Fanfic su artisti musicali > Enrique Iglesias
Segui la storia  |       
Autore: _Marzia_    14/09/2012    5 recensioni
Nicole Scherzinger ha appena iniziato una carriera da cantante che la porterà lontano. Dopo il primo successo, si ritroverà a cantare un duetto con un cantante di cui non ha mai sentito parlare...
enunciò Franklin, presentandoci brevemente.
  disse, parlando per la prima volta.
Genere: Commedia, Romantico, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A










Quella mattina presi la Corvette per andare alla Interscope, giusto per passare inosservata. Parcheggiai a un paio di isolati di distanza, così non avrei dovuto girare continuamente per trovare un posto libero e, stranamente, non trovai paparazzi. Mentre misi piede all’interno dell’enorme casa discografica, guardai l’orologio al polso. Le lancette segnavano le dieci.

Premetti il pulsante dell’ascensore e aspettai pazientemente. Quando le porte si aprirono, entrai tranquillamente, ma prima che potessero richiudersi, una mano le bloccò. Un istante dopo sbucò la testa di Enrique.

«Oh, Buongiorno Nicole» mi salutò, e si infilò pure lui nella cabina.

No, di nuovo no.

«Ehm … Ciao, Enrique» gli risposi.

In un attimo eravamo chiusi nell’ascensore, a poca distanza l’uno dall’altra, come la volta precedente. Non potei fare a meno di provare imbarazzo, e qualcosa mi fece capire che anche per lui era lo stesso. Azzardai un’occhiata di sfuggita, ma quando mi accorsi che lui mi stava osservando senza troppi complimenti, tornai a guardarmi le scarpe, che d’un tratto avevano assunto un’aria molto interessante.

«Credi che dovremmo parlarne?» chiese lui.

Era incredibile, perché doveva essere così diretto nei momenti meno opportuni?

Scelsi di non fare la finta tonta.

«Non lo so» dissi, e non lo sapevo veramente.

«Comunque, ecco … Non è successo niente, quindi … mh, credo che sia tutto a posto» ripresi.

Sei un’oratrice nata, Nicole, pensai sarcastica tra me e me.

«Davvero?» sembrava sorpreso.

«Certo»

«Oh» esclamò, per poi grattarsi il collo.

«Sembra che tu abbia qualche dubbio» affermai.

«No, però …» lasciò cadere lui.

« “Però” cosa?».

Le porte dell’ascensore si aprirono, dandogli a malapena il tempo di sussurrare un : «Niente», visto che si precipitò fuori, dirigendosi verso una sala prove.

Avrei dato di matto, ne ero certa. Perché tutti erano così criptici? Non avevo ancora fatto chiarezza per quanto riguardava Carlos, e ora ci si metteva pure Enrique per quanto riguarda le situazioni in sospeso. Mi imposi di non pensarci più del dovuto per il resto della mattinata, d’altronde avevo impegni lavorativi da sbrigare.

 
***


Quando qualche ora dopo uscii dalla Interscope per ritornare a casa, aveva cominciato a piovere.

Qualcuno deve avercela a morte con me, riflettei con l’umore ridotto in frantumi.

Presi ad armeggiare con la borsa, nella vana speranza di avere con me un ombrello, o un ki -way, qualunque cosa.

Inutile. Avevo una giacca primaverile, purtroppo non impermeabile. Al pensiero che avrei dovuto camminare sotto quella cascata di acqua, rabbrividii, così decisi di aspettare. Credevo che dopo poco tempo l’acquazzone si sarebbe trasformato in una lieve pioggerellina, ma mi sbagliavo. Dopo venti minuti ero ancora appoggiata al muro esterno dell’edificio, e sembrava che stesse addirittura per grandinare.

«Come diavolo è possibile?» sbottai a voce bassa.

Continuai a borbottare per i seguenti minuti, convinta che potesse essere utile a qualcosa. Poi alzai lo sguardo e qualcosa, o meglio qualcuno, attirò la mia attenzione.

Dall’altro lato della strada, Enrique e Rachel erano l’uno vicino all’altra, stretti sotto il riparo di un ombrello. Vidi che Occhidiserpe agitava con vigore le braccia, mentre Enrique cercava di darsi un contegno. Sembrava che stessero avendo un’animata conversazione. Non riuscii a capire niente di quello che stavano dicendo, poiché lo scroscio dell’acqua attutiva ogni rumore, quindi aguzzai la vista, tentando, scioccamente, di catturare qualche parola osservando le labbra dei due interessati.

Passò più o meno un minuto, e proprio quando la mia curiosità aveva iniziato a scemare, i miei occhi finirono proprio su quelli gelidi di Rachel. Mi chiesi se davvero potesse pietrificare una persona solo osservandola.

Si girò nuovamente verso di lui, per poi dirgli qualcosa di breve e conciso. In quel momento una macchina si accostò accanto a loro, permettendo alla ragazza di salire, per poi lasciare Enrique con il capo chino e l’ombrello in mano. Sembrava che qualcosa lo tormentasse.

Sembra che chiunque abbia qualche problema, ultimamente, pensai scocciata.

Senza neanche guardare avanti, si avviò verso la direzione da dove era andata la macchina.

Considerai seriamente l’ipotesi che fossi veramente sfortunata, quando iniziò a grandinare e qualche tuono squarciò il cielo. Tuttavia non potevo rimanere in eterno sotto la tettoia della Interscope. Mi feci un enorme coraggio, mi strinsi il più possibile nella giacca e cominciai a camminare sotto quello che sembrava un diluvio universale.

Diventai zuppa quasi subito, ma cercai di non abbattermi fin dall’inizio. Tra dieci minuti avrei raggiunto la macchina. Ero a metà strada, quando una Porsche mi si affiancò al lato destro. Indecisa, rallentai l’andatura, ma quando calò il finestrino, mi bloccai di botto.

«Si può sapere cosa ci fai sotto questo temporale senza neanche un ombrello?» chiese Enrique ad alta voce, per farsi sentire oltre il rumore della pioggia.

Avrei voluto riprendere a camminare, sia per il fatto che mi sentivo un gatto mezzo annegato, sia perché iniziavo a sentire veramente freddo, ma mi concessi qualche momento per rispondergli.

«Ho parcheggiato più in là e non avevo un ombrello a portata di mano» spiegai con un’alzata di spalle.

Cercò di mantenere un’espressione normale, ma una smorfia tradì il suo divertimento.

«Non è divertente» affermai con tutta la serietà possibile.

«Perdonami, hai ragione» si scusò lui.

Dopo qualche secondo di silenzio decisi che era il momento di andarmene.

« E’ meglio che vada … »

Lui mi guardò con aria stranita. «Pensi che ti lascerei continuare a camminare sotto la pioggia? Sali, ti do un passaggio».

Dopo quell’invito il mio cuore perse quasi un battito. M’immaginai per un attimo io e lui seduti sui due sedili anteriori, al caldo tepore dell’abitacolo e con i nostri corpi a distanza ravvicinata … No.

«Uhm … ti ringrazio, ma non è necessario. E poi dovrei lasciare la Corvette qui» replicai poco convinta, visto che un rivolo d’acqua ghiacciata era appena scivolato all’interno della camicia.

«Per favore Nicole, tremi come una foglia. Non farti pregare inutilmente» disse, mentre apriva la portiera dalla parte del passeggero.

Arrossii leggermente, colta chissà come dall’imbarazzo. Forse perché aveva ragione, visto che si era accorto delle mie condizioni, o semplicemente perché si dimostrava così gentile.

Mi mossi il più velocemente possibile, aggirando il veicolo, per poi salire sul sedile e chiudere la portiera.

Mi sentii subito meglio, ma non mi misi comoda, anzi, cercai di sistemarmi in modo da bagnare il meno possibile i rivestimenti.

Notando la mia premura, mi rassicurò subito: «Non ti preoccupare, non si rovina con l’acqua».

Sospirai e mi misi comoda.

«Grazie, comunque» ripresi.

«Oh, non dirlo neanche» e mi scoccò uno dei suoi sorrisi abbaglianti. Probabilmente arrossii di nuovo.

Questa non ero io. Io non arrossisco, e questo è un dato di fatto, pensai.

Sfiorò il cambio per impostare la marcia e la macchina riprese a muoversi con un basso e rassicurante rombo.

«Quindi … Tra poco più di una settimana andrai a Xilitla?» domandò per intavolare un discorso.

Mi voltai verso di lui, sorpresa.

«Chi te l’ha detto?»

Si irrigidì un attimo e sbarrò gli occhi, ma poi rispose: «… Franklin».

Cercai di non fare caso al suo comportamento.

«Oh … Beh, sì. Giriamo “Try with me”»

«E’ una canzone stupenda» commentò lui.

«Grazie» sorrisi.

«Ci sarò pure io»

Questa volta mi voltai e non cercai di abbassare le sopracciglia, che forse erano diventate un tutt’uno con i capelli. Se era uno scherzo, non lo trovavo affatto spiritoso. Boccheggiai ancora un po’, cercando di riprendere il controllo, ringraziando che nel frattempo Enrique stesse guardando di fronte a lui.

«Mi vuoi spiegare?»

Finalmente una domanda sensata.

«L’ho appena saputo, è stata una sorpresa pure per me» affermò, lanciandomi un’occhiata.

Non sapevo come rispondere. Poco dopo continuò lui.

«A quanto pare Frank ha bisogno di me per qualche progetto futuro o per delle collaborazioni con la Interscope, è stato molto vago. Mi ha chiesto di venire in quel periodo perché tu saresti stata impegnata con le riprese, quindi lui avrebbe avuto più tempo libero per dedicarsi a queste sue nuove idee».

Lentamente realizzai quanto fosse concreta quella nuova situazione. Enrique sarebbe stato presente nella location in Messico. Iniziai a pregare che non diventasse un ospite fisso durante la realizzazione del video. A quel punto mi si annodò la gola, tanto che non riuscì più a spiccicare parola.

«… Inoltre» continuò lui «mi farà bene una piccola vacanza».

Ruotò di nuovo la testa, incontrando il mio sguardo. Non potei fare a meno di sorridere, ma vista l’angoscia che ormai mi opprimeva il petto, credo che ne uscì fuori una linea retta. Lui invece si limitò ad illuminare l’abitacolo con la luce che emanava il suo sorriso, come al solito.

Rimanemmo in silenzio per il resto del viaggio e stranamente, la sensazione di imbarazzo che si era venuta a creare le volte scorse si era volatilizzata, lasciando dietro di sé solo un senso di tranquillità. Guardando fuori dal finestrino, lasciai la mente libera di vagare per mille direzioni. Sentivo che una parte di me era nervosa all’idea che avrei visto Enrique durante il tempo che avrei trascorso a Xilitla, ma un’altra era eccitata e non vedeva l’ora che quel momento arrivasse. Il motivo era sotto i miei occhi, lo vedevo, ma non lo capivo. No, non riuscivo a capirlo, perché era assurdo che trovassi i suoi occhi i più caldi e intensi che avessi mai visto,  era folle pensare che il suo sorriso mi facesse venire quella sensazione calda allo stomaco che naturalmente contagiava anche le mie labbra, e poi era delirante il fatto di essermi pentita di non averlo baciato l’altro giorno nell’ascensore. Avrei voluto sbattere la testa contro un muro, perché veramente non riuscivo a spiegarmi il motivo per cui mi sentivo in quel modo. Non riuscivo più a capire me stessa, e questo iniziava a spaventarmi. La parte combattiva dentro di me stava urlando di non lasciarmi coinvolgere e di non pensare a lui in quei termini, perché da un lato era un mio collega di lavoro, ma non riuscivo a convincermene.

La piccola frenata dell’auto mi ridestò dalle mie riflessioni e mi resi conto di trovarmi di fronte a casa. Quando i tergicristalli si fermarono, l’acqua continuò a calare abbondante sul parabrezza e i finestrini, così da sembrare avvolti in una bolla.

«Grazie per avermi accompagnata» dissi.

«E’ stato un piacere … Oh, aspetta, non hai un ombrello» constatò lui.

«Sono già zuppa, non servirebbe a niente» ribattei ridendo.

«Già che ci sono vorrei evitare che ti ammalassi, quindi lasciati accompagnare fino alla porta» insistette.

«Va bene» lo assecondai.

Prese un ombrello ed uscì sotto il temporale, facendo il giro per aprirmi la portiera. Quando mi accostai vicino a lui per non bagnarmi, anche se già lo ero, mi avvolse le spalle con un braccio per stringermi, come se fosse una cosa naturale, ed effettivamente non aveva fatto nulla di male, tuttavia non potei impedirmi di un brivido lungo la spina dorsale. Lui se ne accorse, ma invece di distanziarmi, mi strinse ancora di più al petto, attribuendo il tremore al freddo. Frettolosamente raggiungemmo la porta dell’entrata, dove l’ampio portico fungeva da perfetto rifugio.

«Grazie ancora, mi hai salvato dall’ibernazione» scherzai, sfregando le braccia con le mani, alla ricerca di un po’ di calore, il quale era venuto a mancare dopo che Enrique si era allontanato.

«Smettila di ringraziarmi, non avrei mai potuto lasciarti lì» rispose beffardo.

«Quindi … ci vediamo?»

«Ehm … si, okay». Ecco l’imbarazzo che tornava a galla.

Prima che potessi compiere un piccolo passo indietro, però, alzò la mano per aggiustare un ciuffo bagnato che si era posizionato sulla guancia. Inutile dire come all’istante sentii i battiti del cuore aumentare. Non so come, giunsi immediatamente alla conclusione che se non avessi fatto niente per impedirlo, tra poco ci saremmo scambiati un bacio. La cosa di per sé non mi sarebbe dispiaciuta, se in verità avessi saputo se lo volevo o meno. Risolsi che lo avrei scoperto di lì a poco, così attesi.

Per pochi interminabili momenti, lasciò la mano vicina alla guancia, ma quando incatenò i suoi occhi ai miei, mi si bloccò il respiro. Colmò con lentezza la distanza che ci separava, facendo aderire i nostri corpi. Riuscivo quasi a distinguere i battiti del suo cuore che si scontravano contro il mio torace, o forse erano i miei, visto che erano tanto forti da rimbombarmi nella orecchie. Fece scivolare la mano libera sul fianco e poi con leggerezza andò a posarsi sulla parte più bassa della schiena. Facendo poi una leggera pressione, mi avvicinò ancora di più. Non sapevo se stavo respirando correttamente, poiché sentivo le gambe molli e le braccia pesanti, tuttavia mi costrinsi ad appoggiarle sulle sue spalle. Lui aveva ancora la mano sulla mia guancia e il calore emanato dalla sua pelle era piacevole come stendersi su un prato in una bella giornata di sole estivo. Poi finalmente la portò dietro al collo, ma quando finalmente mi ritrovai a un centimetro dal suo naso, inclinò la testa per posare le sue labbra sull’angolo più esterno della bocca. Quel semplice contatto bastò a scatenarmi una tempesta dentro e mi resi conto che volevo veramente baciarlo, lì e in quel momento. Non riuscivo a preoccuparmi per cosa sarebbe successo dopo, non quando lui iniziò a baciarmi la guancia, scendendo poi sulla mandibola e proseguendo sul collo, lasciando una scia irresistibilmente calda. In un attimo di lucidità mi domandai perché non mi avesse baciata subito, ma poi quel pensiero fu accantonato in un angolino remoto della mente, insieme a tutta la mia razionalità.

Mentre stringevo con le dita la maglietta ormai sgualcita, riposizionò il volto di fronte al mio. Stava per posare le sue labbra sulle mie, ma il contatto fu appena percepibile, perché si ritrasse. Mentre sbatteva confusamente le palpebre, sciolse l’abbraccio e abbassò la testa, quasi si sentisse colpevole per qualcosa.

«Scusami …» mormorò, prima di tornare sotto la pioggia per dirigersi verso l’auto.

Io rimasi lì, sconvolta, mentre lo seguivo allontanarsi con lo sguardo. Solo quando non potei scorgere più la targa dell’auto mi concessi di entrare in casa, per poi abbandonarmi pesantemente sulla porta, in preda alla desolazione.














Note autrice: Ormai avrete capito che adoro scrivere cose senza senso e confondervi fino a farvi impazzire u.u Mi sbaglio?
Comunque, passando al capitolo, Nicole sta iniziando a provare qualcosa per Enrique, ma le cose non quadrano come dovrebbero. Forse tra poco inizierà a capirci qualcosa, ma nel frettempo si dispera xD
Fatemi sapere le vostre opinioni ;) Alla prossima!

_Marzia_
  
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Enrique Iglesias / Vai alla pagina dell'autore: _Marzia_