16/09/2012
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E' vero, adorava volare sfiorando le nuvole col corpo, ma questo giorno, Alisa, era quasi disgustata dalle nuvole.
Ricorda molto vagamente qualcosa della sua vecchia vita. Di quando era un'umana.
Sensazioni, umori. Era tutto scomparso. Una cosa sola non era scomparsa:
il saper ricordare di provare l'affetto.
Mentre guidava i suoi jet, che adorava chiamare ali, accarezzava la naturalità delle nuvole.
Un androide dagli occhi verdi e i capelli bicolore. Era solo quello.
Una fredda e morta macchina. Però, qualcuno, era riuscita a dire "Chi sei?" ma non "Cosa sei?" quando si mostrava algi altri.
Lars Alexandersson la vedeva come un'umana. Cosa che non era.
A lei faceva piacere chiacchierare, osservare e ammirare Lars. Lo adorava. E forse, anche se non sapeva come, lo amava.
Non si era spaventato la prima volta che vide la sua testa staccarsi per poi ricrescere dinuovo sul collo, anzi, si era sorpreso per la sua bravura.
Bravura.
Lei era una macchina creata... Dal suo caro padre. Lo aveva fatto per lei ovviamente, ma lui l'aveva tecnicamente uccisa. Volava, sparava le sue braccia, lanciava la sua testa e creava delle seghe dai polsi. Alisa faceva e fa cose che nessuno genere di umano sogna neanche lontanamente. Dovrebbe essere felice?
Dovrebbe provare un sentimento che non poteva neanche lontanamente sognare?
Lei era una macchina. Un prototipo. Un umana...?
Lei non era una nuvola.
Lei non era la normalità.
-Alisa Bosconovitch