Questa è la fic dal pairing assurdo con la quale ho partecipato al concorso di Suzako.
Avendomi fatto molto piacere i commenti suoi e di Lady Antares (Roooss *-*) li incollerò alla fine!
Metto invece qui una bella dedica, che prima era alla fine:
Dunque, dedico questa diabolica fic all’ammmmmmmora che ho recuperato in quest’ultimo periodo.
A Ross, alias
Mewsana, alias Lady Antares Degona Liliean.
Spero di piaccia.
Grazie per avermi aiutato in un momento di pseudo-crollo, sebbene io sia quasi un’estranea per te.
Grazie per aver deciso di passare a casa mia praticamente tutto agosto.
Grazie per esserci.
Grazie e basta.
Ti voglio bene.
Godetevi la lettura!
Obsession_______Spider
of Mine
C’era una certa ossessività, nel suo interesse
per lei.
Così come c’era una sorta di assurdità,
nella venerazione della quale lui la investiva.
Era per questo, che quella ragazza attirava la sua
attenzione.
Doveva sapere.
Lei doveva capire.
Capire ed apprendere, per sapere come essere
finalmente gradita a quegli occhi così chiari.
Perché era improponibile, che quell’esserino apparentemente insignificante le
strappasse il successo definitivo che lei aveva ritenuto così vicino.
Perché era improponibile,
che Hinata riuscisse a prevaricare TenTen nella sua imminente conquista.
Neji Hyuga
le apparteneva.
Fin dalla prima volta in cui, a sei anni, l’aveva
visto seduto sulla panca più in alto di tutte.
Un posto degno di lui, della sua bellezza,
e della sua nobile stirpe.
Era stato in quel momento, che aveva deciso che al suo
fianco, su quel metaforico “trono” così alto e distaccato
dal mondo, nessun altro avrebbe potuto sedere,
all’infuori di lei.
Era una bella bambina, in fondo…anzi, nemmeno tanto in
fondo.
Gliel’avevano sempre detto
tutti, non solo i partenti più stretti, che lei era bella.
Guardandosi allo specchio era stata costretta a convenire
con loro.
I suoi capelli corvini erano perfettamente lisci e lucidi, e
ricadevano con pacata compostezza attorno al suo viso,
quando li lasciava sciolti.
Ma il suo viso, dall’ovale perfetto e dai tratti
orientali, sul quale spiccavano due profondi occhi castani, da cerbiatta, sarebbe stato eccessivamente coperto da quelle ciocche
scure.
Inoltre, tenerli a quel modo l’avrebbe fatta sembrare
comune, la solita ragazzina che vuole sembrare la più bella delle
principesse.
Fu per questo che, fin dai sei anni, cominciò a portarli
legati, in quella pettinatura graziosa e sbarazzina
che li rendeva piacevoli alla vista, ma che non permetteva loro di intralciare.
Poi, c’era il suo fisico.
Un fisico atletico.
Un fisico da ginnasta.
Un fisico da kunoichi.
Era facile per lei, addestrarlo e abituarlo subito agli
sforzi, e questo lo rese ben preso sodo e muscoloso nei punti giusti, senza
nuocere ad altri che dovevano sottolineare la sua
femminilità.
Ma non troppo.
Lei non era un’oca.
Fu per questo che, fin dai sei anni, indossò semplici
pantaloni neri, né troppo larghi né troppo aderenti, e una maglia
dal gusto cinese, rosa ma pacato, graziosa, non da
oca.
Così era facile distinguersi da tutte le altre
compagne, da loro e dalla loro stupida fissa per le
gonne.
E poi cercò una tecnica che potesse
renderla unica e inconfondibile.
La sua famiglia era stata molto
d’aiuto, in questo.
L’abilità di maestra di armi
di TenTen divenne presto nota in tutta
l’accademia, con suo sommo orgoglio.
Non orgoglio manifesto, s’intenda. Lei non aveva
bisogno di contentini.
Sapeva di essere brava.
Solo le oche hanno bisogno di essere rassicurate.
Il destino evidentemente apprezzava il suo modo
d’agire, perché fece restare sempre lei e Neji
insieme, e, nel corso degli anni accademici, portò il giovane Hyuuga ad accettare senza lamentarsi la sua presenza nel
posto affianco a lui.
Lei era sicura che ne fosse contento. Internamente,
però. Non sarebbe stato da lui mostrarlo.
Tant’è che non si
lamentò nemmeno quando, divenuti genin insieme, nella stessa sessione di esami, vennero poi
collocati in squadra insieme.
Poco importava che ci fosse anche Rock Lee.
Lui era lì solo perché i gruppi dovevano
essere equilibrati, e la sua incapacità era notoriamente abissale.
Lei era orgogliosa di essere il perfetto
punto mediano tra il genio di Neji e la
mediocrità di Lee.
Fu per questo, che non fu mai scortese con Lee.
Era importante l’unità della squadra, non
screditare un membro confrontandolo con l’altro.
Quello lo facevano solo le oche.
Sapeva che la fissa del ragazzo dai
lunghi capelli neri per il destino poteva sembrare ridicola, ma lei era
perfettamente d’accordo.
Il destino l’aveva favorita molte volte, nella sua
vita.
Non lo dette mai a vedere, sarebbe
sembrato un modo di compiacerlo.
Si limitò a non biasimarlo mai, né ad essere
accondiscendente.
Lui dovette apprezzarlo, perché la ricompensò
chiedendole aiuto per allenarsi.
Questo la mandò al settimo cielo.
Ecco, che il destino riprendeva il suo corso.
Lì si ricongiungeva tutto.
Il suo modo di vestirsi, il suo modo di
comportarsi, la sua abilità nelle armi…
Quanto avrebbe voluto rinfacciarlo a tutte quelle che in
quegli anni avevano deriso il suo modo quasi mascolino di comportarsi.
Non lo fece mai, sarebbe stato da
oca.
E quindi un anno passò
così, mentre tutto sembrava andare per il meglio, mentre lei continuava
ad essere compunta nel suo ruolo mediano nel gruppo, senza prendere mai
eccessivamente le parti di nessuno.
Poi la catastrofe.
Quel maledetto esame fu la rivolta del destino nei suoi confronti dopo
tredici anni di vita.
Perché fu in quell’esame, che lui rincontrò lei.
E da quel momento non ci fu attimo
in cui gli occhi bianchi che lei tanto amava e tanto aveva adorato avere su di
sé, furono sempre fissi sulla figura di colei che portava la sua stessa
abilità innata.
Eppure l’aveva
battuta…clamorosamente battuta…
Quindi non doveva essere
nell’abilità di quel cosino come ninja,
il motivo dell’attrazione di Neji nei suoi
confronti…
Immaginò che fosse quella la sua fortuna.
Avrebbe potuto assorbire qualsiasi
caratteristica che lui in lei amasse, così che l’attenzione che le
era dovuta tornasse nuovamente su di lui.
Fu per questo che un giorno le si
avvicinò con il suo migliore sorriso.
Sapeva di essere accattivante, e
sfoggiò tutta questa sua dote nella conversazione che ebbe con lei per
quel pomeriggio che passarono insieme.
E la domanda che gli pose alla fine aveva chiaro significato
malignamente retorico, che però
l’affarino non colse.
« Vuoi essere mia amica, Hinata-san?»
La risposta giunse talmente immediata da essere quasi
ridicola.
Giunse balbettante ed esitante, ma giunse.
E fu affermativa.
Esultò perché ancora una volta la sua
capacità aveva trionfato.
Internamente, però.
Sennò sarebbe stato da oca.
C’era una certa ossessività, nella frequenza e
nella dinamica dei loro incontri.
Sempre più spesso quella piccola ed
facilmente trascurabile figura la attendeva fuori dalla sua casa, o in un luogo
appartato dopo gli allenamenti.
Insipida.
Non c’era niente di particolare in lei.
Nulla che la distinguesse.
Nulla che la rendesse degna dell’attenzione di cui
tuttavia veniva investita.
Tranne quel paio di occhi bianchi,
abilità bramata e temuta.
Tenten si chiedeva, ogni tanto,
perché quegli occhi, attribuiti a Neji
avessero sul serio una valenza particolare ed attraente, e su Hinata fossero solo delle scialbe
iridi troppo scolorite.
Subito dopo si dava dell’idiota.
Era ovvio il perché.
Neji era degno di
essere speciale, tant’è che lei
era degna di lui.
Hinata non lo era,
tant’è che lei accettava la sua
compagnia in modo pietosamente furbesco.
La vedeva, l’ammirazione negli sguardi fugaci che la
più piccola le rivolgeva.
E se ne beava.
Perché così tutto era
perfetto.
Un perfetto triangolo tra lei, Neji,
e Hinata Hyuuga.
Da cui presto, ne era sicura, quest’ultima sarebbe stata irrimediabilmente tagliata
fuori.
Ma per far sì che ciò accadesse,
era suo compito portare avanti il piano perfetto che aveva creato, stringere
maggiormente la tela che ogni giorno di più andava intessendo.
Vieni, piccola Hinata…vieni.
Sempre seguendo questa immaginaria
tabella di marcia (troppo rischioso, ovviamente, stilarla sul serio), in una
delle loro private passeggiate, intrecciò le dita con le sue.
E la piccola, insignificante creaturina fu felice per questo come poche volte in vita
sua.
Era sicura che avesse l’impressione di star salendo in alto, condotta dal suo affetto.
E invece era tutto il contrario.
Perché la verità era
che stava scendendo sempre più in basso, trascinata dal suo odio.
Il passo decisivo, la chiave di volta, lo fece poi un
pomeriggio.
Nel sordo gracidare delle cicale, loro sue stavano sedute su
un tronco caduto, uno dei tanti che si potevano trovare nella sconfinata
foresta di Konoha.
Il silenzio le avvolgeva, come spesso accadeva.
Un lieve velo di rossore tingeva le guance bianche della
più piccola, cosciente della sua incapacità di cominciare una
conversazione.
Stava quasi per provarci, ma la mora la bloccò sul
nascere.
Per prima cosa, sarebbe stata un’insubordinazione.
Per seconda cosa, molto più importante, le sue
intenzioni erano ben diverse.
Allungò una delle lunghe mani, le cui dita flessuose
erano strettamente collegate ai tendini allenati.
La intrecciò con i corti e, a parer suo, smorti
capelli bluastri, e la costrinse a voltare quel volto da bambola di porcellana
mal riuscita, per poi poggiare le labbra sulle sue.
Questa non si ritrasse, sebbene avesse sobbalzato.
Tutto come previsto.
Le loro lingue s’intrecciarono lente, quella della
più piccola a causa dell’inesperienza, quella della più
grande a causa della disinteressata inerzia.
Pian piano il loro contatto si fece sempre più veloce
e profondo.
Tenten aveva bisogno di farle
capire anche così, chi era che teneva le fila di questo
“rapporto”.
E Hinata
si lasciò sconfiggere, docilmente.
E altrettanto docilmente
soccombé quella sera di qualche mese dopo, nella camera della mora,
nella quale, con sua somma gioia, era stata invitata a pernottare.
Soccombé alla mano apparentemente così esperta
in qualsiasi cosa facesse, quando questa le si
insinuò nei pantaloncini, secondo l’altra di pessimo gusto, e
ancor più sotto nella biancheria.
I suoi gemiti sottili ed imbarazzati furono la capitolazione
totale al movimento di quelle dita agili, che accarezzarono
la pelle calda e sempre più umida, fino a che uno spasmo non
sottolineò il raggiungimento dello scopo.
E adesso la tela era completa.
Il ragno aveva avvolto la sua preda.
Sei mia, piccola Hinata.
Preparati.
La tua fine è vicina.
Ok…°-° questa cosa è, definitivamente,
assolutamente inquietante °-°
Contate che la seconda parte l’ho scritta in venti
minuti, e questo la rende ancora più inquietante °-°
Bhè, comunque
è per il concorso di Suzako sui paring assurdi, quindi è giusto e bisognoso che
assurda sia ù.ù”””
(<- Infame tentativo di giustificazione)
Qui di sotto, i commenti di Suzako
e Ross! Grazie dei complimenti!^O^
Suzako
Obsession – Spider of mine,
di Mika
Originalità del pairing: 8
Grammatica: ok
Inerenza al contest: ok
Una storia che, personalmente, ho
apprezzato molto, sia per la caratterizzazione dei personaggi, che per la
dinamica delle vicende. Il pairing in questione
è yuri, TenTen/Hinata.
L.A.D.L
Lingua: 8,5
Commento – sciolto e senza lacune di tipo sintattico e
grammaticale, il discorso cade fino alla fine, in un vortice di perversione e
follia che accompagna degnamente il ritmo della trama.
Trama: 8
Commento – dare un punteggio, in
questo caso, è stato un vero e proprio dramma. Mi spiego:
è il tipo di fanfiction che piacciono
a me, il mio ideale di trama. Che eppure, non lo
è. Una trama, intendo.
Non ci sono elementi che caratterizzino
degli avvenimenti, per cui, questo punteggio ne viene un poco svalutato.
OOC: 9
Commento – incredibile lo sviluppo dei personaggi,
specialmente di quello dominante, cioè TenTen. Occupa circa un terzo della fanfiction,
ma è veramente fondamentale, perché sa prenderti per mano e
condurti in una tale mente contorta e chiusa. Anche
perché, di questo personaggio si sa veramente poco.
Davvero ben fatto.
Grazie a tutti per aver letto fin qui
Baci
Mika