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Autore: clarice_    20/09/2012    1 recensioni
[...]« è che... Manco di ispirazione, al momento. »
« Ispirazione... Ispirazione! Ragioni come una scrittrice attempata di romanzetti rosa. » sbottò, sadico.
Poi, alla faccia contrita di Tessa rispose con « Ci penso io a darti l’ispirazione. Ma bada bene, è l’ultima occasione... Quella che deciderà se sei dentro o sei fuori. »
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I


Il profumo amaro del caffé la raggiunse immediatamente, come un abbraccio a lungo atteso, facendola alzare dalla sedia in fretta. Il monitor del computer illuminava la stanza buia, proiettando la luce chiara sulla parete di fronte. Ormai da diversi anni aveva preso la brutta abitudine di lavorare a tarda notte, nel suo monolocale buio e dalle pareti squallide.
Quella casa non le piaceva, ma era tutto ciò che poteva permettersi in quel momento. Almeno fino a quando non fosse diventata una giornalista di successo (cosa che la sua mente ancora faticava ad immaginare). Fino a quel fatidico, irraggiungibile e labile momento, avrebbe dovuto accontentarsi di quel monolocale in periferia, posto sopra un ristorante cinese dall’allegra insegna rossa.
A volte ripercorreva mentalmente il cammino effettuato fino ad allora, e non poteva fare altro che ridere di sé stessa. L’autocritica era sempre stata una costante nella sua vita, sin da quando era piccola, però per quanto si sforzasse di essere positiva non poteva negare l’evidenza.
A sei anni aveva cominciato a scrivere le prime poesie, con eccitazione sempre crescente. Ad otto aveva mostrato orgogliosa alla sua maestra di italiano i piccoli racconti che aveva abbozzato con una grafia sgraziata ma decisa sul quaderno. Alle scuole medie si era data da fare per collaborare con il giornalino scolastico ed ingranare l’inglese, ed infine alle superiori aveva studiato con impegno tutte le lingue straniere proposte dai corsi pomeridiani della scuola.
Il suo sogno non era mai stato ben delineato: desiderava diventare una scrittrice, oppure una saggista, o critica letteraria, oppure scrivere scenografie per il cinema. Nel suo sangue bolliva l’arte pura, quella che ti prende con una foga ruggente e non ti lascia più fino a quando non ti ha svuotato fino all’osso da tutte le energie disponibili.
Il suo spirito irruente l’aveva portata a cimentarsi pure nella pittura, seppure con scarsi risultati. Aveva partecipato a qualche recita scolastica durante il periodo dell’adolescenza ed ora, invece, era semplicemente una donna di ventotto anni il cui destino ancora arrancava nel buio.
Che ne aveva fatto di tutti i suoi sogni? Delle sue aspirazioni, del suo estro?
A chiunque le chiedesse: «Tessa, come procede il lavoro? »lei rispondeva – non senza una certa sottile e quasi macabra ironia - «Gavetta perenne, triste destino. »
In realtà, la sua gavetta poteva dirsi conclusa, ma il punto era che il suo lavoro proprio non le piaceva. Lavorava ad una rivista di cinema, e questo sicuramente era un fattore positivo, visto il suo grande amore per la recitazione, ma tutto ciò preveda anche un lato negativo che pesava non poco su di lei: niente critica cinematografica, solo interviste ai divi del momento, alle celebrità ed agli idoli dei teenager arrapati. Stesse domande ripetitive, identiche risposte sostenute.
Tutto quello che doveva fare era sedersi comoda su una poltrona, posizionare il suo block notes sulle gambe magre ed accendere il registratore. Penna alla mano e sorrisone a trentadue denti stampato sul viso.
Niente a che vedere con tutto quello che aveva sempre desiderato. Però non si era arresa. Stava solamente aspettando il famoso salto di cui amici e parenti parlavano tanto. Quel momento opportuno, quell’occasione che le avrebbe fruttato un futuro radioso. Ma fino ad allora, calma piatta.
Si versò il caffé in una tazzina e lo bevve senza tanti convenevoli, amaro come piaceva a lei. “Piacere” era una parola grossa, dal momento che non andava matta per quella brodaglia scura, ma la sua convinzione era che potesse aiutarla a restare sveglia e vigile ad ore inimmaginabili della notte, quando invece finiva per addormentarsi comunque sul divano scomodo con la bocca aperta ed un cuscino sulla pancia.
Il suo vero nome non era Tessa, ma Teresa. Nome, peraltro, che aveva udito pochissime volte nella sua vita. I suoi genitori lo utilizzavano solamente per richiamarla quando era davvero nei guai, ma per il resto lei era, per parenti ed amici, Tessa. Era nata in Italia, ma aveva vissuto per diversi mesi nel Regno Unito, per seguire dei corsi all’università e poter così migliorare il suo inglese. Al momento si era trasferita nella grigia ma affascinante Londra, mentre i genitori continuavano a tenere un letto disponibile per lei nella provincia di Milano, da dov’era originaria. Avrebbero accettato volentieri di aiutarla con le questioni finanziarie e con la sua casa, ma lei aveva rifiutato subito: era adulta ormai, voleva riuscire a farcela con le sue sole forze.
Si sedette nuovamente alla scrivania e rilesse per la terza volta l’intervista che aveva trascritto, pronta per essere presentata sul tavolo del suo grasso ma bonario capo il mattino seguente. Solo non riusciva a decidersi per stampare il tutto, il suo animo da perfezionista incallita le impediva di arrendersi, doveva scovare gli errori che era certa continuassero ad annidarsi tra le parole nere, luminose sulle pagine bianche.
«Oh insomma, ma che sto facendo? »guardò l’orologio sullo schermo: segnava le 2:48.
L’articolo sarebbe andato bene, ne era certa. E se non fosse andato bene, avrebbe fatto una scenata con Carl, il capo. Non era disposta a dover cambiare tutto, già l’aveva costretta a farlo per la precedente intervista ad una star emergente di cui non ricordava nemmeno il nome. Questa volta sarebbe andata sicuramente meglio.
 
Carl gettò i due fogli sulla scrivania con decisione. Si stiracchiò e si passò la lingua tra i denti, lisciandosi la barba rada sul mento sporgente.
«Tessa, Tessa, che devo fare con te? »borbottò, tamburellando le dita sulla scrivania.
Lei arcuò la schiena, impettita. «Beh, se vuoi un consiglio sincero... Non dirmi di riscrivere l’articolo, ti prego. »Una richiesta d’aiuto, quella, che con la sua voce aveva assunto l’aria di un ordine perentorio che però Carl sembrò non cogliere – Ah, la forza dell’abitudine!.
«Tu sei un’ottima scrittrice. Hai padronanza della lingua inglese così come della tua madrelingua, sai presentare buoni pezzi con una sintassi impeccabile ma... »
Non terminò la frase. Fissò la foto dei due figli che gli sorridevano dalla destra del monitor del computer.
Tessa cominciò ad innervosirsi per la sua mancanza di concentrazione. Mosse i piedi avanti ed indietro sul pavimento, facendo frusciare le suole delle Sneakers, cercando di trattenersi dallo spronare il capo a continuare il discorso.
Carl parve ritornare alla realtà dopo qualche secondo. «Voglio essere chiaro con te, signorina. Mi piaci, hai carisma e sai importi. Ne conoscessi di più, di donne con il tuo carattere! Ma non è questo il punto. Se vuoi far carriera qui dentro »ed indicò con fare plateale le pareti dell’ufficio « devi fare del tuo meglio, maledizione! Sei svogliata, perennemente! Ed io non posso continuare a lanciarti interviste se poi sono costretto a fartele sistemare due volte su tre. Cerca di farti piacere questa roba, o ti ritroverai presto senza questo lavoro che tanto ti pesa. »
«Non è che mi pesa » esordì lei con foga, ma all’occhiata bieca di Carl cambiò subito registro, «è che... Manco di ispirazione, al momento. »
«Ispirazione... Ispirazione! Ragioni come una scrittrice attempata di romanzetti rosa. » sbottò, sadico.
Poi, alla faccia contrita di Tessa rispose con «Ci penso io a darti l’ispirazione. Ma bada bene, è l’ultima occasione... Quella che deciderà se sei dentro o sei fuori. »

*
 

Eccomi qui, con la mia prima fan fiction su un attore (sebbene non sia ancora apparso :D). Al momento ho scritto solo i primi due capitoli, a causa di impegni scolastici, però se vi piace sarò ulteriormente spronata a continuarla. Incrocio le dita, quindi!
Ps: il titolo è una frase della canzone "Just breathe" dei Pearl Jam, uno dei miei gruppi preferiti. Canzone, tra l'altro, che Tom Hiddleston ha dimostrato di apprezzare inserendola in una delle sue Song Of The Day su Twitter.

  
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