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Autore: Gaber_Ricci    14/09/2012    1 recensioni
Dopo lunghi vagabondaggi e fughe tempestose, in quel luogo arcano ed inquietante, Cristina si
sentiva, finalmente, al sicuro.
Ma a ragione?
Forse niente più che un piccolo esercizio di stile
Genere: Horror, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dopo lunghi vagabondaggi e fughe tempestose, in quel luogo arcano ed inquietante, Cristina si

sentiva, finalmente, al sicuro. Non aveva idea di chi potesse aver costruito, tanto fuori posto sia per

luogo che per tempo, una casa vittoriana nel bel mezzo di quel bosco così inusuale, in cui i rami

degli alberi, spezzati da infinite nevicate e ricresciuti, pervicaci, primavera dopo primavera,

s'innestavano sui tronchi che li nutrivano con bernoccoli bitorzoluti ed angoli che poteva aver

concepito solo un matematico tanto geniale e fantasioso quanto dotato del più fine senso

dell'umorismo; neppure riusciva ad assegnare alla costruzione un qualche senso di qualunque tipo,

che andasse al di là di una pura speculazione edilizia andata a finire malamente perché basata su

una promessa non rispettata.

Ad ogni modo, niente di tutto ciò la interessava più di tanto: adesso era là (presumo al lettore non

interesserà sapere come vi era arrivata), e fuori dalla finestra un gufo affamato fischiava dal becco

la marcia funebre di un qualche ratto che strisciava nel sottobosco, mentre la luna piena disegnava

ombre lunghe quanto ridicole sul tappeto peloso in cui teneva tuffati i piedi nudi. Tutto ciò, le dava

un senso di straordinaria, metafisica tranquillità.

Tanto che, e vedete bene se questo narratore non è veritiero, riusciva senza difficoltà a tenere a

mente, ed a ricostruire, uno dopo l'altro, tutti i particolari dell'universo che l'autore del libro in cui

teneva tuffato il naso aveva disegnato, le sembrava, solo e soltanto per lei. E, ignara di ogni cosa

che le accadeva intorno, leggeva.

Ovunque vada, per quanti reami veda,

il mio cuore è immobile, e pazzo d'amore si volge a te.

Tanto era rapita, che nemmeno si accorse della comparsa di queste parole sul muro bianco che

aveva proprio di fronte; erano scritte a grandi, eleganti lettere corsive, con un liquido rosso scuro,

quasi viola, che aveva tutte le carte in regola perché un osservatore distratto lo considerasse sangue.

E lo era, infatti, pur se (abbiamo pur detto che la mano che le aveva scritte era quella di persona di

gusto) non sbavava nemmeno in un punto.

Prima dei suoi occhi, furono i suoi istinti a percepirla: dallo stomaco le salì un calore che aveva

poco a che fare con la notte estiva, il suo battito cardiaco aumentò di frequenza, e la sua visione si

fece distintamente più nitida, nella penombra di quella stanza, rischiarata solo dalla lampada che

teneva su uno scrittoio. Quelle reazioni la sorpresero; e fu per questo, per la curiosità che le

provocava il suo stesso corpo, che alzò la testa.

Allora vide, e tutto ebbe un senso.

No! L'aveva trovata anche lì!

Lasciò cadere il libro, e scattò in piedi; in soli due passi, o meglio, due salti, coprì i tre metri che la

separavano dalla porta che si apriva direttamente sulle scale. Non fu abbastanza: con la coda

dell'occhio, vide comunque il muro gonfiarsi e disegnare, a seni ed a golfi, una figura che da esso

stava sorgendo, e che lei conosceva fin troppo bene: il fisico slanciato con i muscoli delle spalle e

del petto ben definiti, gli occhi vivaci e penetranti, le mani affusolate, le gambe nervose. Il terrore in

persona, se di persona si poteva parlare.

La figura uscì dal muro, e individuò Cristina, prima che le sue mani tremanti riuscissero a girare la

maniglia; lei udì la sua voce calda ed avvolgente dire, con gioia: “Mia cara!”, ma non pensò

nemmeno a voltarsi, e si lanciò per le scale, avvertendo che, alle sue spalle, senza toccare terra, lui

stava attraversando lo spazio che li divideva.

Trovato finalmente il modo di aprire la porta, Cristina correva, ed intanto, preda del panico, si

frugava le tasche, ricordando di avervi infilato qualcosa che avrebbe potuto salvarle la vita. Non si

sbagliava, ma gli cinse le dita intorno un attimo troppo tardi: lui, infatti, proprio in quel momento

l'aveva afferrata per i capelli, e sbattuta in terra. La sua ancora di salvezza le sfuggì di mano, e la

sentì infrangersi sul pavimento del piano terra.

Sdraiata di traverso su uno scalino, l'unica cosa che le venne in mente fu di urlare. Lui se ne rese

conto, e si produsse in un agile movimento del braccio nell'aria. La gola di lei si chiuse.

Non essere sciocca, mia cara” disse lui, scostandole con dolcezza una ciocca di capelli dal viso ed

accarezzandole il collo “questo mondo non è abbastanza grande perché tu possa nasconderti da me.

E neppure l'altro lo è, a dire il vero”.

Gli occhi di Cristina rimasero incollati sulle rosse labbra di lui, che risaltavano in maniera

particolare nel biancore del suo bel viso; in mezzo a loro spuntavano le sagome dei canini superiori,

aguzzi ed armati.

  
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