The Easy Way... For The Crazy Pig
«Qualcosina.» rispose Astrakan, si sedette sulla poltroncina e si tolse le scarpe.
«Qualcosina... cosa di preciso?» domandò Joerydan e imprecò sottovoce quando la scritta "Game Over" lampeggiò sullo schermo.
«Qualcosa più di te sicuramente.» replicò lei, afferrò la scatola dei biscotti e ne prese uno alla cannella. «Lavora in un palazzo sulla Trentaquattresima.»
«E?» Joerydan spense la consolle, stanco di perdere, e si voltò verso la sorella.
«E nulla, non sono riuscita ad entrare.» Astra prese in mano un altro biscotto, anche se quello che aveva in mano non era ancora finito e si sedette sul letto del fratello. «Serve un badge o un appuntamento o una cosa simile. All'ingresso c'era un tipo alto e grosso, sembrava enorme.»
«Stai riempiendo di briciole il mio letto!» si lamentò Joerydan alzandosi dal pavimento sul quale era seduto. «E non potevi convincerlo?»
Astra sbuffò e chiuse la scatola, «So dove lavora, o almeno so in che palazzo lavora, per oggi è sufficiente!»
«No che non lo è!» gridò Joerydan. «Non lo è! Siamo qui da una settimana e non abbiamo scoperto praticamente nulla!»
Astra si alzò lentamente, guardò suo fratello e posò i biscotti sul tavolino, «Almeno io non passo il mio tempo a giocare a stupidi videogames!» afferrò la borsetta e uscì dalla stanza, chiudendo con forza la porta dietro di sé.
Si diresse verso le scale, e a ogni gradino imprecava sottovoce contro suo fratello.
Lei stava fuori quasi sempre, mentre Joerydan se ne stava in hotel, a mangiare schifezze e a giocare.
Respirò profondamente una volta uscita dall'hotel. Lentamente si diresse verso Central Park, camminando senza fretta, guardandosi attorno e stupendosi di ogni piccola cosa, anche della più insignificante.
Si fermò davanti ad uno dei laghetti e guardò alcune paperelle ferme sulla riva.
«Stupido fratello!» esclamò.
«I fratelli sono stupidi.»
Astrakan si voltò e spalancò la bocca sorpresa, un urlo fermo in gola. Guardò il ragazzo accanto a lei, le sue labbra carnose, le guance piene e gli occhi azzurri. Era uno dei ragazzi che stavano cercando!
«Stai bene? Sembra che tu abbia visto un fantasma.» il ragazzo fissò Astra preoccupato.
«Sì... sto bene.» rispose lei. «Assomigli a una persona... una persona che conosco.»
Lui non rispose e guardò il laghetto. «Perché è stupido?» domandò senza guardare Astra.
«Chi?»
«Tuo fratello.» rispose lui voltando appena la testa verso di lei.
«Ah.» Astra sospirò e pensò a cosa rispondere, «Ecco... io... diciamo che lavoro, mentre lui passa tutto il suo tempo in camera a non fare nulla.»
«Capisco.» il ragazzo si fermò e fissò una papera entrare nel laghetto, l'animale infilò la testa sotto il pelo dell'acqua; ad Astra sembrò preoccupato o forse deluso, o tutte e due le cose insieme.
«E tuo fratello? Cosa ha fatto?» domandò lei dopo un minuto di silenzio. Il sole aveva iniziato a tramontare.
Il ragazzo la fissò sorpreso, e Astra sorrise. «Diciamo che non gli piacciono alcuni aspetti della mia vita.»
"E se fosse lui?" pensò lei. " E se non viene capito perché non è di questo mondo?"
«Io devo andare al lavoro.» esclamò lui fissando l'orologio che portava al polso.
«Io sono Astrakan!» si presentò lei, e si morse la lingua, si era accorta di essere stata troppo impulsiva.
«Astrakan? Che nome strano.» commentò lui.
«Gli altri mi chiamano Astra.» disse lei, sentendo le guance andare a fuoco e sperò che lui non se ne accorgesse.
«Io mi chiamo Kevin.» guardò ancora l'orologio. «È stato un piacere conoscerti.» aggiunse, poi si allontanò in fretta.
Astrakan attese qualche secondo poi lo seguì, non perdendolo mai di vista, ma una volta uscita da Central Park Kevin sembrava svanito nel nulla.
Si guardò attorno e camminò per un paio di isolati, muovendosi verso nord.
Si fermò a un incrocio e sbuffò. Non ci voleva, non avrebbe dovuto perdere di vista Kevin. Alzò lo sguardo e sorrise nel vedere il cielo di New York tingersi lentamente di rosso, rosa e arancio; aveva perso di vista il ragazzo, ma sapeva come si chiamava. Era stata lei ha scoprirlo, così come aveva scoperto dove lavorava Maya; era stata lei, non suo fratello. Sentì lo stomaco brontolare e decise di tornare in albergo.
***
«E l'hai perso? Come hai fatto?»
sbraitò Joerydan.
Astra incrociò le braccia e fissò il fratello, doveva aspettare che si
calmasse.
«Dovevi stargli dietro!» continuò lui. «La colpa è di quelle cose,» continuò e
indicò i sandali neri, tacco dodici, della sorella. «non puoi correre con quei
trampoli!»
«Ti sei calmato?» domandò Astra. «Primo, io ho scoperto dove lavora Maya. Io ho
scoperto come si chiama Kevin.» prese un respiro profondo e si avvicinò a
Joerydan. «Sono stata io, non tu.» si voltò ed entrò in bagno, sbattendosi la
parta alle spalle.
Appoggiò le mani sul bordo del lavandino e si guardò allo specchio. Era stanca,
le facevano male le gambe e l'unica cosa che voleva in quel momento era
scendere nella SPA e farsi fare un massaggio.
Mentre apriva l'acqua fredda si domandò cosa diavolo stesse accadendo a suo
fratello, non si era mai comportato in quel modo.
Si lavò il viso e lo tamponò delicatamente con un asciugamano, lo gettò nella
cesta e uscì dal bagno.
«Ho fame.» esclamò. «Andiamo a mangiare.»
Joerydan abbassò il viso, spense il televisore e seguì la sorella. Ad Astrakan
il viaggio in ascensore sembrò eterno. Il non capire quello che stava
succedendo a suo fratello, e l'aver perso di vista Kevin la facevano infuriare.
«Scusami.» mormorò il ragazzo mentre entravano nel ristorante dell'hotel.
Lei si avvicinò ad uno dei camerieri e gli disse il numero della loro stanza,
poi si avvicinò al primo tavolo libero che trovò.
«Mi hai sentito? Ti ho chiesto scusa.» esclamò Joerydan, nascondendo il viso
dietro il menu.
«Ti ho sentito, non sono sorda.» rispose lei, «Vorrei solo capire cosa diavolo
ti prende.»
Lui sospirò e chiuse il menu. «Non lo so.» sospirò. «Ogni tanto penso che...»
«Pensi che?»
«Che sia tutto inutile. Che questa ricerca non serva a nulla.»
«Ma sei impazzito?» sibilò Astra sporgendosi sul tavolino verso il fratello.
«Abbiamo già trovato due di loro, e sappiamo dove abita e lavora Maya.»
mormorò.
Lui abbassò il viso e sospirò iniziando a giocherellare con il bordo della
tovaglia. «Lo so, è solo che...» si fermò e guardò la sorella. «Penso che sia
inutile.»
Astra rimase in silenzio, anche se l'unica cosa che voleva fare era urlare e
lanciare addosso a suo fratello il vasetto usato come centrotavola.
«Neanche tu ti stai impegnando.» continuò, evitando di incrociare lo sguardo
sorpreso e infuriato della sorella. «Oggi potevi entrare in quel palazzo e non
l'hai fatto. Hai perso di vista l'altro candidato perché indossi delle scarpe
con il tacco.» si fermò e fissò Astra. «Non ci credi neppure tu.»
Astra spostò indietro la sedia, il rumore attutito dalla moquette, si alzò e
uscì dalla sala.
Joerydan la guardò allontanarsi e si diede dello stupido, non doveva dirle
tutte quelle cose, doveva fermarsi prima; sospirò e quando il cameriere gli si
avvicinò lo guardò sorpreso. Ordinò un piatto di pasta e una birra e si passò,
con un gesto stanco, la mano sul viso. Era stanco, da quando erano arrivati a
New York non riusciva a dormire bene, ogni notte si risvegliava in preda
all'angoscia, alla paura e con un senso di pesantezza, dopo incubi di cui non
ricordava nulla; tutto ciò gli faceva pensare a un brutto segno, che nonostante
tutti i loro sforzi, nulla sarebbe tornato a posto.
E non riusciva a parlarne con Astrakan, la vedeva impegnarsi, sapeva che stava
facendo tutto il possibile, eppure non riusciva a dirle nulla, non voleva
spaventarla.
Era sua sorella.
***
Joerydan guardò ancora una volta l'orologio appeso alla parete. Erano quasi le
due del mattino e sua sorella non era ancora rientrata.
Si alzò in piedi, afferrò la felpa che aveva gettato sulla poltronicina e uscì
dalla stanza. Era preoccupato, sua sorella non aveva mai fatto così tardi e lui
temeva che le fosse successo qualcosa. Si fermò davanti all'ascensore e
premette il pulsante di chiamata un paio di volte. Le porte si aprirono.
«Astra!» esclamò, poi il suo sguardo si spostò sul viso dalle guance rosse, i
capelli arruffati, «Sei... sei ubriaca?»
Lei ridacchiò e con passi incerti uscì dall'ascensore, si grattò il mento e
guardò il fratello. «Ubriaca?» ridacchiò ancora. «Credo di sì.»
Lui gli circondò la vita con le braccia e la condusse lungo il corridoio verso
la loro camera.
Una volta dentro, lasciò cadere Astra sul letto e lei si rannicchiò in
posizione fetale.
«Sei cattivo.» mormorò. «Ma ti voglio bene.»
«Anch'io ti voglio bene.» mormorò lui, e le tolse la scarpa destra che sistemò
vicino all'altra, ai piedi del letto; si spostò e si sedette sul letto, slacciò
i bottoni della stretta giacca, le sollevò il busto e gliela tolse. Scostò i
capelli che coprivano il viso di Astrakan e andò a prendere la coperta
nell'armadio e la posò delicatamente sulla sorella, le baciò la fronte e andò a
sdraiarsi nel suo letto, spense la luce e sperò di non avere nessun incubo
quella notte.
***
I gemelli erano a Central Park, nel punto in cui pochi giorni prima Astrakan
aveva incontrato Kevin, lei sperava che lui andasse lì abitualmente, alla
stessa ora, peccato che fossero lì da due giorni e non avessero scoperto nulla.
Astra era appoggiata alla balaustra e fissava le papere che nuotavano
pigramente, suo fratello, invece, era davanti a un chiosco di hot-dog e
attendeva di essere servito.
«Fatto pace con il fratello?»
Astra sorrise e si voltò. «Sì, Kevin.» Anche lui sorrise. «Adesso è lì.»
continuò e indico Joerydan.
In quel momento il ragazzo si voltò, con l'hot-dog in mano e una lattina di
bibita nell'altra, fece alcuni passi verso la sorella e si fermò, osservando
sorpreso il ragazzo che parlava con sua sorella, sì, era proprio lui, uno dei
ragazzi che stavano cercando.
«Muoviti!» urlò Astrakan.
Joerydan ingoiò il boccone che aveva in bocca e si avvicinò ai due, «Ehm...
ciao.» mormorò, fissando gli occhi azzurri di Kevin.
L'altro sorrise. «Kevin, piacere.» esclamò tendendo il braccio destro.
Joerydan guardò la mano di Kevin poi sua sorella e infine passò la lattina a
quest'ultima; sospirò, cercando di calmare il suo cuore che aveva preso a
battere più velocemente, e infine strinse la mano di Kevin. «Joerydan,
piacere... » si bloccò, perso nello sguardo di Kevin, «Piacere mio.»
Si sentiva strano, era come se una tempesta stesse giocando nel suo stomaco; ingoiò a vuoto, non si era mai sentito così.
Kevin sorrise, «Joerydan?» domandò, «I vostri genitori vi hanno dato degli
strani nomi.» esclamò cercando di soffocare una risata.
«Eh, già.» concordò Astrakan. «Abbiamo nomi...» si fermò e si voltò verso il
fratello, aggrottò le sopracciglia nel vedere la faccia, strana, del fratello,
«Strani.»
«Joe... puoi... chiamarmi...» balbettò Joerydan. «Puoi chiamarmi Joe.»
Kevin sorrise. «Devo andare, il lavoro mi chiama.» esclamò, e si allontanò di
un paio di passi. «Ci vediamo» aggiunse senza voltarsi.
Joerydan
lo guardò, una goccia di senape gli sfuggì dalle labbra, sporcandogli
il mento. «E comunque,» Kevin si fermò e si voltò, «Joerydan è un bel
nome.» sorrise strizzò un occhio in direzione di Joerydan e riprese a
camminare.
«Ma che ti prende?» sbottò Astrakan. «Muoviti, dobbiamo seguirlo.»
«Niente...» rispose lui. «Andiamo.»
Non voleva dirlo a nessuno, ma quel ragazzo gli piaceva.
Kevin scese in metropolita, ignaro di essere seguito dai gemelli, i due stavano
a qualche metro di distanza da lui.
Astrakan e Joerydan seguirono Kevin e dopo qualche minuto entrarono in una
carrozza. Kevin era appoggiato ad una parete, gli auricolari bianchi nelle
orecchie.
«Ti piace?» mormorò Astrakan.
«Sì!» rispose Joerydan. «Cioè no!» si corresse, mentre Astrakan ridacchiava.
«Mi piace chi?» domandò dopo aver preso un respiro profondo.
Astra si limitò ad indicare con un cenno del capo Kevin.
«No.» negò Joerydan.
Astrakan scosse la testa mentre guardava suo fratello che fissava la schiena, o
forse altro, di Kevin.
«Sta scendendo.» Astrakan diede una gomitata al fratello, che la fissò quasi
sorpreso, e i due si affrettarono a scendere.
«Dove siamo?» domandò Joerydan una volta tornati un superficie.
«Non ne ho idea.» rispose lei seguendo a debita distanza Kevin, dopo pochi
metri svoltarono a destra.
«E se ci perdiamo?» pigolò Joerydan.
Astra sbuffò, «Chiediamo a qualcuno.» rispose. «Siamo dei turisti, per questa
città.»
Camminarono ancora per alcuni minuti, poi Astra bloccò Joerydan con un braccio.
«Fermo.»
Kevin era entrato in un locale poco distante; dopo quasi un minuto i due
raggiunsero la porta del locale.
«The Crazy Pig.» lesse Joerydan. «Nome buffo.» commentò.
«Il locale è ancora chiuso.»
I due si voltarono verso sinistra, trovandosi accanto un uomo alto e muscoloso,
con la pelle ambrata e Astra intuì che doveva essere un buttafuori. «Apriamo fra
un'ora.» aggiunse l'uomo.
«Oh, grazie per l'informazione.» esclamò allegramente Astra. «Posso?» aggiunse
indicando alcuni volantini sistemati accanto alla porta. L'uomo annuì e lei ne
prese uno.
«Grazie.» disse, afferrò suo fratello per un polso e lo costrinse a camminare.
«Cosa vuoi fare?» domandò lui.
«Capire che tipo di locale sia, aspettare che apra ed entrarci.» rispose. «Poi
lì decideremo come procedere.» rispose e agitò il volantino che teneva in mano.
Joerydan annuì e seguì la sorella.
***
«Un bar gay?» sbuffò Joerydan. «Tu vuoi andare in un bar gay?» domandò
sorpreso.
Astra annuì e finì di passare il mascara sulle ciglia dell'occhio sinistro.
«Certo, Kevin lavora lì.» esclamò e infilò l'applicatore del mascara nel suo
contenitore.
Joerydan sbuffò. «Sì, ma...»
«Ti piace.» sentenziò lei, facendo un giro su se stessa per guardarsi al grande
specchio della camera.
Joerydan sospirò. «E tu?», domandò, ignorando la domanda della sorella.
Astrakan alzò le spalle con arie indifferente, «Io?» Joerydan annuì. «Io sarò
la sorella che accompagna il fratello timido che per la prima volta entra in un
locale gay.» spiegò con semplicità.
«Ma io...» Joerydan sbuffò e si lasciò cadere sul letto.
«Ma tu nulla, non devi farti prendere da stupide paranoie» esclamò lei, in
piedi di fronte al fratello. «Ed ora,» continuò allungando una mano verso di
lui. «vedi di alzarti e di venire con me.»
Joerydan si limitò ad annuire, sorrise alla sorella e le strinse la mano, poi
si alzò. «Andiamo.»
***
«Non puoi fare...» Joerydan si bloccò, fissando la ventina di persone in fila
davanti a lui, «Uno dei tuoi giochetti per farci entrare?»
«L'hai detto tu che devo farlo solo in caso di necessità.» replicò Astrakan. «E
questa non è una necessità.» aggiunse facendo qualche passo avanti, alcune
delle persone in fila erano entrate.
Dopo dieci minuti varcarono la soglia, lasciarono le giacche alle ragazze al
guardaroba e ricevettero in cambio una tessera in plastica. Un rosso brillante
partiva dalle parte superiore della scheda, sfumando fino al bianco della parte
inferiore; il logo del locale, un maiale stilizzato con delle ali e una coda da
cavallo, di colore nero, era stampato al centro della tessera
«Andiamo!» urlò Astrakan
nell'orecchio di suo fratello. La musica era al massimo del volume; entrarono
nella sala di destra, quella dalle pareti blu, e si fermarono ad osservare
l'ambiente. Lungo la parete destra si trovava il bancone del bar, su quella
opposta erano disposti dei tavolini circondati su tre lati da panche imbottite;
al centro, riabbassata di qualche centimetro, c'era la pista da ballo, dove, in
mezzo, spiccava un cubo bianco e argentato, alto circa un metro, sopra il quale
ballava un ragazzo che indossava solo un paio di pantaloni in pelle.
«Andiamo a bere!» gridò Astrakan, ma il suo sguardo era fisso sul fondoschiena
del ragazzo che ballava sul cubo.
«Credo sia gay.» gli fece notare Joerydan.
Astra alzò le spalle, tenendo lo sguardo fisso sul cubista. «E allora?» disse,
«Lo sto solo guardando.»
Joerydan si bloccò all'improvviso, un ragazzo lo superò guardandolo male.
«Che hai visto?» domandò Astrakan, poi guardò nella stessa direzione del
fratello e sorrise. «Andiamo.» mormorò, afferrò la mano di Joerydan e lo
trascinò verso il bancone del bar; dove, lì dietro, con indosso una maglia
bianca con il logo del locale stampato all'altezza del cuore, Kevin stava
preparando alcuni cocktail.
«Ciao!» urlò una volta davanti a Kevin, e agitò la mano destra nel caso lui non
l'avesse sentita.
Kevin sorrise e diede il cocktail alla ragazza che gliela aveva chiesto. «Cosa
vi preparo?»
«Una Caipiroska alla mela verde per me,» Astrakan fissò il fratello, che teneva
lo sguardo fisso sul pavimento, «per lui... non ne ho idea.»
Kevin sorrise ancora, e iniziò a preparare il cocktail per la ragazza. «Ti va
bene il cocktail della casa?» domandò fissando Joerydan, mentre le sue mano si
muovevano veloci e precise.
Joerydan alzò lo sguardo dal pavimento e guardò Kevin. «Uh?» Astra gli diede
una gomitata e lui si riscosse. «Va benissimo!» urlò.
Pochi secondi dopo Astrakan prese il bicchiere, sorrise a Kevin e si avvicinò
al fratello. «Vado a fare un giro.» gli sussurrò all'orecchio.
«Ma cosa... dove vai?» si voltò ma Astra era già sparita nella folla, la cercò
per qualche istante, ma gli risultò impossibile trovarla in mezzo a tutte
quelle persone; si voltò sentendosi osservato, e guardò con stupore Kevin che
gli porgeva un bicchiere dai bordi alti e pieno di un liquido arancione. Lo
prese e abbozzò un sorriso, ma Kevin stava ascoltando altri clienti e non si accorse
di nulla.
Deluso, sorseggiò l'alcolico che sapeva di arancia e di qualcos'altro che non
riusciva a capire, e si avviò alla ricerca di sua sorella. Camminò lungo il
perimetro della pista, cercando di evitare le altre persone, rifiutando inviti
a ballare; quando stava quasi per rinunciare, trovò un tavolino libero e velocemente
lo occupò. Sperava che sua sorella lo cercasse.
Sospirò e appoggiò il bicchiere sul tavolo rettangolare, svogliatamente girò la
cannuccia nel liquido, facendo sbatterei cubetti di ghiaccio fra di loro. Non
voleva pensare a Kevin, perché, nonostante ciò che gli diceva sua sorella, lui
era convinto che sarebbe andato tutto male. E allora perché preoccuparsi
dell'amore, quando in ballo c'era la propria sopravvivenza e quella del proprio
popolo?
«Tua sorella ti ha lasciato solo?» gli disse qualcuno all'orecchio. Joerydan
rabbrividì, smise di girare la cannuccia e si voltò verso Kevin.
«Ehm... lei è... è andata a fare un giro.» mormorò evitando di guardarlo.
«I vostri genitori come l'hanno presa?» domandò Kevin sedendosi accanto a lui.
«Cosa?» chiese l'altro sorpreso.
Kevin fece un gesto della mano, indicando il locale.
«Io sono solo qui per accompagnare il mio fratellino,» esclamò Astrakan
sedendosi accanto a Kevin, obbligandolo così a spostarsi più vicino a Joerydan.
«è tanto timido.» continuò.
Joerydan cercò di allontanarsi, non voleva sfiorare Kevin neppure per sbaglio,
anche se il suo corpo gli stava urlando di fare il contrario.
«Timido, eh?» domandò Kevin guardando Joerydan, che arrossì e incurvò le spalle, quasi come se volesse nascondersi.
«Già. È un timidone.»
Astra sorrise e guardò Kevin. Erano anni che sapeva che suo fratello
era gay, ma a parte qualche flirt innocente, Joerydan non aveva mai
avuto una vera storia. «Ma è adorabile.»
«È timido e tanto carino quando arrossisce.» gridò Astra per farsi sentire. «Sembra un cucciolo. Un adorabile cucciolo.» Kevin sorrise divertito e guardò Joerydan che incuravava le spalle e voltava il viso verso il muro, imbarazzato. Per un momento gli sembrò che anche le orecchie del più giovane fossero diventate rosse.
«La mia pausa è finita.» disse Kevin.
«Di già?» mormorò Astra alzandosi, «Peccato.»
«Ci vediamo.» esclamò Kevin, e Astra notò che fissava, insistentemente,
Joerydan, il quale si limitò a fare un cenno con la mano.
«Sei uno stupido!» sbottò Astra una volta che Kevin si fu allontanato e diede
una pacca sulla spalla del fratello.
«Ahi!» si lamentò lui. «Non sono stupido.»
Astra sbuffò e finì di bere il suo cocktail. «Si che lo sei.» replicò. «Potevi
chiedergli dove abitasse, il suo cognome,» elencò, «la sua data di nascita, se
sia libero...»
«La pianti?» esclamò lui, «Siamo qui per una cosa ben precisa, non per
amoreggiare.»
Astrakan si alzò, «Stai diventando acido.» disse e tornò verso la pista.
Joerydan sbuffò fissando il suo bicchiere; si guardò attorno, le persone
ballavano, si divertivano, si baciavano... si rese conto di essere l'unico
seduto da solo, con l'umore che sarebbe stato più adatto per un funerale e non
ad una discoteca.
Cercò con lo sguardo sua sorella o Kevin, ma non vide nessuno dei due,
sbuffò e finì di bere il suo cocktail. Dopo qualche minuto si alzò e si
allontanò, lasciando il bicchiere vuoto sul tavolino.
Dopo quelle che gli parvero ore, trovò sua sorella all'entrata dei bagni, stava
discutendo animatamente con un'altra ragazza.
«Andiamo.» esclamò afferrando il polso della sorella e la trascinò verso
l'uscita.
«Ma che ti prende?» domandò lei quando si fermarono davanti al guardaroba.
«Niente.» rispose lui consegnando le tessere.
«Non voglio andare via.» esclamò e con uno strattone si liberò dalla presa del
fratello.
Lui le porse la giacca e la condusse in un angolo. «Sono stanco.»
«Guastafeste.» mormorò lei indossando la giacca.
Joerydan la sentì sbuffare mentre uscivano dal locale; erano quasi arrivati
all'ingresso della metropolitana quando si voltò, per assicurarsi che sua
sorella fosse ancora dietro di lui e non fosse tornata indietro, non la sentiva
lamentarsi da quando erano usciti dal locale, ma lei era lì, che camminava
dietro di lui, le braccia conserte e un'espressione arrabbiata dipinta sul
viso.
Avrebbe voluto raccontare tutto, dei suoi incubi, delle brutte sensazioni che
provava ogni volta che si svegliava... ma non ci riusciva.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto.
Adoro Joerydan che si prende una cotta in un modo assurdo °.° Lo adoro, è tanto dolce e carino, un adorabile cucciolotto :D
E Kevin e tanto carino, s'intenerisce °.°, altri avrebbero preso in giro il mio Joe.
Astra si è eletta a Cupido personale, come se non avesse altro da fare...
Al prossimo capitolo, Maya e Kevin torneranno, soprattuto Kevin *sghignazza*