Titolo: The Burden
Fandom: Sherlock
Rating: Verde, G
Personaggi: Greg Lestrade, Sally Donovan, Anderson
Tipologia: One-Shot
Lunghezza: 743 parole (secondo Word)
Avvertimenti: Missing Moment
Genere: Introspettivo, leggermente Angst
Disclaimer: Personaggi, luoghi, nomi e tutto ciò che deriva dalla trama
ufficiale da cui ho elaborato la seguente storia, non mi appartengono ma sono di
proprietà del duo Moffat-Gatiss, della BBC e dei molti altri che ne detengono
tutti i diritti. Non ci guadagno né soldi, né favori sessuali dal cast...
Purtroppo!
Note dell'Autore: Scritta per lo Sherlock Summer Fest organizzato dal
Sherlock Fest Italia con il prompt [Lestrade, Anderson, Donovan; "Surreale..."
"Surreale un cazzo."] di minerva74, partecipa anche a Football vs. Calcio per le Olimpiadi di Writers
Arena Rewind.
Grazie a quella pazientissima e gentilissima donna di nome Geilie che ha
betato questa storia e che, temo, non beterà mai più niente di mio finché
vive... ^^'.
Dell'orribile titolo, che significa peso/fardello, mi assumo tutta la responsabilità.
Introduzione alla Fan's Fiction: Termina la chiamata e si sofferma un istante ad osservare lo schermo del proprio cellulare. Si lascia sfuggire un sospiro, ma non è sufficiente a liberargli il petto da quel doloroso senso di costrizione che il colloquio con Gregson gli ha messo addosso.
Partecipa allo Sherlock Summer Fest del Sherlock Fest Italia.
The Burden
Termina la chiamata e si sofferma un istante ad osservare lo schermo del proprio
cellulare. Si lascia sfuggire un sospiro, ma non è sufficiente a liberargli il
petto da quel doloroso senso di costrizione che il colloquio con Gregson gli ha
messo addosso.
«Lestrade!».
La voce nasale del sergente Donovan lo fa sussultare. E lo irrita, lo irrita
terribilmente, perché riesce a cogliervi la stessa nota di rimprovero che ha
accompagnato ogni parola uscita dalla bocca della sua collega nelle ultime dannate
ore.
«Sul serio?».
Anderson e Donovan si fermano e si voltano a guardarlo con aria interrogativa; hanno compiuto gli stessi gesti
nello stesso momento, nota Lestrade.
Forse Sherlock ha ragione e quei due hanno
davvero una relazione. Forse... Non aveva mai associato il termine
'forse' ad una deduzione di Sherlock Holmes. O meglio, l'aveva fatto, ma solo
perché nel suo lavoro c'è bisogno di prove, prove certe, inconfutabili e
numerose da poter portare in tribunale per convincere il giudice di turno
a emettere la sentenza voluta. Mai prima di quel momento, però, aveva esitato
nel fidarsi completamente dell'intuito - Sherlock lo avrebbe fulminato con lo
sguardo, se avesse sentito quella parola, e poi se ne sarebbe
andato facendo sventolare l'immancabile cappotto nero - dell'unico consulente
investigatore al mondo.
Evidentemente
le acque alte del dubbio e del sospetto erano già riuscite a far naufragare
molte delle sue certezze.
«Sul serio?» ripete alzando la voce.
«Cosa?» chiede la Donovan esasperata, allargando le braccia.
«Credete davvero che lui abbia potuto far questo?».
Non pronuncia il suo nome, non ci riesce, quindi si limita a un generico 'lui' che lo aiuta ad illudersi che quella situazione non sia reale.
«Certo!» replica Anderson senza esitazione, il tono di voce di chi ha appena risposto
a una domanda stupida nell'unico modo possibile.
Sally si gira verso Anderson, poi verso di lui, nuovamente verso
Anderson e, infine, un'altra volta verso di lui.
«Tu ancora no?».
Di nuovo quella nota di rimprovero, anche se smussata da qualcosa di molto
simile alla compassione.
Gregory Lestrade si infila il cellulare nella tasca destra della giacca e fa un paio di
passi verso di loro. Sente lo smartphone rimbalzargli sulla coscia, ma non è il
peso dell'oggetto ad infastidirlo, bensì quello del senso di colpa che prova per
aver violato il Regolamento della Polizia avvertendo un sospettato del suo
imminente arresto.
«Andiamo! È...».
Si blocca, portandosi la mano sinistra a massaggiarsi le tempie
come se quel pensiero fosse così disturbante da provocargli un dolore fisico.
«...surreale» conclude con poca convinzione.
«Surreale un cazzo!» esclama Anderson, facendosi improvvisamente paonazzo.
«Anderson...» sussurra il sergente Donovan.
Lestrade è allibito; non quanto la sua collega, che se ne sta a fissare lo
scienziato con la stessa espressione che avrebbe potuto avere un'anziana signora scippata
da un vescovo, ma comunque allibito: non è da Anderson comportarsi così.
«È
sempre tre passi avanti a noi. Sempre. E gli basta un solo sguardo per
capire cose che noi, con i nostri laboratori, impieghiamo settimane a spiegare.
Non è possibile che sia così intelligente... E infatti non lo è!».
Anderson si zittisce; ha il respiro corto, gli occhi lucidi e sembra spossato
a causa di tutta quella rabbia e tutto quel rancore a cui ha appena dato libero
sfogo dopo averli repressi per tanto tempo.
«Anderson?».
La donna
gli si avvicina preoccupata, ma lui non le presta attenzione.
«Ci ha sempre trattati come un branco di idioti inutili e indegni, ma l'unico
indegno è proprio lui».
Lestrade rimane immobile, non dice e non fa nulla
nemmeno quando, dopo un leggero cenno del capo, Anderson se ne va a passo spedito
verso il proprio ufficio.
Sa che cercare di convincerlo dell'innocenza di
Sherlock sarebbe inutile, perciò si limita semplicemente a sperare che si
riesca a dimostrare che ha torto.
«Dobbiamo andare!».
La voce della donna si è fatta più rauca
e bassa, ma la nota di rimprovero rimane sempre lì, a ricordargli che lei lo
considera la causa di tutto quello che sta succedendo.
Lestrade
inspira profondamente. È
troppo stanco per rimettersi a discutere o cercare di
spiegare il suo punto di vista, così si limita a seguirla in silenzio per i
corridoi della Centrale e fino all'automobile.
Il cellulare continua a rimbalzare sulla sua coscia ad ogni passo, e ora a
pesare sono anche la consapevolezza di aver volutamente cercato di far
guadagnare qualche secondo a Sherlock e il disappunto per non essere riuscito a
regalargli più tempo.
Grazie mille a Geilie!