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Autore: Breatheunderwater    19/09/2012    1 recensioni
Un piccolo viaggio nella storia d'amore tra due uomini ripercorsa da uno di questi con estrema dolcezza e delicatezza.. (almeno spero di esserci riuscita)
Genere: Fluff, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Synyster Gates, Un po' tutti, Zacky Vengeance
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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La prima volta che lo vidi fu all'uscita di scuola. Era il primo giorno di scuola dal rientro dalle vacanze di Natale, il freddo era più pungente che mai e, assieme a questo, la pioggia non ci lasciava respirare un attimo.
Amo la pioggia ma arrivare a casa praticamente fradicio tutti i giorni non era il massimo. Come non era il massimo che mi venisse rinfacciato che la colpa era mia perché non avevo mai comprato un ombrello; come accade tutt'ora.
Io e gli altri ci fermammo sugli scalini, sotto la tettoia, indecisi se correre, come al solito, sotto la pioggia o provare ad aspettare.
Decidemmo di aspettare, ci sedemmo sugli scalini e io mi accesi una sigaretta.
Poggiai la testa al muro e chiusi gli occhi godendomi il fumo e il rumore della pioggia che faceva da sottofondo, ogni tanto interrotto da qualche piede che prendeva in pieno una pozzanghera.
“Non ti vorrai addormentare?” – mi chiese Matt, il mio più caro amico.
“Scherzi? Mi sto solo rilassando!” – risposi con ancora gli occhi chiusi.
“Sentitelo il santone” – disse Jimmy per poi subito dopo scoppiare a ridere e facendomi nascere un sorriso divertito.
Ad accompagnare il ticchettio della pioggia si aggiunsero le chiacchiere di Matt e Jimmy, mi sarei potuto realmente addormentare ma decisi di aprire gli occhi.
Mi guardai attorno con estrema calma, non avevo nessuna voglia di alzarmi.. ero veramente rilassato.
“EHI! Adesso perché non corri dalla mamma?” – sentimmo Phil urlare da dietro la scuola e ci facemmo attenti.
Phil era il bullo indiscusso della nostra scuola, potevi essere del primo o del quinto anno ma a lui non interessava. Se ti prendeva di mira per te era finita, sarebbe diventata la tua ossessione; almeno che non facevi parte di qualche gruppo particolare oppure non eri amico di Jimmy.
Da questo punto di vista ero particolarmente fortunato, infatti nessuno mi torse mai un capello.
Non so esattamente del perché di questa gerarchia tra bulli e mai cercai di approfondire il discorso, Jimmy era un mio carissimo amico e se avesse voluto darmi una spiegazione me l'avrebbe data di sua spontanea volontà; non sono mai stato un tipo insistente e lui non è mai stato molto paziente per certe cose, in sintesi andavamo d'accordo così.

Cammina!” – un altro urlo di Phil e, dopo pochi secondi, lo vedemmo spuntare dal lato destro della scuola assieme a un ragazzo mai visto prima.
Lo spintonò più volte finché questo non cadde inciampando in una pozzanghera troppo profonda e suscitando le risate di Phil e dei suoi compagni che, poco dopo, lo raggiunsero.
Noi, in silenzio, guardavamo.
Io, in particolare, provavo una strana sensazione.
Quel ragazzo mai visto prima mi attirava come una calamita. Non so cosa avesse di speciale, da lontano non potei neanche scorgere bene i suoi lineamenti ma, nel complesso, mi attirava.
Potei constatare solo che era in carne, che aveva diversi tatuaggi e piercing, i capelli neri e la pelle bianca.
Lo notai poiché non aveva ne giacca e ne felpa: sotto il cielo grigio di gennaio questo ragazzo era in canottiera e fradicio da capo a piedi. Mi si strinse il cuore, avrei voluto correre e stringerlo per scaldarlo.
Tremava come un forsennato sia per il freddo che per il pianto, immaginai.
“Lo conosci?” – mi chiese ad un certo punto Jimmy.
“No, perché?” – gli risposi guardandolo negli occhi.
“Perché mi sembri turbato” – non gli risposi, sentii un groppo alla gola e credo che gli occhi si fecero lucidi.
“Tranquillo, ho capito” – mi disse dopo avermi accarezzato una guancia con una mano. Poi lo vidi camminare verso il gruppo di bulli. Matt mi lanciò un'occhiata che non capii mai e poi lo seguì.
Io scossi la testa come per riprendermi e finalmente mi alzai correndogli dietro per raggiungerli.
“Phil” – esordì Jimmy appena fummo abbastanza vicini per farci sentire senza dover urlare.
“Jim, che cazzo vuoi?” –
“Voglio che lo lasci in pace!” – rispose con un tono fermo, quasi da serial killer e mi fece venire i brividi. Matt gli sostava a fianco con le braccia conserte in perfetto stile bodyguard.
Io invece rimasi immobile a fissare quel poveretto che continuava a tremare come un dannato, esattamente come avrei iniziato a fare io di li a breve vista la pioggia che imperterrita scendeva.
“E perché Jim? È un tuo amico? Oppure è il compagno del tuo amico checca?” – disse indicandomi. Non lo calcolai più di tanto ero troppo concentrato sul da farsi e sull'evoluzione della conversazione. Poco mi fregava degli insulti gratuiti di un fallito ignorante.
“Avanti Phil, smetti di fare il grosso con me. Lascialo stare e finiamola qua” – in quel momento pensai seriamente che Jimmy potesse essere un serial killer.
“Tsk! E se non lo facessi?” – Phil si girò completamente verso Jimmy e iniziò ad avvicinarsi a lui, anche i suoi compagni concentrarono tutta la loro attenzione sul mio amico.
Mi girai per incrociare lo sguardo di Jimmy e per tutta risposta mi fece di si col capo. A volte non avevamo bisogno di parole, aveva capito cosa volevo fare e avevo bisogno del suo appoggio per farlo.
Mi mossi dal punto in cui ero rimasto fermo come una statua per troppo tempo e mi spostai verso quel ragazzo estremamente fragile sotto la pioggia. Mi levai il giubbotto in pelle e glielo poggiai sulle spalle.
In un primo momento sussultò per lo spavento poi trovando il mio sguardo si infilò la giacca sospirando per un poco di calore, anche se momentaneo.
Lanciai un ultimo sguardo a Jimmy e a Matt poi mi calai il cappuccio e gli avvolsi un braccio attorno alle spalle per stringerlo a me e iniziammo a camminare verso casa mia.
Quel ragazzo continuava a tremare convulsamente e io continuavo a tenerlo stretto.
Arrivammo a casa in venti minuti e lo accompagnai subito in bagno.
“Usa pure quell'accappatoio” – glielo indicai e sorrisi, lui mi rispose con un cenno della testa.
Nel mentre che era in bagno io mi asciugai e cambiai con dei vestiti per casa: una tuta vecchia.
Il tempo di fumarmi una sigaretta e lui era già fuori dal bagno, di fronte alla porta della mia cameretta con lo sguardo basso.
Mi alzai, gli porsi una tuta con un paio di boxer e gli sorrisi.
Arrossì appena e finalmente parlò: “grazie”.
“Figurati, vestiti e vieni giù che ho acceso il riscaldamento!” – acconsentì con un cenno della testa e un leggero sorriso, poi scesi soddisfatto e iniziai a preparare il thè.
Appena spuntò dalle scale si fermò e si guardò attorno un po' spaesato e anche qua sorrisi.
“Siediti sul divano, arrivo subito col thè.. zucchero?” – lo guardai ma lo vidi solo voltarsi verso il divano con la testa coperta dal cappuccio.
“Due, grazie” – presi le tazze e le appoggia sul tavolino sistemandomi poi sul divano.
Prese la sua tazza e iniziò a soffiarci sopra piano, lo stesso feci io senza mai staccare gli occhi dalla sua testa incappucciata.

Finimmo il thè in un silenzio rotto solo dal rumore delle tazze che poggiammo sul tavolino di vetro.
Fissava il vuoto e io non riuscivo a scorgergli neanche la punta del naso talmente era chino e chiudo in se stesso.
“Va meglio?” – azzardai e mi accorsi, per la reazione, di averlo svegliato dai suoi pensieri.
“Ehm.. si” – finalmente gli vidi le labbra gonfie, carnose e con un taglio sul labbro inferiore da far male solo a vederlo.
Con movimenti inconsci allungai una mano e gli scostai il cappuccio lasciandoglielo cadere sulla schiena.
I capelli neri un po' umidi erano leggermente spettinati e evidenziavano il pallore della pelle, gli occhi sgranati dalla sorpresa mi permisero di vedere quel verde tanto bello quanto ipnotico.. tra le altre cose notai anche un livido viola sotto l'occhio destro e un po' di sangue incrostato sulla punta del naso, segno che anche li aveva un piccolo taglio che si era riaperto.
“Non c'è bisogno che ti copri” – gli dissi senza pensarci troppo, gli cinsi le spalle e lo tirai a me in un abbraccio caloroso. In un primo momento si irrigidì come fosse di marmo poi, poco dopo, si sciolse e cinse la mia vita con le sue braccia.
Non ricordo quanto tempo restammo così, abbracciati; ricordo che fu un momento quasi magico, fu speciale.
Ricordo che quando ci staccammo avrei voluto che non fosse mai finito.
“Forse è meglio che vada, non vorrei dare fastidio ai tuoi..” – disse mentre intrecciava le mani e iniziava a torturarsele.
“Tranquillo, vivo da solo” – a quelle parole alzò di scatto la testa e mi guardò con aria confusa e, in quell'esatto momento, potei notare il rossore particolarmente acceso sulle sue gote.
“Niente di tragico, i miei si sono dovuti trasferire a causa del lavoro di mio padre e io sono riuscito a rimanere qua con i miei amici, la mia vera famiglia” – sorrisi sereno. C'era dell'amaro nella mia frase, nel mio tono di voce e nel mio sorriso ma non volevo che gli pesasse.
“Capisco.. allora posso aspettare che smetta di piovere?” – chiese mentre si sistemava meglio nel divano e si stringeva le ginocchia al petto.
“Certo” – sorrise. Quella volta fu la prima in cui vidi veramente il suo sorriso e rimasi colpito anche da quello.
Nel mentre squillò il telefono, gli chiesi scusa e andai in cucina a rispondere.
Era Jimmy preoccupato per quel ragazzo e grazie alla telefonata mi accorsi che non gli avevo ancora chiesto il nome.
Jimmy rise della mia sbadataggine e poi aggiunse che doveva aspettarselo, che quando mi piace una persona la testa mi va sulle nuvole.
Arrossii vistosamente e, nonostante fossi solo, sollevai la felpa per coprirmi il volto.
Restammo un po' al telefono, lo rassicurai sul ragazzo e lui mi spiegò che quella di Phil era tutta scena e che poco dopo era scappato a gambe levate, tipico di certi personaggi.

“Era Jimmy, quello alto e magro dice che Phil se l'è data a gambe leva..” – mi zittii subito appena lo vidi sdraiato sul divano in posizione fetale con gli occhi chiudi e la bocca socchiusa: si era addormentato.
Mi sedetti sul tappetto, poggiai la schiena al tavolino e rimasi a fissarlo finché anch'io non caddi tra le braccia di Morfeo.
Quando mi svegliai era notte fonda, le tre o le quattro. La schiena mi faceva male a causa della mancanza di un materasso e il ragazzo non era più sul divano.
Mi alzai e mi stiracchiai prima di buttarmi a peso morto tra i cuscini del divano e allora lì, sul tavolino, lo vidi: un bigliettino.
“Ha finito di piovere e sono corso a casa, se no mia madre chi la sente?
Grazie di tutto.. ah mi chiamo Zachary.. per gli amici Zack..
Beh, ci si vede domani a scuola.
Ciao”

Quel bigliettino mi trasmetteva una tenerezza infinita. Leggendolo mi ero immaginato Zack inginocchiato vicino al tavolino a scrivere con flebile imbarazzo ogni singola parola per poi lanciarmi un ultimo sguardo prima di uscire in silenzio.
Sono sempre stato romantico e diabetico fino all'inverosimile e lui non fece mai eccezione, anzi.


Il giorno dopo arrivai presto a scuola, trovai Matt seduto sugli scalini ad ascoltare musica.
“Come mai così presto?” – disse dopo aversi tolto una cuffia dall'orecchio.
“Così” – mentii senza grandi successi visto che arrossii vistosamente.
“Ah ah.. stai aspettando il ragazzo di ieri? Come è andata?” – non posso nascondere niente che mi si materializza in fronte e lo rendo pubblico.
“Bene.. si chiama Zack” – lo vidi sogghignare divertito.
“Ecco il tuo Zack” – mi tirò un colpo a spalla e mi indicò l'entrata, spostai subito lo sguardo e lo vidi entrare con la testa china e la voglia di scappare scritta in fronte.
Mi alzai di scatto e gli andai incontro felice.
“Buongiorno!” – esclamai con troppa enfasi e, di rimando, lo vidi arrossire.
“Giorno” – rispose timido.
“Vieni, ti presento Matt!” – gli strinsi una mano e lo trascinai fino agli scalini dove, nel mentre, era arrivato Jimmy.
“Matt, Jimmy lui è Zack!” – entrambi allungarono le braccia pronti a stringergli la mano.
“Piacere!” – dissero felici.
“P-piacere mio.. g-g-grazie per ieri” – balbettò appena e non potei fare a meno di notarlo, lo rendeva ancora più tenero ai miei occhi.

Il giorno stesso entrò (metaforicamente parlando) a far parte del nostro gruppo e nessuno osò più toccarlo.
Scoprii che era arrivato in città durante le vacanze di Natale per un trasloco improvviso a causa della morte del padre, per questo, lui e la madre, si trasferirono in città vicino alla zia, la sorella del padre.
Subito andammo tutti d'accordo con lui e ci affezionammo come non mai, io in particolare.
Passò un po' di tempo prima di scoprire che Zack era un chitarrista, proprio come me. Suonava per sfogare il suo dolore e la riteneva una cosa strettamente privata finché, un giorno a casa mia, mi sentii suonare e suscitai in lui una tale emozione da voler rendere la sua musica “pubblica”.
Quando capii che era stato merito mio mi si strinse il cuore dalla gioia e pensai che, forse, il mio sentimento non era a senso unico.
Poco dopo conoscemmo Johnny, suonava il basso e decidemmo di fondare una band: gli Avenged Sevenfold.
Dopo la nostra prima demo incisa e messa in vendita mi resi conto che, finalmente, la mia famiglia era al completo.


“Dovresti dirglielo!” – Matt intervenne tra una imprecazione e l'altra data da un gioco di guerra.
“Cosa?” – chiesi mentre le nocche mi diventavano bianche tanto stavo stringendo il joystick, come se, in questo modo, giocassi meglio.
“Si, si invitalo ad uscire” – si intromise Jimmy.
“Mi dite di cosa state parlando?” – sbottai nervoso a causa del gioco e del mistero insito nel non-discorso dei miei amici.
“Calma, calma. Stanno dicendo che dovresti invitare ad uscire Zack e confessare i tuoi sentimenti e io sono d'accordo!” – disse Johnny. Lo guardai sorpreso e poi spostai lo sguardo sugli altri.
“Non ci guardare così!” – sputò stizzito Jimmy, ormai stufo del mio tergiversare.
“Oh, giusto in tempo! Zack, Bri deve dirti una cosa!” – neanche il tempo di girarmi per guardare Zack che solcava la porta che Matt, Jhonny e Jimmy si erano volatilizzati chissà dove lasciandomi da solo.
Lasciai il joystick e affondai con la schiena sul divano.
“Briii che devi dirmi?” – mi chiese mettendo quelle 'i' in più nel mio nomignolo e quasi mi sciolsi senza neanche incrociare i suoi occhi.
Balbettai parecchio sotto il suo sguardo curioso, alla fine feci un respiro profondo e lo dissi: “mi piaci, esci con me”.
Preso alla sprovvista arrossì e iniziò a balbettare finché non si dette dell'autocontrollo e mi rispose con estremo imbarazzo misto a gioia: “si.. va bene”.


A mezzogiorno al pontile.
Continuavo a ripeterlo da mezzogiorno meno venti, ero così agitato che mi ritrovai nel luogo dell'appuntamento con venti minuti di anticipo.
Ero nervoso ed euforico allo stesso tempo, non stavo nella pelle.
Mi guardai attorno e lo intravidi da lontano, controllai l'orologio: mezzogiorno meno dieci.
Fui felici di sapere che anche lui era in anticipo e magari nervoso come me.
“Ciao” – fu il saluto che ci scambiammo, un timido ed innocente ciao.
Non avevo un'idea precisa di come passare la giornata, in fondo eravamo già usciti assieme solo che la cosa era vista da un altro punto di vista.
Avevamo già visitato tutta la città o almeno così credevo.
Pranzammo in una piccola tavola calda molto accogliente, ridemmo e scherzammo per tutto il pomeriggio mentre stavamo seduti in spiaggia a tirare sassi e ad osservare il mare.
“Sta per fare buio, vieni..” – mi disse mentre mi tendeva una mano che non esitai a stringere e poi intrecciare con la mia.
Camminammo per circa mezz'ora; minuto più, minuto meno.
Quando arrivammo vicino al cimitero avrei voluto chiedergli cosa ci facessimo li ma lui si voltò prima che potessi farlo e con un sorriso si portò l'indici di fronte alla bocca e io mi zittii ancor prima di proferir parola.
Arrivammo dietro il cimitero e Zack attraversò un piccolo cancelletto coperto da dell'erbaccia; io gli osservavo la schiena in silenzio.
Pochi metri e mi ritrovai su una collina verde che dava le spalle alla città lasciandoci liberi di immergerci con la mente nell'oceano che si stagliava infinito ai nostri occhi.
Pochissime luci illuminavano quella distesa di verde e le stelle risplendevano più che mai.
Si sdraiò sull'erba e io seguii il suo esempio.
“È bellissimo” – ruppi il silenzio con un filo di voce.
“Lo so..” – non disse altro.
Il leggero venticello di Aprile mi fece rabbrividire e, involontariamente, mi avvicinai a Zack per cercare un po' di calore.
Arrossii appena me ne resi conto ma mi rilassai subito, in fondo è un appuntamento e poi Zack non ha mai preso l'iniziativa quindi posso rilassarmi.
Non feci in tempo a formulare questo pensiero che le sue labbra premettero sulle mie.
Rabbrividii di nuovo, questa volta non per il freddo ma per l'intensa emozione.
Si staccò leggermente e cercò i miei occhi con i suoi, erano lucidi e brillavo più del solito e lui era bello da far impazzire.
Allacciai le mani dietro il suo collo e lo feci avvicinare per risentire quelle labbra così morbide sulle mie.
Gli leccai il labbro inferiore per fargli dischiudere la bocca. Fu un momento unico, percepivo ogni sensazione come se fosse l'unica in quel momento: i brividi di piacere, le labbra umide, le gocce di sudore, il rumore dei vestiti che sfregano, i sospiri e il fiato spezzato.
Quella notte tornai a casa convinto di aver provato il picco della felicità e, a ripensarci, fu un pensiero modesto.

Quattro mesi e una settimana.
Dopo quattro mesi e una settimana che io e Zack stavamo assieme il nostro rapporto divenne ancora più profondo.
Prima di quel giorno avevo già fatto sesso o amore, come lo si vuole chiamare, con altre persone: qualche maschio e qualche femmina.
Non mi ero mai soffermato a pensare sul tipo di piacere e sul tipo di intimità che due amanti condividono in un momento del genere e mai me ne era importato.
Avevo il mio appagante orgasmo ed ero apposto per un po' con i miei istinti animali; ragionamento poco romantico, molto cinico e menefreghista.
Però, quando mi ritrovai nel mio letto con io e Zack nudi che ci guardavamo negli occhi alla ricerca di una tacita conferma, fremetti.
Non mi tirai indietro ma uno strano sentimento si impossessò di me e, Zack, lo capì.
Il fatto che lui l'avesse capito mi diede l'ulteriore conferma che lui era l'unico per me e che non avrei potuto vivere senza di lui.
Mi rassicurò con un dolce bacio.
Trasformai quel dolce bacio in uno più rude e passionale senza mai offuscare il mio amore nei suoi confronti.
Quando entrai in lui il sentimento che mi colse fu devastante. Mi sentivo bruciare e percorrere da mille brividi, tale era l'emozione che mi lasciai sfuggire qualche lacrima.
Lacrime che Zack raccolse dicendomi che quello che doveva piangere era lui (per il dolore) e non io; anche lui si lasciò sfuggire qualche lacrima e non per il dolore, sono sicuro che lui provò i miei stessi sentimenti.



“Brii, amore.. che fai?” – mi giro e sorrido nel vedere che il suo sguardo è sempre quello di dieci anni fa; dieci anni esatti da quando facemmo l'amore per la prima volta.
“Scrivo..” – chiudo il diario e lo poggio sul comodino per poi sdraiarmi accanto a te e osservarti mentre cerchi di svegliarti.
“E cosa scrivi?” – sbadigli e ti stropicci gli occhi con le mani chiuse a pugno e io sorrido per la tenerezza che emani nonostante i trenta e passa anni.
“Il racconto della nostra storia d'amore” – smetti di sfregarti gli occhi e ti giri di lato per guardarmi negli occhi e posso notare le gote rosse.
Ti avvicini con timidezza e mi lasci un leggero bacio sulla punta del naso e un altro sulle mie sottili labbra.
“Ti amo Briii” –
“Ti amo anche io Anima mia”.



Note:

Invece di finire le long scrivo oneshot molto zuccherose per il piacere dei diabetici!
Non scrivo mai al passato.. quindi se ci sono errori per favore fatemeli notare così vedrò di non ricascarci!
Se poi volete recensire anche senza insulti mi va bene lo stesso haahahah
Ok, basta.
Grazie a chi l'ha letta tutta (:
Spero di avervi risucchiato dentro il loro piccolo mondo <3
Baci

  
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