Questa
è assolutamente
la
storia più complicata che abbia fatto, quest’anno,
a livello mentale. Per il contest di Maki sul forum, al solito.
Vi prego, prima di iniziare la lettura, di leggere queste note, o
potreste
fraintendere questa storia intera, o urlarmi all’OOC, che non
era mia
intenzione inserire qui.
Quello che state per vedere qui, ci tengo a precisarlo, non
è Ed.
Non a livello di OOC, come infatti non l’ho classificato, ma
perché non è in
sé. Ed sta male e delira.
Ed sta male e si aggrappa morbosamente
al primo pezzo di passato verso cui
ha qualche colpa, perché ha così tante
cose che gli gravano in cuore che la prima va bene per aggrapparvicisi
con la
forza della disperazione, fare ammenda così.Non ho
esplicitato nulla, ma si può serenamente dire che Ed
abbia subito anche un trauma cranico.
Ed è incosciente, dice
quel che pensa e
quel che non pensa, quel che sente e quel che non vorrebbe mai dire.Non vi sono
molti resti dell’Ed forte e combattivo, rabbioso
e tutto; vi è un Al disperatamente attaccato alla sua vita
perché teme la
solitudine ed un nuovo distacco, teme che si lasci andare.
Non
c’è amore, ma ossessione. O forse da qualche
parte c’è affetto, ma
francamente nell’anime e nel film non vedo come ricambiato
l’amore di Winry,
quindi qui non lo sarà.
Qui
sarà, lo ribadisco ancora, un sentimento ossessivo che
lui falserà senza
individuare cosa sia, e nella sua testa potrà chiamare
amore. Insomma, io supporto
l’EdWin. Ma in questa cosa
assurda che è un Ed fuori di sé non ci sono
sentimenti razionali. O positivi.
Tutti sono
buoni e crudeli, persino Al, solitamente così
buono.
Ed, da una
parte, è però cosciente di non essere
in sé; nella sua testa, scinde
sé stesso in due parti, e quella irrazionale, più
forte, sopprime l’altra.
Per questo
dice “sto arrendendo me stesso”, in un
punto.
Ed Al, ehm, Al
può suonare equivoco, ma nella mia testa
è solo una piccola
morbosità fraterna, che nell’anime magari
può anche starci. Non volevo puntare
all’Elricest, nella mia testa ^^;, e non so se ho finito per
farlo.
Questa storia
è stata in cantiere per secoli.
Sarà dallo scorso autunno,
accidenti, ma completarla ed esserne soddisfatta è stata
dura. Miliardi di
riscritture del finale e modifiche.
Anche
perché, fino all’ultimo, sono stata a
rodermi perché, come suggeriva Sil,
poteva puntare all’OOC.
Ma io stessa,
scrittrice, mi son resa conto solo più tardi
che questa storia
non era razionale. Ed non lo era. Il suo amore nemmeno.
La parte della
telefonata,
inoltre, è ispirazione tratta sempre da Sil, aka Onda.
Inoltre, nello
scrivere la sua Requiem
(leggetela,
leggetela,
è davvero bella
^^), mentre io completavo questa Halo, sono sorte, oddio, delle
coincidenze che
si possono vedere per parallelismi. Può essere
divertentissimo confrontarle,
anche perché non erano intenzionali, con la gelosia Al-Winry
qui e Winry-Al là,
o altre piccole cose.
Il sentimento
di Winry in Requiem, confrontato all’Ed che
troviamo qui, è
amarissimo e crudele. Sul serio, leggete anche quella, e se volete
potete
divertirvi a paragonarle.
E per tutto il
sangue che ho versato su questa storia, ovviamente,
gradirei
tanto ricevere commenti.
#04 Halo -Libero
arbitrio
I can feel
The discomfort in your
seat
And in your head it's
worse
[Halo, Depeche mode]
Ogni giorno
qualcosa è nuovo
ed
altrettanto incomprensibile; schiudendo gli occhi, serrando le
palpebre,
premendo le dita su una macchia rossa stagliata sul suo viso.
Sospira, alzandosi dal letto, scrutando allo specchio
un’ombra che non sa bene
come riconoscere quale sua; scrutando le crepe del vetro, come parti
del suo
riflesso, si sente scosso e qualcosa vibra anche nei suoi occhi.
Ricordando, è tornato ad aprire gli occhi.
Nei suoi giorni reali, al momento, lui è Alphonse Elric.
Di nuovo.
Ricordi?
Ricordi il bianco abbagliante, così sicuro e perfetto che
era solito cingere
con affetto i tuoi giorni infantili?
E non è forse ancora più doloroso essere
sperduti, senza alcuna falsa luce da
seguire, senza nessun dorato trofeo cui ambire?
Il loro è stato scarlatto, di quelle macchie che si
allargano sul corpo,
trapassando i vestiti, chiamando altro rosso; può affermarlo
con certezza.
Lentamente, lentamente ne
prenderà consapevolezza anche lui; ed andrà
lentamente, lentamente in frantumi
assieme a quel che gli è passato davanti agli occhi.
E’ tardi per rinnegare la propria vita.
Lo sa, e scuote la testa,
sciacquandosi il viso, stringendo le labbra.
L’ultimo dei prezzi sarà pagato a breve,
è come se l’aria gli penetrasse nelle
ossa; come se fungesse da aspro sentore di un nuovo cambiamento.
Non importa, perché
tutto è
scomparso; e penosamente, si accinge ad iniziare una nuova giornata.
Ricorda il suo nii-san
stringerlo, forte; ricorda il boato che gli ha lacerato a lungo le
orecchie.
Rimbomba ancora lo squarcio
bianco del profondo dei suoi occhi, che tutto ha reso sordo e tutto ha
reso
inconsistente.
-
E’ tenue come un terso
cielo
il sorriso fraterno, cupo il ridondare dei denti chiari sul bianco
accecante di
ogni dettaglio.
Alphonse pensa che un colore
così puro e perfetto è fastidioso; pizzica
nervosamente i nervi, vessando i
suoi limiti e delimitandoli nettamente come i confini di qualcosa
d’insormontabile.
Guarda, guarda le mie
mani. Crudelmente, non vi è pelle raschiata o portata via a
strappi di carne.
Non è come la mancanza di un braccio o una gamba,
è mancanza di me. Non è colpa
di qualcun altro, Al. E’ perché ho voluto
dimenticare le mie radici, è una
punizione. Io sto uccidendo me stesso. Io sto arrendendo me stesso.
Si sforza di trattare ogni
ricordo ipocrita e non suo con qualcosa di persino simile a garbo, alle
volte.
Non odio, non odio affatto
questo.
Lui è il mio adorato
fratello morto per me.
E’ quella dolce parte di lui che continua ad aggrapparsi a
questa vita terrena,
continua a sorridermi.
"Chissà.
Chissà se anche questa
volta abbiamo perduto qualcosa senza guadagnare nulla."
Alphonse non ricollega bene
queste parole alle proprie labbra, eppure le ha scandite di persona, al
momento.
Edward sorride ancora,
più
ampiamente, il viso contratto in una smorfia così incisavi
da dover certamente
essere dolorosa; non gli si bagnano gli occhi, ma Alphonse
può con certezza
affermare di vedere un’ombra scura attraversare le iridi
chiare e vitree –pulite-
del fratello.
Forzandosi, anche forzando
sé
stesso Edward non riesce a parlare.
Agitandosi convulsamente,
egli ricade di schiena sul materasso duro e bianco del letto, ed il
fratello lo
sente gemere e soffocare entro il palato maggiori urla per pura
abitudine,
rigettando indietro ogni nome come per strozzarsi.
’Maledizione.’ sarebbe la sua prima parola,
può giurarci.
‘Winry.’ la sua
ultima.
"Andrà bene.
Andrà bene
anche questa volta."
L’Elric minore è pesantemente e nitidamente
dilaniato da ogni tender di corde
vocali, ed esce dalla stanza con passo lento ed umido d’una
rassegnazione mai
disillusa.
Chiamerà i medici, ed
andrà
meglio ogni cosa; il bianco dei camici lo lacererà ancora ed
ancora.
-
Quando Edward sogna, è
come
se i sogni assumessero figure mostruose e reali.
Può sentirli con
chiarezza
assumere consistenza attorno a sé, stringerlo forte ed
opprimerlo, mozzargli il
fiato.
Pensavo di trovare una
soluzione anche a cose più grandi di me.
Ma la guerra, quella vera,
dove il sangue è reale e denso, non l’ho
incrociata nemmeno di sfuggita.
Perdonami.
Perdonami se sono inciampato nel nostro cammino.
Perdonami se non voglio
rialzarmi, perché questa passività mi
dà riposo ed è la mia salvezza.
Perdonami.
Perdonami.
Ricorda di scatto, e sono
capelli biondi ed affetto sincero; abbracci caldi e caldo alle gote.
Lo svolazzare di un vestito
fiorito.
Ricorda, ma quel sentimento
gli devia il cuore; e suo fratello deve essere la sua
priorità.
Ricorda, ricorda poi -per distrarsi-
la sensei; non sa come stia la sensei.
Non l’ha mai domandato ai sorrisi affabili di Al, non
l’ha mai ricercato nel
suo sguardo affranto.
Dopotutto lui stesso non vorrebbe sapere ogni cosa; vorrebbe fare
ammenda, più
e più volte, da sentirsi soddisfatto d’un colpo,
scegliendo per una volta una
strada facile; è più lento il logoramento del
cuore, se la ferita non è
visibile all’esterno.
E’ più lento
il logoramento,
per questo ora Winry gli sorride, così bianca e lieta da
parer santa, pervasa
da una sorta di aura benigna e celestiale.
Non è lei.
Ha pianto, al suo solito;
è
felice, ma piange, con il viso maledettamente, maledettamente rosso ed
inondato
di lui.
Non è lei.
Le dice, pacatamente, che non
è affatto carina quando piange; che il rosso sul suo viso
non sta bene, e lei è
nervosa, e fa diversi passi indietro.
Non è lei.
Vi ha rinunciato, poco tempo
prima.
No, non è affatto lei:
è
quanto dei suoi resti alberghi assieme a lui, in un misto di ricordi e
contraddizioni rielaborate dalla sua mente.
Ad ogni cosa, ad ogni elemento della sua vita reale.
E lei ora non c’è, non c’è.
Può cercarla quanto a
lungo
creda, ma l’ha lasciata senza tormento, con frivolezza ed
egoismo.
E’ perduta.
E’ tutto perduto.
-
"E’ già un
miracolo che suo
fratello e lei siate usciti vivi dall’incidente, signor
Elric."
L’anziano medico scuote un poco la testa, con
l’aria di chi tratta con un
bambino caparbio ed ottuso, scrollando le spalle.
Si allontana freddamente, il
passo possente contro il pavimento incrinato; il ragazzino pensa che
potrebbe
farlo tremare a frantumarlo col solo passo, e solleva appena un
sopracciglio.
Quando alza la testa Alphonse
ha quattordici anni ed è saldo e fiero nelle sue
convinzioni, avvicinando la
stanza del fratello con il passo irriverente di chi si ribella
violentemente ad
ogni velleità impostagli dal Fato.
Quando tende la gamba ad allontanare un nuovo passo di distanza tra
sé e il
fratello maggiore ha dieci anni ed è spaventato, empio del
terrore che eccita
il suo sangue e della fiacca opposizione che non azzarda opporre al
fratello;
cala la mano ed è il bambino innocente e curioso di sei anni
che vive per
accontentare ogni persona che lo circondi, si sente realizzato
d’ogni sorriso
ch’ispira ed ottiene come suo vanto ed orgoglio, stringendosi
al grembo materno
mentre si addormenta ad una ninnananna, giocando con il fratello,
cingendo
gessetti bianchi tra le dita tozze e paffute, con la sua presa
maldestra che
intenerisce e merita una carezza al capo.
Quando chiude gli occhi tutto
è finito ed annebbiato; scosta la porta, e siede fiaccamente.
Edward lo chiama, tremante, e sente terrore vibrare nel proprio ventre,
come
convulsa e nervosa nidiata animale.
"Sono qui, nii-san. Sono sempre qui."
Sorride teneramente, d’una dolcezza che lo inasprisce e non
mostra, sfiorando
la mano fraterna in conforto.
L’altro si placa un poco,
e
sbarra gli occhi, contraendo ogni muscolo forte.
"Vorrei fare ritorno…perdonami, voglio fare
ritorno…perdonami."
Alphonse aggrotta la fronte e
si scosta sudando gelidamente dal fratello, che continua a guardare il
soffitto, lacrimando velatamente per lo sforzo degli occhi, ancora
spalancati.
Sa dei sogni che il fratello ha fatto, ultimamente; sa del suo
sentimento di
colpevolezza, che lo assale e lo divora, e sa di essere un bambino
irresponsabile ed egoista nel proprio comportamento, ma non sa cosa
fare se non
ignorarlo e confortarlo.
"Non ti capisco. Non so di cosa stai parlando." prorompe
compostamente il fratello minore, nervoso nel tic che sfoga
tormentandosi le
mani in grembo, sino a farle sanguinare, tempie bagnate, respiro
frammentario.
"Se tu te ne stessi
buono, guariresti del tutto. E potresti tornare da me, ad essere mio
fratello."
Le flebo collegate al
maggiore dei due si scuotono alla trazione forte e scomposta del
braccio di
lui, che stringe forte gli occhi, scuotendo la testa.
"Cos’altro vuoi da me? Non so più cosa darti. Ti
prego. Ti prego. Non ho
nient’altro da offrirti. Non ho nulla che valga abbastanza.
La vita ho provato a
dartela, ma non è valsa abbastanza da essere accettata. Ti
prego, non ho altro.
Ti prego."
Alphonse volta il capo
dall’altra parte, e non ha altro da dire.
-
“Non torni mai.
Perché non
torni mai? Non una notizia. Non una telefonata. Perché non
torni mai? Perché mi
rendi infelice? Perché ti voglio bene?”
Lui sente, con uno sforzo
che lo rende esanime e madido d’immaginario sudore, che lei
vorrebbe che fosse
lì.
Lui stesso lo vorrebbe.
“Al...ha bisogno di me.
E’
così piccolo. E’ così ingenuo.
Però…“
Le braccia di lei ricadono
mollemente sui fianchi, con l’irruenza meditata di un gesto
volto a farla
osservare con più attenzione.
Poi si preme le mani sui
fianchi scrutandolo, severa e leziosa.
“Hai ancora i vestiti
tutti sporchi. Dovresti lavarli.“
“Mh. Ho tentato. Ma non
viene via tutto. Mai.“
Lei lo fissa, vagamente
interdetta, due metri tra di loro, ma le gambe di lui sono troppo
fiacche,
ormai cedenti al suolo, per raggiungerla.
“Non credo che ci
rivedremo.“
“No. No, è
perché i miei
vestiti non sono puliti? E’ per questo?“
“No. E’
perché non puoi
raggiungermi nel modo che vuoi tu.“
“Ma io ci
riuscirò,
funzionerà, te lo prometto!”
Winry sorride,
stancamente, allungando un paio di passi e le braccia a lui, stringendo
le sue
mani tra le proprie.
“Ora,
io…“
“...te ne vai?“
“No. Io resto sempre a
casa.
Sono sempre lì ad aspettare te, una tua notizia. Ma non
torni, e non tornerai.“
“No, tornerò!
Tornerò!”
E lei gli sorride ancora,
mesta, mestissima e paziente.
“Ciao, Ed.“
Qualcosa invece opprime
lui, tirandolo giù, flagellandone la schiena, premendo ogni
suo organo,
tirandolo per le spalle.
“No. No. Voglio tornare.
Voglio...restare...voglio restare qui!“
-
E’ di nuovo il giorno
dell’incidente
di mesi prima, ed Ed e Al sorridono entrambi; eppure Edward
è triste.
Alphonse lo scorge, e non sa cosa dire.
E’ affranto, e non riesce
a
concentrare l’attenzione sulla strada, sulla macchina che,
non troppo
inaspettatamente, pare avventarsi su di lui, ma schiaccia il fratello su di lui.
Il bianco del gesso, le flebo
trasparenti, tante cose testimoniano questo, ed Edward l’ha
protetto, non ha
mai confrontato alcuna vita, ma la propria l’ha ritenuta
d’un valore inferiore
alla sua.
Edward ora dorme ancora, ed
Al sa, benissimo, che sogna Winry con rimorso, rammentando con lei, in
lei
quello che non ha potuto fare.
Tutto quello che non è
potuto
essere.
Può vedere
l’abbattersi dei
mondi che appartengono entrambi loro, si scontrano, cadono in pezzi; e
questi
pezzi simili ma non uguali non si limitano a rompersi, ma si
sovrappongono,
confondendo sogno e realtà.
Mischiando frammenti anelati,
più belli e numerosi degli altri, ma al contempo
più piccoli e difficili da
raccogliere.
Ed pare non accorgersene mai,
ma Al guarda Ed quando non può vederlo, quando è
tutto buio.
Attende l’ombra per
nascondervicisi dentro, scivolandovi, come quando da piccolo scivolava
dimenticando il timore nell’ombra protettiva del fratello.
Un’ombra che è
ora così
fredda, troppo fredda per usarla come nascondiglio dalla mamma
indispettita
dalle loro birichinate, di cui Ed si aggiudicava di sua sponte la colpa
di
entrambi.
Al era sempre innocente,
così.
Ora non lo è
più, ma
vorrebbe, vorrebbe molto tornare ad esserlo.
Ma se questo significasse
staccare la spina che rianima un poco Edward nei momenti di crollo, non
può
farlo.
Vuole che resti.
Ma se la spina, padrone della
propria vita, Edward vorrà staccarsela da solo, morendo
solo, immerso in un
mondo immaginario in cui Winry è sempre con lui, non
potrà volergliene a male,
perché lo vedrà sorridere felicemente.
O probabilmente, se le sue
prossime suppliche lo faranno davvero sentire in colpa, abbatteranno il
muro
della sua sordità forzata, per quanto questo
stenterà ad accadere, lo lascerà
andare davvero.
-
Lui
pare stare meglio, al risveglio; leva il capo con il sorriso fiducioso
e
puerile che non gli è mai stato proprio, e che inquieta il
fratello minore più
di altro.
Quello
guarda fiducioso, come lui stesso soleva guardarlo da piccolo,
ingenuamente, lo
priva d’ogni volontà di turbare la sua quiete
mattutina, quando dimentica
nuovamente come stanno le cose.
"Senti."
frantuma il silenzio lui, sereno con
l’imperturbabilità di un bambino sicuro e
caparbio "Ho pensato ad una cosa. Devo telefonare a Winry, davvero.
Dovrebbero farmi usare il telefono dell’ospedale senza
problemi, no? Dai, se no
si arrabbierà ancora con me. Devo dirle che torno presto."
E
sorride ancora, ingenuamente svuotato d’ogni cogitare
tremulo, fissandolo con
quelle labbra sollevate e quel capo inclinato che è ben
più di uno schiaffo
morale per Al; è ben più d’un omicidio,
perché un omicidio di Ed non ha valore,
quando ogni istante uccide sé stesso senza problemi.
Rammentando
un sentimento che non ha mai potuto manifestare verso la loro adorata
amica
d’infanzia ora così lontana, si sente infelice.
Questa
sorta di gelosia che lo uccide con lentezza e pena costante,
perché lui per lei
sta impazzendo.
Per
lei, lui sta abbandonando i suoi doveri di fratello maggiore.
Per
lei, lui sta morendo.
E
Winry è più buona di me. Non è mai
stata egoista. Non l’ha mai trattenuto.
"Dai, accompagnami, così
la rassicuro. Ah." dice poi, sostando qualche istante dopo essersi
voltato
verso la finestra "Torni anche tu?"
Lo ucciderebbe tra le sue
dita solo per frenare lo strazio impostogli dal dover guardarlo senza
dirgli
niente, senza scuoterlo affatto per non spezzare l’incanto
dell’illusione in
cui annega, andando ogni giorno più a fondo.
Né apprezza pensar male
di
Winry, odiare Winry, ma questo è ora quasi indispensabile
alla sopravvivenza di
entrambi.
Lei lo
sta uccidendo…no, lei non lo vorrebbe. E la sua
vita è morte, come la sua morte è vita. Volendo
la sua vita, io lo desidero in
frantumi.
Perché se no lui gli
chiederà
ancora, credendo che non l’abbia sentito, di poter usare il
telefono
dell’ospedale per chiamare Winry, dirle che è in
salute e tornerà presto,
prestissimo.
E
Winry è tanto, smodatamente più buona di me. Non
è mai stata crudele con me, né
con lui. Non ci ha mai ostacolati.
Così è, al
momento, simile ad
un orco cattivo egli stesso, e terrorizzato da tale pensiero.
Era solito essere buono;
riconoscersi
in sentimenti nivei e scomposti.
Ed ora nulla gli è
più chiaro
come prima.
Come quando sapeva che il
papà era andato via, perché non c’era
altra scelta.
Che stava seguendo Ed in
un’impresa assurda, perché non poteva scontentarlo.
Che lo voleva lì,
perché era
suo dovere essere lì.
E se lui, alfine,
chiederà
ancora di questo collegamento al loro irraggiungibile mondo, di alzare
la cornetta
per salutare Winry affabilmente, dovrà dirgli di no.
E non esiterebbe un singolo
istante a negargli questo sacrosanto, puro diritto, pur di non restare
ancora
solo, in questo smodato egoismo che lo rende persona sconosciuta a
sé stesso.
Anche
se chiamare un numero inesistente potesse
servire a qualcosa.
Con un sorriso ingenuo tra le
labbra Edward dorme, ore dopo, ed ancora sogna.
Si sente incredibilmente
fiacco e privo di volontà, camminando senza sentire la
consistenza di nemmeno
un piede, muovendosi senza fatica.
Lei, triste e bianca, sbuca
da un angolo affranta, tra un cipresso ed il buio.
Solcando prati verdi con
passi umidi di piedi sanguinanti, come se avesse vagato a lungo
cercando
qualcosa.
Le dita nude dei piedi
stringono debolmente il terreno sotto i piedi per non cedere e cadere,
e lui,
per la prima volta da quando la vede così bianca, la vede
anche umana e stanca.
La vede avvicinarsi mentre
lui cade, accomodarsi senza garbo sulle sue ginocchia mentre lui
crolla, crolla
senza terra sotto i piedi perché quel che è
bianco di lei tutto circonda e
tutto avvolge, lui compreso, mentre cade all’indietro, senza
più distinguerla
bene.
Winry è Winry ed il
passaggio
annebbiato nel contempo.
Winry è sé
stessa e lui
stesso nel contempo.
Winry è tutto e non
è niente,
bisbigli sottili e parole concrete che si sgretolano in un oceano
soffocante.
“Hai detto tante cose, al
telefono. E sei tornato per restare. Vero?”
Non sa cosa comporterà
la sua
risposta, ma sente le labbra di lei morbide sulle sue, molli sulle sue
e
scioglientisi nelle sue, saporite d’un sapore nostalgico ed
ignoto.
Mischiando rancore ed agonia
tra quelle labbra, annuendo piano, muore debolmente.
-