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Autore: CaskaLangley    02/04/2007    10 recensioni
Aspettare sembrava la loro maledizione.
Genere: Malinconico, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Kairi, Naminè
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Kingdom Hearts II
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Kimi ga Matteiru kara
79, Quando?
#16, Magnolia ~ Nobiltà

C’era una volta, in un regno miracoloso di diamante e cristallo, una graziosa principessa.
Ella non era incredibilmente bella, come ci si aspetta che le principesse debbano essere, né la sua voce era particolarmente melodiosa nel canto, ma aveva grandi occhi azzurri - limpidi come l’acqua delle sorgenti di montagna- ed un sorriso che poteva compiere magie nei cuori della gente.

Era nata in un paese miracoloso, fatto di sola luce e diamante, ma un giorno il mare la portò via da lì, e la giovane principessa, esausta e spaventata, rinvenne sulla spiaggia di una piccola isola.

Quel posto non era certo sfarzoso come quello dal quale proveniva, ma faceva sempre caldo, e lì la principessa poteva giocare insieme a tutti gli altri bambini, rotolandosi nella sabbia e restando sveglia fino a tardi per giocare sulla riva del mare e guardare le stelle spuntare nel cielo. Era così bello, che presto la principessa si dimenticò del luogo artificiale dov’era cresciuta, e quella piccola isola divenne la sua casa.

La principessa crebbe allegra e in salute, ed era tanto semplice, ed il suo cuore talmente puro, che ella non incontrò solamente un principe, ma bensì due.


 

Un segno colorato dopo l’altro, a scandire il tempo che lento lambisce e scivola lungo le mura alabastrine del palazzo. Un luogo così bianco, e luminoso…quasi a volerne negare l’insita oscurità, che ne è le fondamenta.
Così bello…e così triste…
In fin dei conti era questo che facevano, ciascuno a modo proprio, no…?
Abbellire una superficie trasparente, per celare allo sguardo il gelo terrificante che nasconde…
…Riempire qualcosa di vuoto.
In quello spazio ognuno aveva coltivato qualcosa di proprio, qualcosa che raccontasse una bugia.
E quella bugia sarebbe diventata una storia, così che anche loro potessero illudersi di averne una propria, così come gli Altri ne avevano di loro.
Il capo aveva un obbiettivo, che aveva il sapore amaro della vendetta. Questa, come una pianta velenosa, aveva coperto tutto il resto, anche il suo buon senso.
Numero XII era stata sadica e crudele, come se nel dolore degli altri sperasse di ricreare il proprio e dargli una forma - la consistenza che niente di quello che prova o vorrebbe provare un Nessuno possiede.
Numero IX era buffo, negava l’evidenza. Parlava del proprio cuore come se ripeterne di averne uno lo avrebbe reso vero. Si comportava in modo divertente, ma a ben vedere lui era il più triste di tutti.
Quella stessa evidenza Numero XI la celava sotto un aspetto leggiadro, secondo il pensiero che un bell’involucro, in fin dei conti, potesse rimpiazzare almeno in parte la vuotezza di contenuti. Numero IV la studiava, invece. Studiava tutto, in realtà. Esaminava qualsiasi cosa, e provava a riprodurla, mettendo i sentimenti sul piano di numeri, dati, formule chimiche, nella speranza di poterli sintetizzare e riprodurre allo stesso modo.
Numero VIII…lui era stato il più coraggioso, e il più pazzo di tutti.
In quella cavità vuota ci aveva messo una persona. L’aveva curata e vezzeggiata, come un micino raccolto da una scatola di cartone, in una notte di temporale. Ma i randagi sono randagi proprio perché seguono il loro istinto. E quando l’istinto del Numero XIII gli aveva detto di andarsene, l’affetto di Numero VIII gli aveva detto di non trattenerlo. Era chiaro che se ne pentiva ogni giorno. In quella cavità vuota era rimasto solo quello, adesso.
…e Naminé…
…lei guardava tutto questo. Lo registrava, poi lo disegnava, e sperava che a furia di colore, e colore, e colore, anche quella parte così vuota dentro di lei si sarebbe colorata, e che allora avrebbe potuto guardarci dentro senza sentirsi male, e trovare qualcosa anche per lei. Per fingere, anche lei, finché l’oblio non l’avrebbe condotta al destino di tutti i Nessuno.
…non c’erano promesse, per lei…
…non c’erano spiagge a cui tornare, né ricordi da stringere la notte…
…solo altro buio da dipingere. E una porta che non si sarebbe più aperta, rivelando gemme azzurre sfolgoranti di coraggio…
…disegnava, e disegnava…
…ma il buco che aveva al posto del cuore non si chiudeva mai…


Kairi sedeva sul balcone, sotto il cielo ricamato di stelle.
Le mani strette tra le cosce, perché anche su un’isola la notte più essere fredda, i capelli mossi dalla brezza le solleticavano le labbra. Li stava lasciando crescere, perché da piccola la sua madre adottiva le raccontava sempre della favola di Raperonzolo, e adesso era anche lei mossa dalla stupida speranza che se fossero stati lunghi abbastanza, e un principe fosse passato sotto la sua finestra, lei avrebbe potuto lanciarglieli come una corda e farlo salire da lei.
Un pensiero patetico, no…?
Ma pensava anche, in un misto di determinazione e rabbia, che fosse giusto così.
Aveva quindici anni. Voleva essere stupida, e patetica, voleva sognare e sbatterci il muso, e una volta rialzarsi ricominciare a sognare di nuovo. Era troppo presto per capire che nessun principe sarebbe passato sotto la sua finestra. Troppo presto per accettare che far arrampicare qualcuno sui propri capelli le avrebbe fatto un male da morire.
Era troppo presto per pensare che la sua attesa fosse vana.
Non sapeva esattamente che cosa aspettasse. A volte si addormentava, ed era come se la vera se stessa andasse a trovarla nei suoi sogni, e le parlasse di cose importantissime, cose che si sforzava di tenere a mente, ma che l’alba cancellava come cancella tutti i sogni.
A volte era come…guardare un puzzle incompleto.
Kairi sapeva che qualcosa mancava.
Andava a scuola. Aveva molti amici. Conduceva una vita spensierata, priva di problemi, e si riteneva fortunata per questo, però…c’era quel pezzo. Un piccolo spazio vuoto, in mezzo alla figura. E cercava di non guardarlo, di concentrarsi su tutto il resto, di ripetersi che tanto si notava a malapena, e che comunque se l’aveva persone e nemmeno si ricordava quando non poteva essere tanto importante, no? Ma i suoi occhi tornavano sempre lì, e quell’insignificante buchino diventava un’insopportabile, enorme spazio vuoto, e l’immagine che il puzzle rappresenta non ha più valore, perché in completa, e questo la rende falsa.
…Kairi viveva una vita falsa, adesso, segnata dall’assenza di un unico pezzo.
Ricordi rovinati come una fotografia esposta alla luce del sole, solo le ombre si percepiscono, l’impressione di larghi sorrisi, la sensazione di tempo insieme, tempo profumato, tempo bello. Tempo spensierato, tempo dimenticato, tempo perso…perso

 

Erano giorni spensierati, scanditi dal suono delle onde come il battito del cuore nel ventre materno, e la principessa era felice, ma crescendo i suoi principi guardavano sempre più avidamente l’orizzonte, sognando draghi da abbattere e foreste di rovi da attraversare, e lei, che pur amava la quiete di quella piccola isola, decise che li avrebbe seguiti ovunque fossero andati.

 

Un altro giorno uguale, un altro giorno da dimenticare.
I pastelli delineano quello che vorresti fosse il futuro, e invece sono solamente i sogni di una sciocca ragazzina che non può amare, né essere riamata, e nemmeno ricordarlo le è concesso.
I Nessuno utilizzano i ricordi come forma di riciclo delle sensazioni, ed è per questo che spesso impazziscono e perdono di vista la realtà.
Il ricordo è fatto di un materiale malleabile. Puoi plasmarlo a piacimento, ma più il tempo passa più questo si deforma, e oltre un certo limite non si può tornare indietro, può solo continuare a deformarsi, e deformarsi, e deformarsi…finché non ha più senso. Serve un cuore forte, per giocare con la verità. I Nessuno non hanno un cuore. I loro ricordi originali, come la verità deformata che si sono modellati su misura per vivere, si disperderà nelle tenebre.
Nessuno lo sapeva meglio di Naminé.
Non aveva ricordi. Non aveva nemmeno un corpo.
Un eccezione. Figlia di un errore incalcolabile.
Nata per essere uno strumento, aveva provato la felicità una sola volta, nell’abbraccio caldo di un sogno rubato senza chiedere il permesso. Era stata la sua sola debolezza.
Essere la principessa di due principi. Avere una casa a cui tornare. Una gabbia dalla quale farsi liberare.
La gabbia di Naminé era la sua stessa esistenza. Nemmeno il suo corpo le apparteneva.
Lei stessa era solo il riflesso, della propria esistenza.
Destinata a scomparire in un soffio…ed era giusto così, no?
I lieto fine si scrivono per le principesse, non per le streghe.
Anche se hanno quindici anni, e anche il diritto di sognare è un sogno troppo grande…


Poi un giorno si svegliò, e successe.
Non ci furono preamboli o grandi pensieri, solo la sensazione di un’improvvisa e violenta folata di vento, che in un attimo aveva sollevatole foglie secche e reso visibile il verde brillante dell’erba.
Forse aspettare non era abbastanza.
Le sembrava di aspettare da tutta la vita, ma era solamente un anno…e se ce ne fosse voluto un altro? E un altro, e poi un altro, e un altro ancora? Era un pensiero troppo terribile. L’attesa l’avrebbe consumata, e prosciugata, e il primo soffio di vento l’avrebbe spazzata via come una costruzione di sabbia ormai secca.
Ogni giorno era sempre più difficile.
Così, quando affidò la sua lettera al mare, sapeva di aver fatto il primo passo, ma sapeva anche di doverne fare molti altri. Non sapeva come, ma intanto aveva mosso le acque, e le avrebbe mosse ancora, in qualsiasi modo, finché qualcosa non sarebbe successo.
Adesso basta sperare, basta aspettare.
Aveva bisogno di lui.

 

Ma una notte di tempesta, quando erano ormai pronti a partire, un’ombra nera avvolse la loro piccola isola; erano mostri fatti di tenebra, mandati da una strega malvagia che voleva impossessarsi dei cuori puri delle principesse compiere i suoi malvagi propositi.
I mostri riuscirono a prenderla, ma il cuore della principessa era così forte che invece di cadere nelle mani della perfida strega migrò nel luogo più sicuro che potesse immaginare: il petto del suo principe.

E sapendo che lui l’avrebbe tratta in salvo, la principessa si addormentò.

 

Si era mossa…e adesso doveva aspettare di nuovo.
Era forse una maledizione?
Anche se si era ribellata all’odiosa condizione femminile di fare la bella statuina, adesso Kairi si trovava accartocciata nel freddo di una grigia prigione, tartassata dalle parole senza senso di uomini che la torturavano come con uno spillo ripetendo incessantemente il nome di Sora.
Sora era lì, era così vicino, e lei…
…poteva solo accarezzare il cane che era rimasto con lei, e odiare l’essere nata femmina.
Non voleva essere una principessa. Voleva essere un cavaliere, e lottare al fianco di Riku e Sora.
Invece le sue braccia erano deboli, aveva il fiato corto, non saltava molto in alto e non sapeva usare nessuna arma. Così mentre loro rischiavano costantemente la vita, lei…aspettava. Il loro ritorno, oppure la notizia della loro morte.
…no, oddio. Stare chiusa in quel buco le stava togliendo la speranza.
Perché le cose diventavano sempre così difficili?
Appena le distanze si accorciavano, ecco che si dilatavano di nuovo. E più erano vicini, più ritornavano distanti. Il tempo di sentire il suo profumo, di toccare l’impressione del suo sorriso, e questo gli sfuggiva tra le mani. Prima o poi quella sofferenza avrebbe avuto fine? Non lo sopportava più, era troppo atroce.
Anche in mezzo a centinaia di persone, si sentiva sola.
E non poteva continuare a dimenticare, a lasciarlo passare, perché non sarebbe cambiato mai.
Avrebbe potuto avere milioni di amici, fare un milione di cose e amare ciascuna di essere con tutta se stessa, ma qualcosa le sarebbe sempre mancato perché loro non c’erano.
I suoi fratelli. Le sue anime gemelle.
Non poteva perderli, tutto qui.
Niente aveva senso se le sue mani non potevano raggiungere le mani che per lei erano più care.
Si stava rassegnando a ricominciare ad aspettare, quando un buco nero si aprì nel muro.
Adesso c’era una ragazza, insieme a lei.
Capelli biondi come quelli dei bambini, occhi che né la determinazione né la fretta sapevano stingere di tristezza.
Non sapeva perché, ma mentre prendeva la sua mano Kairi ebbe l’impressione di aver incontrato una vera principessa.

 

I suoi principi viaggiarono, e lottarono; attraversarono foreste, scalarono palazzi, e tanto più le si avvicinavano, tanto più una forza minacciosa li allontanava. Ma il loro legame, così saldo da spaventare persino il male, li riunì infine in un luogo oscuro, che è il confine tra il regno della luce e quello delle tenebre infinite.

Lì la principessa donò al principe un amuleto, dicendo che ovunque sarebbero andati, per quanto lontani fossero stati, fintanto che si sarebbero conservati l’uno nel cuore dell’altro sarebbero stati vicini.
E se i suoi principi fossero riusciti ad avvicinarsi a sufficienza uno all’altro, dopo essersi così terribilmente persi, quell’amuleto avrebbe riavvolto i fili, e li avrebbe riportati da lei.

Era una promessa.

E la principessa cominciò ad aspettare.

 

L’orizzonte sembrava così instabile e malleabile, tracciato dalle onde del mare.
I tre ragazzi lo guardavano in silenzio, ogni tanto, e non condividevano mai i pensieri che fluttuavano nelle loro teste in quei momenti. Erano istanti di intimità, ma un’intimità profondamente condivisa, in un modo che solo tre cuori rimasti uniti anche ai capi opposti dell’universo potevano creare.
Non avevano bisogno di parlare per ritrovare i lunghi momenti in cui quella linea era tata la loro prigione, e insieme la loro speranza. La linea che li separava dai loro amici e che pure era l’unica cosa che poteva condurli da loro.
Quella era la linea aldilà della quale c’era casa. Sempre.
Il giusto confine che viene dato alla libertà.
Sora e Riku passavano le loro giornate a rispolverare tacitamente qualsiasi cosa fosse legata alla loro infanzia. Avevano persino fatto un’esplorazione, una volta, conclusasi con un grido di frustrazione di Sora che sembrava quasi un pianto: “E’ già finita?!” E poi Riku aveva detto “me la ricordavo più grande” e per un po’ nessuno aveva più parlato. Solo avevano guardato dall’alto la loro piccola Isola, con la sensazione di dover dire qualcosa e contemporaneamente di non voler dire niente.
Kairi non sapeva che cosa avessero provato in quel momento, ma sapeva che quando erano tornati a guardarsi tutti e tre stavano sorridendo. Questa era la cosa più importante, adesso.
Naturalmente lei sapeva che presto prima per Riku, poi anche per Sora, quella sarebbe tornata una prigione d’acqua. Questi sono i ragazzi –i principi: creature prive di radici, governati dalla sensazione di dover lasciare il maggior numero di segni possibili sulla terra fintanto che sono in tempo. Sono fatti per viaggiare, e conquistare, ficcarsi nei guai e mettere alla prova i loro limiti per uscirne, ma poi…sono fatti anche per tornare. Pieni di lividi, e di storie da raccontare.
E Kairi non sarebbe più rimasta nella sua torre ad aspettare.
Non avrebbe tessuto tele, né intrecciato i capelli, o cantato canzoni alle stelle nella speranza che loro la sentissero. Voleva tornare anche lei con le storie e con lividi. Voleva tornare con loro.
Anche se per loro, lei sarebbe sempre stata una principessina incapace da difendere.
Salutandoli sulla soglia di casa strinse loro le mani, e anche le sue mani erano tornate ad avere un senso.
Una principessa viene creata per il suo principe, ed il principe viene creato per la sua principessa. E’ per questo che il loro amore è immediato. Sboccia nella culla, nel sonno, all’udire di una voce melodiosa.
In una grotta umida e buia, tappezzata di sogni e di buffi disegni.
Voleva diventare indipendente, e forte, ma la sua forza era anche il coraggio di ammetterlo: l’uno senza l’altro non erano niente.
Loro tre erano nati con quel destino.
Lasciò andare le loro mani, e mentre si spazzolava cento volte i capelli ripensò a tutto quello che era successo dalla notte in cui gli Heartless erano arrivati sull’isola.
Ogni ricordo, anche il più amaro, diventava dolce nel contesto della favola che tutti insieme andavano disegnando, e anche la sua lunga attesa adesso le sembrava dissolta nel tempo, l’anello di una catena impossibile da spezzare.
Aveva aspettato, e avrebbe aspettato ancora.
Mille anni, anche di più, Kairi sarebbe rimasta ad aspettare.
Guardò il portafortuna posato sul comodino e sorrise, poi si mise sotto le coperte e spense la luce.
Una volta sua madre le diceva che le principesse non hanno mai incubi, perché il loro principe sogna di combatterli e portarglieli via. Lei rise, pensando che siccome Sora era ancora sveglio probabilmente avrebbe dovuto cavarsela da sola.
Ma andava bene.
Un brutto sogno ogni tanto non può fare così male.
Ci si risveglia, e poi…si può sempre ritornare a casa.

 

I giorni passavano, e la principessa aspettava.
Nella sua torre d’avorio, tra i colori artificiali della sua mente, davanti ad un cielo ora ostile e ora luminoso, aspettava.

Ci sono molte cose che possono essere dimenticate, ma quelle importanti non possono essere perdute.

La principessa lo sapeva, e così anche quando la speranza si affievoliva, lei aspettava.
Immobile come una statua di pietra, mentre la vita cambiava, i suoi capelli crescevano, la principessa aspettava.

E aspettava…e aspettava…

 

Naminé aprì gli occhi, mentre Kairi dormiva serenamente.
Non sapeva come potesse succedere, ma era semplicemente così, e a volte poteva guardarla, e guardarsi intorno, e vedere se stessa così come si ricordava - così come Roxas la ricordava.
Adesso viveva in uno stato di cose ambiguo, impossibile da spiegare. Solo la sensazione che spesso provava era chiara, come di amare la persona che ti dorme accanto e nonostante questo desiderare di far rotolare il suo corpo lontano perché ti sta asfissiando.
Anche se Kairi era tornata a casa insieme ai suoi amici, una parte di Naminé era ancora là, chiusa in quel grande e bianco palazzo, ad osservare una porta che non si sarebbe più aperta.
Forse si era rassegnata da un pezzo. Forse stava ancora aspettando che quella porta si aprisse.
Si alzò e aprì la finestra. Rivolse lo sguardo al mare e sospirò, ma c’era una cosa che Kairi le aveva insegnato: non bisogna perdere la speranza, perché se aspetti a sufficienza, e credi, allora prima o poi arriverà anche il momento giusto per muoversi e cercare da te.
Naminé non sapeva se la sua attesa avesse un senso, ma non aveva importanza, perché solo sperarlo dava una forma al suo cuore. Lo sentiva, dentro di lei. Era lì. Era suo.
Incrociò le braccia sul davanzale, e con il pizzicore dell’aria salata sul viso ricominciò ad aspettare.
Lo aveva fatto per tanto tempo, ma allora quell’attesa echeggiava vuota nel petto, sofferta eppure subito dimenticata. Adesso era diverso, adesso poteva aspettare…e sperare.
E con la speranza, anche l’attesa può diventare un dolore così dolce…
Sì, avrebbe fatto così.
Avrebbe sperato. E avrebbe aspettato.


E così la principessa aspettò, e aspettò…aspettò per moltissimi anni, senza mai lamentarsi.
Aspettò finché la sua giovinezza non sfiorì, i suoi capelli non s’ingrigirono, finché la luce nei suoi occhi non si spense ed il suo cuore cessò di battere. E anche allora la sua anima, divenuta una stella, aspettò.
Aspettò, e aspettò ancora…
…ma il suo principe non arrivò mai
.

***

Note incoerenti dell’autrice
Voleva farlo T_T *liberazione*
So che il fandom italiano mediamente gradisce Naminé e –specialmente- Kairi come un calcio nel culo con le scarpe chiodate, ma oh, a me piacciono ;_; Non mi hanno fatto niente, povere, non è che mi abbiano mai rubato il ragazzo o spettegolato alle spalle.
Kairi è caruccia, in modo delicatamente atipico, e Naminé…come si fa a non amare Naminé, è così dolce, senza contare che è praticamente un caso (non) umano ;;___;;
Mi turba quando il fanatismo yaoi si tramuta in ostentazioni d’odio verso personaggi immaginari la cui unica colpa è avere due tette (piccole, in questo caso)…e poi le donne non dovrebbero essere solidali tra loro, e che cavolo XD?!
Comunque è_é a me KH piace tutto – ricordatevi sempre che King Mickey vi owna!- e per dimostrarlo ho fatto claim sul fandom generale per le 100 Fics. Avete letto benissimo: devo scrivere cento fics su KH, e devo pure farlo utilizzando almeno una volta tutti i personaggi *_____*”””” *si rotola istericamente sul pavimento* …non so che cosa spinge le persone a farsi del male in questo modo XD Ma a me queste cose piacciono molto, e non essendoci limiti di tempo/lunghezza (per la serie “un drabble ci salverà”) per completare la tabella, mi sono buttata. Forza, fatelo anche voi! Anche in coppia (o in trio, che mi piacciono le threesomes)! E’ divertente! (e ho bisogno di molte spalle su cui piangere)
Intanto, questa storia vale anche per il sedicesimo tema dei 35 flowers.
Vi lascio dicendovi che come di consueto c’era una canzone di Tori Amos a scandire la stesura di questa storiellina. Si tratta di “A sorta fairytale” dell’album “Scarlet’s Walk”. Ve lo dico perché voi VOLETE smetterla di ascoltare gruppi emo e passare a Tori, io LO SO è_é!
Vado a continuare il terzo di Wasukara °O°!
Ricordatevi che io sono sul mio blog di fanfics (ora sistemato XD) e che rispondo lì alle vostre recensioni e che parlo lì delle mie inutili storie e delle più utili (per il mio inglese, non per la vostra vita) traduzioni e che bla bla, insomma, lo sapete pure voi a che cosa serve un blog.
Non vi ho detto che il titolo significa "Aspetterai".
Vi amo X*

  
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