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Autore: Human_    18/09/2012    2 recensioni
Si voltò lentamente, mentre lui ancora cantava, godendosi appieno la miriade di capelli resi quasi neri dalla pioggia, nettamente in contrasto con gli smeraldi verdi capaci di splendere meravigliosamente anche a quell'ora, anche quella sera che di splendere non aveva voglia neanche la luna.
«Vuoi un po' di the?» chiese, quasi ridendo. «Nonna lo sta preparando».
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Farewell.


Chiuse gli occhi, forse stanca, forse triste, e sospirò appena, impercettibilmente.
Restò così qualche istante, persa nello scrosciare della pioggia sui suoi capelli, i suoi vestiti, le sue braccia, i suoi pensieri, riflettendo su quanto sarebbe stato semplice, in quell'istante, volare, se solo all'uomo fosse concesso.
«Ti prenderai un malanno, prima o poi».
Sollevò l'angolo destro della bocca, giusto un pochino, e con gli occhi ancora serrati si rimangiò un 'Magari' e, con estrema leggerezza, rispose: «Stai tranquilla nonna, quando torno dentro mi metto qualcosa di asciutto».
«Fa' come vuoi» commentò quella, burbera. «Vado a mettere su il the, intanto».
Una risata lieve e poi silenzio, come sempre avrebbe voluto che fosse, ché riteneva sarebbe stato più bello, il mondo, senza più parole, con lettere scritte a mano dove i sentimenti sarebbero stati più veri e solo abbracci a dimostrare l'affetto, senza più discorsi strani che le facevano venire il mal di pancia, mondo in cui l'amore non sarebbe stato difficile, ma solo ed unicamente vero, puro.
Sorrise.
«E sorridevi e sapevi sorridere coi tuoi vent'anni portati così, come si porta maglione sformato su un paio di jeans».
Si voltò lentamente, mentre lui ancora cantava, godendosi appieno la miriade di capelli resi quasi neri dalla pioggia, nettamente in contrasto con gli smeraldi verdi capaci di splendere meravigliosamente anche a quell'ora, anche quella sera che di splendere non aveva voglia neanche la luna.
«Vuoi un po' di the?» chiese, quasi ridendo. «Nonna lo sta preparando».
Un sorriso. «Passo, grazie. Volevo solo salutarti, sapevo di trovarti in strada».
Sentì un groppo in gola al pensiero che davvero ci fosse qualcuno in grado di conoscerla così bene, nonostante a volte avesse come la sensazione di non conoscersi granché neanche lei stessa – Ciao, sono io, io io, intendo, che ne dici di andare a prendere un caffè e fare due chiacchiere, giusto per conoscersi meglio?
«Ti vuoi sedere un po' in veranda con me?» propose tentennando.
Non le rispose. Portò le mani nelle tasche dei pantaloni e, con l'angolo sinistro della bocca sollevato, andò a sedersi sul dondolo che molte volte, anni prima, li aveva visti abbracciati a guardare le stelle.
Lei sorrise a metà, il naso arricciato e la parte destra della bocca all'insù.
Piaceva loro, una volta, scherzare su quella loro differenza che li rendeva complementari, in qualche modo, trasformando i loro mezzi sorrisi in un sorriso intero, parti combacianti di un vecchio puzzle dimenticato in soffitta, incredibile coincidenza seminata dalla natura in un punto della Terra e dimenticata, probabilmente, in seguito, ma scoperta con infinita ingenuità.
«Oggi ho visto un libro che ti sarebbe piaciuto, sai?» esordì, entusiasmo misto a tristezza. «Mi sarebbe piaciuto comprartelo, ma...».
«Non importa, hai fatto bene» lo interruppe, sedendosi. «Non mi piace che mi si facciano regali».
Sorrise appena. «Sì, lo so. Ricordi quella volta che ti ho regalato il portachiavi a forma di stilografica?».
«Hai dovuto aspettare fino a Natale a darmelo, prima non l'ho voluto» rise, portando le ginocchia al petto e posando la testa sul dondolo, così da poterlo guardare meglio. «Me l'avevi messo in quella scatola rossa con quel babbo natale disegnato».
Iniziò a ridere. «E hai pure commentato “Sembra ubriaco, guarda che naso rosso! Ha pure la pancia da ubriacone!”».
Si persero qualche istante, lontani sei anni da lì, immersi nel freddo dicembrino di un Natale senza neve, seduti ancora in quel bar che mai più li aveva visti, o almeno non insieme.
«Mi smontavi sempre, qualsiasi cosa carina facessi, e poi ti entusiasmavi quando facevo cose banalissime, per cui io mi sarei anche sputato in un occhio» bisbigliò, di ritorno alla realtà, ad un presente in cui vivevano (fin troppo) lontani l'uno dall'altra.
«Ho un concetto di carino un po' diverso dal resto dell'universo, tutto qui» bisbigliò a sua volta.
«Hai molti più concetti discordanti, Stellar».
Lo fissò negli occhi, con un intensità tale da sentire quasi la testa girare.
Erano anni che nessuno la chiamava così, con quel soprannome che tanto l'aveva fatta sentire speciale quando i pensieri erano ancora incentrati sulla scuola e la sua famiglia disastrata, quando sentirlo cantare quella canzone faceva fermare le sue lacrime salate di cui neanche sentiva più il sapore.
«Scusa, non... non volevo intristir-».
«Chiamami di nuovo così» implorò.
«Non volevo intristirti, Stellar. E no, non piangere, dai, per favore. Perché piangi?». Le si avvicinò, accarezzandole la guancia sinistra con la mano destra mentre con la sinistra percorreva su e giù la tibia destra, asciugandole le lacrime con il pollice. «Sono qui».
«Mi manchi tanto» disse, a mezza voce. «Non è proprio la stessa cosa, adesso che non ti vedo tutti i giorni, e rido e piango senza di te. Sembra quasi inutile».
Non le rispose, di nuovo. Si sporse e l'abbracciò.
«Dimmi che non te ne vai».
«Non posso».
«Dimmi che non te ne vai».
«Non me lo chiedere più» supplicò, la voce rotta e il cuore figuriamoci.
Sarebbe stato proprio quello che avrebbe voluto poterle dire, Non me ne vado più, te lo prometto, resto qui e ti preparo i pancakes che ti piacciono tanto e ti abbraccio ogni giorno, scaccio i ragni e ti canto una canzone ogni sera, ma non poteva, non avrebbe potuto mai, dovevano rassegnarsi entrambi all'idea che non si sarebbero potuti appartenere più di così, mai se non nei sogni, ma i sogni, per loro, non erano abbastanza.
Affondò il viso nei suoi capelli quasi blu, sentendo il suo naso a contatto con la clavicola e le sue lacrime mescolarsi all'umidità già presente sulla sua camicia. «Passa?».
Lei annuì e si staccò, asciugando le lacrime con le dita e tirando su col naso. «Passa, tranquillo».
Tornarono seduti un po' più distanti, bagnati come due pulcini.
«Studi ancora, vero?».
«Sì» rispose. «Come previsto».
«E...» iniziò, timoroso. Deglutì. «Stai con qualcuno, adesso?».
«No». Lo guardò negli occhi e notò il disappunto. «Come previsto» aggiunse, quasi sfidandolo.
«Non sono nessuno per dirti cosa fare» commentò, sospirando.
Lo ignorò. «Si sta bene, lì dove sei?».
«Non male. Ho un pianoforte e un sacco di libri...», ma non ci sei tu, avrebbe voluto aggiungere.
Non disse altro.
«E dov'è che sei, esattamente?» domandò, quasi con liberazione, come se fossero anni che attendeva di poter fare quella semplice, esatta, domanda.
«Non so spiegartelo, ma è un bel posto».
Annuì. Si aspettava qualcosa del genere.
Da lontano si sentirono i rintocchi del campanile, e lui, con un mezzo sorriso, si alzò. «È ora di andare. Torno a trovarti, ti va?».
Si issò sulle gambe al suono del terzo, sentendosi stranamente più pesante del solito, e di certo non per colpa della pioggia che ancora le restava attaccata ai vestiti. «Torna quando vuoi, Fabri. Io ti aspetto sempre».
«Non aspettarmi» disse, a metà tra l'ordine e la supplica, e lentamente, ma non abbastanza, le accarezzò le labbra con la sua bocca rossa che sempre le aveva dato l'impressione di sapere di lampone, quasi.
Si guardarono qualche istante negli occhi, verde nel blu, altri sei rintocchi, poi lei, semplicemente, con il suono del temporale nelle orecchie, lo guardò allontanarsi con quella camminata strana che l'aveva sempre fatta sorridere un po'. Tirò indietro i capelli avvicinandosi alla porta. Sentì il profumo del the e portò una mano sulla maniglia.
Il dodicesimo rintocco, e prima di vederlo sparire oltre la curva, con voce tremante, semplicemente, persa nella sua strana camminata, sussurrò «Buon compleanno, amore».







Okay, salve.
Questa shot l'ho scritta mesi fa, ed ho aspettato questo preciso istante per pubblicarla perché a mezzanotte sarà il diciannove settembre ed appunto il compleanno di questo ragazzo qui di cui non voglio iniziare a parlare altrimenti finisco a pasqua.
Comunque.
Non mi dilungo, per vostra fortuna, però voi come sempre se avete voglia potreste lasciarmi scritto un parere – che può essere anche una parola sola, eh, non pretendo poi molto.
Un abbraccio fortissimo a tutti.

Human_

   
 
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