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Autore: thenightsonfire    16/09/2012    14 recensioni
Prendete uno stage lavorativo a Cannes, una diciassettenne imbranata e allergica alla sensualità fan dei 30 Seconds to Mars, il cantante del suddetto gruppo, un'amica incapace di coprire le scappatelle, un professore troppo furbo e un Blackberry galeotto. Cosa si ottiene?
Un gran casino, se la suddetta diciassettenne si è appena svegliata mezza nuda in una camera d'albergo con Jared Leto affianco e, per qualche motivo, non ricorda nulla della notte appena passata.
Quindi, ricapitoliamo.
Sono a quattro piedi, in una stanza che adesso conosco, in un hotel che credevo d’aver visto solo da fuori e con una persona con cui probabilmente ho passato la notte a fare Dio solo sa cosa.
E, cosa più importante, sono in mutande. Questo significa che in questo momento sto dando una globale, perfetta visione a trecentosessanta gradi del mio culo a Jared Leto.
“Sempre che stanotte, del tuo culo, tu non gli abbia offerto solo la visione.”
Sotterratemi.
Genere: Comico, Commedia, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Jared Leto, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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THE HANGOVER

Capitolo 1, ovvero: “Lasciate ogni speranza o voi ch’entrate (nel letto di Jared Leto)”.

 

 

C’è qualcosa che non va.

Anche se ho il cervello praticamente in stand-by, i miei due neuroni superstiti capiscono che non tutto è come dovrebbe essere. Anzi, peggio: che proprio niente di niente è come dovrebbe essere.

Più o meno simultaneamente mi accorgo di una serie di piccoli, minuscoli particolari che in altre circostanze non avrebbero alcuna importanza. Prona e con la testa affondata in un cuscino meravigliosamente morbido – per un secondo spero ardentemente che la signora abbia deciso di punto in bianco di cambiare quei cuscini piatti e scomodi che usiamo di solito –, non oso muovermi, immobile come una statua. L’unico rumore intorno a me è il temporale che sento infuriare fuori da qui.

Cerco di mettere in ordine i particolari anomali, in modo da dare un senso a questa situazione (posso quasi vedere un neurone squittire: “me no volere questo, no, no!” per poi ritrarsi spaventato).

Osservazione numero uno, questo non è il materasso della camera mia e di Anna.

Ahi, ahi.

Osservazione numero due, ho appena allungato di qualche centimetro la mano sinistra e non ho sentito le sbarre del letto a castello in cui dormiamo io e lei.

Male, malissimo.

Osservazione numero tre – ed è quella che mi sta giusto provocando un brivido di puro terrore lungo la spina dorsale –, sono abbastanza certa che se girassi la testa dall’altro lato e aprissi gli occhi potrei vedere chiaramente (si fa per dire: sono miope) il profilo della figura di cui sento distintamente la presenza accanto a me.

Merda, merda, merda.

Okay, calma. Ora smetto di pensare (non lo faccio poi così spesso, in fondo, o adesso non sarei in questa situazione), mi riaddormento e quando mi risveglierò il sole spenderà e io salterò giù dal mio amatissimo, scomodo letto per svegliare quella poltrona della mia amica, come ogni giorno da due settimane a questa parte.

Perfetto. Andrà tutto a meraviglia.

Cazzo.

Quella presenza respira – respira, capito? Non posso nemmeno sperare che sia un fantasma, o un poltergeist. O, ancora meglio, un demone. Respira.

È il problema è che io so pure chi è quella presenza, anche se i miei due neuroni stanno cercando di negare tutto con quanta più convinzione possibile.

Ed è in questo momento che un improvviso brivido – un misto fra terrore e freddo – mi fa rendere conto di un altro non-particolare che mi fa aggrovigliare le budella: non ho i pantaloni.

Non. Ho. I. Pantaloni.

Mi irrigidisco e sbarro gli occhi, ma già il secondo dopo vorrei tanto non averlo fatto, perché tutto questo è peggio che nelle mie più nere previsioni.

Faccio vagare lo sguardo per la stanza, che è arredata in modo strano, come quelle che si vedono negli hotel, e non so se sperare che lo sia o meno. Pur senza occhiali riesco a vedere le pareti della stanza, pareti illuminate dalla luce di un’abat-jour (quella all’altro lato del letto) e che non ho mai visto in vita mia prima d’ora. Mai. Accanto a me c’è un comodino che mi è del tutto sconosciuto (su cui vedo poggiati, però, il mio cellulare e i miei occhiali) e... oh, cristo. Oh, santo Tomo. Sono abbastanza certa che quelli sulla poltrona là in fondo siano vestiti.

Fa’ che non siano maschili, se ci sei, lassù, fa’ che non siano maschili.

Non sperarci troppo”, commenta la mia Coscienza. Coscienza che, puntualmente, appare nei momenti meno opportuni, sempre – momenti che la maggior parte delle volte, almeno, non sono esattamente come questo, perché di solito non ho l’abitudine di risvegliarmi in una stanza che non conosco in un letto che non è il mio –, invece di apparire, non so, quando sto per affondare i denti in una torta sette veli per poi piangere sopra la bilancia e...

Oh. Oh. Oh.

Perché, per quale stramaledettissimo motivo, secondo quale logica quella cosa, quella massa senza una forma là per terra vicino al termosifone somiglia alla mia maglietta verde acido di ieri sera?

Non è la mia, non può essere la mia.

Quale altra persona sana di mente indosserebbe una maglietta verde acido?”

Coscienza, non è il momento.

La domanda a cui (non) voglio dare una risposta, ciò che più (non) mi preme sapere è: che-diamine-ho-addosso-in-questo-momento?

Ringrazia che almeno hai qualcosa addosso.”

Coscienza, vaffanculo.

I miei due ex neuroni sopravvissuti sono appena morti suicidi.

Non farti prendere dal panico, Elena. Niente panico.

Panico, panico, PANICO ASSOLUTO, oddio, cazzo faccio ora?, merda, cazzo, sono fregata, ammazzatemi ora, aiuto, aiuto, aiuto, ponete fine ai miei tormenti e alle mie pene!

... Pene”, ripete la mia Coscienza.

P-p-pe...

AAAAAAAHHHHHHHHHH!

Perché non ricordo nulla di ieri sera? Perché devo avere la memoria come una gruviera, piena di buchi?

... Buchi.”

AAAAAAAAAAAHHHHHH!

Perché sono in questo letto? Perché sono così idiota? Perché “sono” e basta? Voglio scomparire, voglio che la profezia del 2012 dei Maya si avveri qui, in questa stanza, in questo preciso momento.

Boom, una voragine proprio sotto i miei piedi.

... Piedi nudi, tra l’altro.”

La parte più più ignobile di me vorrebbe piangere e rotolarsi per terra urlando « perché a me? » per poi ritrarsi in un angolino buio ad autocommiserarsi. Per sempre.

Vorrei davvero, davvero piangere per l’assurdità di questa situazione, ma cerco di farmi forza e mi autoconvinco con non poche difficoltà che devo scendere da questo letto e, almeno, uscire da questa camera. L’unico problema è che se mi togliessi velocemente la coperta di dosso rischierei di svegliare la persona che dorme accanto a me, cosa che non deve assolutamente succedere.

Quindi ho quella che deve essere l’ennesima idea sbagliata nell’arco di meno di ventiquattro ore: mi infilo gli occhiali, allungo piano e con delicatezza – per quanto mi sia possibile, perché, ecco, la leggiadria non è esattamente il mio forte – verso il margine del letto, poi da lì poggio una mano e poi l’altra per terra, in modo da essere sospesa a metà fra il pavimento e il materasso.

Se cado adesso, svegliandolo, giuro che mi ammazzo.

Poi, sempre con movimenti impercettibili, esco una gamba dal letto (primo brivido di freddo), poggio il ginocchio sul parquet e subito dopo faccio lo stesso con l’altra (secondo brivido di freddo), in modo da ritrovarmi a gattoni per terra. Il più silenziosamente possibile afferro il cellulare e comincio a gattonare verso la porta aperta, che a quanto sembra dà su un salottino.

Be’, almeno non sto strisciando come un verme.

Più o meno.

Prima di uscire fuori decido di girarmi a guardare indietro, ma ormai da qui vedo soltanto un ammasso di coperte che si alza e si abbassa al ritmo del respiro della persona che ci sta sotto – e che ha appena cominciato a russare piano.

Quest’uomo ha proprio bisogno di riposare, penso ricominciando a gattonare.

Si sarà stancato stanotte.”

Scusa, Coscienza, non riesco a sentirti sopra il rumore della mia dignità che cade in pezzi.

Appena entro, decido di alzarmi in piedi e di chiudere la porta scorrevole (che ad occhio e croce, a giudicare dal legno e dalla maniglia dorata, vale da sola più di casa mia), ma non appena sto per farlo, riguardando la stanza da letto, mi ritrovo a pensare che è uguale alla scena iniziale di Hurricane, tuoni e lampi inclusi.

Peccato che più che un sogno mi stia sembrando un incubo.

Ci manca solo il pazzo con la maschera e il martello in mano che bussa da fuori e siamo a cavallo, mi tocca davvero buttarmi fuori dalla finestra come nel video. Per non sopravvivere all’impatto col suolo, ovviamente.

Chiudo la porta delicatamente, premo l’interruttore della luce e finalmente mi giro, chiudendo l’Incubo alle mie spalle.

Il salotto è esattamente quello che ci si aspetterebbe da un hotel cinque stelle: grande, col parquet per terra, tende pregiate, e al centro dell’ambiente un tavolino con un vaso di fiori e attorno tre divani chiari con qualche cuscino cuscino sopra. Di fronte ai divani, sulla parete, c’è un televisore al plasma, poi qualche quadro qua e là e in un angolo un tavolino con due sedie. Dall’altra parte, una lunga tenda, che immagino copra un’unica vetrata.

Bene, al massimo mi butto da lì.

Almeno è scenografico, non c’è che dire.

Ci sono altre due porte, quella scorrevole per il bagno, credo, e un’altra che dovrebbe portare fuori.

Stringendo forte il cellulare, un Blackberry nero che è la causa di tutto questa situazione per una serie di motivazioni che non sto qui a dire, vado a sedermi su uno dei divanetti e mi passo una mano tra i capelli. Ho la pelle d’oca, ma non importa. Forse dovrei andare in bagno, ma l’idea di lavarmi la faccia in un lavandino in marmo che probabilmente vale più di me mi fa venire la nausea.

Mi massaggio le palpebre. Devo fare mente locale, per forza.

Okay, mettiamo in ordine la situazione.

Siamo entrati perché pioveva, giusto? Piove ancora, perciò il ragionamento fila. La bottiglietta d’acqua sul tavolino laggiù mi suggerisce che mi abbia chiesto se avevo sete («già troppa acqua stasera, grazie» devo aver risposto, banale come sono), poi ci siamo messi su questo divano.

Mi strofino le mani contro le cosce. E poi?

E poi?

E poi lo so io”, sghignazza la Coscienza.

Perché ho una memoria così pessima?

Devo chiamare Anna. Prima di comporre il numero vedo che sono le quattro di mattina e che ho ben quattordici chiamate perse (prego ardentemente che non siano di mia madre, o sono cazzi - “Più di quelli che hai avuto stanotte!” - COSCIENZA, NO, NO, NO), ma la chiamo comunque sperando che senta squillare il cellulare.

Deve sentirlo squillare. Ne vale della mia salute psichica.

Primo squillo, secondo squillo, terzo squillo.

Niente.

Chiudo la chiamata e riprovo.

«Rispondi, diamine» borbotto nervosamente, guardandomi intorno.

Fa’ che lui non si svegli, fa’ che lui non si svegli.

Primo squillo, secondo squillo, terzo squillo...

«Pronto?»

È lei, la meravigliosa voce rauca e sonnolenta della mia amica / compagna di stanza.

Vorrei cominciare a saltare qua e là dalla felicità, vorrei baciare per terra e ringraziare la divinità che ha ascoltato le mie preghiere, ma mi trattengo.

«Anna?» sussurro.

«… Elena? Sei tu?»

«Oh, grazie al...»

«Elena.»

Sento qualcosa cambiare nel tono della sua voce.

«Sì?»

«DOVE CAZZO SEI?»

Salto in aria, spaventata.

«TI RENDI CONTO CHE SONO LE... » c’è una pausa, deve essersi allontanata per guardare l’ora sull’orologio da polso, «… QUATTRO DI MATTINA? LE QUATTRO! TI HO CHIAMATO DECINE DI VOLTE, HO PENSATO LA QUALUNQUE, PENSAVO TI AVESSE STUPRATA E POI UCCISA, O PRIMA UCCISA E POI STUPRATA, CRISTO SA–»

«Shh!» la supplico.

«HO PENSATO A MANETTE E LATEX E VIBRATORI E A TE BENDATA E LEGATA IN MANO SUA COME IN QUEL PORNO, HURRICANE

Vorrei ribattere che non è un porno o che l’idea di me ‘bendata e legata’ in mano sua non è che mi disturbi proprio, ma non penso sia il momento adatto per illustrarle i miei sogni erotici.

Forse pensi bene”.

«Senti, mi dispiace, ma...»

«“MA” UNA BENEAMATA MINCHIA, ELE!»

Oh. Da quando parla così?

«Lo so, lo so, ma io... io...»

Io cosa?

«Io sono un’immane imbecille» andrebbe bene, credo.”

«Tu cosa?!»

Eh. Appunto.

«Anna, ascolta, credo di essere... »

Sconsiderata?”

Idiota?”

Imbecille?”

« ... al Carlton.»

«Quel Carlton? All’hotel?»

No, il Carlton rifugio per senzatetto.

«Sì.»

«Il Carlton. L'hotel extralusso in cui si paga persino il pavimento che calpesti. Quel Carlton.»

«Sì, quel Carlton.»

Sto lanciando sguardi nervosi un po’ dappertutto, come se da qualche parte possa uscire qualche spettro malefico.

Magari il fantasma della tua verginità perduta.”

Squittisco, desiderando ardentemente di sbattere la testa contro il tavolino.

La sento sbadigliare. «Ma che ci fai al Carl...?»

Si blocca.

Ahi.

Ahi, ahi, ahi.

«Oh, no. No, no, no. Dimmi che non hai fatto quello che penso tu abbia fatto.»

«Una giocata a scacchi?»

O strip-poker, più che altro.”

«Elena. Sii seria. Dimmi che non lo hai fatto.»

«Vorrei tanto saperlo.»

«Che significa?!»

«Che non ricordo.»

«... Mi stai prendendo per il culo.»

Come lui ha fatto con te stanotte.”

Dio.

«No, Anna, vorrei davvero, ma... no» rispondo a voce bassissima. «Non lo so davvero.»

«Oh, no, no, no!» squittisce. «Non voglio diventare zia!»

Zia? ZIA?

Mi sento sbiancare e mi tocco lo stomaco, sperando sia pieno solo di cibo. Per un attimo penso pure di vedere la Madonna.

«Calma, calma, calma, qui nessuna diventerà zia di nessuno!»

O almeno lo spero.

A proposito di Madonne, i miei crderebber all'immacolata concezione, vero?

Nella mia mente si forma l'immagine mentale di mio padre versione Enigmista che incatena il padre del nascituro alias arzillo quarantenne in calore al letto e poi gli sorride, lisciando un'accetta, sotto il suo sguardo terrorizzato e valorizzato dall'eyeliner.

No, Elena. Concentrazione. Smettila di pensare negativo.

«Okay» risponde nel frattempo lei, in tono strano. «Dov’eri quando ti sei svegliata?»

Mi mordo il labbro inferiore. «Nel suo letto.»

Per qualche attimo c’è silenzio dall’altra parte della cornetta.

«Nel suo letto» ripete lei. «Okay. Non è detto,magari – uhm – era comodo e... sì, be', ecco. Non è detto. Ma eri almeno vestita, no? No?»

Quel secondo “no” ha un qualcosa di speranzoso e di disperato assieme.

«Io... non so dove siano i miei pantaloni, sono in mutande, e...» Momento. La maglietta! Me n’ero completamente scordata, mannaggia a me.

Abbasso lo sguardo.

Ah.

Uno spigolo. Datemi uno spigolo. Uno in grado di farmi molto male.

«… e ho una delle sue magliette addosso per coprirmi. Sono sicura che sia sua, Anna, gliel’ho vista ad un concerto» sussurro. «Però almeno ho il reggiseno addosso.»

«Fammi capire bene. Sei in mutande e con solo una sua maglietta addosso, però hai il reggiseno. Questa sì che è una buona notizia. Elena, non serve una conoscenza profonda dell’anatomia animale per sapere che non è dalle tette che si fanno certe cose.»

Oh, dio. Non posso aver fatto una cazzata del genere.

«Pensi che abbia fatto “quella cosa” con lui?»

«Macché. Sono sicura che abbiate discusso del debito pubblico.»

«Ti sembra il momento di far del sarcasmo?!» sbotto, dimenticando per un attimo il proprietario della stanza che dorme di là.

«Faccio dell’ironia perché se rimanessi seria mi farei prendere dalla voglia di schiaffeggiarti.»

«Benvenuta nel club » mugugno, poggiando la testa sulla mano libera.

Tanto a sculacciarmi ci avrà pensato lui.

Ugh.

Lo so che migliaia di ragazze vorrebbero essere nella mia situazione, ma almeno ricordassi qualcosa, santo cielo, tipo che mi sono goduta il momento. Niente, vuoto totale, e nemmeno il minimo indolenzimento al sedere. Eppure non può avermi drogato, in caso non ne avrebbe avuto bisogno.

Anzi, il contrario.

Ripenso alla scena di Hurricane.

Davvero, ormai spero solo che non si siano vibratori di mezzo.

O...”

Oh...

altre...”

Mio...

ragazze.”

Dio.

« Oh, NO! » esclamo scuotendo velocemente la testa e arrivando ad un acuto che potrebbero sentire solo i pipistrelli.

 

Ecco, ed è in questo momento che la situazione precipita.

La voce di Anna diventa soltanto un rumore ovattato, e io mi sento sbiancare in viso. Chiudo la chiamata senza darle spiegazioni, mi butto per terra e comincio a strisciare come un verme verso il retro del divano che sta esattamente davanti alla TV.

E questo perché ho sentito un rumore provenire dall’altra stanza, il rumore delle molle di un materasso che cigolano.

Oh, no. No, no, no, no, no.

Mi acquatto dietro il divano, ansimando per il terrore. Da fuori potrebbe anche sembrare una situazione comica (immaginatevela, una ragazza con le mutande di fuori che si nasconde dietro ad un divano e che si guarda intorno come se da un momento all’altro dovesse saltar fuori un serial killer da dietro l’angolo), ma vi assicuro che è terrificante.

Ehi, magari è davvero un pazzo mascherato, penso per un momento, speranzosa.

Sono patetica.

Deglutisco, cercando di calmarmi. Va tutto bene, ora si riaddormenta. Dai.

Ovviamente non posso essere tanto fortunata. Sento dei passi e la porta aprirsi con un rumore quasi impercettibile.

Da lì non mi vede.

Magari pensa che me ne sono andata.

Come no. Con solo le mutande sotto la pioggia. Tesoro, non sei Lady Gaga.”

Per un attimo non sento niente, poi sento dei passi proprio davanti al divano, che si fermano quando lui dovrebbe essere arrivato davanti al tavolino.

Silenzio.

Il più silenziosamente possibile, allungo la testa fino a vedere un poco oltre il divano.

Il mio cuore smette di battere. È ancora lì, si sta guardando intorno con fare assonnato, e dei del cielo, se scatena l'ormone.

Va’ in bagno, va’ in bagno, dai, penso.

Sembra quasi che mi abbia sentito, perché ricomincia a camminare in quella direzione.

Sento il petto alleggerirsi. Magari è stitico, rimane lì per un’ora e ho il tempo di cercare i vestiti o qualcosa del genere, magari riesco a rivestirmi e a prendere il primo autobus del mattino per casa, magari...

Magari, siccome questa sono io e non posso avere fortuna per troppo tempo, mi squilla il cellulare. E così è.

Guardo quell’oggetto del demonio ancora stretto nella mia mano tremante, boccheggiando pietrificata per qualche secondo. Non oso fare altro.

E il cellulare smette di squillare (posso quasi sentire Anna sbraitare a qualche chilometro da me).

Non ho il coraggio di girarmi. Non ce l’ho, no. Perché so già cosa vedrei.

 

« … Elena? »

Mi guardo indietro. Là, a un metro e qualcosa da me, c’è Jared Leto in carne, addominali e smalto azzurro che mi guarda a metà tra il confuso e il basito.

Quindi, ricapitoliamo.

Sono a quattro piedi, in una stanza che adesso conosco, in un hotel che credevo d’aver visto solo da fuori e con una persona con cui probabilmente ho passato la notte a fare Dio solo sa cosa.

E, cosa più importante, sono in mutande. Questo significa che in questo momento sto dando una globale, perfetta visione a trecentosessanta gradi del mio culo a Jared Leto.

Sempre che stanotte, del tuo culo, tu non gli abbia offerto solo la visione.”

Sotterratemi.

Mi giro di scatto, ritrovandomi seduta sul parquet ad osservarlo terrificata.

Può-andare-peggio-di-così?

 

Lo vedo accigliarsi, poi inarcare un sopracciglio. E infine indica le mie mutande.

«Quelle sono... mucche?» boccheggia in inglese, inarcando le sopracciglia.

Abbasso lo sguardo, rendendomi conto che la sera prima mi ero infilata delle mutandine che andrebbero vietate per legge.

Per la precisione, quelle con le mucche che mi ha messo in valigia mamma.

Oh, no.

Sono di fronte – sì, be', di retro – a Jared Leto, mezzo nudo, anche io mezza nuda, e ciò che indosso è incluso in qualunque manuale che indichi come cancellare ogni traccia di testosterone dal corpo di un uomo: delle mutande bianche e larghe con le mucche. Non “muccate”. Con le mucche.

E mi ritrovo a ripensare a come è iniziato tutto questo, meno di due settimane fa, quando ancora avevo un minimo di cervello e avrei mai pensato di potermi trovare in questa situazione.


Note dell'autrice pazza e scriteriata.
Non è da prendere sul serio. Davvero. Prendete questa fanfiction come un vaneggiamento della sottoscritta il cui unico scopo è divertire, okay? A questo proposito, spero abbia fatto "il suo dovere". Sarebbe carino sapere cosa ne pensate. 
Un bacio,
Carme.

   
 
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