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Autore: okioki    14/09/2012    4 recensioni
Che il tempo cambia , trasforma le persone, era una lezione che ancora Tadzio Gilberti non aveva imparato…
1^ classificata al contest "Contest on incest" su EFP, indetto da Kakashina 97100, giudicato dal giudice sustitutivo Princess of the Rose.
Genere: Fantasy, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Incest
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Che il tempo cambia

Cinque anni erano passati dall’ultima volta che Tadzio aveva messo piede a Covo degli Angeli, ma ora che vi ritornava, almeno nell’aspetto, non trovava nulla di immutato. Il castello era lo stesso come lo erano le mura diroccate, i tetti spioventi, i doccioni erosi dal vento e dagli escrementi d’uccello. Stesso era il bosco che circondava la residenza, gli antichi pini che sorvegliavano la foresta, le siepi robuste.
Patrizio, come ci si aspetta dal signore di Covo degli Angeli gli era venuto incontro per dargli il bentornato, si erano incontrati a metà strada, ad un miglio dal portone d’ingresso. Tadzio era sceso da cavallo andando ad abbracciarlo e Patrizio lo aveva strattonato tra le sue braccia muscolose. Patrizio aveva due anni in più di Tadzio e quei cinque passati lontano sembravano non aver fatto altro che marcare le differenze tra di loro. Patrizio era di statura grossa e muscolosa, alto di qualche spanna più di Tadzio. Tadzio invece era rimasto tarchiato e ossuto, la carnagione scura che risaltava contro la pelle lattea del fratello.
«Avevo sperato che ti saresti fatto un po’ di muscoli a Capo del Sole, ma dopo il tuo addestramento mi sembri ancora più magro» lo aveva preso in giro Patrizio mentre camminavano nel cortile del castello.
Tadzio ci aveva riso sopra, amava il fratello quando si lasciava andare allo spirito.
Sapeva che Patrizio non si dava mai all’ironia se non prima di affrontare temi
spigolosi, in privato avrebbe sicuramente parlato della morte di loro padre, delle
condizioni di loro madre e dei piani del futuro per lui. Patrizio era un vero signore sin
da bambino e sapeva bene quali erano i suoi doveri.
«E le ragazze?» aveva chiesto Tadzio, non notando la loro presenza nel corteo di benvenuto.
«Letizia si è sposata due anni fa con il figlio del signore di Cima delle Castagne. Rodrigo, te lo ricordi? Una volta nostro padre vi presentò. Ora nostra sorella è ingravida e non può sopportare lunghi viaggi, ma ti manda i suoi saluti e spera che anche tu possa essere presente alla nascita del suo bambino» gli aveva detto Patrizio.
Tadzio era rimasto sorpreso. Letizia? La loro dolce sorella maggiore, che gli aveva fatto da seconda madre, era andata sposa? Proprio non riusciva a immaginarselo.
Gli si era formato un nodo in gola quando invece si era prestato a chiedere dell’altra di sorella.
«Venusia?» aveva sussurrato. «Venusia… » la pausa di Patrizio gli aveva fatto pensare il peggio, ma subito dopo il fratello si era aperto in un sorriso e aveva indicato più avanti a loro un corteo di dame. «Eccola lì, nostra sorella!»
Tadzio era corso incontro al gruppo di donne, cercando di darsi un contegno mentre nel suo viso si dipingeva l’aria di un bambino felice. Perché era così che si sentiva andando incontro a sua sorella. Si vedeva ancora appollaiato ai rami dei pioppi del bosco a importunare gli animali, a rincorrersi per la radura, a fare la lotta nel fango e a scappare da Letizia per non togliersi di dosso i vestiti sudici.
«Venusia?» l’aveva chiamata, fermandosi di colpo, non riconoscendo in lei nessuno dei volti che si erano piegati in riverenza.
Una ragazza vestita con abito turchino dalle maniche a sbuffo aveva alzato lo sguardo su di lui.
«Sono io, Tadzio.»
Tadzio era rabbrividito, la sua voce non era cambiata. Era la stessa con cui lo chiamava da bambina, la stessa voce che gridava “Tazio,Tazio”. Ma la ragazza che si era trovato davanti non aveva niente a che fare con la bambina sporca e arruffata con
cui aveva passato i giorni più belli della sua infanzia.
Quella Venusia era diversa. Aveva la pelle bianca e trasparente quasi come porcellana, i capelli erano puliti e lucidi come fili di argento. Si era alzata e le forme di donna avevano cominciato a prendere il sopravvento su di lei. Probabilmente non avrebbero più potuto fare il bagno insieme, era stato il pensiero di Tadzio, guardandola.
Anche il viso era maturato insieme al suo corpo, non c’erano più le forme arrotondate di quando erano bambini.
Il volto di Venusia era diventato spigoloso, lo sguardo serio.
«Venusia…» aveva sussurrato Tadzio dopo un momento di silenzio, trattenendosi a stento dall’abbracciarla lì davanti a tutti, lì davanti a Patrizio. Accorgendosi di avere
gli occhi e le orecchie delle sue dame puntati addosso, si era limitato ad avvicinarsi
mormorando in modo appena impercettibile “Incontriamoci nel bosco, al nostro albero, stasera”.
Venusia aveva piegato la testa, facendo segno di sì e gli aveva rivolto un sorriso.
Ma non era un sorriso di quelli della loro infanzia, quelli che precedevano uno scoppio d’ilarità. Era un sorriso riservato, aveva pensato Tadzio andando avanti.
Riservato e un po’ freddo.
***


Il sole illuminava i capelli di lei, capelli d’argento sporchi di fanghiglia e foglie. Ma andava bene così, nessuna chioma gli era sembrata più bella di quella. Anche lui avrebbe di gran lunga preferito quei capelli a quelli biondo cenere che aveva ereditato da suo padre. Lei sorrideva, muovendo le dita dei piedi e cercando di acchiappare i frutti dei rami più alti, perché erano quelli più maturi. Quando ci riusciva si girava verso di lui, sorridendo e mostrando il suo bottino. Gliene porgeva una piccola porzione e poi cominciava a masticare la sua, sporcandosi tutto il viso di rosso. Lui guardava la sua bocca colorarsi e non poteva far a meno di pensare che assomigliava a Letizia quando si dipingeva le labbra. Ed era buffa. Lei, di solito, quando lui la guardava troppo si avvicinava a dargli uno scappellotto, per poi scendere dall’albero e correre a perdifiato cercando di non farsi acchiappare. Quella volta non l’aveva fatto. Lei si era avvicinata con la fronte aggrottata, leccandogli il contorno delle labbra con la sua lingua, per poi posare la bocca sopra la sua.
«Avevi le labbra tutte sporche» aveva detto lei, ritornando a mangiare i suoi frutti.
«Tadzio!» Patrizio lo fece ritornare al presente dandogli uno scossone sulla spalla.
«Datti un contegno, siamo nella Sala Grande!» gli sibilò dall’alto scranno accanto al suo.
Tadzio si accorse di aver assunto una postura supina e si affrettò a raddrizzarsi sotto lo sguardo severo del fratello.
«Altro vino?» gli domandò Patrizio mentre una servetta ne versava nella sua coppa.
Tadzio tossì rifiutando l’offerta. Gli era bastato il destarsi di quel ricordo per fargli perdere lucidità e non voleva che il vino lo rendesse completamente assuefatto.
Quando avrebbe incontrato Venusia, nel bosco, doveva essere completamente conscio. Il sorriso di quella mattina l’aveva destabilizzato, l’aspetto con cui si era presentata anche, andando a rivangare quel particolare ricordo che aveva annebbiato, ritenendo molto più gioiosi quelli in cui giocavano.
Con tutta quella confusione attorno non poteva pensare lucidamente, si disse. La festa in suo onore era stata annunciata per tutto il dominio facendo accorrere i signori e le casate che avevano giurato fedeltà a Covo degli Angeli. C’era un rumore assordante di piatti, posate, risate e parlantina mischiate in un tutt’uno. La sala pullulava di nobili, bambini, gente del volgo e inservienti del castello. Fu introdotto un cantastorie, che cominciò a intrattenere gli ospiti con una ballata mai sentita. Patrizio si sporse incuriosito per sentire meglio, ma i pensieri di Tadzio erano lontani. I suoi occhi continuavano a soffermarsi nella sedia vuota di Venusia, assente dalla festa.
«Dov’è nostra sorella?» chiese a Patrizio, ributtando un cosciotto d’agnello nel suo piatto.
«Ancora?» grugnì Patrizio irritato, non staccando gli occhi dal cantastorie. «Quante volte devo dirti che è nelle sue stanze a pregare?» Tadzio non si ricordava di averlo chiesto prima, ma dal modo in cui gli aveva risposto Patrizio glielo aveva domandato probabilmente troppo volte. Guardò fuori da una finestra della Grande Sala, il cielo aveva assunto un colore rosato. Era ora di muoversi.
«‘Tizio che intensione hai per Venusia?» domandò al fratello.
Patrizio gli rifilò un’occhiata irritata. «Non ora Tadzio, in privato ti ho detto» bofonchiò riportando la sua attenzione al menestrello.
Tadzio gli pose una mano sulla spalla. «Dimmi almeno qualcosa» lo pregò.
«Nostro padre aveva piani ben precisi per Visia e io intendo portarli avanti. In sua memoria. Ora mi lasci ascoltare questa ballata in pace?»
«Sì, scusa. Io mi ritiro nelle mie stanze, sono spossato dal viaggio…» mormorò Tadzio alzandosi.
«A cosa sarà mai servito il tuo addestramento a Capo del Sole se ti stanchi per così poco?» sentì brontolare Patrizio mentre se ne andava.
Percorse in fretta i corridoi che portavano all’uscita, arrivando al cortile e oltrepassando il portale sotto lo sguardo indagatore delle guardie. Che lo vedessero pure quanto era felice, dopo ben cinque lunghi anni poteva incontrarsi con Venusia. Venusia che era stata l’unica cosa che l’aveva spronato a dare il suo massimo per poter ritornare a casa. Cosa importava se aveva l’aria di un bambino? Lui stava andando nel posto in cui sarebbero ritornati bambini, ad incontrare la sua compagna di giochi, e non vedeva l’ora. Oh, non vedeva l’ora!
***


Venusia giunse quando le nubi divennero rossastre.
Tadzio osservò il suo avvicinarsi da lontano, appollaiato ai piedi del loro albero.
I passi di Venusia erano lenti e impercettibili.
Gli occhi ambrati luccicavano di una luce ambigua.
«Perché qui?» chiese.
Non era il saluto propenso che aveva pensato di ricevere dopo cinque anni che non si vedevano. Semplicemente decise di lasciar perdere, facendo segno a sua sorella di sedersi vicino a lui.
Venusia si pose sull’erba, sistemandosi le pieghe dall’abito.
Era bella.
Era la prima volta che Tadzio faceva pensieri del genere su di lei. Era la prima volta che la considerava bella in quel modo.
«Perché non hai partecipato alla festa?» le domandò Tadzio.
Venusia rimase in silenzio, per poi decidersi a parlare. «Non stavo bene…» sussurrò.
Tadzio preoccupato le sfiorò la fronte. «Cosa avevi Visia? Forse ho fatto male ha chiederti di incontrarci la sera, quando comincia a far fresco?» chiese mortificato.
«Niente di cui preoccuparsi» rispose lei pacata e fredda, allontanandosi dalla mano di lui. «Hai fatto bene a darmi appuntamento qui, Tazio.»
Tazio. Sentirsi chiamare da lei con il vezzeggiativo di quando erano bambini, lo fece sorridere lievemente. Tadzio posò la mano sull’albero cui era appoggiato, tastando la ruvidità della corteccia.
«Ti ricordi?» domandò, mentre i suoi pensieri correvano lontano. «Da bambini ci arrampicavamo fin
sopra i rami più alti, cercando di cogliere con le mani i frutti più maturi… Tu eri più brava di me e prendevi sempre i più buoni. Poi, se dopo che avevamo finito di mangiare, ce ne avanzavano, li lanciavamo ai servi nel castello. Cominciavamo a scappare poi, perché papà andava su tutte le furie minacciando di picchiarci a sangue, se non quando intervenivano mamma o Leti…»

«Tazio, non divagare» lo ammonì Venusia con un sorriso di cortesia.
Un'espressione sbalordita andò aprendosi nel volto di Tadzio prima che lui potesse far niente per trattenerla. Venusia quando erano bambini non l’aveva mai interrotto così, anzi ascoltava trasognata ogni sua parola con occhi pieni di ammirazione. Cose l’ era successo quel giorno? Sin dalla mattina era strana.
«Scusa, so benissimo che anche tu ti ricordi queste cose. Mi sono lasciato prendere dalle emozioni e così…» borbottò Tadzio irritato.
«Com’è Capo del Sole? Mi sembri ancora più imbrunito » lo interruppe Venusia, osservando la mano posata sulla corteccia dell’albero.
Prima che Tadzio potesse farle un resoconto della sua impressione sulla città Visia intervenne di nuovo, questa volta guardando la sua di mano. Aggrottò le
sopracciglia,come se si aspettasse di trovare qualcosa di diverso dalle dita lattee e chiare.
«Sai, io non uso il belletto come le sfrontate ragazze della capitale» mormorò
tagliente.
Aprì di nuovo la bocca, ma poi arrossì, come se si vergognasse ad aggiungere qualcosa.
Qualcosa di molto divertente a giudicare la sua espressione. Tadzio si girò a osservarla attentamente, sì, di sicuro trovava qualcosa di molto divertente nel suo viaggio a Capo del Sole. La bocca era piegata in una strana smorfia, come a trattenere una risata che da lì a poco sarebbe scoppiata. Forse allora gli avrebbe rivelato cosa trovava di tanto divertente in quella costatazione.
Improvvisamente Tadzio si rese conto di non saper più cosa dire, non trovò alcun argomento in cui aprirsi con lei; rimasero quindi in quel silenzio imbarazzante.
Era strano, da bambini passavano le giornate insieme e non erano mai stati a corto di argomenti.
«Cos’ hai fatto in questi anni?» buttò giù inquietato dall’assenza di parole tra loro.
Venusia s’irrigidì di scatto, perdendo il sorriso. Attenta come un felino sua sorella parve studiare la sua espressione. «Non ho pianto la tua assenza. All'inizio forse sì, ma poi mi sono ripresa.»
Anche Tadzio s’irrigidì, abbandonando la posa naturale e guardandola con gli occhi aperti.
Che strana reazione, pensò, un po’ troppo sulla difensiva.
«Anche tu mi sei mancata» farfugliò.
Venusia lo guardò stranamente. «Ti sono mancata, allora perché non mi hai mai scritto?»
Tadzio stava per dirgli che nel suo apprendistato gli era stato proibito avere rapporti con il mondo esterno, ma poi si ricordò che neanche lei gli aveva mai mandato una lettera.
«Anche tu non mi hai mai scritto» l’accusò.
«Ero impegnata con donna Carlotta e nostra sorella Letizia, mi stavano insegnando come essere una vera signora» si giustificò Venusia guardandolo altezzosa. Adesso c’era un che di freddo nella sua voce.
Lei una signora? Indubbiamente, era da quella mattina che gli dava l'impressione di essersi raffinata un poco, diventando più educata e cortese. Però non riusciva a capacitarsi di come Letizia e donna Carlotta erano riuscite in un’impresa del genere: trasformare Venusia in una signora.
Tadzio continuava ad aver proiettata davanti ai suoi occhi il maschiaccio che sua sorella era stata nell’infanzia.
A quale stratagemma era dovuta ricorrere Letizia per convincere Venusia a subire un così drastico cambiamento?
Tadzio ridacchiò, immaginando le due sorelle mentre venivano a patti: Venusia che rifiutava
categoricamente, Letizia che guarniva le sue intenzioni con parole dolci come il miele.

«A proposito di Letizia…» Tadzio cercò di usare un tono di voce modulato perché nella sua voce non si notasse la vena d’ilarità. Venusia quel giorno sembrava molto suscettibile. «Ho saputo del suo matrimonio e sinceramente ne sono rimasto molto contrito. Ti ricordi dei giorni in cui litigavamo per chi avrebbe sposato Letizia da grandi? Ora quei giorni mi sembrano così lontani!»
Venusia corrugò la fronte, per nulla divertita. «Dovresti essere felice per nostra sorella Letizia» lo rimproverò. «Non dispiacertene.»
La Venusia di quel giorno aveva un che di cupo, si disse Tadzio.
Dove era andata a finire la bambina sempre sorridente? A disagio riportò il discorso all’origine: «Sono servite a qualcosa queste lezioni di buona educazione?»
«Puoi vederlo da te stesso, mio signore» gli sorrise Venusia.
«A sorridere in modo tirato, questo ti hanno insegnato?» si lasciò sfuggire.
Non voleva dirlo, Visia era già abbastanza tagliente nelle sue risposte senza che ci si
mettesse lui. Ma non poteva sopportare di vederla sorridere a quel modo: un tempo i
suoi sorrisi gli scaldavano il cuore, ora non erano che fredde ventate di aria gelida.
Il sorriso scomparve dalla bocca di Venusia assumendo una piega amara. «Vuoi veramente sapere cosa mi hanno insegnato?» Dal suo tono si capiva che era una domanda retorica, se l’avesse voluto sapere o meno lei glielo avrebbe detto ugualmente.
«Mi hanno insegnato a compiacere la gente, in particolare voi uomini.» La risata che seguì fece pensare a Tadzio che la frase dovesse avere un significato velato. Sua sorella, dopo che ebbe cessato di ridere, si aprì in un sorriso arrogante. « Anche a sorridere in modo tirato.»
Tadzio la guardò malissimo. Prese un po’ di terra dal suolo, lasciandosela scivolare tra le dita. Non doveva andare così il loro incontro, non era questo che voleva… Ma cosa voleva realmente? Che si arrampicassero sugli alberi come da bambini, o si rotolassero nel fango?
Era ritornato a Covo degli Angeli per cosa?
Letizia se ne era andata, loro padre era morto, loro madre era malata e i due fratelli rimasti sembravano più acidi che mai. Tanto valeva restare a Capo del Sole a spezzarsi la schiena, ma no, era stato il perpetuo ricordo di Venusia a fargli agognare il ritorno a casa, di vederla, di… Fare cosa poi? Erano passati i tempi in cui potevano giocare a loro piacimento.
«Visia perdonami, non lo sapevo» si scusò Tadzio.
«Sì, infatti. Tu non sai niente di quello che è successo in questi cinque anni…»concordò Venusia annuendo.
«Qualcosa la so. Nostra madre si è ammalata, nostro padre è morto e Patrizio è diventato il signore di Covo degli Angeli, Letizia si è sposata» ribadì Tadzio irritato, per dimostrare che si era tenuto informato negli ultimi anni.
«Qualcosa è cambiato» gli fece notare Venusia.
«Sì» confermò Tadzio in un sussurro, accorgendosene veramente per la prima volta.
«Allora smettila di comportanti come se non fossero passati anni… Siamo tutti
cambiati, anche tu che non te ne rendi conto. Patrizio è diventato lord e
signore,Letizia è diventata veramente madre e non potrà più farla a noi, nostro padre è morto e nostra madre non sta male! È impazzita. Ed io non sono più una bambina… sono una donna ormai.»
Ecco cosa c’era di diverso. Ecco cosa non riusciva a capire.
Venusia non era strana quel giorno, era solo cresciuta.
Erano passati cinque anni e le persone cambiano.
In realtà era cambiato tutto, la sua famiglia era mutata.
Tadzio osservò attentamente Venusia, che si proclamava donna. Anche lui era cambiato, cinque anni fa non si sarebbe mai accorto della bellezza che sua sorella era diventata. Dove era stata, cosa aveva mai fatto per cambiare così? “Sono una donna ormai”. Le risatine crudeli, i toni sprezzanti e le affermazioni equivoche, era questo che faceva di lei una donna?
Chi le aveva insegnato tutte queste cose mentre lui era assente, chi aveva preso il suo posto nel suo cuore?
«Cosa vuol dire sono una donna?» chiese attonito, succube di una strana e dolorosa
curiosità.
«Lascia stare, non ho intenzione di dirtelo» tagliò corto Venusia.
«Sei cambiata.»
Tadzio parlò atono. Credeva invece che quelle parole sarebbero uscite come un gemito strozzato.
Nonostante Venusia avesse cercato di farglielo capire in più modi per lui era cambiato>tutto solo quando sua sorella aveva dichiarato che non gli avrebbe detto niente. Da bambini loro si dicevano tutto! Era stato il pensiero sconcertante di Tadzio dopo quel rifiuto.
Non c'erano mai stati segreti tra loro, ma il tempo passato divisi ne aveva creati molti.
Avrebbe dovuto intuirlo quella mattina, quando Venusia non gli si era gettata con le braccia al collo o non gli era saltato addosso. Dai sorrisi riservati e con un po' di disagio che gli aveva rifilato. Qualche secondo prima era convinto di conoscere sua sorella più di se stesso ma adesso non poteva dirlo.
I capelli di Venusia ondeggiavano alla brezza serale, un movimento impercettibile.
Il fruscio delle foglie intorno al bosco di Covo degli Angeli era l'unica cosa che gli sembrava familiare, e fino a poco fa aveva pensato che si potesse tornare a essere bambini in quel bosco.Lui in quel luogo adesso era cresciuto, velocemente, come se quei cinque anni passati a Capo del Sole, tutte le esperienze, gli sbagli, i dolori avessero cominciato a pesare in quel momento. Nel bosco della sua infanzia.
«Bravo, cominci a capirlo» approvò Venusia annuendo, una voce lontana dai suoi pensieri.
Qualcosa. Aveva bisogno di qualcosa per aggrapparsi al ricordo della loro infanzia.
Non poteva sopportare che lei lo lasciasse indietro. Tadzio percepì l'albero in cui era poggiato come l'unica entità in grado di ristabilire il contatto con Venusia, che in quel momento era più lontana di quanto lo erano stati in quei cinque anni di lontananza.
L'albero delle loro scalate, dei loro segreti, della loro infanzia.
L'albero di Tazio e Visia.
«Visia, che ne dici di scalare il nostro albero?» mormorò ancora preso dai suoi
pensieri.
Venusia lo guardò con gli occhi socchiusi, interrotta a metà in un discorso che stava
facendo . «Ma sei tardo?» cominciò a sibilare.
«In onore dei tempi andati» la pregò Tadzio porgendole la mano.
Venusia guardò la mano con sospetto.
Doveva prenderla, se avesse ancora evitato di farsi toccare, Tazio pensò che avrebbe potuto sentirsi male. Doveva ristabilire un legame con lei e il tocco fisico gli sembrava quello con l'impatto più immediato. Sua sorella infine poggiò la mano sopra la sua, delicatamente. Forse aveva colto l’invito disperato che lui gli stava lanciando.
Venusia sorrise, un sorriso diverso da quelli che gli aveva rifilato per tutto il giorno ma neanche simile a quelli della loro infanzia.
Si alzò la gonna e dichiarò: «Sono comunque ancora in grado di farti mangiare la polvere.» Abbracciò letteralmente l’albero mentre cercava d’issarvici sopra controllando contemporaneamente che la gonna la coprisse.
Tadzio sorrise, da bambina Visia non si era mai fatta tutti questi problemi. Facevano anche il bagno insieme. Si ricordò che quella mattina aveva pensato che non avrebbero più potuto farlo, non con la stessa innocenza di quando erano bambini almeno. Un pensiero triste.
Quando Venusia fu salita abbastanza in alto, cominciò anch’esso ad arrampicarsi.
Tastò la corteccia cercando qualche sporgenza che gli avrebbe permesso di salire, trovandola. Erano gli stessi appigli della sua infanzia, almeno quelli non erano cambiati. Cominciò a salire lentamente, pregustandosi ogni movimento.
«Tazio, muoviti!» gli urlò Venusia con il tono eccitato di chi ti vuol far vedere
qualcosa.
Tazio aumentò il ritmo della scalata giungendo al ramo dove si trovava Venusia. Vi s’issò sopra sedendosi di fronte a lei.
«Guarda che bello. Non ci sono boschi simili a Capo del Sole, lì non ci sono altro che cortili e campi e palazzi» gli disse, smaniosa di mostrargli la veduta.
Dal tono infervorato di sua sorella Tadzio capì che non veniva lì da molto tempo, nonostante abitasse a Covo degli Angeli. Da quanto era che non si arrampicava, Venusia?
Il cielo aveva assunto una colorazione di rosso saturo, mentre la foresta era di un verde dalla sfumatura quasi metallica, le cui ramificazioni maggiori andavano a intrecciarsi per etti e etti di terra. Un falco volava nel cielo sanguigno, giungendo giù, più in là, dove si ergeva Covo degli Angeli con le sue alte torri.
«Ah… me la ricordo questa sensazione! Mi sentivo la padrona del mondo quando sedevamo su questo ramo…» Venusia interruppe il silenzio con un’osservazione malinconica.
«Sì, anch’io…» concordò Tadzio.
Venusia scosse la testa. Fece per aggiungere qualcosa, ma poi ci ripensò. «Cogliamo i frutti?» chiese poi, allungando le mani verso le foglie alte.
Tadzio la guardò e per la prima volta riconobbe in lei la bambina di cinque anni fa.
Quella che si allungava un poco cercando di acchiappare i frutti più in alto, quella che corrugava la fronte andando a selezionare quelli maturi da quelli acerbi . L’argento vivo nei capelli, lucidi e splendenti nella sera, gli occhi ambrati che sembravano stelle del cielo.
Era bella, sì che era bella.
E lui le voleva bene. Più che bene.
Aveva sospirato di sollievo quando aveva saputo che Venusia non si era ancora sposata, che stava lì, che nessun pretendente aveva aspirato alla sua mano. Che non ci fosse stato alcun pretendente. Lei era ancora lì, cambiata, ma Venusia era ancora lì. Non era andata via. Quel corpo sconosciuto non apparteneva a un'estranea ma solo a una Visia un po' cambiata. Maturata, come i frutti che cercava di cogliere.
La brezza che si respirava da quell’altezza l’aveva portato a un pensiero rivelatore.
Il tempo cambia le persone, è naturale.
In quel momento, sugli alti rami dell'albero non gli sembrava nemmeno così inaccettabile. Era un nuovo inizio, un conoscersi meglio, diversamente. Non con spontaneità e innocenza, ma con fare sforzato e passione.
Venusia abbassò le braccia, mostrandogli ciò che racchiudevano le sue mani.
Frutti rossi, bacche. Nelle sue notti a Capo del Sole faceva frequentemente un sogno
simile, un ricordo che aveva sempre creduto della loro infanzia, ma probabilmente
non lo era. Dipingeva nella sua mente un immagine di Venusia che non reale, quello di una bambina che si scopre in un atteggiamento da donna. Che nella Sala Grande del castello avesse avuto un presagio di ciò che sarebbe successo nel bosco? Se era
così allora…
«Siamo d’inverno. Non penso siano molto buone, ma dovremmo accontentarci.»
Il commento di Venusia posò un'ombra sui suoi pensieri. «Tieni» aggiunse improvvisamente seria, facendo scivolare alcune bacche nelle mani di Tadzio.
Venusia cominciò a mangiare le sue, in modo più raffinato di quando erano bambini.
Se le portava una per una alla bocca, masticando lentamente mentre cercava di non sporcarsi le labbra. Quel rosso delle bacche sulle sue labbra la rendeva affascinante, provocando una strana pressione sul basso ventre di Tadzio.
Assomigliava a loro madre, assomigliava a Letizia ed era… bella.
«Mangia» lo invitò Venusia, costringendolo con lo sguardo. «Sono buoni sai? Oppure la tua bocca si è abituata ai piatti fini di Capo del Sole?» domandò sprezzante.
Tadzio sbuffò mentre se ne portava uno alla bocca.
I gusti di Venusia sul cibo lasciavano alquanto a desiderare, ma non ci pensò su quando si mise il frutto in bocca. Quasi si morse la lingua quando le papille gustative andarono incontro al sapore del frutto. Non era buono, era sprezzante.
Di un gusto pessimo che gli fece attorcigliare lo stomaco. Non era ancora maturo.
Sputò la buccia della bacca cercando di togliersi quel gusto aspro dalla bocca,
lanciando un'occhiataccia a Venusia.
«Amare vero?» chiese sua sorella, rivolgendogli un sorriso arrogante. «Sono questi i sapori della vita. Meglio abituarsi, devi pensare che d’ora in poi tutto avrà questo retrogusto. Io sono cinque anni che ci ho fatto l’abitudine» parlò con voce triste.
Poi Venusia ridacchiò, prendendo l'ultimo frutto con la punta delle dita e rimirandolo alla luce della sera. «Non possiamo mica pretendere che siano dolci come quelli dell'infanzia, anche l’amore… non possiamo pretendere che rimanga immutato» aggiunse.
Con la punta delle dita Visia s‘infilò il frutto tra i denti.
Tazio si ritrovò ancora una volta in silenzio.
Avrebbe voluto chiederle quale esperienza aveva vissuto per essere diventata così, per riuscire a essere una persona del tutto diversa dalla Venusia bambina . Era forse la morte di loro padre? O l’improvvisa separazione da Letizia? La pazzia che aveva preso loro madre?
Si costrinse a stare zitto, perché lei probabilmente non gli avrebbe detto niente. E questo suo rifiuto gli faceva terribilmente male.
Rimasero in quiete, o almeno fu quello che cercò di fare Tadzio. Venusia aveva uno sguardo strano, gli occhi ambrati in un luccichio che non riconosceva. L’aveva già visto quello sguardo, quando quella sera lei si era avvicinata chiedendogli perché avesse fissato il loro incontro lì.
Visia mosse la bocca, come per dire qualcosa, ancora. E le cadde il frutto dai denti.
Dove sei stata, cosa hai fatto?” aveva intenzione di chiedergli Tadzio, ma non lo fece. Guardò invece il frutto rosso cadere dalla bocca di sua sorella; in un attimo, l’occasione sfuggì come la bacca era sfuggita dalle labbra di sua sorella.
Non conosceva quel sorriso sicuro che si andò a dipingere nelle labbra Venusia mentre si avvicinava a lui, non sapeva più chi era. E questo gli faceva paura.
Cos’ era rimasto in fondo ai suoi occhi, la fiamma dell’infanzia era ancora accesa? O era rimasto soltanto il ghiaccio nelle sue iridi?
Mentre Venusia gli si affiancava, un ricordo si andò a incrociare con la realtà.
Erano bambini, lei non l'aveva mai fatto prima. Gli si era avvicinata senza colpirlo
per poi... Lui aveva chiuso gli occhi.
Tadzio si ritrovò il viso di sua sorella a un palmo dal suo. Venusia leccò prima con la lingua il contorno delle sue labbra, tenendo gli occhi chiusi. Quel gesto gli donava la sensualità femminile che da bambina non aveva mai avuto, quella per cui molte volte loro madre l'aveva presa in giro. Venusia ci soffriva, l'aveva confessato solo a lui con le lacrime agli occhi, in quello stesso albero. Cinque anni fa.
Tadziò rabbrividì sentendo il calore che scaturivano le labbra di Venusia mentre lei le posava sopra le sue. Teneva gli occhi chiusi, lui si sforzò di fare lo stesso. Il volto di Venusia scomparve dietro lo sbattimento di ciglia mentre un’altra rievocazione si fece strada tra le sue palpebre chiuse.
Sole.
Lei che gli premeva le labbra contro, lui si sentiva l'aria rubata, il sapore dolce dei frutti che stavano mangiando. Stava immobile aspettando che lei finisse di comportarsi in modo strano.
Amaro.
Lo stesso sapore amaro del frutto che Venusia gli aveva fatto mangiare con l'inganno.
L'amaro di quel momento vissuto in tutt'altro modo, in tutt'altra situazione, con una lei diversa. Questo stava accadendo adesso, si accorse.
Diversamente.
Tadzio rabbrividì quando si accorse di aver posato una mano sulla spalla di Venusia, mentre l'altra si era intrufolata tra i capelli e glieli spettinava. Il respiro che salta, quello di lei che accelera.
Questa volta non gli stava ripulendo la bocca dalle tracce rosse lasciate dal frutto, Tadzio ne era certo.
***


Venusia dischiuse le labbra allontanandole, portando una mano ad accarezzare la guancia di Tadzio. Tadzio lasciò le mani lì dove erano, accarezzando ogni tanto la schiena di Venusia.
Il silenzio spezzato dai loro respiri.
Rimasero così per un tempo indefinito, finché Venusia non si decise a staccarsi da lui con il fiato corto.
«Io ti amo Tazio. Ti amavo anche prima, ma ora ti amo in modo diverso. Me ne sono accorta oggi vedendoti cresciuto. Te ne vuoi accorgere? Tu mi ami, come ti amo io?» gli rivelò Venusia, guardandolo con lo sguardo che prima l’aveva spaventato.
Tadzio la baciò di nuovo, lievemente. Voleva sentire di nuovo il contatto che poteva
dargli la certezza immediata che quel bacio avesse dissipato tutta la distanza di quei
cinque anni.
Da bambini non aveva bisogno di toccarla per sentirla vicina, anche se gli abbracci c'erano sempre, più per dimostrare agli altri l'amore che provavano l'uno per l'altra.
«Anch’io ti amavo da bambino. Ma adesso...» le confessò in parte lui, lasciandosi poi prendere dai dubbi.
Non sapeva cosa sentiva per Venusia, se non quell’amore infantile che aveva caratterizzato i suoi giorni da bambino. Adesso non riusciva a dissociarla dalla bambina che era stata, nonostante fosse così cambiata. Forse quello in cui si erano esibiti prima era un tipo diverso... di amore?
Venusia sfoderò il suo sorriso riservato e freddo, prendendogli la mano e accarezzandogliela; un conforto silenzioso che però non fece altro che turbare di più il cuore di Tadzio.
Sì.
Era cambiato tutto, doveva cambiare il suo modo di dimostrarle affetto se voleva continuare a starle accanto. Per poter avere davanti agli occhi l’artefice dei suoi ricordi. Per continuare a conservarli, intensi come prima.
Avrebbe imparato anche lui a conoscere il sapore aspro che circondava la vita di Venusia? Ne avrebbe scoperto la causa? Forse l’avrebbe fatta tornare la Venusia dell’infanzia o sarebbe addirittura riuscito ad amare quell’amarezza che metteva nella vita.
Per ora si pregustava la dolce presenza di lei, che aveva alimentato i suoi sogni e i suoi ricordi quando era lontano.
Sentimenti che erano stati risvegliati quando si erano toccate le loro labbra.
Era stato un bacio piacevole, con il retrogusto amaro delle bacche che avevano mangiato.
A Tadzio era piaciuto. Molto, tantissimo. Ed era un bene. Ci avrebbe fatto l’abitudine, perché sapeva che da quel momento, i baci che Venusia gli avrebbe dato sarebbero sempre stati così. Amari, come la vita adesso. Sarebbe toccato a lui rendere i suoi dolci, come la loro infanzia.

Note : penso, che per chi abbia letto Martin, sia chiaro che mi sia ispirata all'incontro tra Ned e Cersei nel parco degli dei.... ___________________________________________________________________________________________________

 

 


Grammatica: 10/10
Eccellente. Non ho altro da aggiungere.
Forma e stile: 9/10
Hai usato uno stile molto fluido, descrizioni ben calibrate. Mi è piaciuto come molte cose accadute nella vita dei protagonisti siano solo sottintesi, lasciando al lettore l’immaginare la storia che c’è dietro.
Originalità: 9/10
Mi ha colpito l’ambientazione Mediovale-Rinascimentale, non me l’aspetto. Ho apprezzato soprattutto l’assenza di quel sentimento di… chiamiamolo sporcizia (non mi viene in mente termine migliore, XD) che caratterizza i fratelli incestuosi. E’ raro trovare una fic che non si focalizzi sempre sui sensi di colpa.
Caratterizzazione: 10/10
Nonostante, lo ammetto, il personaggio di Venusia non mi sia molto simpatico, non posso non complimentarmi per la caratterizzazione eccellente. Una buona caratterizzazione deve suscitare qualcosa nel lettore, che sia antipatia o simpatia non importa: quando una di queste due emozioni c’è, vuol dire che sei riuscita nell’intento di creare dei buoni personaggi. Tadzio mi ha fatto tenerezza, spaesato com’era in un mondo che dovrebbe essere casa sua.
Gradimento personale: 10/10
Eccellente, davvero. Merita il primo posto per lo stile semplice ma non scarno e il personaggi magnifici. Bel lavoro!

Totale: 48/50

 

 

  
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