Anime & Manga > Full Metal Alchemist
Ricorda la storia  |      
Autore: Mao_chan91    05/04/2007    4 recensioni
Si aggrappa ai ricordi per non scivolare via, ma da essi è trascinato con inaudita forza. Non può rialzarsi, perché vuole morire, un'ultima volta; per lei, di un amore che non è amore.
Vuole restare per lui, che cerca di trattenerlo.
Al può solo osservarlo, lui e i suoi sogni. Osservarlo mentre sa tutte queste cose, e le sa benissimo.
[Post-film, sorta di EdWin, POV di Al e Ed]
Genere: Triste, Dark, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Alphonse Elric, Edward Elric, Winry Rockbell
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

-

Questa è assolutamente la storia più complicata che abbia fatto, quest’anno, a livello mentale. Per il contest di Maki sul forum, al solito.
Vi prego, prima di iniziare la lettura, di leggere queste note, o potreste fraintendere questa storia intera, o urlarmi all’OOC, che non era mia intenzione inserire qui.
Quello che state per vedere qui, ci tengo a precisarlo, non è Ed.
Non a livello di OOC, come infatti non l’ho classificato, ma perché non è in sé. Ed sta male e delira.
Ed sta male e si aggrappa morbosamente al primo pezzo di passato verso cui ha qualche colpa, perché ha così tante cose che gli gravano in cuore che la prima va bene per aggrapparvicisi con la forza della disperazione, fare ammenda così.Non ho esplicitato nulla, ma si può serenamente dire che Ed abbia subito anche un trauma cranico.
Ed è incosciente, dice quel che pensa e quel che non pensa, quel che sente e quel che non vorrebbe mai dire.Non vi sono molti resti dell’Ed forte e combattivo, rabbioso e tutto; vi è un Al disperatamente attaccato alla sua vita perché teme la solitudine ed un nuovo distacco, teme che si lasci andare.

Non c’è amore, ma ossessione. O forse da qualche parte c’è affetto, ma francamente nell’anime e nel film non vedo come ricambiato l’amore di Winry, quindi qui non lo sarà.
Qui sarà, lo ribadisco ancora, un sentimento ossessivo che lui falserà senza individuare cosa sia, e nella sua testa potrà chiamare amore. Insomma, io supporto l’EdWin. Ma in questa cosa assurda che è un Ed fuori di sé non ci sono sentimenti razionali. O positivi.
Tutti sono buoni e crudeli, persino Al, solitamente così buono.
Ed, da una parte, è però cosciente di non essere in sé; nella sua testa, scinde sé stesso in due parti, e quella irrazionale, più forte, sopprime l’altra.
Per questo dice “sto arrendendo me stesso”, in un punto.
Ed Al, ehm, Al può suonare equivoco, ma nella mia testa è solo una piccola morbosità fraterna, che nell’anime magari può anche starci. Non volevo puntare all’Elricest, nella mia testa ^^;, e non so se ho finito per farlo.
Questa storia è stata in cantiere per secoli. Sarà dallo scorso autunno, accidenti, ma completarla ed esserne soddisfatta è stata dura. Miliardi di riscritture del finale e modifiche.
Anche perché, fino all’ultimo, sono stata a rodermi perché, come suggeriva Sil, poteva puntare all’OOC.
Ma io stessa, scrittrice, mi son resa conto solo più tardi che questa storia non era razionale. Ed non lo era. Il suo amore nemmeno.
La parte della telefonata, inoltre, è ispirazione tratta sempre da Sil, aka Onda.
Inoltre, nello scrivere la sua Requiem (leggetela, leggetela, è davvero bella ^^), mentre io completavo questa Halo, sono sorte, oddio, delle coincidenze che si possono vedere per parallelismi. Può essere divertentissimo confrontarle, anche perché non erano intenzionali, con la gelosia Al-Winry qui e Winry-Al là, o altre piccole cose.
Il sentimento di Winry in Requiem, confrontato all’Ed che troviamo qui, è amarissimo e crudele. Sul serio, leggete anche quella, e se volete potete divertirvi a paragonarle.
E per tutto il sangue che ho versato su questa storia, ovviamente, gradirei tanto ricevere commenti.

[Un tardo regalo di compleanno, a parte tutto, per Bea_chan. Molto tardi, ma auguri lo stesso.]





#04
Halo -Libero arbitrio


I can feel
The discomfort in your seat
And in your head it's worse

[Halo, Depeche mode]

Ogni giorno qualcosa è nuovo ed altrettanto incomprensibile; schiudendo gli occhi, serrando le palpebre, premendo le dita su una macchia rossa stagliata sul suo viso.


Sospira, alzandosi dal letto, scrutando allo specchio un’ombra che non sa bene come riconoscere quale sua; scrutando le crepe del vetro, come parti del suo riflesso, si sente scosso e qualcosa vibra anche nei suoi occhi.


Ricordando, è tornato ad aprire gli occhi.


Nei suoi giorni reali, al momento, lui è Alphonse Elric.


Di nuovo.


Ricordi?


Ricordi il bianco abbagliante, così sicuro e perfetto che era solito cingere con affetto i tuoi giorni infantili?


E non è forse ancora più doloroso essere sperduti, senza alcuna falsa luce da seguire, senza nessun dorato trofeo cui ambire?


Il loro è stato scarlatto, di quelle macchie che si allargano sul corpo, trapassando i vestiti, chiamando altro rosso; può affermarlo con certezza.

Lentamente, lentamente ne prenderà consapevolezza anche lui; ed andrà lentamente, lentamente in frantumi assieme a quel che gli è passato davanti agli occhi.


E’ tardi per rinnegare la propria vita.

Lo sa, e scuote la testa, sciacquandosi il viso, stringendo le labbra.


L’ultimo dei prezzi sarà pagato a breve, è come se l’aria gli penetrasse nelle ossa; come se fungesse da aspro sentore di un nuovo cambiamento.

Non importa, perché tutto è scomparso; e penosamente, si accinge ad iniziare una nuova giornata.

Ricorda il suo nii-san stringerlo, forte; ricorda il boato che gli ha lacerato a lungo le orecchie.

Rimbomba ancora lo squarcio bianco del profondo dei suoi occhi, che tutto ha reso sordo e tutto ha reso inconsistente.

-

E’ tenue come un terso cielo il sorriso fraterno, cupo il ridondare dei denti chiari sul bianco accecante di ogni dettaglio.

Alphonse pensa che un colore così puro e perfetto è fastidioso; pizzica nervosamente i nervi, vessando i suoi limiti e delimitandoli nettamente come i confini di qualcosa d’insormontabile.

Guarda, guarda le mie mani. Crudelmente, non vi è pelle raschiata o portata via a strappi di carne. Non è come la mancanza di un braccio o una gamba, è mancanza di me. Non è colpa di qualcun altro, Al. E’ perché ho voluto dimenticare le mie radici, è una punizione. Io sto uccidendo me stesso. Io sto arrendendo me stesso.

Si sforza di trattare ogni ricordo ipocrita e non suo con qualcosa di persino simile a garbo, alle volte.

Non odio, non odio affatto questo.

Lui è il mio adorato fratello morto per me.


E’ quella dolce parte di lui che continua ad aggrapparsi a questa vita terrena, continua a sorridermi.


"Chissà. Chissà se anche questa volta abbiamo perduto qualcosa senza guadagnare nulla."

Alphonse non ricollega bene queste parole alle proprie labbra, eppure le ha scandite di persona, al momento.

Edward sorride ancora, più ampiamente, il viso contratto in una smorfia così incisavi da dover certamente essere dolorosa; non gli si bagnano gli occhi, ma Alphonse può con certezza affermare di vedere un’ombra scura attraversare le iridi chiare e vitree –pulite- del fratello.

Forzandosi, anche forzando sé stesso Edward non riesce a parlare.

Agitandosi convulsamente, egli ricade di schiena sul materasso duro e bianco del letto, ed il fratello lo sente gemere e soffocare entro il palato maggiori urla per pura abitudine, rigettando indietro ogni nome come per strozzarsi.


’Maledizione.’ sarebbe la sua prima parola, può giurarci.

‘Winry.’ la sua ultima.

"Andrà bene. Andrà bene anche questa volta."


L’Elric minore è pesantemente e nitidamente dilaniato da ogni tender di corde vocali, ed esce dalla stanza con passo lento ed umido d’una rassegnazione mai disillusa.

Chiamerà i medici, ed andrà meglio ogni cosa; il bianco dei camici lo lacererà ancora ed ancora.

-

Quando Edward sogna, è come se i sogni assumessero figure mostruose e reali.

Può sentirli con chiarezza assumere consistenza attorno a sé, stringerlo forte ed opprimerlo, mozzargli il fiato.

Pensavo di trovare una soluzione anche a cose più grandi di me.

Ma la guerra, quella vera, dove il sangue è reale e denso, non l’ho incrociata nemmeno di sfuggita.

Perdonami.


Perdonami se sono inciampato nel nostro cammino.

Perdonami se non voglio rialzarmi, perché questa passività mi dà riposo ed è la mia salvezza.

Perdonami.


Perdonami.

Ricorda di scatto, e sono capelli biondi ed affetto sincero; abbracci caldi e caldo alle gote.

Lo svolazzare di un vestito fiorito.

Ricorda, ma quel sentimento gli devia il cuore; e suo fratello deve essere la sua priorità.


Ricorda, ricorda poi -per distrarsi- la sensei; non sa come stia la sensei.


Non l’ha mai domandato ai sorrisi affabili di Al, non l’ha mai ricercato nel suo sguardo affranto.


Dopotutto lui stesso non vorrebbe sapere ogni cosa; vorrebbe fare ammenda, più e più volte, da sentirsi soddisfatto d’un colpo, scegliendo per una volta una strada facile; è più lento il logoramento del cuore, se la ferita non è visibile all’esterno.

E’ più lento il logoramento, per questo ora Winry gli sorride, così bianca e lieta da parer santa, pervasa da una sorta di aura benigna e celestiale.

Non è lei.

Ha pianto, al suo solito; è felice, ma piange, con il viso maledettamente, maledettamente rosso ed inondato di lui.

Non è lei.

Le dice, pacatamente, che non è affatto carina quando piange; che il rosso sul suo viso non sta bene, e lei è nervosa, e fa diversi passi indietro.

Non è lei.

Vi ha rinunciato, poco tempo prima.

No, non è affatto lei: è quanto dei suoi resti alberghi assieme a lui, in un misto di ricordi e contraddizioni rielaborate dalla sua mente.


Ad ogni cosa, ad ogni elemento della sua vita reale.


E lei ora non c’è, non c’è.

Può cercarla quanto a lungo creda, ma l’ha lasciata senza tormento, con frivolezza ed egoismo.

E’ perduta.

E’ tutto perduto.

-

"E’ già un miracolo che suo fratello e lei siate usciti vivi dall’incidente, signor Elric."


L’anziano medico scuote un poco la testa, con l’aria di chi tratta con un bambino caparbio ed ottuso, scrollando le spalle.

Si allontana freddamente, il passo possente contro il pavimento incrinato; il ragazzino pensa che potrebbe farlo tremare a frantumarlo col solo passo, e solleva appena un sopracciglio.

Quando alza la testa Alphonse ha quattordici anni ed è saldo e fiero nelle sue convinzioni, avvicinando la stanza del fratello con il passo irriverente di chi si ribella violentemente ad ogni velleità impostagli dal Fato.


Quando tende la gamba ad allontanare un nuovo passo di distanza tra sé e il fratello maggiore ha dieci anni ed è spaventato, empio del terrore che eccita il suo sangue e della fiacca opposizione che non azzarda opporre al fratello; cala la mano ed è il bambino innocente e curioso di sei anni che vive per accontentare ogni persona che lo circondi, si sente realizzato d’ogni sorriso ch’ispira ed ottiene come suo vanto ed orgoglio, stringendosi al grembo materno mentre si addormenta ad una ninnananna, giocando con il fratello, cingendo gessetti bianchi tra le dita tozze e paffute, con la sua presa maldestra che intenerisce e merita una carezza al capo.

Quando chiude gli occhi tutto è finito ed annebbiato; scosta la porta, e siede fiaccamente.


Edward lo chiama, tremante, e sente terrore vibrare nel proprio ventre, come convulsa e nervosa nidiata animale.


"Sono qui, nii-san. Sono sempre qui."


Sorride teneramente, d’una dolcezza che lo inasprisce e non mostra, sfiorando la mano fraterna in conforto.

L’altro si placa un poco, e sbarra gli occhi, contraendo ogni muscolo forte.


"Vorrei fare ritorno…perdonami, voglio fare ritorno…perdonami."

Alphonse aggrotta la fronte e si scosta sudando gelidamente dal fratello, che continua a guardare il soffitto, lacrimando velatamente per lo sforzo degli occhi, ancora spalancati.


Sa dei sogni che il fratello ha fatto, ultimamente; sa del suo sentimento di colpevolezza, che lo assale e lo divora, e sa di essere un bambino irresponsabile ed egoista nel proprio comportamento, ma non sa cosa fare se non ignorarlo e confortarlo.


"Non ti capisco. Non so di cosa stai parlando." prorompe compostamente il fratello minore, nervoso nel tic che sfoga tormentandosi le mani in grembo, sino a farle sanguinare, tempie bagnate, respiro frammentario.

"Se tu te ne stessi buono, guariresti del tutto. E potresti tornare da me, ad essere mio fratello."

Le flebo collegate al maggiore dei due si scuotono alla trazione forte e scomposta del braccio di lui, che stringe forte gli occhi, scuotendo la testa.


"Cos’altro vuoi da me? Non so più cosa darti. Ti prego. Ti prego. Non ho nient’altro da offrirti. Non ho nulla che valga abbastanza. La vita ho provato a dartela, ma non è valsa abbastanza da essere accettata. Ti prego, non ho altro. Ti prego."

Alphonse volta il capo dall’altra parte, e non ha altro da dire.

-

“Non torni mai. Perché non torni mai? Non una notizia. Non una telefonata. Perché non torni mai? Perché mi rendi infelice? Perché ti voglio bene?”

Lui sente, con uno sforzo che lo rende esanime e madido d’immaginario sudore, che lei vorrebbe che fosse lì.

Lui stesso lo vorrebbe.

“Al...ha bisogno di me. E’ così piccolo. E’ così ingenuo. Però…“

Le braccia di lei ricadono mollemente sui fianchi, con l’irruenza meditata di un gesto volto a farla osservare con più attenzione.

Poi si preme le mani sui fianchi scrutandolo, severa e leziosa.

“Hai ancora i vestiti tutti sporchi. Dovresti lavarli.“

“Mh. Ho tentato. Ma non viene via tutto. Mai.“

Lei lo fissa, vagamente interdetta, due metri tra di loro, ma le gambe di lui sono troppo fiacche, ormai cedenti al suolo, per raggiungerla.

“Non credo che ci rivedremo.“

“No. No, è perché i miei vestiti non sono puliti? E’ per questo?“

“No. E’ perché non puoi raggiungermi nel modo che vuoi tu.“

“Ma io ci riuscirò, funzionerà, te lo prometto!”

Winry sorride, stancamente, allungando un paio di passi e le braccia a lui, stringendo le sue mani tra le proprie.

“Ora, io…“

“...te ne vai?“

“No. Io resto sempre a casa. Sono sempre lì ad aspettare te, una tua notizia. Ma non torni, e non tornerai.“

“No, tornerò! Tornerò!”

E lei gli sorride ancora, mesta, mestissima e paziente.

“Ciao, Ed.“

Qualcosa invece opprime lui, tirandolo giù, flagellandone la schiena, premendo ogni suo organo, tirandolo per le spalle.

“No. No. Voglio tornare. Voglio...restare...voglio restare qui!“

-

E’ di nuovo il giorno dell’incidente di mesi prima, ed Ed e Al sorridono entrambi; eppure Edward è triste.


Alphonse lo scorge, e non sa cosa dire.

E’ affranto, e non riesce a concentrare l’attenzione sulla strada, sulla macchina che, non troppo inaspettatamente, pare avventarsi su di lui, ma schiaccia il fratello su di lui.

Il bianco del gesso, le flebo trasparenti, tante cose testimoniano questo, ed Edward l’ha protetto, non ha mai confrontato alcuna vita, ma la propria l’ha ritenuta d’un valore inferiore alla sua.

Edward ora dorme ancora, ed Al sa, benissimo, che sogna Winry con rimorso, rammentando con lei, in lei quello che non ha potuto fare.

Tutto quello che non è potuto essere.

Può vedere l’abbattersi dei mondi che appartengono entrambi loro, si scontrano, cadono in pezzi; e questi pezzi simili ma non uguali non si limitano a rompersi, ma si sovrappongono, confondendo sogno e realtà.

Mischiando frammenti anelati, più belli e numerosi degli altri, ma al contempo più piccoli e difficili da raccogliere.

Ed pare non accorgersene mai, ma Al guarda Ed quando non può vederlo, quando è tutto buio.

Attende l’ombra per nascondervicisi dentro, scivolandovi, come quando da piccolo scivolava dimenticando il timore nell’ombra protettiva del fratello.

Un’ombra che è ora così fredda, troppo fredda per usarla come nascondiglio dalla mamma indispettita dalle loro birichinate, di cui Ed si aggiudicava di sua sponte la colpa di entrambi.

Al era sempre innocente, così.

Ora non lo è più, ma vorrebbe, vorrebbe molto tornare ad esserlo.

Ma se questo significasse staccare la spina che rianima un poco Edward nei momenti di crollo, non può farlo.

Vuole che resti.

Ma se la spina, padrone della propria vita, Edward vorrà staccarsela da solo, morendo solo, immerso in un mondo immaginario in cui Winry è sempre con lui, non potrà volergliene a male, perché lo vedrà sorridere felicemente.

O probabilmente, se le sue prossime suppliche lo faranno davvero sentire in colpa, abbatteranno il muro della sua sordità forzata, per quanto questo stenterà ad accadere, lo lascerà andare davvero.

-

Lui pare stare meglio, al risveglio; leva il capo con il sorriso fiducioso e puerile che non gli è mai stato proprio, e che inquieta il fratello minore più di altro.

Quello guarda fiducioso, come lui stesso soleva guardarlo da piccolo, ingenuamente, lo priva d’ogni volontà di turbare la sua quiete mattutina, quando dimentica nuovamente come stanno le cose.

"Senti." frantuma il silenzio lui, sereno con l’imperturbabilità di un bambino sicuro e caparbio "Ho pensato ad una cosa. Devo telefonare a Winry, davvero. Dovrebbero farmi usare il telefono dell’ospedale senza problemi, no? Dai, se no si arrabbierà ancora con me. Devo dirle che torno presto."

E sorride ancora, ingenuamente svuotato d’ogni cogitare tremulo, fissandolo con quelle labbra sollevate e quel capo inclinato che è ben più di uno schiaffo morale per Al; è ben più d’un omicidio, perché un omicidio di Ed non ha valore, quando ogni istante uccide sé stesso senza problemi.

Rammentando un sentimento che non ha mai potuto manifestare verso la loro adorata amica d’infanzia ora così lontana, si sente infelice.

Questa sorta di gelosia che lo uccide con lentezza e pena costante, perché lui per lei sta impazzendo.

Per lei, lui sta abbandonando i suoi doveri di fratello maggiore.

Per lei, lui sta morendo.

E Winry è più buona di me. Non è mai stata egoista. Non l’ha mai trattenuto.

"Dai, accompagnami, così la rassicuro. Ah." dice poi, sostando qualche istante dopo essersi voltato verso la finestra "Torni anche tu?"

Lo ucciderebbe tra le sue dita solo per frenare lo strazio impostogli dal dover guardarlo senza dirgli niente, senza scuoterlo affatto per non spezzare l’incanto dell’illusione in cui annega, andando ogni giorno più a fondo.

Né apprezza pensar male di Winry, odiare Winry, ma questo è ora quasi indispensabile alla sopravvivenza di entrambi.

Lei lo sta uccidendo…no, lei non lo vorrebbe. E la sua vita è morte, come la sua morte è vita. Volendo la sua vita, io lo desidero in frantumi.

Perché se no lui gli chiederà ancora, credendo che non l’abbia sentito, di poter usare il telefono dell’ospedale per chiamare Winry, dirle che è in salute e tornerà presto, prestissimo.

E Winry è tanto, smodatamente più buona di me. Non è mai stata crudele con me, né con lui. Non ci ha mai ostacolati.

Così è, al momento, simile ad un orco cattivo egli stesso, e terrorizzato da tale pensiero.

Era solito essere buono; riconoscersi in sentimenti nivei e scomposti.

Ed ora nulla gli è più chiaro come prima.

Come quando sapeva che il papà era andato via, perché non c’era altra scelta.

Che stava seguendo Ed in un’impresa assurda, perché non poteva scontentarlo.

Che lo voleva lì, perché era suo dovere essere lì.

E se lui, alfine, chiederà ancora di questo collegamento al loro irraggiungibile mondo, di alzare la cornetta per salutare Winry affabilmente, dovrà dirgli di no.

E non esiterebbe un singolo istante a negargli questo sacrosanto, puro diritto, pur di non restare ancora solo, in questo smodato egoismo che lo rende persona sconosciuta a sé stesso.

Anche se chiamare un numero inesistente potesse servire a qualcosa.

Con un sorriso ingenuo tra le labbra Edward dorme, ore dopo, ed ancora sogna.

Si sente incredibilmente fiacco e privo di volontà, camminando senza sentire la consistenza di nemmeno un piede, muovendosi senza fatica.

Lei, triste e bianca, sbuca da un angolo affranta, tra un cipresso ed il buio.

Solcando prati verdi con passi umidi di piedi sanguinanti, come se avesse vagato a lungo cercando qualcosa.

Le dita nude dei piedi stringono debolmente il terreno sotto i piedi per non cedere e cadere, e lui, per la prima volta da quando la vede così bianca, la vede anche umana e stanca.

La vede avvicinarsi mentre lui cade, accomodarsi senza garbo sulle sue ginocchia mentre lui crolla, crolla senza terra sotto i piedi perché quel che è bianco di lei tutto circonda e tutto avvolge, lui compreso, mentre cade all’indietro, senza più distinguerla bene.

Winry è Winry ed il passaggio annebbiato nel contempo.

Winry è sé stessa e lui stesso nel contempo.

Winry è tutto e non è niente, bisbigli sottili e parole concrete che si sgretolano in un oceano soffocante.

“Hai detto tante cose, al telefono. E sei tornato per restare. Vero?”

Non sa cosa comporterà la sua risposta, ma sente le labbra di lei morbide sulle sue, molli sulle sue e scioglientisi nelle sue, saporite d’un sapore nostalgico ed ignoto.

Mischiando rancore ed agonia tra quelle labbra, annuendo piano, muore debolmente.

-

  
Leggi le 4 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Full Metal Alchemist / Vai alla pagina dell'autore: Mao_chan91