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Autore: nightswimming    18/09/2012    4 recensioni
Cinque sigarette di Sherlock. E un sigaro.
Più o meno.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson , Mycroft Holmes , Nuovo personaggio, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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five cigs Note dell’autrice: alas, non sono miei, ma del buon vecchio Arthur Conan Doyle e di quelle vecchie volpi di Moffat e Gatiss. Faccio tutto questo rigorosamente aggratis, perché è bello così. :D
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
5.
 
Alzò un sopracciglio, tentando di mascherare la curiosità dietro a una consolidata espressione di indifferenza.
“E quindi?” chiese, rigirandosi la sigaretta fra le dita. Il ragazzino di fronte a lui sorrise largamente fino a deformare la costellazione di lentiggini che gli ricopriva tutto il viso.
“E quindi, Holmes”, disse con una risatina presuntuosa, “con questa respirare non ti sembrerà più tanto noioso”.
Sherlock gli lanciò un’occhiata sprezzante. Quanta pietà gli faceva quel folletto ricoperto di efelidi, che per sembrare grande si riduceva a illudersi di corrompere proprio lui. Lui, il cui QI avrebbe potuto schiacchiare il suo come una mosca.
Rifiutò la fiamma che gli veniva porta con un gesto spazientito.
“Non si accenderà da sola”, lo riprese quell’esserino sgraziato dalle orecchie ridicolmente grandi con la sua voce squillante da pre-pubescente.
“Sono conscio del fatto che l’autocombustione in queste condizioni fisiche sia impossibile, grazie”.
“L’autoche?...”
Sherlock alzò gli occhi al cielo e gli strappò l’accendino di mano. Chiuse gli occhi e inspirò come aveva visto fare a Mycroft di nascosto, chiuso nel bagno della servitù.
Il suo osservatore si lasciò sfuggire un sospiro incredulo.
“Incredibile”. Sherlock rilasciò una lunga scia di fumo, la gola che gli grattava in maniera stranamente piacevole. “Tutti tossiscono, la prima volta”.  Il folletto gli lanciò uno sguardo turbato, quasi più turbato del solito. “Tu non sei proprio normale”.
Sherlock sorrise freddamente e tirò un’altra boccata.
 
4.
 
Aveva una nuvola di capelli neri, un fisico ormai sciupato costretto in un tubino succinto di bassa sartoria, e due labbra dipinte di un rosso squillante. Puzzava di una marca economica di lacca e di alcool. Immigrata dalla Romania, tre aborti, un divorzio – il marito la picchiava chiamandola puttana, perché quello era stato effettivamente il suo mestiere, ma lui l’aveva capito troppo tardi. Fatto quello che doveva fare, sperduta, folle di adrenalina, era tornata nel terreno che le era più famigliare.
“Venticinque bocca, cinquanta amore”, mormorò lei fissando a terra mentre si accendeva una sigaretta.
Sherlock stirò le labbra in un ghigno.
“Sei economica”.
“E tu a quanto pare sei parecchio disperato, allora”. Alzò gli occhi su di lui per gettargli un’occhiata distratta: sembrò stupita da quello che vide. “E perché mai, se sei così bellino? Ne conosco parecchie di donne che ti scoperebbero pure gratis”. Strisciò un tacco a terra e si lasciò sfuggire una risata volgare. “E anche più di un uomo”.
Tremava. Era disperata, aveva notato distrattamente Sherlock. Terrorizzata a morte, per fare un gioco di parole, da quello che aveva fatto.
“Sei… Gentile”.
“Esatto. Gentile ed economica”. Si portò nuovamente la sigaretta alle labbra. La sua mano aveva uno spasmo. “Allora, bocca o amore, bobby?”
Sherlock alzò un sopracciglio, vagamente impressionato. Abbottonò il cappotto sopra la sciarpa e si costrinse a non respirare il disgustoso puzzo di urina del vicolo in cui stavano parlando.
“Bobby?” chiese, una sfumatura divertita nella voce.
“Ne ho fatti di pompini a voi poliziotti. Tutti uguali”.
“E io ne ho incastrati di assassini. Tutti uguali”.
La vide spalancare gli occhi, impallidire, tremare un’ultima volta molto forte e poi rimanere perfettamente immobile. La sua faccia precocemente rugosa divenne una maschera di cera.
“Mi lasci l’ultima sigaretta, bobby?” gli chiese con una vocina quasi timida.
Sherlock tirò fuori il proprio pacchetto e annuì.
“Sì e no”.
“Cosa?”
“Sì, te la lascio. Anch’io ne ho voglia. E no, non sono un bobby”.
Si frugò nelle tasche. Strinse i pugni in un moto di frustrazione. Doveva aver perso l’accendino sul taxi.
Una mano dalle chiassose unghie scarlatte gli porse uno zippo d’argento.
“Prendilo” gli fece lei, facendogli segno sbrigativamente di accettarlo. “Me l’aveva regalato quel figlio di puttana”, ridacchiò, la voce spezzata e roca, “beh, quello stronzo. Rispetto per la categoria, mi hanno insegnato”.
Sherlock intercettò una porzione di braccio latteo coperto di lividi. Prese l’accendino.
“Bastava la metà delle coltellate per ucciderlo”.
“Bastava la metà delle botte per umiliarmi”. Gli lanciò un’occhiata feroce, da bestia ferita. “Ma che ne vuoi sapere, tu… Avrai vent’anni…”
“Ventuno”.
“Sei un po’ piccolo per essere già in polizia” ribattè lei, accendendosi un’altra sigaretta con il mozzicone ancora ardente. Sherlock la guardò imperturbabile.
“Ti ho già detto che non sono un poliziotto”.
“E cosa sei, a parte un drogato?”
Sherlock si interruppe con l’accendino acceso a mezz’aria. Imprecò nella propria testa.
Maledizione, si notava così tanto. Mycroft avrebbe ricominciato a fare storie.
La donna gli lanciò con uno sguardo a metà fra il sardonico e il condiscendente.
“Tesoro, io la spaccio quella roba nel tempo libero. So riconoscere uno che si fa”.
Finirono le loro sigarette in silenzio. Lei schiacciò la sua sotto il tacco di uno dei suoi stivali, dopodichè avanzò di un passo.
“Mi arresti tu?” chiese, la voce piatta. Sherlock fece un cenno di diniego, distogliendo lo sguardo da quegli occhi vuoti per un motivo che non sapeva bene spiegarsi. Si udirono delle sirene in lontananza.
“No” disse, e le voltò le spalle.
“Chi sei?”
Si fermò per girarsi a guardarla un’ultima volta.
“Davvero ti interessa?” chiese, gelido.
Lei fece spallucce.
“A questo punto? No”.
Fuori dal vicolo, Sherlock buttò lo zippo nel primo cestino disponibile. Arrivato a casa si fece una lunga doccia per togliersi quell’orrendo odore di dosso.
“Mi fai pena”, gli aveva detto Mycroft la prima volta che aveva avuto un’overdose. Piangeva.
Sherlock non piangeva per nessuno e non provava pena per nessuno.
 
3.
 
“Solo una”.
“Perché?”
“Buon Natale”.
“…”
“…”
“Fumare dentro un edificio, non è uno di quei… Uno di quei divieti per legge?”
“Siamo in un obitorio. Non puoi fare molti danni”.
“…”
“Come facevi a sapere che era morta?”
Io non piango per nessuno.
“Guardali”.
Io non provo pena per nessuno.
“Soffrono tutti così tanto”.
Io non soffro per nessuno.
“Ti chiedi mai se non ci sia qualcosa che non va in noi?”
Mi interessebbe farlo, almeno una volta.
“Tutte le vite finiscono”.
Non so se mi piacerebbe.
“Tutti i cuori vengono spezzati”.
Non penso.
“Soffrire non è un vantaggio… Sherlock”.
No, non penso.
 
2.
 
“Dai, te lo concedo”.
Sherlock voltò la testa sul cuscino per guardarlo, confuso e un po’ assonnato – non credeva che simili attività portassero via così tante energie. Ma d’altronde, come poteva saperlo prima di quella sera? Non c’aveva mai provato.
“Di cosa stai parlando, John?”
John gli sorrise e si voltò su un fianco. Quando sorrideva così gli si formavano delle rughine attorno agli occhi che convincevano Sherlock di quanto l’avrebbe saputo amare anche da vecchio.
“Puoi fumarti una sigaretta post-coito. Il dottore te lo concede”.
“Che cos’è una sigaretta post-coito?”
John ridacchiò, scuotendo incredulo la testa. Sherlock non aveva mai sofferto a causa di nessuno (non di John… specialmente non a causa di John) ma non era neanche mai stato felice, a causa di nessuno. Si chiese se amare e soffrire fossero due fenomeni in qualche modo legati: se, ora che era sicuro al 98% di stare amando, avrebbe potuto vivere un giorno anche il dolore.
“Quanto si vede che non sei andato abbastanza al cinema… Pare che le sigarette siano particolarmente piacevoli dopo un orgasmo. Credo che questa situazione sia stroardinaria a sufficienza da poterti permettere uno strappo alla regola”.
Pensò a quelle stesse parole pronunciate da quello stesso John in un altro letto, in un’altra casa, sussurrate nella stessa tenera maniera a un’altra persona.
“Sherlock? Non volevo sconvolgerti. Io sono solo contento se non fumi”.
Gli sfiorò una guancia e Sherlock, ancora legato col pensiero a quell’universo parallelo in cui John non era suo, sentì una puntura sconosciuta al cuore.
“Sherlock!”
Sorrise. Eccolo, il dolore.
 
1.
 
“Nervoso?”
“Ti straborda la pancia dal tight”.
Mycroft trasse un lungo, indispettito respiro pieno di pazienza.
“…Nervoso. È normale”.
“Non essere stupido”.
Si sporse per sistemargli il colletto aperto della camicia sopra la giacca.
“Certo che potevi scomodarti a mettere una cravatta, almeno il giorno del tuo matrimonio”.
Sherlock arricciò le labbra come se volesse morderlo.
“Se ti ho permesso di assistere, è solo per non fare un dispiacere alla mamma. Quindi ringrazia di poter essere qui e smettila di seccarmi con le tue maniere da upper-class”.
“Noi siamo upper-class, Sherlock…” ribattè Microft impassibile, sfoderando un lento sorriso da gatto, “E comunque, temo che avresti dovuto sopportare in ogni caso la mia presenza. A meno che tu non volessi far arrabbiare la tua dolce metà”. Gli stirò le pieghe sulle spalle, meticolosamente, accuratamente. “E tu non vuoi, vero, Sherlock?”
Harry mi fa da testimone. Ergo, Mycroft ti farà da testimone.
No.
Sì.
No!
Sì!
Oh per l’amor di Dio, John! Si tratta di stupide, deprecabili, ridicole convenzioni sociali!
Come lo è il matrimonio, mi spiace deluderti! Io non farò la figura dell’incivile per colpa tua!
Piuttosto… Piuttosto lo faccio fare a Donovan. Ma non a lui.
Bene. Allora non ci sposiamo. Perfetto, così risparmiamo un po’ di soldi – siamo indietro con le bollette.
John-
Ho bisogno di un po’ d’aria. Pensaci.
“Come accidenti- Mycroft, ti avverto: ogni invasione della nostra privacy verrà severamente punita, d’ora in poi”.
“Oh ma certo, certo. Sigaretta?”
Sherlock gliel’avrebbe spenta proprio sulla punta di quel suo naso adunco, ma non voleva presentarsi con un testimone sfigurato. Si sarebbe intonato male col vestito di Harry.
“Sì”, masticò, strappandogliela di mano, “Grazie, Mycroft”.
“C’è il rischio che io mi commuova, lo sai, Sherlock? Tutta questa tua affettuosa accondiscendenza…”
Sherlock era così concentrato nell’escogitare un modo per vedere John prima della cerimonia che quasi gli sorrise mentre si accendeva la sigaretta.
“Fa’ un po’ quello che vuoi” disse, lisciandosi le pieghe dei pantaloni allo specchio.
 
0.
 
“Tieni”.
Alzò lo sguardo su John. Era raggiante, ma sembrava voler mascherare tutto quell’entusiasmo per cercare di non rovinargli una qualche sorpresa.
Inutile dire che stava fallendo miseramente.
“Di che si tratta?” chiese, chiudendo il portatile che aveva appoggiato sulle ginocchia. Era confuso e anche un po’ stupito dalla strana offerta che John gli stava facendo. “Io non fumo sigari, John”.
Lui rise, dondolandogli sotto il naso una scatola colma di cubani. Sherlock sorrise d’istinto.
“Neanch’io, neanch’io. Ma questa è un’occasione speciale. È l’usanza di rito”.
Sherlock aggrottò entrambe le sopracciglia. Prese un sigaro, decidendo di obbedirgli, sebbene fosse sempre più perplesso.
“Cosa sta succedendo, John?”
Si era seduto davanti a lui, nella sua poltrona. Era un’immagine che da sola riusciva ancora a scaldargli il cuore, anche dopo tutti quegli anni. John, in casa loro, nella sua poltrona.
“Non c’è che dire, Holmes”, mormorò John dopo un finto sospiro rassegnato. La voce gli tremava un po’ per l’emozione. “Mi hai proprio incastrato per la vita”.
“John, se non mi dici subito che ti prende io-”
“Sto per diventare padre” lo interruppe l’altro, gli occhi luminosi.
Sherlock sobbalzò avvertendo un rumore inconsulto: aveva spezzato il sigaro di netto a metà, con le sue dita sottili.
 
 
 
 
 
 
 
 
Note dell’autrice: una cosina senza pretese, che spero vi piaccia. :D
P.S. I “bobbies” sono, in gergo, i poliziotti di Londra.
P.P.S: il neo-papà usava regalare sigari in giro il giorno della nascita del pargolo, per chi non lo sapesse. :D 
Edit al post-scriptum: in seguito ad alcuni commenti, penso che urga una precisazione. L’ultimo episodio della storia non allude a una mpreg (male pregnancy) nella mia testa: è una scena volutamente ambigua, e ovviamente ciascuno può leggerla come meglio crede, ma non era nelle mie intenzioni suggerire un innuendo di questo tipo. Penso che l’avrei inserito negli avvertimenti,  se così fosse stato. Spero di non aver (involontariamente) urtato la sensibilità di nessuno. Passo e chiudo :*
   
 
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