di nobiltà della famiglia da almeno 140 anni. 
Le studentesse, di età compresa fra i sette e i vent’anni, erano poi divise in classi contraddistinte dal colore dei nastri che scivolavano sulle vesti brune: rosso dai sette ai dieci anni, verde dagli undici ai quattordici anni, giallo dai quindi ai sedici e blu dai diciassette ai venti. Il programma di studio variava a seconda dell’età, ma alla fine le bambine avrebbero saputo leggere e far di conto, studiato la storia e la geografia, ricevuto delle lezioni di canto, ballo, teatro e musica, nonché un’introduzione all’araldica e alla storia della Chiesa e sarebbe stato insegnato loro a parlare e scrivere in latino. 
Le due sorelline de Motteville si adattarono velocemente alla routine del collegio e con il tempo le altre alunne e le insegnanti della Maison diventarono la loro vera famiglia. Caterina aveva un animo materno ed era solita coccolare le bambine più piccole raccontando loro storie o aiutandole a pettinarsi, ma era anche molto fragile e questo lato del suo carattere non passava inosservato alle studentesse più grandi che approfittando della debolezza del suo carattere la deridevano e beffeggiavano. Al contrario, Elisabeth era una studentessa modello, forte e sicura di se,  che proteggeva la sorellina più piccola e riusciva a comprare il rispetto delle ragazze più grandi offrendosi di fare i loro compiti. 
Caterina ed Elisabeth passarono a Saint-Cyr otto anni, poi un giorno arrivò una lettera da parte del padre. Elisabeth, ormai diciassettenne, guardò la busta con noncuranza, - Se vuoi aprila, ma per quanto mi riguarda quell’uomo è morto. Non è mai venuto a trovarci e non ci ha mai permesso di tornare a casa, neanche una volta. 
Caterina, invece, che soffriva i silenzi del padre, lesse le poche parole con mani tremanti, - Ma Elisabeth, - esclamò infine, - nostro padre dice che vuole che tu torni a casa! 
Elisabeth scosse la testa quasi divertita, - No, Caterina, te l’ho già detto, io non torno a casa! Io rimarrò qui, finirò i miei studi e poi farò il noviziato e diventerò insegnante! Questa è la mia casa. Non risponderò a mio padre, ecco guarda, ora straccio la lettera e la butto nel camino.
Qualche settimana dopo arrivò un’altra lettera nella quale il Conte ordinava a Caterina di tornare immediatamente a casa. - Non andare! - le consigliò Elisabeth, - Non andare! Non ne vale la pena! Tu saresti una stupenda insegnante, sei così dolce! Devi rimanere qua!
Ma Caterina scosse la testa, dentro di lei vi era un senso del dovere troppo forte e l’idea di disubbidire al padre la faceva star male; così tornò a casa lasciando Elisabeth alla Maison.
La fanciulla quando mise piede a palazzo de Motteville, per la prima volta dopo otto anni, era una quindicenne che non aveva mai visto il mondo. Alain, che l’accolse al suo arrivo, notò immediatamente il suo carattere insicuro e si promise di vegliare su di lei. 
- Mio padre mi ha pregato di venire immediatamente! - esclamò dopo aver abbracciato gentilmente la governante. 
- Sì Signorina! - disse Alain in tono grave, - Vi attende da quando ha inviato la lettera! È su nel suo studio. Vi accompagno.
- Siete così gentile Alain! Dove sono le mie sorelle? E voi siete rimasta qui tutto questo tempo?
- Ebbene sì Signorina, mi sono occupata di vostro fratello, delle vostre sorelle e della casa. - poi la sua voce cambiò tono e diventò leggermente triste, - Vostro padre vi spiegherà tutto. Seguitemi.
Il Conte de Motteville, come aveva spiegato Alain, aveva atteso la figlia con ansia dal momento in cui ella gli aveva risposto che avrebbe lasciato il collegio come lui le aveva ordinato; aveva passato le notti in sonni pregando che alla porta si presentasse una donna attraente, ma sottomissiva; quindi tirò un profondo sospiro di sollievo appena ella varcò la porta del suo studio, - Sei proprio il tipo di donna che speravo tu saresti diventata! - disse sollevato.
Caterina, che in tutta la vita aveva sognato il giorno in cui suo padre si fosse complimentato con lei, si sedette entusiasta su una poltrona, sicura che lui l’avrebbe accolta in casa a braccia aperte.  
- La direttrice della Maison mi ha scritto dicendomi che nonostante la tua istruzione non sia completata, sei comunque adatta a prenderti cura di una casa. 
- Sì, Signore! Certo Elisabeth dice che dovrei…
- Non mi interessa quello che dice Elisabeth! - la interruppe secco il Conte, poi osservando lo sguardo un po’ spaventato della figlia aggiunse, - La direttrice mi ha assicurato che sei una delle alunne più dotate e che, ripeto, non dovresti avere problemi ad occuparti di una casa con un certo numero di personale. 
- Io… io credo di no.
- Molto bene allora! Sono proprio contento di questo. Sai giocare a scacchi? 
- So giocare a scacchi e a dama.
- A carte?
Caterina scosse la testa, - No, ci era proibito.
- Tanto meglio. Vuoi fare una partita a scacchi, allora, mentre chiacchieriamo? 
Caterina sorrise annuendo.
- Ora la questione è molto semplice, - cominciò mettendo le pedine sulle caselle, - tua sorella Maria Antonietta si trova a Londra a migliorare il suo inglese dopo di che partirà per la Grecia e tornerà qui l’anno venturo dopo essersi recata in Italia. Io certamente non mi aspetto che tu conosca le lingue…
- Elisabeth conosce anche l’inglese, anche se non è fra le materie, è autodidatta per molte cose… 
- Elisabeth mi ha molto deluso non rispondendo alle mie lettere.
Caterina sorrise debolmente, - Forse si sente un po’ abbandonata, se voi mi permetteste di invitarla qui il mese venturo per Pasqua sono certa che accetterebbe.
- Oh, mia cara! Ora che ci sei tu di Elisabeth non ho alcun bisogno! - esclamò il Conte divertito. - So che tu non mi deluderai, al contrario di tua sorella. Ho molta stima in te.
Caterina si gonfiò come un pavone e sorrise eccitata all’idea che suo padre contasse su di lei per qualcosa.
- Dunque, due mesi fa ho fatto la conoscenza di un uomo, un uomo molto influente il cui figlio desidera sposarti.
Caterina nascose un tremito, - Me?
- Certo! Si chiama Louis-Henry de Perdaillan. 
- Ma io non lo conosco…
- Oh, bimba mia, lo conoscerai questa sera. Te l’ho detto che conto molto su di te e io con questi gentili signori ho sancito un accordo.
Terminate queste parole, il Conte de Motteville, sicuro che il carattere sottomesso di Caterina l’avrebbe costretta ad accettare la proposta, fece scacco matto.
Nella tenuta della famiglia de Perdellain Caterina, ora Madame Perdellain, cercò di mettere a frutto quello che aveva imparato alla Maison. A ricordarle la vecchia vita vi erano le lettere che Elisabeth le inviava regolarmente, intrise di una serie di consigli estremamente utili e altrettante parole dolci e di conforto, e Alain che la seguì a Tours diventando la sua devota cameriera personale.
Se Caterina soffrì per la piega che la sua vita aveva preso non lo dimostrò mai, ella si adattò perfettamente alla nuova vita che non era molto diversa da quella che conduceva prima: la grande, ma tetra tenuta di campagna dei de Perdellain, residenza ufficiale della coppia, era regolata da ferree regole e l’isolamento dalla vita mondana era d’obbligo dato il carattere introverso di Luis-Henry.  
Il marito di Caterina pur essendo giovanissimo odiava gli impegni sociali; preferendo occuparsi dei terreni di proprietà della famiglia, piuttosto che perdere tempo a la bella vita a Parigi. Da parte sua, Caterina non sentiva la mancanza della mondanità non avendoci mai preso parte.
Ella fu una brava moglie: teneva la contabilità, governava abilmente i domestici e manteneva quell'armonia casalinga tipica delle famiglie felici. Dopo circa un anno ebbe la prima bambina a cui fu dato il nome di Clarisse Elisabeth e a tempo debito seguì la nascita di Vittoria e dopo pochi mesi la morte di Luis-Henry a causa di una febbre.
Caterina in quei pochi anni di matrimonio, pur non provando un sentimento d'amore, aveva maturato comunque un sincero affetto per l'uomo e non ebbe il coraggio di informarlo che il vero padre di Vittoria era il Conte Armound du Sorcy de la Vallaire il quale riconobbe la bambina e sposò la madre dopo poco.
Armound du Sorcy de la Vallaire era un uomo avvenente di circa vent'anni più di Caterina; i due si erano conosciuti durante la stagione di caccia, in una grandiosa festa nella tenuta dei Perdellain a cui egli aveva partecipato rimanendo ammaliato dalla bellezza della giovane. Fu piuttosto facile per lui far breccia nel cuore dell’ingenua Caterina che non aveva mai sentito discorrere tanto a lungo un uomo sulla bellezza dei suoi occhi e non aveva mai ricevuto quel genere di complimenti che la facevano arrossire fino alla punta dei capelli.
Caterina pensò di compiere un salto di qualità quando Armound la portò a vivere nella caotica Parigi, ma per ironia della sorte, a Caterina spettò la stessa sorte della madre, amata come un oggetto dal marito. Vi era solo una piccola differenza: per Armound quello era il primo matrimonio e desiderava da Caterina un figlio maschio e non passò giorno senza che egli glielo ricordasse.
Era il 1784 quando tutta la famiglia si trasferì a Versailles; in quel luogo incantato, dove tutto pareva fosse fatto d'oro Caterina, che non amava le feste, le cene e le cerimonie quanto suo marito, finì per condurre una vita piuttosto solitaria dedicata soprattutto alle sue bambine e al bambino che nonostante tutto non riusciva a concepire. Fin che un giorno, durante una passeggiata nel parco, si imbatté in Eugénie Julie de Chateauroux, una sua compagna della Maison; Caterina la ricordava perfettamente: era una delle bambine a cui leggeva le storie prima di andare a dormire e aiutava a fare i compiti di matematica nei pomeriggi piovosi. 
- Come avrei fatto senza di voi!? - le confessò Eugénie, - Senza di voi le divisioni sarebbero per me ancora un mistero! Quanto tempo è passato! Avete ancora contatti con Elisabeth? Era così brava che l’ultimo anno… io ero nel gruppo rosso quando lei era già nel gruppo azzurro… beh, all’ultimo anno mi ha insegnato araldica. 
- Sì, sì, ci scriviamo spesso.
- Beh, devo a voi due molto! Ma queste sono le vostre bambine? - domandò fissando Clarisse e Vittoria. 
- Ho anche un figlio piccolo,  nato da poco. - le spiegò fiera Caterina.
- Davvero? E dov‘è? Sta facendo il sonnellino pomeridiano?
- No, veramente è molto malato. Si trova in Svizzera ora. Dicono che l‘aria di quei luoghi gli faccia bene.
Eugénie annuì comprensiva, poi fissando le due bambine esclamò, - Ma loro sono proprio un amore! Anche io ho una bambina, Gabrielle, e un maschietto Louis che deve avere più o meno l’età della tua figlia più piccola. Quanti anni ha?
- Ne ha sette.
- Oh, ecco mio figlio ne ha nove! Diventeranno sicuramente buoni amici!
- Veramente Vittoria è un po’ una monella.
- Beh, non avete conosciuto Louis, oh! perché è ancora con il suo precettore, mio marito lo obbliga a studiare tutti i giorni tutto il giorno! Ma vi assicuro che diventeranno buoni amici.
 
Era un tiepido pomeriggio d’aprile e Vittoria sedeva sola all'ombra di una magnolia, le ginocchia strette al petto e i pugni serrati. Gli occhi le bruciavano, ma ella si obbligò a non piangere, non ora, non da quel giorno. Nella sua giovane testolina continuavano ad affiorare gli sguardi annoiati e seccati della madre che le ricordava che quel pomeriggio aveva l’emicrania e le ordinava, in malo modo, di andare a giocare da un’altra parte. 
Vittoria non capiva come mai sua madre la sopportasse a malapena mentre la madre di Louis dedicava tutto il suo tempo per giocare con i figli; ma sapeva, già da tempo, che l’emicrania di sua madre non dipendeva dal rumore che faceva giocando nella sua camera, ma da quei problemi dei grandi che, evidentemente, affollavano la vita di sua madre da che la bambina aveva memoria. Uno dei motivi che spingeva la madre a seppellirsi nei suoi appartamenti, con la scusa di un dolore acuto alla testa, era, senza alcun dubbio di Vittoria, l’annuncio che Armound stava tornando da una caccia o da un viaggio. La bambina sapeva che ciò coincideva con un lungo e furioso litigio fra i suoi genitori, prima riguardo all’incapacità di Caterina ad avere un figlio maschio sano e poi per la salute cagionevole di Louis. 
Vittoria non provava molto affetto per il fratello: era un bambino piccolo e malaticcio, dal carattere insopportabile a causa dei privilegi che i genitori gli avevano concesso essendo l’unico figlio maschio, malato. Louis era stato viziato fin dalla nascita, Armound che molto semplicemente ignorava le figlie trovava sempre qualche parola gentile e divertente per lui; mentre Caterina, timorosa che ogni sforzo gli provocasse qualche malattia, lo agevolava in ogni cosa. 
In quel momento il piccolo era da qualche parte a Spa a ricevere l'ennesima cura e suo padre stava chiedendo a sua moglie perché quel bambino non fosse forte e sano come Vittoria.
La bambina, prevedendo la lite, si era nascosta il più lontano possibile, sotto la magnolia dove avrebbe aspettato che Alain la trovasse per ricondurla negli appartamenti della madre.
- Ehi! - esclamò una vocina poco distante da lei, Vittoria alzò gli occhi e si trovò di fronte al piccolo Louis, il figlio di Eugénie e del Conte de Chateauroux.
Il bambino era vestito come un piccolo principe, aveva capelli biondo scuro che cadevano a boccoli sulle spalle, un piccolo naso e grandi occhi marroni quasi privi di sopraciglia.
- Ciao Louis! - esclamò lei asciugandosi gli occhi umidi e lasciando che lui si sedette accanto.
- Cosa c'è? - chiese il bambino sedendosi e guardandosi intorno. 
I due bambini, da quando si erano conosciuti, erano diventati inseparabili. Vittoria aveva abbandonato i giochi con le bambole e i pizzi per dedicarsi alle corsi folli e alle arrampicate sugli alberi; mentre Louis nei pomeriggi piovosi aveva preso l’abitudine di giocare “a bere il the” con l‘amica: lui era un incredibile giramondo e lei la bellissima principessa di un paese incantato.
- Mia mamma mi ha cacciata ancora. - 
- Da dove?
- Dai suoi appartamenti, dice che faccio troppo baccano. -
- Beh, ora possiamo giocare assieme! Dai, dai…
- Ma no, Louis non ho molta voglia di giocare!
Il bambino guardò per qualche istante Vittoria, avevano passato talmente tanto tempo assieme che ormai riconosceva perfettamente quell’espressione triste e arrabbiata allo stesso tempo. Egli si sedette meglio e incrociò le braccia, - Beh non possiamo stare qui tutto il giorno.
- Tu non sei obbligato.
- E invece sì!
- E perché? 
- Beh, me lo hai detto tu ieri… ieri, ti ricordi? quando giocavamo al principe che salvava la principessa, come San Giorgio… mi hai detto che quando qualcuno salva una persona poi si crea un legame fra loro che dura tutta la vita.
- Ma tu non mi stai salvando! - esclamò divertita Vittoria asciugandosi del tutto le lacrime.
- Beh, ti ho fatto sorridere, ti ho salvato da un pianto dirotto! E a te non piace piangere, non sei come tua sorella che piange per ogni stupidata!
Vittoria annuì, - Se lo dici tu… tu hai due anni in più di me… sai più cose… quindi saremo legati per tutta la vita?
- E dovremo sposarci anche.
Vittoria scosse la testa, - No, io non voglio sposarmi con te. Non voglio litigare con te.
- Perché dovremmo litigare?
- Beh… non lo so! - rispose stupita Vittoria.
- Eh, allora è fatta, diventerai Vittoria de Chatouroux. Ti piace?
- Abbastanza!
- E io sarò un marito perfetto.
- E chi lo dice? - domandò Vittoria ridendo.
- Beh, me lo assicurerai tu tutti i giorni! Dai, ora andiamo a giocare.
- Ma allora me lo prometti? - domandò ancora Vittoria alzandosi in piedi.
- Che cosa? - ripeté Louis che era già corso verso la fontana, una decin di metri più avanti.
- Che mi sposi!
- Ti prometto Vittoria de Soucy de la Valliere, - urlò Louis, - che ti sposerò appena possibile.  
 
 
Allo scoppio della Rivoluzione Francese la famiglia de Chateauroux si rifugiò nella residenza della ex favorita, la Du Barry. Il suo amato castello di Louvecienvies era un oasi di calma: il prato all'inglese, I numerosi quadri, mobili e ricchezze che ella aveva accumulato durante I suoi anni migliori abbellivano le sale dell'immensa proprietà.
La donna, ancora bellissima, durante quei giorni di pura follia aiutò le persone che l'avevano più criticata dimostrando di non essere solo bella, ma di avere un cuore e un'anima.
Eugénie de Chateauroux e suo figlio Louis furono solo alcuni che la donna cercò di aiutare ad espatriare. Mentre suo marito era ancora a Versailess occupato nell'Assemblea Nazionale, lei aveva già inviato sua figlia in Belgia e si accingeva a raggiungerla. Eugénie aveva sempre avuto delle riserve per la Du Barry, ma in quel momento di terrore la donna diventò per alcuni giorni la sua più cara amica.
L'ex favorita prese notevolmente a cuore la causa della donna la quale era così spaventata e preoccupata per la sorte del marito e dei figli che le faceva pena. Inoltre era terrorizzata all'idea che il popolo la venisse a prendere e la facesse a pezzi come aveva già fatto con atri nobili, così rimaneva sveglia tutte le notti e ascoltava ogni minimo rumore sussultando ogni volta che il vento faceva sbattere una porta o cadere qualche oggetto.
L'idea di non poter mettere in salvo il suo piccolo Louis l'aveva portata a scrivere a una persona a lei molto cara: Pierre Grey, un Lord inglese che aveva giocato un ruolo fondamentale nella vita di Louis.
Egli aveva risposto in tempo record, “Mia dolce amica,” scrisse, “mi duole molto, ma è fuori discussione che io raggiunga Parigi, forse vi è ancora la Duchessa di Devonshire, ma dubito perchè dalle notizie a noi pervenute la situazione è terribile. Nonostante questo se voi e il bambino riuscirete a raggiungere Londra io sarò lieto di accogliervi.”
Quelle parole avevano voluto dire molto per Eugénie, la quale si rese conto che non solo Pierre non l’aveva dimenticata e che era ben accetto ad accogliere lei e suo figlio. Si rese anche conto che avrebbe dovuto istruire il figlio sul da farsi nel caso in cui lei non fosse riuscita a portare a termine il suo compito e fosse morta.
Per questo aveva iniziato a cucire una robusta fodera all'interno di una giacca da cameriere che aveva preparato per il suo bambino. Fra la fodera e la stoffa vi avrebbe cucito alcuni gioielli e i tre diamanti che possedeva.
- Tenete! - disse la Du Barry porgendo alla donna dei grossi bottoni, - metteteci questi così se qualcuno prenderà la giacca potrà credere che sono questi a pesare così tanto. La prudenza non è mai troppa. 
Poi una sera Eugénie ebbe la sensazione che non ce l'avrebbe fatta, così chiamò il suo bambino e lo strinse a se più stretto che poté.
- Mamma, mi fai male! - disse lui e lei lottando contro se stessa lo lasciò.
- Bimbo mio devi promettere. -
- Che cosa? - chiese lui che non aveva mai visto sua madre così triste e spaventata.
- Se io morrò...-
- Madre, ma cosa dite? Voi siete la donna più forte che esista! 
Eugénie si commosse, suo figlio era così fiducioso in lei, mentre lei sapeva di avere già fallito. - Se io morrò, dovrai promettermi alcune cose!
- Tutto quello che vorrete! - disse il bambino guardando negli occhi la madre e ascoltandola attentamente.
- Prima di tutto non dovrai per nessun motivo farti prendere da coloro che prenderanno me. Promettimi! 
- Ma chi dovrebbe mai prendervi? - chiese il bambino che non capiva che cosa la madre gli chiedesse.
- Bimbo mio, promettimelo. -
Il bambino annuì ed ella sorrise debolmente. - Bene, secondo non dovrai mai e poi mai per nessun motivo dire che ti chiami Luois Chateauroux. Ti chiamerai... Max! - sì, pensò, Max era un nome innocuo.
- Max? Solo Max? -
- Solo Max. -
- D'accordo. - disse Lousi, il quale aveva sempre trovato difficile spiegarsi come mai il suo nome fosse Louis Fredrich Massimiliano Chateauroux, mentre il figlio della sua tata si chiamava soltanto Robert.
- Terzo, tesoro mio, dovrai raggiungere Londra. 
- Londra? - domandò Louis credendo che la madre fosse uscita di testa. Il bimbo non era mai stato a Londra e di certo non aveva mai fatto viaggi da solo, a pensarci bene, Louis si rese conto che non aveva mai fatto niente da solo nella sua vita: ogni momento della sua giornata era stato programmato in modo tale che il bambino fosse servito e riverito come un principino.
- Londra amore mio, e chiederai di farti accompagnare a palazzo Grey e se nessuno saprà dove egli sia, fatti accompagnare al parlamento e chiedi di Lord Grey.
Il bambino rimase perplesso, ma non ebbe il coraggio di ribattere.
- Amore dovrai vivere di poco e con poche cose, ma vedrai che questo brutto periodo durerà poco. - la donna non sapeva quanto si sbagliava, ma non ebbe neanche il tempo per chiedersi se aveva detto tutto al figlio perchè qualche momento dopo qualcuno penetrò nel castello con forza e violenza.
La Dubarry entrò nella stanza e chiuse la porta a chiave.
- Sono entrati, sono arrivati! - disse terrorizzata.
Eugénie iniziò a tremare, ma con l'ultima briciola di forza che aveva in corpo disse al figlio di nascondersi in un piccolo incavo del muro che coprì con una lastra di bronzo traforata che serviva per oscurare le finestre. 
- Bimbo mio stai zitto, non fiatare, qualunque cosa succede. -
Louis ebbe appena il tempo di nascondersi quando la porta fu sfondata da alcuni uomini i quali guardarono le due dame con orrore e sdegno e poi scoppiarono a ridere. - Signori! - esclamò uno indicando la Du Barry, - ecco colei che ha riscaldato il letto del nostro sovrano e che è stata pagata per i suoi servigi da puttana. 
Le due donne non dissero niente, si strinsero l'un l'altra  e chiesero pietà.
- Mie care signore! - disse un uomo entrando nella stanza. Louis lo guardò attraverso la grata: era un uomo sudicio e rozzo, con la camicia strappata e il volto bruciato dal sole. Luis si rese conto che avrebbe ricordato quel volto per sempre, i capelli sporchi, i denti marci, non erano niente in confronto a un odore acre e pungente che emanava.
- Signori, per favore! Non sbavate! - l'uomo guardò gli altri uomini con un ghigno, ma essi smisero subito di ridere. - Portate via questa donna! - concluse indicando la Du Barry.
I tre uomini, o forse quattro, Luis non riusciva a vederli bene, strapparono con forza la Du Barry da sua madre ed ella rimase sola con quell’orrendo uomo. 
-Signora, non tremate vi prego! - disse l'uomo a Eugénie prendendole una ciocca di capelli fra le mani. Eugénie lasciò che copiose lacrime le cadessero sulle guance.
- Voi... voi siete una gran dama non è vero? Siete... come si dice? Di sangue blu! - a quel punto l’uomo estrasse un coltello dalla cinta e lo pose sotto il collo della donna. - E siete anche l'amante di dell‘ex favorita! - continuò l'uomo tagliandole una ciocca di capelli ed annusandola.
Lydia iniziò a tremare compulsivamente. La sua unica vera paura era che quell'uomo trovasse suo figlio.
- State tranquilla io non farò niente a quella donna, ma a voi... voi siete mia!
Louis chiuse gli occhi. Non aveva il coraggio di aprirli perchè temeva ancora di più di iniziare ad urlare per la paura.
In quei momenti, che al bambino parvero ore lunghissime, Louis sentì solo le urla della madre e la puzza di quell'uomo, poi quando tutto il rumore si concluse il bimbo aprì gli occhi e vide il corpo di sua madre sul pavimento, coperto di sangue, quasi nudo e completamente sventrato. 
Louis in quel momento trattenne conati di vomito, lacrime, urla e qualunque cosa e attese, attese quelli che parvero giorni e alla fine all'estremo delle forze si addormentò.
Quando aprì gli occhi davanti a lui, oltre la grata vi erano due grandi occhi marroni scuro di una bambina. -Ehi!- disse lei sorridendo.
La bambina spostò la grata e aiutò il bambino ad uscire dal suo nascondiglio. La stanza era sottosopra e del corpo di sua madre restava solo una grande macchia di sangue. - Dobbiamo andarcene da qui! - disse la bambina pulendosi il vestitino. Louis rimase colpito da quanto il vestito fosse semplice e da quanto poco la coprisse 
- Tu chi sei? - domandò Louis ancora intimorito, osservando i crespi capelli della bambina.
- Io mi chiamo Moll, o meglio nessuno sa come mi chiamo, ma io ricordo che qualcuno mi chiamò Moll e allora mi faccio chiamare Moll. E tu? -
- Max! -
- Beh allora muoviti Max, dobbiamo andarcene subito! -
  
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