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Autore: Aya_Brea    15/09/2012    5 recensioni
“Dai Jake, questi ci ammazzano di botte, scendi e non fare l’eroe!”
Ma il piccolo biondino non aveva alcuna intenzione di demordere, né tantomeno di arrendersi di fronte a quei brutti ceffi. Una folata di vento gli scompigliò i capelli, poi quando tutto tacque, le punte gli sfiorarono nuovamente le guance.
Dagli occhi di Gin non trapela mai nulla, ma i ricordi si sa, non possono essere cancellati.
 
Fanfiction sul passato del più carismatico fra gli Uomini in Nero.
Genere: Azione, Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro Personaggio, Gin, Nuovo personaggio, Vermouth, Vodka
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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6. Fra le fila della polizia

  5 Anni dopo



Faceva freddo, quella notte. Il vento si era ormai placato, ma aveva lasciato lungo le strade scure, una pungente atmosfera ghiacciata: la pioggia di qualche ora prima si addensava in delle luride pozzanghere lungo i marciapiedi ed i lampioni si accendevano ad intermittenza, come se anche gli elementi artificiali stessero partecipando al degrado cittadino in cui era piombata la Tokyo dei sobborghi.
Gin si teneva ben stretto nelle sue spalle possenti, ma la leggera camicia bordeaux che indossava non lo faceva stare per nulla a proprio agio; anzi, per via della morbidezza del tessuto, sentiva piuttosto freddo. I lunghi capelli biondi gli scivolavano giù per la schiena, fermandosi proprio nei pressi della cinta dei suoi pantaloni neri. Trasse un sospiro seccato e proseguì per la propria strada: per una manciata di metri il paesaggio non fece altro che offrirgli case logore, gatti randagi, lattine che rotolavano e brutti ceffi dall’aria poco raccomandabile, poi finalmente la situazione sembrò mutare radicalmente: le strade divennero pullulanti di ragazzi e ragazze e come d’improvviso, il giovane biondo venne trasportato in una movida piuttosto movimentata. Imperterrito, egli procedette ancora, fino a quando non intravide l’insegna luminosa del locale che cercava. Il luogo coincideva perfettamente con tutte le indicazioni che gli erano state fornite.
Si fece largo fra la calca di gente: le procedure di ingresso, seppur brevi, furono per lui di una seccatura indescrivibile. Cinque minuti più tardi, Gin scese una breve rampa di scale: l’ambiente che gli si parava dinanzi era articolato in un’unica, immensa sala. Nella parte centrale vi era un imponente bancone circolare con degli sgabelli tutt’intorno, dove un aitante barman si stava dilettando nella preparazione di alcuni cocktail esotici. Nella zona retrostante, invece, la sala era adibita probabilmente all’area discoteca: la musica fu la prima cosa che trafisse i poveri timpani del biondo: musica assordante, che gli avrebbe comunque garantito di agire più o meno indisturbato. I riflettori illuminavano la sala in un’infinità di gradazioni e tonalità differenti, e le piastrelle nere del pavimento riflettevano quei bagliori sgargianti alla stregua di tanti microscopici specchi.
Il biondo diede una rapida occhiata al suo orologio, poi si avvicinò al bancone: era la prima volta che si mostrava al “pubblico”,  sfoggiando tanta eleganza e nonchalance.
“Fammi un Cognac.” Si sedette con altrettanta risolutezza e si rivolse al barman con un tono che decisamente, non ammetteva repliche. Era stato talmente diretto che quest’ultimo non aveva mancato di servirlo con stizza.
Più il Cognac diminuiva di livello nel bicchierino, più il locale si riempiva di persone: sarebbe stato difficile individuare l’obiettivo.
Il liquore si era ridotto ad una misera posa che galleggiava sul fondo, sospinto costantemente dal biondo che roteava il bicchiere. ‘Maledizione. Avrebbero potuto affidare quest’incarico a qualcun altro. Spero di non dovermi sorbire questo inferno ancora a lungo.’
Molti uomini e donne erano presenti in sala e fra di essi un gran via vai, un movimento sfrenato e febbrile: chi in cerca dell’alcol, chi in cerca di belle donne o di semplice divertimento. Eppure non un volto conosciuto, non un tratto, né un lineamento che potesse ricondurlo all’uomo che doveva far fuori. Si stava decisamente spazientendo, anche perché quel suo incarico non era affatto semplice. Improvvisamente però, egli allungò il proprio sguardo e scorse fra una decina di testoline arruffate, l’accenno di una chioma bionda a lui fin troppo conosciuta: pian piano la folla prese a diradarsi proprio in quel punto, tanto che gli fu possibile riconoscere la figura longilinea e snella di una ragazza. Non aveva dubbi: le ciocche di capelli le scendevano morbide e lunghe sulla schiena ed il suo corpicino era più sottile, più raffinato, più elegante e decisamente più maturo e “formato”. Lily. Quella era Lily, senza ombra di dubbio.
Inevitabilmente le dita affusolate di Gin si serrarono intorno al bicchiere ormai caldo, strinse anche i denti e percepì un battito irregolare accavallarsi assieme a tutti gli altri.
‘Merda, la situazione si complica.’ Pensò. Volse il capo altrove e si portò una mano nella tasca dei pantaloni per afferrarsi il pacchetto delle sue adorate sigarette: il momento più frequente nella vita del biondo, ma che aveva sempre la capacità di distrarlo da qualsiasi preoccupazione. Proprio quando il filtro si posò fra le sue labbra, egli sentì una pacca sulla spalla: si volse repentino, quasi con un improvviso scatto. La sigaretta gli scivolò giù, rotolando a terra.
“Te la spassi, eh Gin?” Era la voce di Irish, fra l’altro l’avrebbe riconosciuto fra mille altre persone: il suo sorrisino sul volto non presagiva nulla di buono. Indossava un lupetto nero a collo alto ed un paio di jeans chiari: aveva l’aria spavalda e sicura, la stessa che aveva mostrato il giorno del loro primo incontro. Ne era passato di tempo, ma i loro rapporti non erano cambiati. Non c’era l’astio manifesto che aleggiava in precedenza, ma nonostante tutto, correva ancora del risentimento e dell’indifferenza fra i due.
“Che ci fai qui, Irish?” Chiese Gin con molta nonchalance, anche se traspariva un lieve nervosismo per via della sigaretta oramai sprecata.
“Dai piani alti mi hanno fatto sapere che avresti avuto bisogno di un supporto. Il nostro uomo non è solo, si è portato un paio di amici e qualche spacciatore che sta nel loro giro.”
“E ho bisogno di aiuto? Perché mai avrei bisogno di aiuto?” Il biondo si morse un labbro e lo scrutò: gli occhi del suo interlocutore erano gelidi, ma al contempo vivi nella loro placida saggezza.
“Io mi limito semplicemente ad eseguire gli ordini, mio caro Gin, anche quando essi non rientrano nel mio codice etico o nella mia sfera di simpatie. Al contrario di te.”
Il giovane killer si alzò in piedi e lasciò scivolare sul bancone la banconota del suo drink, dopodiché indicò l’entrata ad Irish. “Appostati lì. Io devo rimanere coperto il più possibile.”
“E per quale motivo?”
“Non sono affari che ti riguardano.”
L’uomo dalla stazza imponente si guardò intorno con circospezione: il suo ghigno si allargava sempre più, senza abbandonarlo. “Non dirmi che c’è qualcuno che ti conosce?”
“Vorrai scherzare? Sarebbe già morto.”
“Me lo auguro.” Rispose l’altro. Dopo questo piccolo battibecco, Irish si dileguò fra la torma di gente e si allontanò da Gin, il quale, al contrario, se ne stette in disparte. Preferì confondersi fra la folla, piuttosto che essere immediatamente riconosciuto da Lily.
Nuovamente provò ad allungare il proprio sguardo per vedere se lei era ancora lì, eppure si rese conto di averla persa di vista. Trascorsero ancora altri minuti, forse una quindicina, forse mezz’ora, forse soltanto cinque. Eppure quel tempo sembrò essersi dilatato in una maniera indescrivibile. Il biondo cominciava a spazientirsi: era quasi giunto all’apice, fin quando non sentì una mano posarsi delicatamente sulla sua spalla, poi far pressione sul tessuto morbido color vinaccia.
“Ma sei proprio tu …” La voce era flebile, incantevole e melodiosa. Fu rotta da un singhiozzo. “Sei proprio tu, Jake?!”
Gin si morse il labbro inferiore fino a farsi male, poi decise di voltarsi: il gesto fu di una lentezza estenuante, tanto che la biondina poté vedere il suo viso rivelarsi poco a poco e i contorni divenire sempre più nitidi e conosciuti.
Finalmente, dopo tanti anni, i due incrociarono nuovamente i loro sguardi: fu strano. Terribilmente strano. Fu come se in quei frangenti silenziosi, il mondo intorno fosse stato inghiottito in una voragine immensa e loro due fossero rimasti in bilico sull’unica porzione di terra rimasta integra. Gin si scoprì incredibilmente cinico e freddo, il suo cuore non ebbe alcun moto emotivo, la sua espressione lo manifestava chiaramente: ne esprimeva il completo distacco e la naturalezza tipica dello spietato assassino che era diventato.
Lei invece, in quello sguardo rivide tutto il proprio passato: la notte trascorsa insieme, le lenzuola fredde che sfregavano contro il suo corpo caldo, i suoi capelli morbidi e le sue braccia stringerla con forza. E’ come se in quegli occhi, lei avesse rivissuto tutto. Dal primo momento, all’ultimo: quando la tristezza, cioè, aveva preso fissa dimora nel proprio cuoricino spezzato e sanguinante.
Il biondo dischiuse le labbra, ma le sue parole furono come dei coltelli piantati nel torace.
“Sparisci.”
La ragazza sentì nuovamente la sgradevole sensazione di sentirsi di troppo, di sentirsi inadeguata e scomoda. “Sono cinque anni che non ci vediamo e tu sai dirmi solo di sparire?”
Lui non rispose. Si limitò semplicemente a guardare altrove. Non aveva di certo del tempo da perdere appresso ad una ragazzina petulante.
“Sto parlando con te, Jake!”
A quel punto lei si vide afferrare il polso con rabbia: anche gli occhi di lui aveva perso totalmente la fisionomia della precedente pacatezza: ora erano socchiusi in un’inquietante fessura. E la fissavano. Con odio.
“Stai sbagliando persona, dolcezza. Levati di mezzo.” Così, con l’ennesimo strattone, egli lasciò che la ragazza si allontanasse da lui.
“Perché mi fai male? Che ti ho fatto? Che ho fatto, io, per meritarmi questo, eh?” Le sue grida gli giunsero ovattate, sia per via della musica che per via di un rumore che aveva ormai imparato a conoscere fin troppo bene: gli spari di un’arma da fuoco. Come d’impulso, infatti, il biondo si volse e notò che presso l’entrata c’era Irish che aveva appena steso a terra un uomo dalla corporatura robusta. Una pozza di sangue si spargeva lungo i gradini all’ingresso, digradando e formando delle pozze sulle piastrelle lisce: una scia di un rosso scuro e grumoso scendeva in rivoli giù per il muro.
“Oh mio Dio.” La biondina si portò entrambe le mani alle labbra e sbarrò gli occhi, terrorizzata. La sua paura crebbe a dismisura quando notò che Gin stringeva fra le dita della mano sinistra una pistola piuttosto poderosa. Jake era forse diventato un poliziotto? La risposta non tardò ad arrivare. E avrebbe preferito di gran lunga non riceverla. Non in quel modo così brutale.
Gin deglutì e sparò un altro colpo presso l’entrata: la gente urlava in preda al panico, riversandosi nelle direzioni più disparate. Non si capiva più nulla lì dentro: la musica cessò di colpo, per lasciare spazio all’immane sottofondo di urla e spari.
Irish corse presso il bancone centrale e si riparò lì dietro: non appena si fu accovacciato a terra, le bottiglie sopra le mensole esplosero per via della scarica di pallottole. L’alcol fiottava a fiumi attraverso i vetri rotti. L’uomo si sporse più volte per poter far fuoco. C’era uno scontro fra bande ed era in atto un vero e proprio regolamento di conti. Affari con la droga e porcherie di quel genere. Roba per l’Organizzazione.
Gin era a pochi metri da Irish: aveva fatto fuori la gran parte degli uomini del loro rivale, così decise che era giunto il momento di concludere l’altra questione spinosa profilatasi quella sera stessa. Infilò la pistola nella cinta dei pantaloni e si avviò verso il retro del locale: di Lily, nessuna traccia.
Percorse l’intera sala, inghiottito dalla penombra. Dovevano aver spento gli impianti delle luci: intravedeva soltanto il piccolo spiraglio giallo delinearsi in terra e provenire direttamente dai bagni. Spinse la porta con l’avambraccio e il contrasto luminoso lo accecò momentaneamente. Un lungo corridoio interamente piastrellato di bianco si delineava di fronte a lui. Stette per un istante in silenzio e proprio in quel piccolo frangente, Gin sentì chiaramente dei tacchi. Stavolta fu il suo viso ad illuminarsi, ma di un ghigno sadico e perverso. Era in trappola.
“Tesoro, lo so che sei qui dentro. Vieni fuori.” La sua voce era falsamente canzonatoria e stucchevole. Il biondo si avvicinò al muro e camminando lentamente, prese a costeggiarlo: sfilò la pistola dalla cinta e fece scivolare la canna contro le piastrelle della parete al suo fianco. “Lilyyy …” La richiamò con tono più basso, ma concitato. “Avanti, non farti pregare.” Rise sommessamente. Avanzò ancora con passo felpato, poi spinse la porta dell’anti-bagno: la vide per pochissimi secondi, mentre si intrufolava nella porta che dava nella zona riservata alle signore e se la richiudeva alle spalle.
“Che sciocca. Non voglio mica farti del male.” Si stava abituando talmente tanto a quel tipo di vita, che riusciva persino a percepire la tensione sottile aleggiare nell’aria: la sentiva, anche se soltanto nel suo cervello, ansimare forte per via della paura. Toccava con mano il terrore provato dalla ragazza. “Siamo un po’ grandi per giocare a nascondino, che dici?” Il biondo pose fine alla scenata e diede inizio ai giochi: corse verso la porta del bagno delle donne ed aprì con uno scatto, spalancandola e scorgendo in quale dei sei bagni era scappata. Fu più lesto e rapido di lei, tanto che afferrò con una mano il pomello della porta e impedì che potesse richiuderla: sentiva la resistenza di Lily, seppur minima, al confronto della sua forza. Ma voleva giocare con lei. Decise di lasciare che lei si sforzasse.
“Lasciami! Aiuto!” La biondina gridò: alcune lacrime le rigavano il viso. “Aiutatemi!”
“Non ti sentirà nessuno. Là fuori saranno scappati tutti. Sei stata stupida.” Rise nuovamente: evitò che l’ennesimo strattone di lei facesse chiudere la porta.
“Jake. Ma chi sei diventato?” La sua voce ora, era simile ad un sussurro fra i molteplici singhiozzi. La sua presa divenne meno salda, finché la porta non si aprì completamente. La piccola si accasciò al suolo e Gin poté vederla mentre scivolando in terra, la sua gonna si apriva come la corolla di un fiore.
“Le persone cambiano.” Fu la risposta di lui. Una risposta che non aveva alcun significato. Si avvicinò a lei e strinse una ciocca dei suoi capelli, tirandola con violenza. “Devo porre fine alla tua esistenza, affinché quel che sono ora possa continuare a vivere.”
Lily lasciò che lui la sollevasse: le lacrime non cessavano di inondarle gli occhi e di colarle lungo le guance. Quando furono a pochi centimetri l’uno dall’altro, i loro visi si sfiorarono quasi, al punto che lei sentì nuovamente il suo profumo. Gin la spinse contro il muro del bagno e le piantò gli occhi sulle labbra, tremanti. “Piccoletta, spero che tu non mi abbia tradito in questi anni.”
Lei scosse timidamente il capo, nervosa. “No. Dopo che mi hai rubato la verginità in quel modo, non direi. Faccio fatica ad andare con uomo. Per colpa tua.”
Lui spinse una gamba fra le sue e la guardò, ancor più attentamente. La pistola si sollevò fino alla sua tempia. La sentì sussultare. “Credevo che fosse rimasto un bel ricordo.”
“Un bel ricordo un accidenti!” Un brivido la scosse violentemente. Stava diventando invadente e decise che quello era il momento per agire. Lily si scansò dal muro e con un colpo netto scansò il braccio con cui teneva la pistola: un colpo partì dritto nel bel mezzo di una delle piastrelle del soffitto, poi con un gesto altrettanto rapido, la biondina svelò un coltello che, dal principio, aveva trattenuto fra le dita. Glielo piantò dritto nell’addome e lo spinse in profondità, nella sua carne. Un fiotto di sangue scolò dalla lama acuminata.
“Brutta … puttana!” Ringhiò lui, mentre tentava di impedire che sgattaiolasse via.  Eppure la ragazza ci riuscì. Aveva avuto la sua piccola vendetta, e forse poteva ancora sperare nella salvezza. Le faceva male. Le faceva male il solo pensiero che lui potesse morire dopo quella coltellata. Che stupida, pensò.
 
 
 
 
 
Lily era seduta in un piccolo ufficio privo di mobilia: di fronte a lei c’era soltanto una logora scrivania in mogano, mentre al suo fianco, disposta lungo la parete dove vi era anche l’entrata, un vetro a specchio che non le permetteva di vedere chi vi fosse dall’altro lato. Immersa nel caldo tepore del suo golfino azzurro, ella si asciugò prontamente una lacrima. Era stata fortunata, dopotutto Jake, o meglio, Gin, non l’aveva malmenata. Tirò su col naso e poi vide la porta aprirsi.
Entrò una ragazza alta, magra, dal fisico asciutto e fasciato dall’elegante uniforme di polizia: la giacca era bluastra e anche la gonna: i tacchi la slanciavano.
Si avvicinò al tavolo con incedere posato, dopodiché puntò il faretto sul tavolo, diritto sul volto di Lily. Dopo aver posizionato la luce, ella si ravvivò i capelli scuri: un grande ciuffo di capelli neri le ricadeva sul visino sottile, mentre altre ciocche corvine le scivolavano poco più giù delle spalle. Aveva le labbra rosee per via del rossetto, il rimmel e un paio di occhi verdi che non avevano bisogno di essere evidenziati ulteriormente. La sua espressione divenne immediatamente seria.
“Te lo chiederò ancora una volta. Cosa sai di lui?”
“Agente, io non so nulla! Gliel’ho già detto.” Era stremata da quelle domande, poste a tamburo come una serie martellante. Quella donna era esteriormente così carina, ma al contempo così severa e dura.
“Balle! Sono tutte balle!” A quel punto l’agente Aiko Kirara si sollevò in piedi e appuntellò con forza i palmi delle mani contro la scrivania: un tonfo risuonò cupamente nell’ufficio, alcuni fogli si alzarono e si adagiarono mollemente in terra. Gli occhi della poliziotta erano fissi su quella biondina ormai abbattuta ed intimorita. “Lo stai proteggendo, ti rendi conto? Sei una stupida!”
Lily deglutì amaramente ed il suo sguardo vagò altrove.
Ma Aiko continuò con lo stesso tono sostenuto, addirittura via via più concitato ed alterato. “Ti rendi conto della cazzata che stai facendo?”
“Io so soltanto che lui non è più quello che conoscevo.”
“Ah, allora lo conoscevi, eh?” Batté il pugno contro il tavolo, e il rumore vibrò nell’aria. “E quando vi siete conosciuti?”
“Al liceo.” Lily non aveva voglia di riprendere quel frangente del suo passato. Non voleva riportare alla luce quei ricordi. Non voleva pensare ancora al coltello piantato nell’addome di Jake. “Eravamo compagni di classe.”
“E poi? Cosa è successo?”
E la biondina riprese a parlare: il suo racconto faceva acqua da tutte le parti, era evidente. Perché era altrettanto evidente che lei avesse volutamente omesso il loro coinvolgimento sentimentale.
“In questa storia manca qualcosa. Devi dirci quello che sai.”
Lily esitò. A quel punto però, dopo l’ennesimo silenzio, l’Agente Kirara si chinò verso di lei e le afferrò il golfino, tirandola a sé. “Quel mostro ha ucciso mio padre, lo capisci? Come devo dirtelo che sei l’unica che può aiutarci?” Glielo urlò praticamente in faccia. “Come?!”
La porta si aprì nuovamente; la biondina era inebetita, terrorizzata ed incapace di rispondere. Fortunatamente altri agenti erano accorsi per ‘liberarla’ da quell’interrogatorio divenuto oramai troppo opprimente e serrato. Era evidente che le indagini sarebbero state delicate, dato il coinvolgimento da parte di Aiko.
La donna uscì dalla sala degli interrogatori e si appoggiò contro il muro: si passò una mano contro il viso e trasse un sospiro amareggiato. Dio, le veniva da piangere. Aveva da poco perso il padre per mano di quell’uomo, i ricordi erano ancora vivi e pulsanti, tanto che una lacrima non mancò di riaffiorarle sulla guancia: la asciugò con la manica della giacca e tentò di calmarsi quasi subito. Quando sollevò il capo, ella vide la porta del corridoio aprirsi, poi un paio di guardie che trattenevano un uomo per entrambe le braccia: era alto, i capelli grigiastri e il braccio avvolto da una fascia bianca utilizzata per una fasciatura di fortuna. Mantenne il capo basso per tutto il percorso, tanto che i ciuffi gli ciondolavano di fronte agli occhi. Le passò proprio di fronte, a pochi centimetri.
Un poliziotto fece il suo ingresso qualche istante più tardi, giocherellando col manganello attaccato al cinturone.
“L’abbiamo beccato alla sparatoria di questa notte. E’ uno di quell’Organizzazione di cui si parla.”
Aiko rivolse nuovamente lo sguardo verso il fuggiasco, stavolta, inevitabilmente più interessata.
“Ma davvero? Interessante. Davvero interessante.” 







Ok, vi starete tutti chiedendo dove sia finita..
Ebbene, l'importante è che sia qui ora! Ahahahaha :D Spero che continuerete a seguire questa storia, e spero soprattutto di non aver perso colpi in questo periodo che non ho scritto. Si perchè, ho fondamentalmente studiato.
Per i test d'ingresso all'Università... :)
Medicina purtroppo mi è andato male, ma spero che Chimica e Tecnologie Farmaceutiche sia andato come spero *_* le graduatorie escono il 20 :) speriamooooooo!! *_* Diventerà una piccola Shiho Miyano in pratica ahahhahah :D Produrrò io l'antidoto per Shin :P
Ahahahahah :D Vi saluto, spero che vi sia piaciucchiato il chappy e... si entra nel vivo :P

Baciiiiiiiiiiiiii


Aya_Brea

  
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