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Autore: Hotaru_Tomoe    16/09/2012    13 recensioni
Raccolta di oneshot ispirate dalle fanart o prompt che ho trovato in rete su questa bellissima serie. Per lo più Johnlock centriche, con probabile presenza di slash.
Aggiunta la storia I'll be home for Christmas:Sherlock è lontano da casa per una missione, ma durante questo periodo il legame con John si rinforza. John gli chiede di tornare a casa per Natale, riuscirà Sherlock ad accontentarlo?
Questa storia, in versione inglese, partecipa alla H.I.A.T.U.S. Johnlock challenge di dicembre.
Genere: Angst, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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L'ERRORE



Prima che Jim Moriarty distruggesse la mia reputazione, la gente era solita pensare che io, Sherlock Holmes, fossi infallibile, nella vita come nel lavoro.
Sbagliato.
Esistono casi che non sono stato in grado di risolvere ed errori commessi per deduzioni sbagliate o per aver ignorato consigli ed avvertimenti. Mio fratello ama sottolineare questi ultimi, come a voler rimarcare, una volta di più, la differenza tra noi due. E poi insiste nel dire che sono io quello infantile.
Eppure su questa cosa ha ragione: mi aveva avvisato più volte che seguire John così da vicino, seppure usando uno dei miei travestimenti, era pericoloso, ma non l'ho ascoltato. Non per ripicca nei suoi confronti (ripeto, non sono io quello infantile dei due), ma per paura.
Mi costa molto ammetterlo, perché soverchia tutto ciò in cui ho sempre creduto: che devono essere solo la logica e la ragione a guidare le scelte di un uomo, non quell'intricato ammasso di sentimenti che la gente comune sembra tanto adorare. I sentimenti confondono e sottraggono lucidità alla mente, su questo nessuno può darmi torto.
Eppure, quando si tratta di John, io, il freddo e calcolatore Sherlock Holmes, questa regola che mi sono dato, non riesco a seguirla.
Quando si parla di John la mia mente è attraversata da un timore strisciante, uno spiacevole rumore di sottofondo che mai tace. Il timore che gli uomini di mio fratello non siano abbastanza bravi nel proteggerlo da lontano, ora che il colonnello Moran iniziava a muoversi. Sì, il luogotenente di Moriarty è sul punto di scoprire le sue carte ed io sono attanagliato da una preoccupazione costante verso il mio unico amico, perché vedo il pericolo che incombe su di lui, ignaro di tutto.
Purtroppo non è tutto qua: in questi anni di solitudine forzata ho scoperto un sentimento nuovo, la cui esistenza mi era del tutto sconosciuta, prima. E' il senso di colpa, che mi colpisce in pieno ogni volta che lo vedo camminare appoggiato al bastone da passeggio. Da quando io me ne sono andato è tornata la zoppia a fargli compagnia, ormai quasi costantemente, ed io so che c'è la mia firma in quel disturbo psicosomatico.
Per questo, indulgendo in una stupida autocommiserazione, mi sono detto che toccava a me sorvegliare il mio dottore e controllare che non gli capitasse nulla di male. A costo di commettere errori.
Così, spesso, mi mescolo tra la gente e lo seguo, tenendomi sempre a debita distanza (Mycroft può pensare quello che vuole, ma non sono uno stupido): siedo nel vagone accanto al suo in metropolitana, cammino lontano da lui una cinquantina di passi, tra la folla in Oxford Street che si affretta a fare le ultime compere natalizie.
Questa sera John è accompagnato dalla sua ultima fiamma, Tammy Wright, appassionata di occultismo e ufologia. Fervente sostenitrice delle tesi complottiste, si è avvicinata a lui sostenendo che io sia stato ucciso dai massoni del Nuovo Ordine Mondiale, un'aliena anche lei a suo modo.
A John deve aver fatto proprio tenerezza se ha deciso di uscire con lei. A modo loro costoro sono due incompresi: John con il suo accanimento nel sostenere l'esistenza di Moriarty e nel difendere la memoria del suo migliore amico, la mia; Tammy con il suo vedere intrighi e complotti orditi nell'ombra in qualsiasi avvenimento.
Due solitudini che si sfiorano brevemente.
Non so che cosa ho addosso questa sera, perché non è da me esprimermi in questo modo sdolcinato. Se John potesse parlarmi, mi direbbe che è l'atmosfera delle feste a rendermi malinconico, con una di quelle frasi fatte grondanti sentimentalismo con cui amava infarcire i post del suo blog. [1]
Che tanto mi mancano.
Fatto sta che questa sera non ho nessun travestimento a proteggere la mia identità: sono passati tre anni, la gente ha dimenticato il mio volto ed io sono stanco di fingere di essere qualcun'altro.
Mi sono avvicinato così tanto a loro che mi basterebbe allungare un braccio per toccare la spalla di John, farlo voltare, abbracciarlo e sussurrargli "Sono tornato. Andiamo a casa."
Ma non posso, John non è ancora al sicuro. Perciò posso solo seguirlo e guardarlo camminare a fatica, mentre annuisce distrattamente alle chiacchiere idiote di Tammy.
D'improvviso la ragazza lo strattona per un braccio, trascinandolo davanti alla vetrina di una gioielleria stracolma di preziosi.
John assume un'aria vagamente mortificata ed io sento l'indignazione esplodere nel petto: quanto vorrei afferrare quella stupida donna per le spalle, scuoterla per bene e urlarle "Credi che John possa permettersi di comprarti qualcosa in questo negozio? E' un reduce di guerra con una pensione minima. Ti sei mai soffermata a pensarci un attimo? L'hai mai osservato veramente? Se non l'hai mai fatto non hai diritto di stare qui con lui."
Ma non posso, ovviamente. Posso solo restare qui, in piedi dietro di lui e trattenermi.
Adiacente alla vetrina della gioielleria c'è il portone a vetri di un condominio e un uomo, disgraziatamente, sceglie questo esatto momento per uscire di casa. Sulla superficie lucida del portone si riflettono la strada e le persone alle spalle del mio amico, tra cui io. E' un attimo: John guarda verso il vetro un istante prima che io abbia il tempo di girarmi e nascondermi. Mi allontano immediatamente, bavero del cappotto alzato, mani in tasca, testa china e passo veloce, consapevole dell'errore commesso, pregando che non mi abbia riconosciuto.
John resta momentaneamente paralizzato dallo stupore, ancora rivolto verso la porta che si richiude e questo mi dà fortunatamente qualche metro di vantaggio. Schivo la gente con agilità, facendo lo slalom tra un passeggino e due signore obese ed impellicciate, mentre John avanza goffo, urtando chiunque, incespicando su sacchetti colmi di pacchi colorati, perdendo terreno. Però ha abbandonato il bastone e non zoppica più.
Varrebbe la pena buttare tutto all'aria solo per farglielo notare.
Ma sarebbe un altro errore, probabilmente imperdonabile.
"Aspetta! Ehi, tu! Aspetta."
Lo sento gridare per sovrastare il cicaleccio fastidioso della gente, ma non rallento. Perdonami John, non posso farlo.
Continuo a camminare come se quella supplica non sia rivolta a me. Mi lascio inghiottire dalla marea umana mentre l'invocazione di John si fa sempre più distante.
Sgattaiolo di lato all'altezza di un vicolo e mi nascondo nel buio, dietro al muro di un edificio diroccato. Sto per convincermi di essere riuscito a seminarlo, ma evidentemente ho sottovalutato la cocciutaggine del mio amico.
Dei passi in avvicinamento, inconfondibili, mi mettono in allerta. John si ferma al centro del vicolo, posso vedere la sua ombra proiettata sull'asfalto sudicio e ingombro di immondizie.
"Sherlock? - sussurra piano John, come in una preghiera - Sherlock, sei qui?" La sua voce è tesa, quasi rotta dal pianto. E' la stessa voce con la quale mi supplicò tre anni or sono, di non essere morto.
Mentirgli in quel modo crudele è stato un'altro errore, me ne rendo conto sul serio solo in questo istante, con la sua persona a pochi passi da me, eppure così irraggiungibile.
Trattengo il respiro e chiudo gli occhi, cercando di escludere la dolce invocazione di John dal Mind Palace, ma in un attimo la sua voce mi riporta al tempo in cui abitavamo insieme.
"Sherlock?" ripete ancora e avanza di un passo. Dopo tutto questo tempo ci crede ancora, non si è mai arreso.
Oh John.
Sto per essere scoperto e per via del mio stupido errore John potrebbe ritrovarsi al centro del mirino di Moran e...
"Insomma! Si può sapere che ti è preso? Perché sei scappato via all'improvviso?" la voce petulante di Tammy, corsa dietro a John, irrompe prepotente nella strada.
"Scusa, Tammy. Mi era sembrato di vedere un mio amico, ma mi sbagliavo."
"Direi di sì. Un amico non si nasconderebbe in un vicolo buio per non parlarti."
"Hai ragione. Vieni, andiamo."
I passi si allontanano e i due scompaiono nella folla prenatalizia.
Scivolo a sedere in mezzo ai calcinacci.
Mycroft aveva ragione (ma non glielo dirò: forse un po' infantile lo sono).
E' stato uno sbaglio volerlo seguire, ero sul punto di mandare all'aria tutti gli sforzi fatti in questi ultimi due anni e mezzo.
"Perdonami John, ma non è ancora il momento. Appena potrò, tornerò da te e ti chiederò scusa per gli errori commessi. Tutti quanti."




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NOTE
[1] Cosa di cui Holmes rimproverava molto spesso Watson nei racconti del canone.

   
 
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