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Autore: GaiaTon    19/09/2012    8 recensioni
Serie di one shot variegate. La prima si intitola Scherzi da caserma. Cosa succederebbe in una calda giornata d'estate se Porthos e Athos invitassero troppo insistentemente Aramis a farsi un bagno con loro? La seconda ci racconta la piccante avvenura di un giovane moschettiere dal nome di una montagna greca...
Genere: Avventura, Commedia, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Aramis, Athos, Porthos
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Scherzi da caserma



Capricci è una serie di one shot. Scherzi da caserma è la prima, spero, di una serie. Si tratta di storie che mi affollano la mente, immagini di scene che stanno lì ed interferiscono con la fine dell'Orrendo Foco che io cerco con difficoltà di inquadrare per poi scrivere. Riversare queste scene su carta è una forma di liberazione, una valvola di sfogo.

A me piace scriverle, ma non mi piace piantare in asso le cose, quindi per certi versi sono infastidita dall'affollamento che popola la mia testa.

Buona lettura




L'episodio si colloca in un punto imprecisato del cartone prima dell'arrivo di D'Artagnan. I tre moschettieri rientrano a Parigi da una missione fuori città in un torrido giorno d'estate.




“Mio Dio che caldo!", sbottò Porthos allentandosi il colletto e allargando il farsetto sul petto.
"Per fortuna non abbiamo la casacca oggi!", aggiunse Athos che in un moto di rilassatezza aveva tolto il farsetto per rimanere in camicia.
"E voi Aramis, non avete caldo?", domandò Porthos mentre si asciugava il sudore che gli imperlava la fronte e beveva avidamente da una borraccia.
"Mmmpf", bofonchiò lei, facendo l'indifferente.
"Schiumano anche i cavalli", considerò Athos notando le chiazze scure che si allargavano sul petto delle loro cavalcature.
"Dobbiamo abbeverarli, prima che stramazzino!", e Porthos deviò dalla strada principale per addentrarsi nella boscaglia. Un sentiero si inoltrava dolcemente in un declivio, al termine del quale sapevano avrebbero trovato un ruscello. I cavalieri procedevano al trotto leggero sotto le fronde di alte querce, ma anche nell'ombra di quella fitta vegetazione la calura era insopportabile. Aramis represse un sospiro di disagio. In realtà aveva un caldo feroce, da dentro la sua giacca sembrava liberarsi il calore di un forno, ma non poteva permettersi, al contrario dei suoi amici, né di allentarsi il farsetto, né di rimanere in camicia. Il suo fisico molto poco virile sarebbe balzato all'occhio, una volta liberato dagli abiti studiatamente ampi. Grosse gocce di sudore le percorrevano la schiena, facendole aderire al corpo le bende e la camicia. Si era creato un tutt'uno appiccicoso con la stoffa che la ricopriva, una sensazione di insopportabile disagio. Sbuffò ancora. L'aria pareva mancarle, ma doveva stringere i denti, anche se non sapeva quanto avrebbe potuto resistere ancora senza farsi venire un malore. Dio, quanto avrebbe voluto anche lei potersi almeno allentare il farsetto sul collo!
I moschettieri, invece, liberati dagli abiti di troppo, procedevano con ritrovata baldanza. Dopo qualche minuto i tre raggiunsero il limitare di quello che era troppo piccolo per essere definito un laghetto: il torrente si allargava in un'ampia pozza azzurrina poco profonda circondata da massi muschiosi. Il gorgoglìo dell'acqua fresca arrivava ristoratore alle orecchie.
I tre amici scesero dai cavalli e cominciarono a liberarli dalle selle, poi, prima di condurli sulla riva per abbeverarli, cominciarono a passare delle pezze sui loro corpi schiumanti in modo da evitare che si raffreddassero1. Porthos si arrampicò su una delle grandi rocce e, sporgendosi con il braccio nell'acqua fresca, cominciò a riempire le borracce.
"Cari amici, qui ci vuole proprio un bagno. Quest'acqua è divina!".
A queste parole, Aramis si tese come una corda di violino. Non aveva ancora terminato di asciugare il suo cavallo, e continuò fingendo indifferenza, mentre valutava se era il caso di finire in fretta per dileguarsi con una scusa o continuare con studiata lentezza per sembrare affaccendata o indifferente alla proposta.
"Amico mio, non posso che seguirvi!", fece eco Athos al corpulento moschettiere, finendo proprio in quel momento con il suo Bajazet. Aramis, con le spalle ai suoi amici, percepì il rumore metallico della spada di Athos che veniva posata a terra, cui seguirono anche le altre armi. Poi fu la volta di due colpi più sordi. Aramis intuì che egli aveva levato gli stivali. Seguì quindi il fruscio degli indumenti che scivolano via dal suo corpo, pochi passi dietro di lei.
Oddio.
Il sudore di Aramis divenne improvvisamente gelido, mentre il suo corpo prese a tremare, doveva controllare il movimento della sua mano sul corpo del cavallo per non farlo apparire spasmodico.
Poi udì un tonfo pesante nell'acqua e il rumore di mille spruzzi che ricadevano ovunque come una pioggia torrenziale. Ecco Porthos che già doveva essersi tuffato. Aramis sperò di sentire anche Athos seguirlo a breve. Invece no, non ancora.
Doveva trovare un modo per andarsene di lì. Per evitare l'invito al bagno, per evitare di vedere i suoi compagni nudi. Per evitare di manifestare l'imbarazzo che già, era sicura, l'aveva fatta arrossire fin sopra i capelli e tremare di disagio e paura.
"Aramis, insomma! Ma voi non venite?", le urlò Porthos.
Ecco. L'aveva detto. E adesso?
Altre volte era riuscita a svicolare da questo genere di iniziative, ogni volta c'era riuscita con una varietà di scuse improbabili quanto fantasiose, tutte al limite della credibilità. Cosa avrebbe inventato questa volta? Cosa avrebbe fatto per non insospettire i suoi compagni?
Non poteva mentire dicendo di non avere caldo. Non poteva essere vero.
Non poteva raccontare ancora una volta – l'ennesima - di avere l'impellente necessità fisiologica di allontanarsi da sola nel bosco proprio in quel momento.
Non poteva dire che il sole le irritava la pelle facendola coprire di bolle.
Non poteva dire ancora che non sapeva nuotare, che non amava l'acqua, che era raffreddata, che aveva ancora una ferita non ben rimarginata dall'ultimo duello.
Aveva terminato tutte le scuse plausibili. E il fatto di avere i suoi amici praticamente nudi di fianco a sé non l'aiutava. E' che non era mai successo ancora. Le altre volte era riuscita a svignarsela prima di trovarsi di fronte a visioni quantomeno inappropriate ad un fanciulla. Porthos era già in acqua, e aveva cominciato rumorosamente a sguazzare cantando a squarciagola canzonette oscene, esprimendo in quel modo tutto la sua gioia per il bagno ristoratore. Athos era a qualche passo da lei, ma non si era ancora immerso anche se Aramis lo aveva chiaramente percepito svestirsi. Perché non era ancora in acqua? Cosa diavolo stava facendo? Probabilmente, si disse Aramis, stava appendendo ordinatamente i suoi abiti per evitare che si gualcissero, da vanitoso e metodico qual era.
"Allora, Aramis, non vi buttate con noi?", fece una voce calda alle sue spalle.
"No, grazie Athos. Non ne sento l'esigenza", disse freddamente lei, senza voltarsi verso il suo interlocutore, anzi spostandosi di fretta dall'altro lato del cavallo, come se sfuggire di un metro dalla prossimità dal corpo del suo amico la potesse far sentire meno in subbuglio. Il cavallo la separava dalla vista del nudo  dell'uomo di cui, da quella nuova posizione, per fortuna, vedeva solo il viso e le spalle.
Per fortuna.
Aramis continuava ad affaccendarsi scrupolosamente sull'animale. La povera bestia, però, vedendo i suoi simili abbeverarsi, mosse nervosamente un passo verso di essi. Aramis riuscì a trattenerlo per le briglie un attimo prima che esso lasciasse scoperta la vista integrale di Athos.
"Il vostro cavallo è perfettamente asciutto. Aramis, avanti, lasciatelo bere e venite a fare il bagno", aggiunse ancora Athos.
Aramis bofonchiò qualcos'altro di inintelleggibile.
"Non c'è motivo di avere vergogna, amico mio, siamo tra uomini, no?", le sorrise Athos, con dolcezza fraterna.
La giovane donna distolse lo sguardo irritata e confusa, rossa fino all'inverosimile. Un'espressione perplessa si dipinse sul viso del bel moschettiere moro. Mentre si allontanava a piedi nudi sulla riva muschiosa, un lampo furbesco gli attraversò lo sguardo, e un'idea gli balenava in mente. Porthos, che dall'acqua aveva seguito la scena facendo finta di nulla, riprese a cantare, ma un lampo del tutto simile a quello del suo amico gli illuminò lo sguardo. I due uomini si lanciarono un'occhiata di intesa. Aramis, ancora alle prese con il suo cavallo, non si accorse di nulla. Anche perché, non vista, si era concessa di indugiare pericolosamente con gli occhi sulla bella figura maschile che le volgeva le spalle, considerandone i dettagli anatomici con istintivo apprezzamento.
Calma, Aramis calma, si ripeté, quando si accorse della piega peccaminosa dei suoi pensieri.
Al di là di tutto era in pericolo. Non era solo imbarazzo, non erano le nudità dei suoi amici e tutto quello che non osava immaginare. Era pericolo. Pericolo vero. Anche se si trattava di Athos e Porthos. Bisognava stare calmi ed evitarlo. La vista del corpo di Athos e la sua vicinanza avevano quasi minato la lucidità con cui affrontare una situazione che, scherzi a parte, era estrema.
Ce la posso ancora fare. Pensò, calmandosi d'un tratto. L'istinto di conservazione prese vantaggio sull'imbarazzo.
Athos montò agilmente sulle rocce che sovrastavano il laghetto e con un gesto leggero si buttò nell'acqua riemergendo qualche metro più in là. Porthos continuava a sguazzare sguaiato, al canto dell'osteria numero mille. Aramis elaborò la sua strategia. Avrebbe condotto il cavallo sulla riva e poi, velocemente, nascondendosi tra i corpi degli altri due cavalli, si sarebbe allontanata da quel laghetto maledetto, cercando di non dare troppo nell'occhio, e sarebbe tornata un'oretta più tardi. Athos e Porthos nuotavano e non sembravano dare troppa attenzione a lei. Tirò un sospiro di sollievo, forse i suoi amici avevano finalmente capito che non amava bagnarsi o che non aveva piacere di mostrarsi senza vestiti o entrambe le cose. Cercò di non soffermarsi a pensare a quali motivazioni essi potessero darsi per un comportamento quantomeno bizzarro, ma tali elucubrazioni non erano d'aiuto soprattutto in quella contingenza.
Sospirò sollevata, prese il cavallo per le briglie e lo avvicinò alla riva. La povera bestia assetata cominciò a bere con avidità.
Poi successe tutto molto velocemente.
Una morsa d'acciaio la bloccò tenendola per le ascelle: Porthos. Un'altra morsa le afferrò le caviglie sollevandola: Athos.
I due moschettieri la solleveranno portandosi nel laghetto ad un paio di metri dalla riva. A nulla valse il suo divincolarsi agitandosi come un pesce. Dovette anche evitare di non strillare per non tradire acuti troppo femminili, ma si opponeva con energia.
“No! Non osate No!".
"Avanti, un bel bagnetto, amico mio!", annunciò gongolando Porthos.
Poi i due la sollevarono tirandola verso destra.
"No!" protestò lei con un urlo soffocato.
"E uno", dissero i due moschettieri in coro e la fecero ondeggiare.
"E due!", stava acquistando velocità.
"E tre!" e la lanciarono. L'acqua gelata la investì soffocandola, Aramis, che in altri tempi aveva imparato a nuotare, sapeva bene che in acqua bisogna tenere la bocca chiusa, ma tanta era l'agitazione che in quel momento lo dimenticò e bevve parecchio dalla bocca e dal naso. Riemerse dall'acqua tossendo forsennata, come fosse mezza annegata in mare aperto, invece si ritrovò praticamente seduta sul fondo melmoso del laghetto con l'acqua che le arrivava al petto. I moschettieri ridevano di lei, aspettando che anche lei, stando allo scherzo, si unisse alle loro risate. Non si accorsero che lei stringeva il pugno con rabbia, con il terrore che gli abiti le si appiccicassero troppo addosso una volta che avesse provato a uscire di lì.
Porthos e Athos smisero di ridere per guardarla. Erano sinceramente convinti di averle giocato uno scherzo innocente, uno di quelli abitualmente frequenti tra amici e commilitoni, e non potevano immaginare quanto l'avessero messa in difficoltà. Pensavano che Aramis fosse affetto da un'eccessiva ritrosia, da un esagerato senso del pudore, qualcosa che magari aveva a che fare con un'educazione rigida, come di chi fosse cresciuto in un convento. Volevano scuotere il loro amico, senza rendersi conto che invece lo mettevano ancora più in difficoltà. Non potevano immaginarsi la verità della situazione. Ovvero due uomini nudi a ridere di una giovane donna, travestita da uomo, bagnata fino alle midolla e terrorizzata di essere tradita dalla forma del suo stesso corpo.
"E ora non potete non togliervi i vestiti, andiamo Aramis... ve lo ripeto... siamo tra uomini!", Porthos fece per avventarsi su di lei e Athos le si avvicinò con il chiaro intento di cominciare a slacciarle il farsetto.
"Aramis, siete più pudico di un educanda. Non c'è peccato per un uomo a mostrare il petto!", le disse il moschettiere, scherzoso, ma gentile. E se Aramis gli avesse risposto con una battuta o l'avesse schernito a sua volta replicando, non se la sarebbe presa, anzi avrebbe riso di se stesso con Porthos e con lei. Ma non era questo il caso. Non poteva esserlo. Con buona pace di tutte le sue ingenue e ludiche intenzioni.
Aramis, che ancora non era riuscita ad alzarsi, seduta e mezza immersa nell'acqua gelida vide il moschettiere avvicinarsi verso di lei in scorcio da sotto in su. L'acqua non gli arrivava alla vita. Nonostante il fresco dell'acqua il viso della giovane andò in fiamme dovette distogliere lo sguardo dal suo compagno, fino a che non sentì le mani del moschettiere sfiorarle il collo per cercare di raggiungere il bottone del farsetto. Allora il terrore divenne improvvisamente gelato e convulso.
"Attento a quello che fate".
Athos si ritrasse repentino indietro. Tutta l'ilarità era sparita d'un tratto dal suo viso. Anche Porthos di fianco a lui si era fermato, basito per il gesto del moschettiere biondo. La spada di Aramis era puntata alla gola di Athos. Aramis si alzò in piedi tenendo ben ferma la lama ad una distanza infinitesimale dalla sua pelle. Non c'era più imbarazzo negli occhi della giovane, solo una fredda e dolorosa risolutezza.
"Aramis...", mormorò Athos tra lo sbalordito, l'irritato ed il mortificato.
La giovane donna non abbassò la spada, ma la spostò verso Porthos come se fosse un lungo dito accusatore che intimava anche al gigante di fermarsi. Egli non rideva più, conosceva abbastanza Aramis da riconoscere nei suoi occhi la stessa furia con cui affrontava i combattimenti. E non ne era solo sorpreso, ma ne era addolorato per averlo spinto fino a quel punto estremo, anche se per una ignota e incomprensibile ragione.
Di fronte alla muta resa dei suoi amici, Aramis, rinfoderò la spada. I tre si scambiarono una altro silenzioso sguardo, poi Aramis raggiunse a grandi passi la riva del laghetto e con i pugni serrati a sangue sulla pelle scomparve di corsa nel bosco. Quando trovò un angolo nascosto nel fitto della vegetazione, tagliato appena da una lama di sole si lasciò andare ad un pianto dirotto. Passò così un tempo indefinito, poi, lentamente, singhiozzando ancora a intervalli, cominciò a spogliarsi, avendo ben cura di non essere visibile. Stese i suoi panni nel lembo soleggiato della radura, rimanendo accucciata nell'ombra tremante di paura, di rabbia e di vergogna, mentre stringeva forte la spada in una mano e il pugnale nell'altra.
Non dovette aspettare molto perché i suoi vestiti fossero passabilmente asciutti, allora si fece coraggio e si rivestì scrupolosamente, si asciugò tutte le lacrime pulendosi il viso, quindi, calato bene il cappello sulla fronte perché non fossero visibili i segni del pianto sui suoi occhi, tornò al laghetto dai suoi amici.
Athos e Porthos l'aspettavano vestiti e pronti a ripartire, avevano sellato tutti i cavalli, anche il suo. L'accolsero con un'espressione seria sul viso, in cui si mescolavano il pentimento per aver spinto il loro amico ad un gesto estremo ed il biasimo per la reazione ingiustificatamente violenta che egli aveva avuto nei loro confronti. Si scrutarono qualche secondo, sospettosi. Aramis fu pienamente consapevole che l'esito di quel momento avrebbe anche potuto significare condurre una vita solitaria. Sarebbe stato un dolore profondo perdere gli unici affetti che ancora le rimanevano. Ma Athos mosse un passo verso di lei, tendendole la mano con un sorriso.
“Perdonateci, Aramis, se vi abbiamo messo a disagio. Non era nostra intenzione”, la giovane sbatté gli occhi un paio di volte, sentì gli occhi bruciarle di lacrime di gratitudine.
“Perdonatemi Athos, Porthos. Ho esagerato”, ammise lei, anche se in cuor suo sapeva di aver fatto l'unica cosa possibile per preservare il suo segreto.
“Sì, è vero... avete esagerato, ma lo abbiamo fatto noi per primi”, aggiunse Porthos che aveva già ritrovato la sua aria scanzonata. “non lo faremo più amico mio”, annunciò solennemente.
“Già... non fatelo più...”, mormorò Aramis con gli occhi bassi, mentre allungava la mano a Porthos, ma il gigante la travolse in uno dei suoi abbracci stritolanti, e le batteva la mano sulla schiena.
“Coraggio, amici, rimettiamoci in marcia. Parigi è ancora lontana!”, li esortò Athos montando a cavallo. Il più anziano dei moschettieri aveva visto le lacrime affacciarsi sugli occhi di Aramis, aveva avuto conferma che c'era una zona intoccabile del suo amico, qualcosa che costituiva un limite invalicabile anche per luie Porthos.  Cosa esso potesse mai essere il moschettiere non riusciva in alcun modo a spiegarselo, anche se per un attimo considerò che potesse trattarsi persino di un marchio di infamia impresso sul corpo dell'efebico amico. Poi ricacciò l'idea nel labirinto dei suoi fantasmi personali. Porthos lo riscosse dai suoi lugubri pensieri con una proposta.
“A me questo bagno ha fatto venire un po' di appetito... conosco un'osteria, qui, lungo la strada, dove fanno una fricassea d'agnello davvero sopraffina. Eh? Che ne dite Athos? E voi, Aramis?”. I due interpellati si guardarono e di fronte alla genuinità dell'amico , con gli occhi fissi uno nell'altra, dimenticarono tutto e, di nuovo solidali nel cuore, scoppiarono in una fragorosa risata.
Il sole si avviava al tramonto in quella giornata di mezza estate, tre cavalieri procedevano al trotto lungo la strada per Parigi. Il più grosso dei tre si teneva alla testa del gruppetto. Alla prima locanda sulla strada smontò da cavallo e fece cenno agli altri due di seguirlo dentro. E la serata terminò in allegria.

1Ho una vaga rimembranza di questa cosa da una mia amica che faceva equitazione. Vero, non vero? Non lo so, ma questa cosa per me è anche strumentale ai fini della narrazione.
   
 
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