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Autore: kikkinavampire    18/09/2012    0 recensioni
Edward Masen non è un ragazzo normale, anche se vorrebbe esserlo: una serie innumerevole di cicatrici marcano il suo volto e lo marcheranno finchè vivrà. Coinvolto in un brutto incidente nel quale sono morti i suoi genitori e che ha cambiato il suo destino, è ormai convinto non avere più speranza di una vita migliore.
"La consapevolezza che un giorno sarei morto stranamente mi teneva in vita, dato che ormai la speranza di una vita migliore si era affievolita fino a scomparire. Anche perché la mia non si poteva nemmeno chiamare vita: mangiavo, dormivo, leggevo, ma non vivevo. Avevo smesso di vivere il giorno dell’incidente, come se la mia anima fosse rimasta intrappolata in quella casa e il mio cuore avesse smesso di battere vinto dal fuoco".
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Pray.

Prologo.

“Sventurato, Catullo, smetti di essere folle, ciò che vedi che è perduto, consideralo davvero perduto, brillarono una volta giorni felici[…], non essere infelice, ma con mente irremovibile, sopporta, persevera. […]Ormai Catullo tiene duro, […]che vita resta? Ma tu, Catullo, tieni duro!”


Avevo smesso di pregare da molto tempo, ormai. Da piccolo mi avevano insegnato a pregare, mi avevano detto che se mi fosse successo qualcosa di brutto, non avrei dovuto abbattermi, ma avrei dovuto pregare, perché così le cose si sarebbero sistemate.
Così, quando i miei genitori morirono nell’incendio di ormai molti anni fa, e quando il mio viso rimase per sempre rovinato da un’immensità di cicatrici, io pregai. Pregai affinchè il tempo tornasse indietro, affinché le cicatrici sul mio volto, causa di riso, sparissero, affinchè i miei genitori tornassero indietro. Ma ,per quanto pregassi, nulla tornava come prima. Anzi, tutto andava peggio.
Fu in quel momento che smisi di pregare. Probabilmente, pensavo, il mio Dio si è scordato di me.
 
L’incidente ..non lo ricordo bene. È come se fosse successo a qualcun altro e che quel qualcuno me l’avesse raccontato e io ricordassi solo frammenti del suo racconto, solo parole senza senso perché non lo stavo ascoltando. Ricordo le fiamme che mi avvolsero il viso, ricordo urla, calcinacci che cadevano, i miei poster al muro che prendevano fuoco, ma non ricordo cosa causò l’incendio, non ricordo cosa fecero i miei genitori, non ricordo cosa feci per uscire da quella casa infernale.
La maggior parte delle cose non le ricordo perché non le ho vissute: non c’è mai stato un momento in cui, durante quell’incendio, io abbia visto i miei genitori, mai un momento in cui capissi che cosa l’aveva causato. Ricordo che mi svegliai in ospedale, un dottore era seduto accanto a me, in coma da ormai due giorni: in poche parole mi disse che il mio viso era un insieme indefinito di cicatrici, che i miei genitori erano morti e la mia casa era a pezzi.
Dopo di che, la mia vita si può riassumere in una parola: solitudine.
Avevo otto anni, vivevo con i miei nonni in un paesino chiamato Vighizzolo, dove tutti gli abitanti parlavano di me, del mio volto distrutto e ridevano appena mi incontravano. Fin da allora mi chiamavano “La Bestia”.
Anche la scuola per me era stata un’esperienza da dimenticare: non solo i ragazzini mi prendevano in giro, dandomi un’infinità di soprannomi, ma perfino le maestre e i professori in seguito. Smisi di andare a scuola a sedici anni, quando i miei nonni morirono e io mi trasferì in un piccolo appartamento nelle vie secondarie di Cantù, a pochi chilometri da Vighizzolo.
Non fui mai amato, né amai mai: i miei nonni si vergognavano di avere me come nipote e mi avevano convinto del fatto che probabilmente se fossi morto, sarebbe stato meglio.
Io, invece, non amai mai persone, solo cose, o per meglio dire amai la poesia, l’arte, la musica, la lettura, ma mai persone. Amai anche l’idea della morte: una volta progettai un piano perfetto per togliermi la vita, sarei stato libero, finalmente non più solo. Ma non fui abbastanza coraggioso da spingere la lama a fondo nella pelle: due lievi cicatrici sui polsi si unirono alla collezione.
La consapevolezza che un giorno sarei morto stranamente mi teneva in vita, dato che ormai la speranza di una vita migliore si era affievolita fino a scomparire. Anche perché la mia non si poteva nemmeno chiamare vita: mangiavo, dormivo, leggevo, ma non vivevo. Avevo smesso di vivere il giorno dell’incidente, come se la mia anima fosse rimasta intrappolata in quella casa e il mio cuore avesse smesso di battere vinto dal fuoco.
 
Ero sempre stato ,fin da piccolo, un bambino pensieroso: amavo immaginare storie, mondi sconosciuti e a volte finivo per perdermi in quegli stessi mondi e la mia vita nella mia immaginazione era molto più bella, entusiasmante e divertente.
Anche ora, ad ormai vent’anni compiuti la mia immaginazione comprende un’innumerevole quantità di storie in cui io sono solo una persona normale. Sì, mi piacerebbe essere una persona normale, come tutte le altre. Ma ormai ho capito che questo non era possibile nella realtà, per cui devo accontentarmi della mia immaginazione.
Mi sento come tutti gli altri solo durante le visite mensili per i vari controlli al mio volto, nel posto che in fin dei conti odio con tutto me stesso: l’ospedale.
Lì ci sono malati di ogni genere, che ho imparato a riconoscere in base alla malattia durante le lunghe ore passate su quelle sedie scomode ad aspettare il mio turno. Tutti i malati provocavano in me una sensazione di tristezza che non posso descrivere, ma vedere un malato di cancro mi mette una fitta allo stomaco. Non so se c’è un perché: probabilmente perché so che molte di quelle persone non saranno lì a passeggiare su e giù per i corridoi il giorno della mia prossima visita.
Per i malati terminali provo l’invidia di stare per morire, ma so che per loro non è uguale: ognuno di loro ha una moglie, un marito o una famiglia e non può permettersi di lasciarle.
Qualche volta, ho anche pensato “se avessi una moglie anche per me sarebbe così”. Ma questa affermazione fa ridere detta da me, perché non avrò mai una moglie, né una famiglia. Ho letto che ci sono persone che sono destinate a rimanere sole, ma anche se il mio destino non fosse quello, chi amerebbe mai La Bestia?
  
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