Storie originali > Soprannaturale > Vampiri
Segui la storia  |       
Autore: EvilGrin    14/09/2012    0 recensioni
La pioggia decanta i loro peccati, li elenca uno ad uno, ma non li biasima, ricorda ai passanti che ognuno di loro versa ancora lacrime dagli occhi bui, per quanto ha compiuto, esattamente come quella pioggia limpida attraversa con estenuante lentezza i volti dei vivi. Quella pioggia che vuol essere ascoltata e che, per farlo, si riversa su di loro con la violenza di un uragano. Ma loro la rifuggono, non comprendono ed aprono gli ombrelli, danzando come Demoni nella notte più scura.
Genere: Dark, Mistero, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Premettendo che, se si mette la canzone citata nel brano e la si ascolta nel mentre, la scena rende molto meglio (http://www.youtube.com/watch?v=tOc1O1OYO0U) , l’intera storia, a partire dal prologo, prende ispirazione al famoso manga/anime unicamente per alcuni dati tecnici, non vi sono quindi personaggi della trama medesima et similari, è perfettamente a sé stante.

Grazie per l’attenzione, vi auguro buona lettura.

 

*§*EvilGrin*§*

 

Pro Filiis De Sanguine - Prologo

 

Una coltre di nebbia ricopre con il suo candore statico, putrescente il suolo di quella terra bagnata, violata dai corpi morti di chi vi giace in pace. Le palpebre calate, le labbra piegate in un’espressione serena, la pelle tesa, a tratti rigonfia, le dita intrecciate in una posa eterna, impossibile da sciogliere, come se quell’animo avesse trovato la propria fine in se stesso. Nato tra le lacrime e morto con un sorriso dipinto sulle labbra, dipinto come fosse stato tracciato dal tratto morbido ed accompagnato di un autentico pittore, scolpito per i secoli a venire, perché non possa mai abbandonare quel volto figlio del marmo. Un involucro vuoto, vestito come il principe di una festa, della sua festa, una festa volta a farlo apparire come il migliore degli angeli anche se il suo passato si fosse macchiato più e più volte di acceso vermiglio. La fine, quando arriva la fine non c’è nessuno che, a modo suo, non abbia avuto modo di essere stato un santo in vita, se ne raccontano le vicende, gli atti, le azioni, ritti su un piccolo banchetto in legno, con gli occhi celati da una patina lucida che ne offusca la vista, non solo quella che osserva i presenti, ma anche quella che ha guardato quello stesso corpo camminare e compiere atti meschini; quella patina lucida li cancella, li nasconde per un giorno, donando anche a chi non ne è degno, il suo giorno di gloria. Quel foglio poggiato su un banchetto, spiegazzato, bagnato da quelle sottili gocce di pioggia che cadono verso il basso, macchiando di piccoli aloni gli abiti lunghi e sfarzosi delle dame, rigando la chiara pelle dei volti dei loro mariti e figli. Gli occhi cerchiati da occhiaie di un rosso opaco, le labbra che tremano nel pronunciare quelle parole. Mentre Lui, Lui, sdraiato in quel letto di legno, il capo ed il corpo che affonda nella seta più morbida, i petali bianchi delle rose che denunciano un candore mai posseduto; Lui sembra sbeffeggiare tutte quelle anime perse, incupite dai loro abiti neri, sembra prenderli in giro con quel suo sorriso pacifico in volto, lui che deve star meglio lì dentro, che in loro compagnia.

 

Quella coltre di nebbia pallida che ristagna ai piedi di quei figuri slanciati, fasciati di nero, con veli che scendono di fronte al viso, oscurandolo e coprendo i volti avviliti e quelli soddisfatti. Tra di loro vi è forse anche il suo assassino, la sua pelle chiara saluta i pochi raggi di Luna che penetrano tra le nubi più dense. La sua pelle li attira, li cattura, li trattiene a sé, mostrandosi, figlio di Giuda, nel più sfarzoso suo aspetto. Il suo sorriso è pacifico e candido al pari di quello di chi giace inerte nella più ricca delle bare. Le lacrime di pioggia cadono sul suo velo, rimanendo intrappolate in una malinconica ragnatela, quegli occhi scuri riflettono la posa statica di colui che è stato amante e vittima di quel predatore. Le sue mani, congiunte e poggiate con la più aggraziata dell’eleganza sulla stoffa nera e soffice della seta che ne fascia il corpo morbido e stretto in un corsetto che delinea una vita sottile, perfetta. Le labbra rosee sembrano quasi biasimare quel figlio disperato che sibila parole al vento su quel suo padre morto, ucciso dal peggiore dei veleni: la triste vecchiaia. Dietro di lui, in piedi come piccole statue di un presepe, si ergono giovani voci bianche, che attendono solo il loro momento. Quel momento in cui quel figlio devoto pronuncia le sue ultime parole, quel momento in cui china il capo in avanti, quel momento in cui le dita mascoline si stringono nella più pura ed innocente delle disperazioni attorno a quel foglio, piegandolo, accartocciandolo. Quel momento in cui le lacrime non sono dettate solo dalle gocce di pioggia che scivolano lungo il viso, solcando profondamente guance che non avevano mai saggiato il loro sapore salato. Quel momento in cui le gambe tremano e non reggono più l’effimero peso di un corpo quindicenne. Quel momento in cui una delle ginocchia si piega ed incontra in un attimo il legno umido di quello stesso banchetto su cui prima stava ritto. Quel momento in cui il suo respiro viene rotto da un pianto non più discreto, non più sommesso, che si sente, che viene portato via dal vento, portato alle orecchie di chi partecipa a quella cerimonia con il corpo e chi con la consistenza eterea di quel che rimane della propria anima. Gli ospiti di quel luogo non possono non accogliere quel nuovo uomo, quella nuova ombra, quella storia che avrà da raccontare quando qualcuno la cercherà.

 

La nebbia soffice avvolge ed attutisce ogni cosa. Ella chiude la festa in una bolla dove non v’è limite di spazio, dove il tempo rimane fermo in un lungo attimo. Un attimo speciale, vacuo, con le labbra di quelle stesse anime, bianche pari ad angeli, che iniziano a sussurrare poche parole, sibili taglienti che sferzano l’aria fredda di fine autunno, lasciando scivolare quei versi nel vento, cullati, accompagnati, nel loro essere penetranti, risultano come lievi e soffici sussurri, che si accavallano l’un l’altro. La pioggia che sembra le stia quasi udendo, fiato dopo fiato, a mano a mano che quelle gocce si fanno sempre più corpose, sempre più presenti e sempre di più appesantiscono i veli, bagnano le carni, costringono ad aprire pesanti e grandi ombrelli del medesimo colore dei loro abiti. È come vivere un sogno, è come guardare dall’alto una docile danza, è come sentire sulla pelle i loro lamenti inespressi, i pianti sommessi e strozzati delle donne, gli occhi rossi degli uomini, che non osano versar lacrime, in onore del loro ruolo. È come osservare dall’alto, come Dio, quei corpi ammantati di nero rabbrividire, la loro pelle accapponarsi, non per il freddo, non per il dolore, ma per quei sospiri cullati dal vento che divengono voci, quel canto sottile che prende forma e spinge ad ascoltare quella pioggia che cade, la quale invita a godere del suono dei tuoni e della luce dei lampi, come fossero sacri.

 

« Listen to each Drop of Rain, whispering Secrets in Rain…»

 

Ogni goccia, ogni pianto di angeli invisibili al cieco occhio umano, ogni pensiero, ogni segreto cade, impregnando quella terra sacra di un misticismo mai avuto prima. Solcando quelle terre si saggiano le urla, i lamenti, le risa, la gioia, la rabbia, la frustrazione e l’insofferenza di quegli stessi sospiri, caduti a terra, che rimarranno sigillati sin quando qualcuno non sarà in grado di poterli udire, di poterli ascoltare con l’attenzione di un bambino, che dischiude le labbra nel sentire la più magica delle storie. Sgrana gli occhi, si siede sotto l’ombra di un ciliegio in fiore, raccoglie le gambe al petto, ed ammutolito, annichilito ed estasiato allo stesso tempo, ascolterà con pura gioia di fanciullo nel cuore le storie di vita passata di quell’anima che mostra la propria essenza ai chiari raggi di luna, che ne disegnano il volto afflitto, costretto a camminare su quelle tristi terre ancora per molto.

 

« Frantically searching for Someone to hear that Story be more than it Hides. Please, don’t let go. Can’t we stay for a while? It’s just too hard to say Goodbye. Listen to the Rain»

 

Ogni anima peccatrice che giace in quel luogo ha bisogno di un animo puro che sappia ascoltare quello che ha da narrare senza che scappi, traviato dalle leggende, dalle storie che macchiano la reputazione di quegli esseri traslucidi, veri solo a metà, solo nella voce, poiché privi di quel corpo che giace nella terra, violato e dilaniato dai vermi e dal tempo che passa, dall’acqua che penetra il terreno  e gonfia il legno, sino a passarvi attraverso, rovinando quello che di sacro c’è lì dentro. Sottraggono prima la vista, portandone via gli occhi, si impossessano del gusto e di ogni loro sensazione, perché non possano più percepire nulla di ciò che hanno intorno, perché non possano udire, saggiare, vedere, toccare o essere toccati. Sono esseri ciechi che cantano le loro disperazioni al vento, sperando che vi sia colui che non fuggirà, al quale non dovranno dire “addio” per l’ennesima volta, attraverso il quale potranno tornare a vedere, toccare e percepire, per un solo secondo, ma sarà la gioia di un momento a donar loro la salvezza eterna. La pioggia decanta i loro peccati, li elenca uno ad uno, ma non li biasima, ricorda ai passanti che ognuno di loro versa ancora lacrime dagli occhi bui, per quanto ha compiuto, esattamente come quella pioggia limpida attraversa con estenuante lentezza i volti dei vivi. Quella pioggia che vuol essere ascoltata e che, per farlo, si riversa su di loro con la violenza di un uragano. Ma loro la rifuggono, non comprendono ed aprono gli ombrelli, danzando come Demoni nella notte più scura.

 

«I stand Alone in the Storm, suddenly sweet Words take hold…»

 

Le parole dolci che corrono via dalle labbra di quella figura dalla pelle candida almeno quanto i raggi lunari che si riflettono in essa, invidiandola, alle volte. Parole che si perdono in quel canto, mentr’ella compie pochi e leggeri passi verso quel letto di mogano e seta, china il capo, mentre le mani coperte di nero pizzo afferrano i lembi più esterni di quell’abito sontuoso e scuro, tirandolo verso l’esterno, tendendo i merletti delle rifiniture sino a stenderli quasi completamente. Il busto che si piega di poco in avanti, il capo chino, le palpebre socchiuse, in quella lenta riverenza, attenta ad ogni singolo movimento. Ogni suo gesto, ogni suo movimento è scandito e disegnato da una leggerezza angelica, come se il suo camminare o spostarsi fosse paragonabile al gesto fluido del battito d’ali di una nera farfalla, che, lieve, si poggia sul terreno su cui cammina. Le labbra carnose che si muovono lente a proferir parole ai più incomprensibili, che vengono coperte dal canto e dal sibilo del vento, mentre quelle luci bianche continuano a dare una voce a quel luogo.

 

«Pater Noster qui es in cælis:

sanctificétur Nomen Tuum;

advéniat Regnum Tuum;

fiat volúntas Tua,

sicut in cælo, et in terra.»

 

 

Queste le parole, quei sussurri appena accennati che si accavallano a quei canti che, invece, regnano sovrani in quel luogo, pur non deturpandolo nella sua sacralità.

 

« Hurry They stay for you haven't much Time, open your Eyes to the Love around you…»

 

Quella stessa figura, avanti agli altri, tra tutti la più vicina a quella salma, alza ora il capo, apre le palpebre che, sino a poco prima, stavano celando quegli occhi grandi, quasi da bambina, con le loro scure sfumature amaranto, che osservano quell’uomo. Le mani rilasciano la stoffa della gonna ampia. Solleva la mano destra, avvicinandosi al cappello nero che copre i crini castani, opportunamente acconciati. La stoffa nera della manica del vestito scivola lungo il braccio, liberando il polso e lasciando intravedere quella pelle pallida pari al marmo. Le dita si muovono abili e veloci a sfilare una delle rose finte che sono infilate come spilli su quel copricapo. Si sposta di lato a quella stessa bara, con le dita sapienti che sfiorano il bordo della bara, con una leggerezza ed un’eleganza che avrebbero fatto invidia a chiunque.

 

«Pro Filiis De Sanguine.»

 

Lo sibila, un sibilo che si ode meglio di quel padre nostro pronunciato poco prima, ora che poggia quella rosa nera sul petto di colui che Morfeo ha portato via per sempre, lo ha portato in dono ad una dea che non conosce perdono, una dea che ha per nome quello della morte, ma se qualcuno conoscesse davvero quella parola, non vi sarebbe scampo per la sua salvezza. Lo sguardo rimane fisso su quell’uomo che giace sereno, giunto al termine della sua vita.

 

«You may feel you’re Alone, but I’m here still with You. You can do what you Dream, just remember to Listen to the Rain.»

 

Le ultime parole cantate da quegli angeli mortali, poco prima di un lieve coro, continuo, al quale le labbra rosee di quella figura si piegano in un sorriso sereno. Da le spalle agli altri, ma non impiega troppo tempo a voltarsi verso di loro. Le braccia che si allargano verso l’esterno, nemmeno invocasse un’eterna preghiera, ma l’unica cosa che viene fuori da quella serenità è una voce più melodiosa di quelle che sono alle sue spalle, adesso, è più armoniosa, ammaliatrice e demoniaca nel suo apparire tremendamente angelica.

 

« Listen to each Drop of Rain, whispering Secrets in Rain…»

 

Ripete, mentre alle sue spalle tornano a sovrapporsi uno con l’altro i sospiri di quelle che non hanno più niente delle voci che erano, sono solo aliti di vento che cercano uno spazio in quel silenzio angosciante. Ma qualcos’altro disturba quella quiete e trasforma la placida ombra in una rete, filamenti sottili almeno quanto quelli della tela di un ragno si diffondono per la zona, di loro altro non si vede che il chiaro riflesso del chiaro di luna riverso su loro medesimi, a mano a mano che inquinano quella zona con la loro blasfemia, a mano a mano che avvolgono le braccia ed i colli di ognuno dei presenti, strozzando quei sospiri, spegnendo quelle luci e quelle voci, che riempivano quella bolla di attutito silenzio di una gioia nuova. Per ogni cosa che muore, ve n’è una che nasce, nuova, più forte dell’altra. Le labbra della donna si chiudono per un momento, le palpebre cadono inesorabili e l’udito si nutre di quei dolci lamenti, le urla di chi non sa come cacciare quella sensazione opprimente, quel sangue che cola dalle loro gole, che vengono tagliate ogni secondo di più, dilaniate e lacerate da quelle fila scure, sino a diffondere nell’aria un forte e dolce odore di sangue. Lo sente, il suo cuore non batte nessun rintocco, scandisce il tempo infinito di quel momento, quello in cui ognuno dei presenti passa sotto la crudeltà di una donna sola, di un Demone con l’aspetto di un Angelo. Le grida vengono meno a mano a mano che quelle forze li abbandonano, uno dietro l’altro, i bambini per primi, poi le donne ed i loro rigogliosi petti macchiati del loro stesso sangue ed infine gli uomini, che con dolore osservano le donne ed i figli spirare quell’ultimo alito di vita. Il dolore, mai emerso così prepotentemente. I loro corpi che si agitano, in preda al più profondo istinto di sopravvivenza, le loro mani cercano salvezza, i loro polmoni cercano aria, che è lì…la possono sentire addosso, ma non arriverà mai a soddisfarli, a placare quella Bestia che stavolta si dibatte nei loro petti vivi.

 

«I stand Alone in the Storm…»

 

Quella voce tremendamente soave quanto acuta e tagliente spezza quel momento in cui è più il sangue versato che le parole spese per farlo. Quando tutto tace e la sete di sangue di quell’essere viene placato inesorabilmente da quel forte odore, allora la sua stessa figura sembra esser in pace con se stessa, come se avesse compiuto ciò che doveva e niente di più. Quei sottili filamenti che scivolano via dai corpi come se fossero serpi velenose, che hanno appena carpito l’ultimo alito vitale di tutte quelle persone, dame, messeri, i loro figli, senza provare pietà nemmeno per i volti disperati dei piccoli. Quella medesima figura che abbassa solo adesso le braccia, piano, nel pieno della sua soddisfazione, così come riapre gli occhi scuri, perché possano godere dello spettacolo che le sue stesse forze hanno messo in piedi ed hanno risolto. Nel silenzio si può sentire la pioggia cadere incessante, un tuono rimbombare nell’aria, la luce di un lampo illuminare in maniera quasi spettrale quel macabro spettacolo. Passi leggeri la conducono sino al fianco di una donna riversa a terra, la trachea recisa, dolci fiotti di sangue che sgorgano in maniera irregolare da quel collo; l’espressione orribilmente deturpata da quella di paura di lei: gli occhi spalancati, le labbra dischiuse e la pelle contratta nella più dolorosa delle smorfie. Sorride beffarda quella dea, mentre si china a chiuder le dita sottili ed immortali attorno al manico dell’ombrello che le giace accanto, ancora aperto. Lo solleva, lo sguardo scuro della donna torna sul volto del corpo defunto, le dita gelide che si avvicinano a quel volto sconvolto e passano sulle palpebre, chiudendole con la delicatezza con cui, poco prima, ha posato quella rosa nera sul petto di quell’uomo vestito a festa. Lui, che fissa con sorriso beffardo e presuntuoso i corpi dei suoi familiari. Lui, il più soddisfatto tra tutti, li guarda e non piange come avrebbero fatto loro per lui. Si rialza la donna, tornando a guardare quell’uomo, che adesso nessuno chiama più eroe, egli si mostra anzi per la sua natura meschina e traditrice, come doveva essere sin dall’inizio.

 

Nel silenzio di quel luogo, con quell’ombrello che ricopre un cappello ed un abito oramai zuppi, quella vedova cammina a passi lenti sulla ghiaia bianca per abbandonar quel luogo e lasciar finalmente riposare le sue anime, pronta ad ascoltare quelle lacrime malinconiche una volta ancora, in futuro, pianger per loro e lucidare le loro lapidi, se ve ne fosse bisogno...

  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Soprannaturale > Vampiri / Vai alla pagina dell'autore: EvilGrin