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Autore: Bonnie75    19/09/2012    2 recensioni
Adriana Ferraris , è una donna forte e sicura di sè , che ha deciso di indossare una maschera nei rapporti amorosi , per evitare di provare quelle sensazioni forti , che le hanno causato tante sofferenze , nella precedente relazione . Ma l'incontro con quegli occhi blu , in solo quattro giorni , la porterà a voler tentare ancora , accorciando quelle distanze che la separavano anche da sè stessa . Perchè è vero che un vento di passione , un' occasione senza preavviso , ha il diritto di essere colta al volo .
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ian Somerhalder, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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                                                                                                      Capitolo uno
 



 
 
Quando si dice toccare il cielo con un dito lo s’intende solo metaforicamente parlando, ma mai come allora nulla mi sembrò più appropriato.
 Guardando fuori dal finestrino dell'aereo, che mi stava portando verso una nuova vita, mi sentii realmente elettrizzata per questa svolta nella mia esistenza. Un nuovo inizio. Ne avevo bisogno dopo tutte le sofferenze che un po', in realtà, mi ero auto inflitta, cercando di idealizzare un uomo che tutto poteva essere, tranne il compagno perfetto per una donna. Eppure la mia ostinazione mi aveva fatto investire nove anni della mia vita in un rapporto che, con alti e innumerevoli bassi, in fondo qualcosa di buono lo aveva dato: la mia bambina.
  Mi ridestò dai miei pensieri soltanto la voce di mia madre che leggeva l'ennesima fiaba a Martina che, a soli cinque anni, poteva sicuramente meritarsi un premio per tutte quelle miglia di volo che le avevo fatto subire negli ultimi sei mesi: Roma, Parigi, Londra e ora finalmente Atlanta in America. La nostra meta.
Osservando le donne più importanti della mia vita, sorrisi per l'entusiasmo che le accomunava, ogni qualvolta proponevo loro un cambio di programma all’ultimo minuto. Il cambiamento. Si dice che sia la costante della scienza perché la materia spinta dall’energia si evolve continuamente. Io con la mia smania di trovare qualcosa di decente, di energia ne avevo da vendere, soprattutto oggi, con un bagaglio sulle spalle alleggerito dalla consapevolezza che, se non si riesce a lasciare qualcosa lungo la strada, prima o poi bloccheremo le nostre possibilità di procedere.
«Che cosa c’è tesoro?», domandò all’improvviso mia madre.
Socchiusi le labbra, pronta a dare una risposta, ma… non ne avevo. Insomma non sapevo se, quando e dove avremmo trovato il posto in cui mettere radici per davvero. Avevo solo cognizione del fatto che, prima o poi, sarebbe capitato, perché si sa quanto sia importante per le persone avere un luogo in cui poter far ritorno ogni qualvolta ci si senta fragili e vulnerabili. E se mia figlia e mia madre si aspettavano che quel posto sarebbe esistito realmente ad Atlanta, non potevo che sorvolare su questa mia caotica visione di quello che sarebbe stato. Gli avrei dato ciò di cui avevano bisogno adesso, oggi. Domani avremo affrontato il resto.
«Stavo programmando alcune cose nella mia testa», ribattei, scacciando le preoccupazioni con un cenno della mano che reggeva il mio cellulare.
«Fantastico. Mi auguro che questi programmi non riguardino anche me, perché la tua testolina è troppo poco pratica e molto vaga per i miei gusti», disse stringendo la sua mano sul mio ginocchio.
L'hostess, dall'alto della sua elegante uniforme blu cobalto, ci interruppe come un fulmine a ciel sereno, per premurarsi che tutto fosse a posto.
«Desiderate un Martini bianco signore?», disse cortesemente, offrendoci l'ennesimo drink corredato di snack al caviale che, in prima classe, confermavano quanto tutto il lavoro che avevo svolto, iniziava a trarre con sé alcune gratificazioni. 
«Per me sì, grazie. Tu mamma?», le chiesi premurosamente.
«Certo che sì, anche per me, con ghiaccio grazie» rispose, rivolgendosi direttamente all’hostess.
«Io voglio un succo di frutta alla mela mamma», mugugnò Martina.
«E un succo alla mela per la signorina. Grazie», aggiunsi, tornando a osservare mia madre, che guardando l’orologio di mio padre che aveva al polso e stringendosi nelle spalle, sbuffò rumorosamente. «Accidenti, se non sbaglio, sono solo le cinque del mattino in Italia e sono già qui a bere. Tra qualche mese mi ritroverò internata in una di quelle fatiscenti cliniche americane per gli alcolisti anonimi insieme a Ronn Moss», disse, sollevando il suo bicchiere di liquore, versatole prontamente dall’hostess.
«Te la stai solo spassando un pochino mamma e non credo che Ronn Moss abbia problemi di alcool», dissi sorseggiando il mio.
«Mamma io invece non mi sto divertendo sai? Non so cosa fare», disse Martina mettendosi a bere rumorosamente con la cannuccia la sua bibita.
«Un attimo tesoro», le dissi, pensando a qualcosa per tenerla occupata.
«Già…forse mi sto abituando a tutto questo essere servite e riverite. Non so proprio come certe persone asseriscano che questo genere di vita possa essere di una noia mortale. Martina ascolta la nonna, ogni tanto ci vuole una pausa durante la quale non è necessario muovere un solo osso del nostro corpo», aggiunse mia madre, prendendo il ditino della nipotina e morsicandoglielo delicatamente fino a farla ridere di gusto.
Era buffo vedere mia madre, la donna più irrequieta e attiva del mondo, starsene così rilassata nella prima classe di un aereo non convenzionale. Inizialmente avevo notato la sua difficoltà a restare immobile con le mani in mano e, per un attimo, avevo creduto che tirasse fuori dalla sua borsetta i suoi onnipresenti guanti gialli e che pretendesse di mettere il naso nella “cucina” dell’aereo, se così la si poteva definire. Ma dovevo ammettere che si stava godendo per davvero e per la prima volta il dolce far niente.
«Sono molto felice di vederti sorridere, mamma. E’ tempo che tu inizi a lasciarti un po’ viziare e che permetta alle persone che hai a fianco, di prendersi cura di te», le dissi, prendendo dalla borsa i colori e l’album da disegno reclamati dalla mia bambina.
«Sicuramente d’ora in avanti vedrò di farlo più spesso», mi disse, con un’aria conscia del fatto che era arrivato il momento di uscire dall’isolamento forzato nel quale si era rinchiusa da un paio d’anni. «Sai, non avrei mai immaginato che un giorno avrei usufruito di questi privilegi, forniti tra l'altro da quella matta di mia figlia!», disse divertita, anche se, lievemente incupita.
«Ecco, un giorno me la devi proprio presentare. Deve essere una tipa in gamba tua figlia!», replicai con sarcasmo, sollevando entrambe le spalle, iniziando a colorare di giallo il sole, in un disegno prescelto dalla piccolina di casa.
Dopo poco sollevai lo sguardo e lo posai su mia madre, intenta a guardare verso il cielo oltre il finestrino. La osservai, notando le innumerevoli rughe che ormai le solcavano il viso, ancora molto bello, ma segnato dalle fatiche e dai dispiaceri che aveva comunque sempre affrontato con coraggio, donando forza e stabilità a chi le era accanto. Le sorrisi, tendendole la mano.
«Grazie mamma. Per esserci e per esserci sempre stata. Per tutto quello che fai per noi».
Mi sorrise e mi tese la mano, stringendo la mia. Percependo le lacrime che unitamente versavamo nei momenti di tensione emotiva e, che da lì a breve sarebbero sgorgate, corrugò la fronte e aggiunse:
«Non riuscirai a farmi sgorgare nemmeno mezza lacrimuccia su questo Jet per pochi eletti. Mi sembra di aver scorto da qualche parte, un cartello con su scritto “Vietato lamentarsi quassù tra le nuvole, gli dei dell’Olimpo non piangono”», disse, fingendo di cercare l’insegna incriminata. «Considerando poi che non è un così grosso sforzo seguirti nelle capitali europee, visitare i musei che ho sempre sognato di poter ammirare, assaggiare nuovi piatti o gustare nuovi vini. Infine fare colazione sulla Senna la mattina, per proseguire dirette negli Stati Uniti il giorno dopo», seguitò divertita. Quindi sussurrò: «E poi non sai quanto sia felice di far rodere un po’ il fegato alla nostra ex- vicina pettegola e invidiosa che, quando eravamo in difficoltà, se la rideva alle nostre spalle», concluse con accidia.
«Ora comprendo la motivazione per la quale tu mi abbia chiesto come utilizzare il PC per le mail. Proprio tu che sei ostica alle “nuove tecnologie”», le dissi, spalancando la bocca.  «In realtà, lo facevi solo per vantarti con la signora Lanzini. Sei davvero perfida!», aggiunsi.
Entrambe sorridemmo all’idea della reazione di quella che, un tempo, era stata una delle amiche più fidate della nostra famiglia e che, in seguito, avevamo scoperto essere una tra le prime che ci aveva affossato nei momenti meno eclatanti che avevamo vissuto.
 Scosse la testa e sorridendo guardò la bambina.
«Sai, tutti questi cambiamenti, per una che ha vissuto sempre nello stesso posto per anni, sono così esaltanti. Non hai la benchè minima idea di quanto sia rinvigorente questa sensazione di rinascita per una della mia età che ha già vissuto una volta e che, adesso, dovrebbe avere come unico intento quello di alzarsi presto al mattino per dedicarsi al giardino progettato da una vita, o a far torte nell’attesa dell’arrivo del fine settimana di amici e parenti vari», mi disse, guardandomi con i suoi attraenti occhioni verdi.
La lasciai proseguire nel suo discorso, catturata dal senso delle sue parole. «E' come avere una seconda chance proprio nel momento in cui sentivi di non avere molte aspettative dal futuro. E' così stimolante Adriana e per questo te ne sono grata», concluse, inclinando la testa da un lato.
Era piacevole sentire che contribuivo al suo star bene, al suo rinato desiderio di prendere parte al siparietto delle nostre vite. Era una donna stupenda che aveva il diritto di coltivare ancora dei sogni, perché anche a sessant’anni è lecito averne.
«Sei fantastica mamma».
«Tu lo sei Adriana. Hai costruito una tua vita e sei padrona delle tue scelte, mentre io sono passata dalla casa di mio padre a quello di mio marito senza mai provare a fare quel salto che ti da i brividi», disse in un sorriso.
«Ma sei stata ugualmente felice», affermai convinta, in preda però a qualche perplessità.
«Sì, ho avuto te e mi sono occupata a tempo pieno della mia famiglia. Ma adesso che tu sei cresciuta e che tuo padre non c’è più, credo che se non fosse per quello che mi stai costringendo a fare, nulla avrebbe più uno scopo e rischierei d’impazzire. Non credo sia  salutare nascere, crescere e morire nello stesso posto».
«Sai mamma, comincio a credere che io e te siamo più simili di quello che pensassi».
«Tesoro, chi credi che ti abbia permesso di fare tutte le cose illecite e folli che hai fatto, compreso questo trasloco o come lo vuoi chiamare. Non riesco a starti dietro invece quando diventi puntigliosa e iperprecisa», disse sorridente, schiacciandomi l’occhiolino.
Fece cenno all’hostess di riempirci ancora i bicchieri. Champagne questa volta.
«Questo è lo spirito giusto per ricominciare mamma. Io credo molto nella pazienza. Alla fine, otteniamo tutti quello che vogliamo. E’ solo questione di saper attendere, non trovi?».
«Alla nostra pazienza allora», ripeté dopo di me, facendo tintinnare il suo bicchiere contro il mio.
Martina sgattaiolò nei sedili poco retrostanti, senza che potessimo o decidessimo di volerla fermare, attirata da un gruppetto di persone che ridevano rumorosamente. Pensai che in fondo era giunto il momento che lei si sgranchisse un po' le gambine, dato che era stata ferma per due ore ininterrottamente e aveva perciò battuto già da un pezzo ogni record, insperato per una tipetta come lei. Mia madre girandosi di scatto ad osservare dove stava andando, mi guardò perplessa.
«Farà sicuramente danni in giro, lo sai vero?», mi disse, alzando gli occhi al cielo.
«Da qualcuno avrà pur preso», le dissi allusivamente. «Lasciala andare mamma. Se darà fastidio, la richiameremo», la rassicurai, decisa anche a riprendere il lavoro che avevo interrotto.
 Con la mia piccola a fianco non ero quasi riuscita a concludere molto e, ora, ricominciai a pensare alla relazione che il mio capo voleva sulla sua scrivania al mio arrivo. Sospirai rumorosamente in preda al panico e alla stanchezza, decisa però a non farmi abbattere, da ciò che sarebbe stato. Né per il lavoro, né per altro. Avanti per la mia strada. Senza remore e senza paure. Solo così, prima o poi, avrei raccolto i frutti di quello che stavo seminando da qualche tempo. Ok, eludendo i casini che mi ero procurata. Eccetera. Eccetera.
«Stavo riflettendo mamma sul fatto che forse dovrei rinviare il meeting a Cleveland. Forse non è il caso di addossarti ogni cosa. Intendo, aprire casa e organizzare i primi nuovi giorni in città», le dissi, assillata dall’idea che le avrei manlevato tutte le incombenze, nonostante sapessi che ne era totalmente all'altezza. Come spazientita dalle mie parole sbuffò.
«Adriana, davvero. Basta! Non è il caso che tu ti preoccupi troppo. Mi hai dato istruzioni dettagliatissime sul da farsi. Se anche qualcosa non andasse secondo i tuoi programmi, non sarà una tragedia per me. Vivi serena. E poi ci saranno Marco e Morena che mi aiuteranno se sarò in difficoltà».
Prendere casa accanto ai miei amici italiani era stata un'ottima idea. Loro erano in America già da sei anni e sapevano districarsi alla perfezione nel sistema e avrebbero aiutato mia madre senza porsi il minimo problema. Potevo stare tranquilla.
 L'hostess ci portò ancora da bere e ne sorseggiai subito un po', dando una fugace occhiata alle mail del mio ufficio, sincronizzate dai computer al cellulare. Venni però richiamata dalle sghignazzate delle persone nei sedili posteriori. Martina aveva già fatto colpo, non ne avevo dubbio. Insomma era così sveglia per la sua età. Aveva imparato a parlare molto presto e, da allora, le brutte figure erano sempre in agguato. Decisi di alzarmi per andarla a riacciuffare, prima che ci mettesse in imbarazzo.
«Martina che combini tesoro? Devi imparare a dare tregua alla gente».
 E che gente! Erano tutti talmente belli da sembrare appena usciti dall'ultimo numero di Vogue. Mia figlia era seduta sulle ginocchia di una ragazza bellissima che chiamava Torrey la quale, quando mi vide, sorrise carinamente.
«Non ti preoccupare, adoro i bambini», mi disse, con uno dei sorrisi più dolci che avessi mai incontrato. «Poi, insomma, magari faccio un po’ di pratica», proseguì, lanciando uno sguardo d'intesa al ragazzo che aveva a fianco che, accidenti, era pure lui bellissimo. Sicuramente quei due avrebbero potuto sfornare dei bambini incantevoli.
 Non mi ero resa conto che tutti si erano fatti silenziosi e si erano girati verso di me. Non potei fare a meno di arrossire, nonostante fossi abituata a essere spesso al centro dell’attenzione. Sì, insomma, anch’io non ero da buttare. Italiana al cento per cento con occhi verde mare e sinuosi capelli castani ereditati dalla mamma. Dal papà avevo preso la carnagione olivastra, lunghe gambe affusolate e il mio carattere fondamentalmente inquadrato e ligio al dovere. Avevo una specie di mania per la precisione, grazie alla quale ero riuscita ad affermarmi con rapidità nel campo lavorativo.
Rivolsi un sorriso alla ragazza e poi ripresi a parlare a mia figlia.
«Ok, allora cinque minuti e poi torni davanti Martina», le dissi con finta severità.
Quando feci per voltarmi m’imbattei in un paio di occhi di un’intensità mai vista. Di un intenso blu zaffiro che avevano il potere di ammaliarti, di stordirti e di sconvolgerti. Appartenevano a un tipo che faceva parte di quella comitiva e che era in compagnia di una ragazza molto giovane, semplice ma straordinariamente bellissima. Ero come rapita dall’avvenenza del suo sguardo ma non potevo starmene certamente lì impalata a squadrarlo. No, non sarebbe stato saggio lasciare quel viso in pasto ai miei ormoni.  Né sarebbe stato carino soffermarmi su quei lineamenti tanto perfetti, soprattutto nei confronti di chi gli sedeva accanto. Avevo conosciuto la gelosia tempi addietro e non era un sentimento positivo da gestire e, perciò, non avevo intenzione di infliggere a nessuno alcuna pena. Mi decisi a fare ritorno al mio posto a lato di mia madre che, ora, era assorta nel suo libro. Mi chinai a prendere il mio compagno fedelissimo, almeno lui: il mio immancabile portatile. Diedi ancora un'occhiata furtiva a chi stava dietro. Poi m’immersi nel lavoro, cominciando dall'aprire un video sulle fonti energetiche alternative che mi aveva inviato il mio collega da Londra.
 Mi ero avvicinata con passione a queste tematiche perché da sempre ero molto interessata alla questione ambientale che nel mio paese, a dirla tutta, non era ancora un argomento che veniva trattato con serietà e impegno. Non pretendevo di cambiare il mondo ma speravo, almeno nel mio piccolo, di poter fare qualcosa, proponendo prodotti che erano eco sostenibili. Partendo dal concetto di salvaguardia del pianeta e dei suoi precari equilibri ambientali, a mano a mano, mi ero immersa totalmente nella materia. Dopo uno stage formativo avevo iniziato a lavorare come addetta alle public relations di una società in espansione con sede ad Atlanta e con succursali stanziate in vari paesi europei. Era la "Smith and sons & Co". Ci occupavamo di fonti energetiche alternative, nello specifico di pannelli solari. Il giorno stesso del mio arrivo avrei dovuto presenziare a un meeting sull'energia solare che si teneva annualmente a Cleveland e, lì, avrei dovuto passare i primi tre giorni della mia nuova vita in America. Sapevo che non era il massimo come prospettiva, rimandare il mio ingresso ufficiale nella nostra abitazione, ma non ero proprio riuscita a dire di no al signor Brighton che mi aveva sostenuta da sempre, facilitandomi anche col trasferimento negli Stati Uniti. 
 Dopo una ventina di minuti alzai lo sguardo e mi voltai alla ricerca di Martina ma m’imbattei ancora in quegli occhi. Eccoli nuovamente che s’imbattevano casualmente nei miei e mi facevano perdere il contatto con la realtà.
 Mia madre mi posò una mano sul braccio facendomi sobbalzare, dicendomi che, dato che l’aereo aveva appena preso un vuoto d’aria, al quale peraltro non avevo proprio prestato attenzione, sarebbe stato il caso che la bambina fosse tornata al suo posto per allacciare le cinture di sicurezza. Così mi alzai ancora e passai accanto a “Mr Occhi blu”, trattenendo il respiro.
«Martina, vieni davanti per piacere», le dissi in italiano.
La ragazza che aveva ancora in braccio Martina e stava giocando a qualcosa con lei sul led posto davanti al sedile, alzò il capo con eleganza.
«E così, siete italiane?», mi chiese con una voce delicata.
«Sì, siamo della costa ligure. Genova per la precisione. Non so se la conosci», le dissi, al fine di intavolare una cordiale conversazione.
«Sì, certo, adoro l'Italia. Ho trascorso per un paio d’anni le ferie estive al mare con i miei genitori alle Cinque terre», mi disse di rimando. «E porto anch'io un cognome italiano: Devitto. Le mie origini sono del sud dell’Italia».
Stavo ascoltando con interesse le sue parole, quando uno scrollone violento e improvviso mi fece indietreggiare. Persi l'equilibrio e se non fosse stato per la prontezza di riflessi di un passeggero che mi afferrò con la mano per un braccio, sarei finita a terra.
«Ehi! Tutto ok?», mi domandò una voce calda.
Quando mi resi conto che si trattava di Mr Occhi blu, mi sentii avvampare.  La sua voce era così ardente, la sua presa così decisa e ora lui era così vicino e mi stava guardando dritta negli occhi. Il contatto con le sue mani, che mi sostenevano ancora per il braccio, mi fece salire la pelle d'oca. Una combinazione di adrenalina e desiderio trapassò ogni poro della pelle come una vibrazione, togliendomi il fiato mentre continuavo a fissarlo. E lui continuava a fissare me.
«Mammina, sei tutta rossa in faccia!».
Eccola. Puntuale come sempre. Diretta al centro del bersaglio, come solo ogni bambino sa fare. Martina era una campionessa in questa disciplina. Dopo avere pronunciato queste parole, scoppiò anche a ridere. Perfetto. Ora mi stavo chiedendo: quando avevo ricominciato ad arrossire? Perché diavoli non mi ricordavo da quanto non mi succedesse? Il mio imbarazzo venne notevolmente amplificato quando, contagiati dalla risata della bambina, risero anche tutti gli altri. Per risolvere la questione avevo due sole scelte. La prima era quella di aprire il portellone dell’aereo e gettarmi sotto, anche priva di paracadute. La seconda fu quella che decisi più saggiamente di intraprendere. Scelsi di assecondare il mio imbarazzo, unendomi alle risate del gruppo e a quelle di "Occhi blu".
«Non preoccuparti mamma di Martina, Smolderhotter fa sempre questo effetto sulle persone», disse il compagno di Torrey, sollevando entrambe le sopracciglia.
Mr Smolderhotter Occhi Blu lo fulminò con lo sguardo.
«Ok. Ok. Ti ringrazio è tutto a posto», gli dissi, divincolandomi con garbo dalle sue mani e, nonostante fossi ancora lievemente a disagio, sfidai i suoi occhi con i miei.
Mi fidavo della loro potenza che mi aveva permesso di ammaliare molte persone sin da quando ero una bambina. Bastava poco per intimorire le persone che avevo davanti, convincendole a cedere e magari anche a non punirmi nel momento in cui la combinavo davvero grossa. Ma, sicuramente, anche lui aveva avuto altrettanta fortuna con i suoi. Così l'unica cosa che ci dissuase da questo incontro e fusione di sguardi, fu l'accendersi rumoroso della scritta lungo il corridoio che indicava che dovevamo sederci e indossare le cinture di sicurezza.  Gli sorrisi e presi in braccio mia figlia. Feci un cenno con la testa e mi congedai dalla riunione dei belli. Prendemmo posto e, dopo aver assicurato Martina al sedile, tirai finalmente un sospiro di sollievo. Non riuscivo a dare una spiegazione a quello che mi era appena capitato e, forse, non era il caso che dessi troppo peso all’accaduto. Ma non avevo mai provato con uno sconosciuto un’attrazione così forte al solo tatto. Da quel momento non ebbi più il coraggio di voltarmi per tutto il viaggio.
Fortunatamente i vuoti d’aria cessarono e abbassarono le luci. Si era fatta l'ora di riposare. La stanchezza cominciò a prendere  il sopravvento anche su di me e, così, dopo aver fatto addormentare mia figlia, decisi che l'avrei raggiunta nei suoi sogni, come le promettevo ogni notte. Le accarezzai con la punta dell’indice il nasino e chiusi gli occhi. Vidi ancora, come se fossero una persecuzione, i suoi occhi blu. Chissà come si chiamava.
 
Le successive ore di volo che ci portarono ad Atlanta le trascorsi quasi esclusivamente a rilassarmi, cullata dal respiro cadenzato di Martina che dormiva tranquillamente sul mio petto.
Quando finalmente l'aereo toccò il suolo americano.
Eccoci arrivate a destinazione. A casa. Scendemmo dall'aereo e, dopo aver recuperato i nostri bagagli, passammo alla dogana. Quindi scorsi tra la folla i volti familiari di Marco e Morena che erano venuti a prendere mia madre e mia figlia per scortarle a casa. Alzai le braccia per farmi notare e Morena mi venne incontro, stringendomi in un forte e sentito abbraccio.
«Che bello vedervi!», esclamai con sincerità.
 Erano sempre stati come persone di famiglia per tutti noi, condividendo momenti di gioia e di puro dolore, come quando avevamo perso papà. Conoscevo Morena fin da quando eravamo bambine ed era come una specie di sorella, quella che non avevo mai avuto e, poiché era cresciuta senza la madre, la mia ne aveva ampiamente fatto le veci. La osservai, strepitosa e appariscente come al solito e in più, adesso, molto americana. La sua emozione era visibilmente incontenibile come la mia.
«Adri, non vedevo l'ora che arrivasse questo giorno. Tu ed io, insieme come ai vecchi tempi», mi disse, stringendomi fino a farmi mancare il respiro.
«Mi sei mancata un sacco bionda», le dissi emozionata da un incontro che, per una ragione o per l’altra era stato rimandato da diversi anni. Poi si fiondò a riempire di baci Martina.
«Zia dove sono i miei cuginetti?».
«Ti stanno aspettando a casa con una sorpresa principessa», le disse prima di voltarsi verso mia madre. «Miranda, il tempo non passa mai per te! Ma come diavolo fai?». Sicuramente lusingata, si strinse nelle spalle e le sorrise. «La tua amica Adriana ci tiene sempre in movimento. Sarà per quello suppongo!», rispose, abbracciandola con le lacrime agli occhi. «Bambina mia, sei davvero fantastica e hai ancora un marito a quanto vedo. Una rarità di questi tempi!», scherzò, strizzando l’occhiolino a Marco che adorava da sempre.
Suppongo avesse sperato che anch’io potessi un giorno incontrare un uomo come lui, arrendendosi quando aveva capito che il mio genere era “ribelle e scapestrato”.
Ci dirigemmo verso l'uscita e li accompagnai alla macchina. Dovevo sbrigarmi se non volevo perdere il mio volo.
«Vi devo proprio salutare per il momento», dissi, scuotendo il capo.
 Ora più che mai avrei voluto condividere con loro la frenesia dei primi minuti nella nostra nuova vita ma, entro breve, avrei dovuto riprendere un aereo per Cleveland.
«Martina fa la brava con la nonna», le dissi, notando che aveva gli occhietti lucidi.  «Ci vediamo fra tre giorni esatti amore mio».
 La mia piccola esitò prima di gettarsi addosso a me in uno stritolante abbraccio.
«Mammina ti voglio tanto bene. Torna presto e… ricordati di prendermi qualcosa ok?».
Allargò la bocca in un tenero sorriso e mi accovacciai davanti a lei per osservarla meglio.
«Ogni suo desiderio è un ordine signorina. Ti amo tanto Martina», le sussurrai, stampandole un bacio sulla sua guancetta paffuta.
Oddio come stava crescendo e, una volta ritornata da questa convention, questo lavoro mi avrebbe permesso di dedicarle la metà della mia giornata. Non avrei più dovuto rinunciare a perdermi gli attimi più esaltanti della sua crescita. Le avrei preparato la colazione, avremmo fatto shopping, avrei cucinato per lei la cena, le avrei fatto il bagnetto, le avrei spazzolato i suoi lunghi capelli da principessina e l'avrei fatta addormentare solo dopo averle letto le sue fiabe preferite. Avrei imparato a conoscerla ancora meglio, accompagnandola mano nella mano nel suo incedere nella vita.
  Nonostante sapessi che quello che ci apprestavamo a fare fosse, a livello pratico, un cambiamento radicale, non ero poi così allarmata. Se non si è soli, tutto sembra più facile. Avevo con me la mia bimba e anche mia madre, la mia migliore amica da sempre. Quando papà se ne era andato, io ero a Londra e avevo mollato tutto per correre da lei, non solo perché mio padre era morto ma perché lei aveva perso l'uomo della sua vita. Era stato davvero un brutto colpo e, come darle torto. Lei aveva trovato il suo principe azzurro, quel compagno che amava e da cui era ricambiata. E poi l'aveva perso prima di diventare troppo vecchia. Era normale che da allora tutto si fosse ingrigito, perché papà era colui che la completava e le dava speranza. Ogni giorno.
La osservai e l'espressione felice mi fece sperare in bene per lei. In qualche modo mi sembrava che questa cosa l'avrebbe aiutata per davvero a superare i suoi momenti bui. Sì, probabilmente era quello che ci voleva.  Per tutte noi.
Una lacrima mi rigò il volto e la asciugai con il palmo della mano. Girandomi per nascondere il volto, scorsi poco più in là il famoso gruppetto di prima che stava apprestandosi a salire su una specie di pulmino. Pensai che, molto probabilmente tipi come quelli si spostano solo in branco. Vidi Torrey che mi salutò e ricambiai con un sorriso. C'era anche "Occhi Blu" che stava caricando le valige.
«Ora va Dri, coraggio. Al tuo ritorno ci rifaremo con i festeggiamenti per l’inaugurazione della casa. E non preoccuparti per nulla, penseremo noi a tutto», disse Marco, porgendomi il trolley.
Dando un'occhiata all'orologio, capii che si stava facendo davvero tardi. Diedi ancora un bacio a Martina, abbracciai tutti al volo e mi congedai, dirigendomi velocemente e, per l'ennesima volta, dentro all'aeroporto.
Alzai gli occhi verso il tabellone e guardai il gate da dove partiva il mio aereo. Oddio ero dannatamente in ritardo e, così, cominciai a correre a più non posso, ringraziando il cielo di avere ancora addosso le mie ballerine e non i soliti tacchi quindici. Dopo le varie tappe di rito arrivai finalmente e senza fiato all'imbarco. Il viso tirato, l'occhiata severa e poco cordiale dell’addetta all’imbarco la dicevano lunga. Ero sicuramente l'ultima arrivata, quella detestabile che rallenta le procedure standardizzate.  Le porsi il passaporto e contemporaneamente sentii dei passi alle mie spalle. Tirai un sospiro di sollievo, perché, adesso, il fastidio arrecato per il mio ritardo sarebbe stato condiviso con qualcun altro. Ero sollevata perché questo era il genere di situazione che, per una così precisa e puntuale come lo ero io solitamente, mi creava disagio.
Alzai lo sguardo e notai che l’espressione della donna scorbutica si era trasformata da severa a inebetita nella frazione di un nanosecondo. Il suo arrossire m’incuriosì parecchio e così mi voltai. E capii: lui era lì. Mr Occhi blu era sorridente e affannato. Probabilmente aveva corso quanto me.
«Ehi ciao. Caspita se sai correre!», mi disse con il fiatone e un sorriso tra il malizioso e il divertito.
Avvertii ancora quella strana carica magnetica nell’aria e non si trattava solo del fatto che era bellissimo. Di uomini avvenenti nella mia vita ne avevo incontrati parecchi, ma lui aveva un qualcosa in più che ti lasciava senza fiato. Era un concentrato di carica sensuale per cui ogni suo gesto, la sua voce, le sue mani, e i suoi occhi lo rendevano totalmente seducente.
«Ehm, sì. Ultimamente non faccio altro che scappare a gambe levate da ogni uomo che abbia la costanza e la pazienza di inseguirmi», risposi ironizzando, cercando di sfoderare il mio migliore sorriso.
«Signori, per cortesia, dovete sbrigarvi. C’è un aereo che deve partire qui. Seguite la mia collega, prego», s’intromise sgarbatamente la signorina alla quale era stata rubata la scena. Poi cambiò espressione, cercando di ricomporsi. «Grazie per aver scelto la Delta Northwestern Air Lines».
 Lui mi guardò facendo roteare gli occhi e poi mi fece cenno di andare avanti. Non sapevo se era per galanteria o se fosse solo per guardarmi il fondoschiena. Ci incamminammo lungo il tunnel che ci avrebbe portato all'aereo. Lui era proprio dietro di me, ne avvertivo prepotentemente la presenza e, per la prima volta, ringraziai realmente il cielo di aver passato così tanto tempo con la mia cara amica Paulette, la mia insegnante di pilates, che mi aveva aiutato, anzi, stremato dopo la gravidanza, al fine di ritrovare la mia linea perfetta. Sperai che i suoi occhi fossero posati sulle mie forme ancora armoniche. Insomma, anche se ero mamma, non c'era nulla d’inappropriato ad avere pensieri di questo tipo con un uomo appena conosciuto. Fanno parte del nostro essere donna. Fanno parte di un rituale che ogni femmina in natura utilizza per accalappiare il maschio.
 Giunti a bordo mi fermai al mio posto e sentii ancora la sua presenza dietro di me. Mi misi di traverso per farlo avanzare e il suo corpo mi sfiorò impercettibilmente e il mio rispose vibrando silenziosamente. Trattenni il respiro e ci ritrovammo così vicini. Occhi negli occhi. Sussultai e mi accorsi che stavo mordendomi il labbro inferiore, trasformandomi nella replica della protagonista del libro che avevo appena finito di leggere. Lei era così presa da un uomo che l'aveva rapita con i suoi modi, portandola al punto di annullarsi in una profonda passione carnale e spirituale per lui.
  Con questi pensieri seguì i movimenti decisi e sinuosi del suo corpo e, questa volta, fui io a guardarlo mentre occupava il posto due file più avanti rispetto a me. Anche il suo " lato B" non aveva nulla da invidiare al suo opposto "lato A". Le sue spalle, la sua schiena e tutto il resto erano sicuramente collocati al giusto posto.
 Mise a posto il suo piccolo bagaglio ed io feci altrettanto quasi incapace di volgere gli occhi altrove. Incrociammo nuovamente lo sguardo e lui mi strizzò l'occhiolino e le sue labbra si allargarono in un originale sorriso sghembo da un lato. Questa volta cercai di sorridergli il più monacalmente possibile. Insomma, io non ero come tutte quelle donnette che sicuramente erano cadute di fronte a lui a un solo batter di ciglia e, comunque, non volevo proprio che iniziasse a pensarlo.
 Mi sedetti e tirai un respiro che aveva perso regolarità per quei pochi minuti. La signora accanto a me si premurò di chiedermi se fosse la prima volta che volavo, dato il mio evidente e malcelato stato di agitazione.
Sì, in effetti, si trattava di una prima volta.
Quella nella quale un uomo mi aveva conquistata al primo incontro.









 
  
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