DOCTOR CROW
Premessa: se “Il Gladiatore” è un film che amo moltissimo, “Via col vento” rappresenta invece un’opera per la quale nutro un’avversione viscerale. Del resto, chi come me ama la cultura afroamericana non può pensarla diversamente, a proposito di un film (e di un libro) grondante nostalgia per un mondo dove i neri erano considerati “cose” , in cui gli stessi sono rappresentati come dei poveri deficienti e l’eroina è una borghesuccia viziata per la quale mi è difficile provare simpatia .Un paio di appunti: non sembri strano che il protagonista, giovanissimo, sia già medico. Nel secolo scorso, le cose andavano diversamente da adesso, anche perché la formazione superiore intesa com’è attualmente non esisteva. Crow non c’entra niente con il mio grande amore cinematografico. In realtà, sta per cornacchia ed era il nomignolo insolente che la “ brava gente” del Sud appioppava ai neri, specie a quelli che “non volevano stare al loro posto” vale a dire erano ambiziosi e desideravano elevarsi anche grazie alla cultura.
Dai tempo al tempo Rossella. Quante volte se l'era detto da sé sola, quando lui partiva per quei viaggi di cui si sapeva la data della partenza e quella del rientro era incerta?L'aveva aspettato senza perdere la pazienza, quando se n'era andato sbattendo la porta, stanco, lui, un uomo fatto, dei suoi capricci da ragazzina viziata.Ma il tempo era rotolato come un sasso lungo una discesa, da quel giorno: era stato amore, ma anche parole che non si sarebbero mai volute dire, di quelle che scolpiscono un segno profondo, dentro il cuore, e lui non era uomo capace di dimenticare il male ricevuto.
"Sono cambiata, non sono più la stessa di
vent'anni fa. "E come
metterlo in dubbio?Era passata attraverso due matrimoni,
altrettante vedovanze, una guerra, la miseria,
l'abbandono, il dolore.Non
fosse morta in quel modo, la piccola Diletta sarebbe
stata ormai una bella signorina e avrebbe avuto il mondo
ai piedi. Il ricordo di Diletta le lacerava ancora il
cuore, nonostante gli anni trascorsi, nonostante, in qualche modo, Dio
gliel'avesse restituita nella piccola Kitty, figlia dell'amore
anche lei, figlia di quello stesso uomo che
era stato capace di adorarla e di odiarla, d'innalzarla
e di calpestarla, di dedicarle la vita e
di umiliarla, quasi avesse avuto a che fare non con una
signora ma con qualcuna delle sgualdrine che non
aveva mai smesso di frequentare.
Avevano cambiato
città, e forse la gente non sapeva di loro. O,
anche se sapeva, faceva finta di niente: New Orleans non era
Atlanta, la pettegola, provinciale, bigotta Atlanta, e poi si
sarebbero sposati, occorreva solo avere un
pochino di pazienza, aspettare che
gli affari si mettessero in sesto, e quando mai
non lo erano stati, aspettare che
la nuova fabbrica producesse a pieno regime, che
le commissioni fioccassero, che i viaggi, quegli interminabili viaggi
in giro per il mondo, quei
viaggi misteriosi a proposito
dei quali non le raccontava mai abbastanza,
quelle lunghe assenze punteggiate da telegrammi e lettere che
sarebbero dovute essere rassicuranti e non lo
erano, avessero finalmente avuto termine. Aspettare, aspettare.Intanto i
sorrisi dei vicini cominciavano,anche a New
Orleans,a farsi ironici :era una mantenuta,niente
di diverso dalle belle mulatte di Rampart Street
nei loro abiti chiassosi e nei
loro gioielli pacchiani,oggetto
d'ironia e di commiserazione,e la piccola Kitty era…Non
osava nemmeno pensarle, quella parola volgare: una bastarda.
Gliel’avrebbero gridato dietro tutti, sibilato alle spalle le compagne di
scuola, fatto pesare con uno sguardo di pietà ipocrita perfino le sue
istitutrici. Niente era in grado di difenderla da una simile maledizione. E
presto avrebbe iniziato con le domande imbarazzanti, a sei anni era molto più
matura e precoce delle sue coetanee.
Eh già,corre,il tempo,veloce come un grosso sasso che rotoli giù per una discesa.Io trentasette,lui più di cinquanta,sei la bambina...Le carezzò la testa,e lei strillò,quando uno dei suoi corti riccioli scuri rimase impigliato nel castone dell'anello.Erano ricresciuti ricci e ribelli,dopo che la malattia glieli aveva fatti cadere, cresciuti in fretta e più belli di prima, grossi, folti e accesi da riflessi rossicci,come il mantello dei cavalli bai. Era la madre, ma avrebbe potuto affermarlo anche un estraneo: Kitty era proprio una bella bambina anche se la malattia le aveva lasciato quei riccioli corti da maschietto e occhiaie livide sopra la pelle bianca della faccia.Il peggio è passato,l'aveva rassicurata il dottor Wharton,ma Rossella faceva fatica a crederlo.La bambina era troppo pallida e magra,per essere davvero guarita:sguazzava dentro i vestiti,ti guardava con quegli occhi tristi da vecchietta,aveva perso l'appetito e la vivacità che l'avevano sempre contraddistinta,per diventare abulica e sonnacchiosa come un vecchio cane.Forse neppure il medico di famiglia ne capiva nulla o forse,peggio,aveva capito benissimo quale fosse la situazione,e preferiva tacere.E Rossella trasaliva, paventando l'irrimediabile,ad ogni minimo colpo di tosse,quale che ne fosse la causa.Se anche Kitty,Dio non avesse voluto...Aveva trentasette anni,e per mettere al mondo la sua ultima creatura s'era quasi ammazzata.Nel caso fosse accaduto l'irrimediabile,cercare la magra consolazione di un altro figlio sarebbe stato impossibile,i medici le avevano parlato con estrema franchezza. Allora il filo che l'univa a Rhett si sarebbe definitivamente spezzato e,di tutte quelle che credeva certezze,una sola sarebbe rimasta in piedi:era stata una pessima madre,frivola e distratta,una donna incapace di amare chicchessia,neppure i figli che aveva messo al mondo: Wade e Annabelle,frutto il primo di un matrimonio per dispetto con un ragazzino e la seconda di un matrimonio d'interesse con un vecchio,si facevano vivi con lei solo a Natale per inviarle,dai collegi che frequentavano,brevi e formali messaggi di augurio.Diletta non c'era più, e Kitty...La strinse a sé ,forte.Non avrebbe permesso che le accadesse nulla di male,avrebbe lottato con le unghie e coi denti per...Rifiutò il pensiero di quell'evenienza,col suo amore disperato di madre capace di ricusare ogni logica.Ma stringendosi contro la piccola,sentiva le ossa sporgere troppo sotto la vestina da casa,il fremito leggero della pelle e il tepore maligno di quella febbriciattola maledetta che non voleva saperne d'andarsene. Lotterò,si ripromise,lotterò con tutte le mie forze,non chiuderò occhio e pregherò tutta la notte,smuoverò anche le montagne,se sarà necessario.Un paio di giorni prima,Prissy le aveva parlato di un giovane medico,arrivato fresco fresco dal Nord."E' bravo,dicono".C'era da credere alle stupide chiacchiere di un serva pettegola?Forse che il vecchio dottor Wharton,il medico di famiglia,non era bravo abbastanza?"E'bravo,dicono".Già. E viene dal Nord:sarebbe mai venuta qualcosa di buono,dal Nord?Qualcosa di diverso da ladri,profittatori,soldati blu ubriachi,con la Reminghton stretta in pugno e un ghigno osceno a storcergli la bocca?
*
-Il dottor Butler, Miz Rossella.
Non voleva
credere ai suoi occhi,né le fu facile reprimere la
tentazione di prendere a schiaffi la faccia nera
e impudente di Prissy. Dunque,quello
sarebbe stato il luminare calato dal Nord per ridare la
salute alla piccola Kitty?Dove non era riuscito un
professionista di nome,un gentiluomo come il
dottor Wharton,sarebbe riuscito quel...quell'individuo
vestito come un vaccaro texano,che
ostentava amuleti pellerossa al collo e
ai polsi e che...Dio mio,ma dove l'aveva pescato,quella stupida
di Prissy?In qualche santeria del Vieux Carrè?
-Dottor
Butler.Wade Gabriel Butler,per
servirvi,Madame.
La voce era bassa e rauca,l'accento quello duro del Nord. Wade,come suo figlio.Non doveva essere molto più vecchio di lui. Butler,come l'uomo che non aveva mai smesso di considerare,aldilà del fatto che legalmente non lo fosse,suo marito.Forse era uno dei tanti bastardi che Rhett doveva aver seminato in giro,anche se era impossibile individuare qualsiasi somiglianza fra i due.Eppoi Butler era un cognome abbastanza comune,si disse da sé sola, e sapeva che era per consolarsi.
-Harvard,1878.Sono un dottore vero, madame, non uno stregone.
Wade come suo
figlio.Gabriel,come il più bello
degli arcangeli.I capelli corti,a ricci serrati,erano del
nero più nero che
le fosse mai capitato
di vedere.Gli occhi,grandi e nerissimi anch'essi,facevano pensare a
quelli di un giovane cervo.Aveva le guance magre,il
mento ben modellato,segnato
da una leggera fossetta.La bocca era forse un
tantino troppo larga,la punta del naso appena schiacciata,ma
era inevitabile,in lui,che tali fossero.Doveva
essere stato un bambino bellissimo,non
c'era da stupirsi che sua madre l'avesse battezzato
col nome di un angelo.
-La paziente?Miss
Prissy mi ha parlato di una bambina.
"Miss
Prissy...Una stupida negra.Miss
Prissy,ma guarda un po’...e un medico color del cacao.Che razza di mondo
mi tocca vedere..."pensava Rossella,evitando di guardarlo in
faccia. Gliel'avrebbe pagata,e cara,quella
stupida.Miss Prissy, ma guarda un po'.
-Ha avuto il tifo,questa
bambina?
Mentre parlava,i denti gli
balenavano,candidi fra il roseo livido e screpolato delle
labbra spesse,grandi,ferini quasi,in
singolare contrasto con la dolcezza
dello sguardo.
-I capelli,già..Una signorina
della sua età
dovrebbe portarli lunghi.
Ricresceranno,comunque,e più belli di prima.Quanti anni
ha,questa bambina?Otto?
-Sei e mezzo.E'... altina,per
la sua età.
Avrebbe voluto gridare a
Prissy di farsi gli affari suoi,di non immischiarsi
in faccende che non li riguardavano,lei
e quel ciarlatano nero,ma una rabbia
impotente le teneva dentro tutto quello che avrebbe
voluto urlare.
-E'molto pallida.Miss Prissy
mi ha riferito che è stata
salassata.Chi è il vostro medico curante,Madame?
-Il dottor Wharton.Un
gentiluomo.
Un sorrisetto fugace
illuminò per un istante la bella
faccia del Dottor Cornacchia.Aveva un
profilo nobile, notò Rossella.E un corpo magnifico,sotto
gli abiti dimessi:gambe lunghe e snelle,spalle poderose.
-Mi sembra di
vederlo:un vecchio signore con i capelli
grigi,il pizzo,gli occhiali a stringinaso... Rigorosamente
bianco,suppongo.Sarebbe ora che imparaste a guardare aldilà delle
apparenze,Mrs O’Hara.
-Io non permetto che...
-I miei consigli sono
disinteressati,ci crediate o no.Mi rendo conto che sbandierare una
laurea in medicina conseguita ad Harvard a ventitré anni
soltanto,con voi sarebbe tempo e fiato sprecato. Beh,il massimo che ci si
possa aspettare da un negro è che pulisca le scarpe alla
stazione …Eppure sarebbe sufficiente il buonsenso di un lustrascarpe
per capire-e abbassò il tono della voce-che quel macellaio
non sta facendo niente di
buono,alla vostra bambina:da una
nanigo bruja di Congo Square avrebbe ricevuto meno danni.
Che cosa
stava insinuando,adesso,quel maledetto negro?Che era una
cattiva madre,lei che si era consumata gli occhi
a piangere e le ginocchia a pregare,per la sua bambina che non voleva
guarire?Cosa ne sapeva,della sua pena per le lacrime di Kitty
davanti ai piatti di brodo insapore e
di riso scondito,davanti ai barattoli
di vetro pieni di quelle orribili
sanguisughe,davanti ai bisturi del flebotomo che avrebbero aperto per
l'ennesima volta le sue piccole vene?Quante volte s'era
dovuta far forza per rimproverarla,quando pestava i
piedi per non lasciarsi curare,quando
voleva andare a giocare in giardino e non poteva,quando si vedeva negare
i cibi che le piacevano e propinare quel
solito riso scondito e quel solito brodo
insapore?
-Miss Prissy mi ha raccontato
tutto quanto, Madame.L'inappetenza della bambina,quel
pallore,quella febbriciattola...Non ha niente di
ciò che temete,stenta
solo a riprendersi,perché di
aria,sole e cibo buono che ha bisogno,non di assurdi regimi dietetici e men che meno di
salassi.Si rimetterà in fretta,allora,e
tornerà ad
essere quella di prima.Vi costa tanta fatica crederci?Eppure,a quel
Wharton che la stava rovinando avete creduto.
Rossella dovette
morsicarsi la bocca per non rispondergli male:era
difficile credere che potesse
aver ragione,uno come lui,uno dal quale al massimo ci si aspetta che
lustri gli stivali dei bianchi o svuoti i loro orinatoi
o,tutt'al più,che si occupi di qualche animale malato,cercando di curarlo
con amuleti,scongiuri e formule
magiche,non di una bambina
come la sua Kitty. Già,era terribilmente difficile
ammettere che potesse anche aver ragione.
-Guardatemi,Madame,e
cercate di non vedere un negro,ma un
medico capace al quale sta a cuore la salute dei suoi pazienti e, naturalmente,della vostra bambina.Miss
Prissy mi ha portato da voi perché vi vuole bene...
-Prissy è una stupida.
-Avete ragione.E'proprio da
stupidi provare amore per chi non merita niente.
Il suo sguardo
vellutato,profondo come un pozzo,tagliava come una lama di
coltello.La fissò negli occhi,costringendola ad
abbassarli a terra,per la prima volta in
vita sua.Proprio una bella faccia di
bronzo:nemmeno Rhett l'aveva mai umiliata così.
-Non ho
più
niente da dirvi...Dottore. Andatevene.
Lui si
allontanò ,le spalle dritte,la testa
alta,la figura elegante da danzatore.Era alto quasi
come Rhett,pensava Rossella,e aveva spalle ancora
più larghe e fianchi ancora
più magri.
-Cercate di farle prendere
qualche cucchiaio d' olio di fegato di merluzzo:ha un sapore
terribile,ma è un ottimo
ricostituente.E...-si voltò ,allungò
una mano e le afferrò il mento con le
dita,costringendola ad alzare la testa,a guardarlo dentro quei suoi occhi
neri come il fondo di un pozzo.-Avete le pupille più piccole della punta
di un ago, Madame:smettetela di
prendere laudano.Vi fa male.Il laudano non è un
succedaneo della felicità.
"Succedaneo...Che
vorrà dire? Ne conosceva parecchie,di parole,quello strano
nero.Aveva imparato a leggere e a scrivere,era entrato ad Harvard e ne era uscito medico,a ventitré anni solamente,a dispetto della sua
condizione,a dispetto del suo colore, a
dispetto di come il mondo doveva andare. Chissà chi era.Il sangue scuro delle sue origini si era imbastardito al
contatto con quello bianco; del resto,ormai
da parecchi anni,era diventato quasi impossibile
incontrare un negro puro,un africano
autentico."Succedaneo..."Beh,forse significava sostituto.Ma
come aveva fatto ad accorgersi che,aveva perso il conto dei
giorni,senza laudano non riusciva più ad addormentarsi?Forse quei suoi
occhioni da cerbiatto,quelle iridi nere nelle
quali era impossibile distinguere
il foro della pupilla,potevano leggere dentro.Non
aveva mai creduto, anche se ne
favoleggiavano in tanti,che la conoscenza del
soprannaturale,nei neri, potesse essere qualcosa di connaturato alla loro
stessa essenza, non aveva mai creduto alle loro stupide
superstizioni,eppure...Ma si poteva parlare di superstizione,di
soprannaturale,di lettura del pensiero,nei riguardi
del dottor Butler?Di un medico
laureato ad Harvard,non uno stregone,malgrado
quella pelle,quell'abbigliamento da mandriano,quegli amuleti indiani che
portava al collo e ai polsi?Lo sguardo le scivolò sulle sue
mani :erano bellissime.Si trovò
a desiderare le loro carezze,per poi vergognarsi dei suoi
pensieri segreti. Quell'uomo era un nero,la colpa della rovina del suo
mondo ricadeva anche su di lui,era anche per causa sua se si
era scatenata una guerra che le aveva sconvolto la vita,che l'aveva fatta
piangere per la disperazione e la paura,che le aveva fatto provare cosa
significhi miseria,cosa significhi fame e quanto sia brutta la
morte.E poi,se si era laureto quattro anni prima,a ventitré anni,adesso
doveva averne ventisette, dieci in meno di lei.Anche se non
fosse stato nero,quello che le passava per la testa era peggio che
indecente,doveva dimenticare perfino
d'averlo pensato.
-Accompagnalo,Prissy.
-Non datevi
disturbo,Madame,posso fare da solo.La porta di servizio sta da quella
parte?
Un sorriso
ironico gli aveva scoperto quei suoi poderosi denti
da animale,bianchissimi tra le labbra livide.Che
cosa avrebbe provato,a baciarlo,si domandava
Rossella.Il suo cuore batteva talmente forte...Che cosa
le stava succedendo,era forse impazzita?
-Il vostro fazzoletto,Madame.
Nel chinarsi a
raccogliere il fazzoletto caduto,la camicia gli
si era scostata dal petto,scoprendo una piccola
striscia di pelle bruna,levigata:come sarebbe stato,senza
vestiti addosso?Bello come una statua di
bronzo,pensò la donna,le
guance in fiamme che lui sicuramente
aveva notato, compiacendosene per giunta, animale di un negro.
-Avete un buon
profumo.-le disse annusando il fazzoletto e guardandola come se
volesse sedurla,la grande bocca carnosa socchiusa,le
palpebre frangiate da ciglia incredibilmente lunghe
abbassate a metà sul candore
delle cornee,sul nero assoluto delle iridi.
-Andatevene.
Lo fissò negli occhi,la testa
alta,le labbra serrate,lo sguardo duro.Che
cosa ci faceva ancora lì?Possibile
che non avesse capito che quello
non era il suo
posto?Possibile che non si rendesse conto che quella
del Sud era una realtà
diversa e che non sarebbe bastata una laurea a cambiargli il
colore della pelle?
*
Rossella si accasciò sulla
poltrona,la testa pesante della spossatezza consueta.Se n'era appena
andato alla malora,il Dottor Cornacchia,accompagnato alla porta da Prissy.Era
stata generosa con l'onorario,era giusto pagargli il
tempo perso e non fornirgli il pretesto per chiamarla spilorcia,lei,una
gentildonna del Sud.
Ma esisteva ancora,si domandò,afferrando
la boccetta del laudano,il Sud delle grandi dimore e dei viali
alberati,delle scampagnate e delle feste da
ballo,dell'ospitalità della
cortesia e dell'onore,delle belle dagli occhi
languidi e degli audaci cavalieri,della luna grande come una lanterna che
inargentava i campi e il muschio delle querce,quel mondo di
cui sentiva una nostalgia feroce e che la guerra
aveva distrutto?Un mondo perfetto,all'interno del quale
ognuno recitava il suo ruolo e perfino gli schiavi avevano accettato
la loro parte?Lui,forse,le avrebbe detto di schiene scorticate dalla
frusta,di
famiglie divise,di uomini marchiati a fuoco come bestiame da macello.
Favole,invenzioni di comodo,fantasie di gentaglia come quell'odiosa
Mrs Stowe con i suoi romanzacci che lassù al Nord qualcuno aveva perfino scambiato per la
realtà. A casa sua,lei non aveva mai
visto niente di tutto questo,solo facce
serene,espressioni sorridenti.Una come la sua vecchia
Mammy non avrebbe saputo che farsene,della libertà.
Versò il laudano nel cucchiaino
d'argento,lo ingoiò .Aveva un sapore terribile,ma l'avrebbe aiutata
a star meglio."Vi fa male"le aveva detto
lui.Che poteva saperne,dei suoi problemi e
delle sue esigenze,quello stregone di Congo Square,con i polsi
fasciati da amuleti barbarici e la lana crespa
sulla testa,al quale soltanto la dabbenaggine
di quelli
del Nord aveva potuto permettere di studiare?Fosse vissuto
al Sud,sarebbe rimasto al suo posto e per lui sarebbe stato sicuramente
meglio.Un nero intelligente e istruito è sempre un guaio,per
se stesso e per gli
altri.Quante volte lo aveva sentito ripetere da suo padre,da
Rhett,dagli amici di famiglia,da tutti quanti?
Il Sud che aveva
nel cuore era morto,pensò ,probabilmente non era mai neppure
esistito nella realtà,quel mondo ovattato e artificiale
in cui era cresciuta,fatto di grandi
dimore neoclassiche,di lune d'argento e
feste da ballo.Gli intrepidi cavalieri erano in realtà fiacchi damerini infrolliti da quattro
generazioni di matrimoni fra consanguinei,le belle dagli
occhi languidi insipide pupattole allevate in collegio,destinate a
matrimoni precoci e a esistenze
tediose.Dolci reginette del loro mondo fatto d'ozio,di
noia e dei figli che
questi generano,i vizi.Tutte belle e
profumate fuori,ma fradice dentro,tanto marce da andare perfino con
i loro schiavi.Le era capitato d'origliare discorsi
sussurrati a mezza bocca,storie alle quali aveva
sempre rifiutato
di credere,troppo squallide per essere
vere:non riusciva proprio ad immaginarsela,una gentildonna,una
come lei,impastata d'orgoglio dalla testa ai
piedi,allevata nel culto per il lusso e per le cose belle,con
qualcuno dei braccianti di suo padre,esseri che era difficile credere uomini,neri
come il carbone,puzzolenti come capre e brutti
come diavoli dell'inferno.Sarebbe
bastato solo il pensiero a farla vergognare di se
stessa,ma pensieri del genere non le erano mai passati neppure per
l'anticamera del cervello.
E Wade,allora?La sua
pelle aveva la tonalità
calda di un biscotto appena sfornato e i lineamenti
della sua faccia non davano certo l'impressione di essere stati sgrossati
con l'accetta da un ragazzino maldestro in vena di giocare
allo scultore, non tanfava di sudore rancido ed
era impastato d'orgoglio,esattamente come lei.
L'orgoglio.Il solo
pensare a quell'uomo come lo stava pensando era dimenticare
d'averne.Per una come lei doveva riuscire inammissibile perfino riconoscere
che quell'individuo era un bravo medico e che aveva
salvato sua figlia,altro che sorprendersi a pensarlo in
quel modo,a chiamarlo dentro di sé per nome,lo stesso nome di suo figlio
(non doveva essere molto più
vecchio di lui),a richiamare il ricordo dei suoi
occhi bui quanto la notte,del bronzo fuso della pelle,delle spalle
poderose sotto la giacca di camoscio,delle
mani,di quelle bellissime mani dalle dita
affusolate e dalle unghie bianche.
Quanto tempo era
passato?Dieci giorni,non di più;.Kitty era rifiorita,divorava
i pasti col sano appetito di un lupacchiotto e le sue guance
avevano ripreso colore.Non tossiva più e quella maledetta febbriciattola se
n'era andata.Per sempre.Di lì a qualche mese,i capelli le sarebbero ricresciuti,bruni
e ricci,e sarebbe stato bello
acconciarglieli con
nastri di raso.Ecco, Wade era un estraneo, uno sconosciuto
capitato per caso nella sua vita ma aveva il merito di averle restituito un
tesoro rubato che aveva quasi
perduto la speranza di ritrovare. Il suo dovere l’aveva
fatto, e che scomparisse, adesso, lasciandole solo il ricordo di un
sogno angoscioso, di quelli che fanno svegliare nel cuore della
notte col cuore in gola ma che si
dimenticano in fretta . Rhett, ne era sicura,stava per tornare.E
questa volta sarebbe stato per sempre.
*
-La bambina sta
bene...Adesso?
Rossella dubitava che
non avesse più
avuto modo di saperne.Da
Prissy,per esempio,quella pettegola impicciona. Chissà perché
era tornato,tutto nero dalla testa ai piedi.E
bello,bello da spaccare il cuore.
-Benissimo.Mangia
con appetito,gioca,non ha più la
febbre e neppure quella brutta tosse.Non so davvero
come ringraziarvi,dottor…Butler.Sapete,sentendola
tossire in quel modo ho temuto che...
-Potesse ammalarsi
di tisi? E’ il terrore di tutte le mamme, quando sentono tossire i loro bambini. Certo,la
tisi colpisce di preferenza gli organismi già debilitati per altre cause e la
piccola era debole...Ma ho visto che si ripresa perfettamente,deve avere una fibra
d'acciaio.
"Vi somiglia
poco.Probabilmente ha preso da suo
padre".L'aveva pensato sicuramente, era quel che
pensavano tutti. Da lei, Kitty aveva preso solo i capelli scuri, del resto era
bruno anche Rhett. Le guance piene e colorite, l’ossatura robusta le erano
venute da lui.
Il padre dev’essere un pezzo
d’uomo, magari uno di quei mezzi irlandesi, sicuramente lo aveva pensato, il
dottor Butler, lo aveva pensato davvero. La madre, invece, era tutta diversa.Di
una bellezza fragile,fanée come direbbe un
francese,eufemismo gentile per non definirla sciupata.Aveva una piccola
testa altera dal profilo leggermente aquilino,la pelle
bianchissima in contrasto con la
massa bruna dei capelli,acconciati in una
morbida onda che le ombreggiava la fronte.Gli occhi,grandi e molto
distanziati fra di loro,le conferivano un'espressione malinconica e un
po'corrucciata:erano verdi,spruzzati di pagliuzze d'oro e leggermente strabici.Le
labbra,piccole e sottili ma disegnate
con finezza,si aprivano su dentini candidi e minuti,diversi
da quelli forti della gente di
colore,indubbiamente meno belli.Di statura media
e di complessione delicata,ostentava un vitino
incredibilmente esile,frutto dell'abitudine a quegli
infernali marchingegni ai quali nessuna dama del
bel mondo avrebbe rinunciato,pur sapendo quanto nuocessero alla
salute.Ma ci tenevano poi più di tanto,alla
loro salute,le dame del bel mondo?Anzi,sembravano
ostentare le loro complessioni gracili,il loro pallore anemico,i
loro dentini decalcificati come patenti irrinunciabili della
loro nobiltà di
sangue.Le contadine sono sane e forti,non le
signore.Le contadine e le negre.
Wade ripensò a sua madre.A quarant’ anni,era ancora bella come una ragazza,e non c'era niente di
fragile e delicato in lei:spalle grandi,lineamenti
forti,corpo flessuoso, la bellezza senza fronzoli
e senza orpelli della sua razza;nata schiava in
una piantagione della Virginia,prostituta in un
bordello di lusso dall'età di tredici
anni,madre a sedici e Dio solo sapeva
chi l'avesse ingravidata,fuggita al Nord a venti prima
che le vendessero il figlio...Poteva dire d'averla vissuta
altrettanto intensamente,la sua
vita,quell'altra?Forse l'unica sua preoccupazione,da
adolescente,era stata quella d'accalappiare un marito
purchessia,si fosse trattato d'un vecchiaccio impotente
non importava,purché fosse ricco e disposto
a mantenerla nel lusso,a farla vivere servita e
riverita in una bella casa,a comprarle
gioielli e abiti di sartoria.Le voglie le avrebbe
represse,come reprimeva abitualmente il desiderio di una
passeggiata senza cappello e senza ombrellino,per paura che il sole le facesse
fiorire di lentiggini la pelle della faccia.O le
avrebbe soddisfatte
di nascosto,con un ospite di
passaggio,un cugino povero che scriveva poesie o magari con un uomo
di colore,un mulatto bello come lui da disprezzare in
pubblico e da desiderare fino allo spasimo in
privato.Quella donna non ne sapeva un bel niente,della vita.E
forse era proprio la consapevolezza della sua nullità ad averla indotta a decidere d’
avvelenarsi lentamente con quel
maledetto laudano.
-Perché siete tornato,dottore?I pettegolezzi
di quella Prissy sul nostro conto non sono
stati esaurienti?O non vi
ho pagato abbastanza?
Sembrava seccata
d'averlo ancora in mezzo ai piedi,quel negro che non era stato
capace di restarsene al suo posto,a lustrare sputacchiere d'ottone dicendo
“sì padrone,sissignore..." e
condendo il tutto con quel sorriso melenso
che tanto piace ai bianchi perché è il segno manifesto
della debolezza di cervello che contraddistinguerebbe i
negri,la stigmata incancellabile del loro destino di
servi.Invece il sorriso del dottor Wade Gabriel Butler
balenava candido e sornione tra le labbra sensuali.
Chissà se ci aveva mai
tentato,con una
donna bianca,si ritrovò a pensare Rossella. Chissà se
ci tenterebbe…con me.
-Deontologia professionale,Madame.Un codice di
leggi non scritte che qualsiasi bravo
medico,di qualsivoglia colore è tenuto a
osservare.Niente e nessuno mi garantiva che la vostra
cameriera dicesse la verità :forse la bambina era
finita dinuovo nelle grinfie di quel dottor Wharton,so benissimo
che è più facile fidarsi d'un macellaio che d'un
negro,da queste parti.Vi ringrazio di non averlo
fatto,Madame. E scusatemi se ho dubitato di voi.
Le iridi nere come il
carbone scintillavano tra le palpebre abbassate. Rossella notò un piccolo neo
proprio sotto l’occhio sinistro di Wade, poi osservò l’arco ampio delle
sopracciglia, il profilo regolare, l’angolo volitivo e delicato della mascella,
la grande bocca prepotente che, quando rideva, gli scopriva fino ai molari
tutti quanti i suoi denti bianchissimi. E si ritrovò costretta ad ammettere di
non aver mai incontrato,nel corso della sua vita, un uomo bello come quel
mulatto pieno d’arroganza, infettato dal veleno del Nord al punto da non
riuscire a ficcarsi in testa che una guerra perduta com’era stata perduta, a
New Orleans non bastava a renderlo uguale agli altri e che, laureato o
analfabeta che fosse, era sempre soltanto un negro.
-Eppoi…Ero preoccupato per
voi, Madame. Per quel maledetto laudano che prendete. E’ una droga, esattamente
come l’oppio. Avete mai visto una fumeria? Credo di no. Beh, provate ad
immaginate l’inferno, se ci credete, o qualcosa di molto simile. L’oppio riduce
peggio dell’alcol e impiega meno tempo a trasformare un essere umano in un
rottame. Voi siete ricca, avete un tesoro di bambina, siete giovane…e siete
bella. Non esiste al mondo una ragione che giustifichi il desiderio di distruggersi,
specialmente quando si ha tutto. I miei ventisette anni non sono tanti, ma ne
ho già viste di tutti i colori; eppure sono convinto che le difficoltà vadano
prese a calci in faccia, non annegate nell’alcol, nell’oppio o in qualche altra
porcheria. Qual è il vostro problema, Madame? L’insonnia? Una tazza di latte
caldo, la camomilla e la valeriana sono ottimi rimedi e non fanno male alla
salute. Perfino un libro noioso potrebbe tornarvi utile. Conosco molti titoli,
potrei suggerirvene qualcuno.
La camomilla. Boh, aveva un
sapore orribile. E la valeriana doveva essere qualche altro intruglio del
genere. Il latte non lo aveva mai digerito e in quanto ai libri noiosi…Un tipo
davvero curioso, il buon Dottor Cornacchia. A meno che i rimedi contro l’insonnia
che aveva in testa in quel momento non fossero altri. Non sono come dannati
animali sempre in fregola, i neri, pronti a saltare addosso alla prima cosa che
vedono muoversi, e se si tratta di una signora bianca tanto meglio? La mano di
lui s’era posata, asciutta e forte, sopra la sua, e la stringeva con
delicatezza. Rossella avrebbe voluto urlare, sbatterlo a male parole fuori da
casa sua, ma aveva ragione, anche se era dura da mandare giù. Ed era
terribilmente bello, il che poteva essere anche peggio.
-Chi vi autorizza a credere
che io…
-L’anomalo restringimento
delle vostre pupille, Madame: dimenticate che non potete nasconderlo, con
quegli occhi così chiari, men che meno a un medico. Io lo sono, anche se può
riuscirvi difficile accettarlo. Quando vi deciderete a gettare quella porcheria
giù dal lavandino, il favore lo farete a voi stessa e non a me.
-Andatevene.
-La verità può fare
parecchio male, ma spesso è un male necessario, come cavare un dente
guasto o amputare un arto incancrenito.
Se la pietà, la creanza, l’ipocrisia o non saprei che diavolo d’altro mi trattenessero dal dirvi quello che devo,
vi farei un grave torto, Madame: vostra figlia non ha bisogno di una madre
pazza, men che meno di una madre morta. Mi sono stancato di ripetervelo,
neanche foste una bambina viziata. Se solo mi faceste il favore di dimenticare
che chi vi sta davanti è un negro e invece pensaste che è un medico, un medico
capace, scusate l’immodestia, se dimenticaste un attimo soltanto quello che
siete, se dimenticaste le idee con cui gente che ha la segatura al posto del
cervello vi ha riempito la testa dacchè
state al mondo…Dio, che cose terribili riuscite a farmi dire. O forse sto solo
perdendo tempo: non ci capiremo mai, voi ed io, alla faccia della guerra, delle
leggi e di tutto quanto. Ma…Siete convinta che sia un bene? Sapete, ho
dissezionato parecchi cadaveri, quando ero studente. Le prime volte fa schifo,
poi ci si abitua, come a tante altre cose. Beh, posso garantirvi che, sotto la
pelle, siamo tutti perfettamente identici: il grasso è giallo sporco, i muscoli
dello stesso colore dei quarti di bue che si possono vedere appesi in qualsiasi
macelleria, gli intestini grigi, i vasi sanguigni bluastri, le ossa bianche e
il sangue vivo di un bel rosso ciliegia. Gli occhi, lo specchio dell’anima,
chiari come i vostri o neri come i miei, sono due bocce gelatinose piene di
liquido come acini d’uva; il cervello di un genio e quello di un idiota non
differiscono l’uno dall’altro, sono entrambe
una massa disgustosa di materia flaccida e grigiastra, impregnata di
sangue come una vecchia spugna. In quanto al cuore, poi, fate conto di vedere
un grosso grumo di carne scura e
coriacea, pieno di cavità invece che di sentimenti e figuratevi che quasi non
c’è differenza tra quello di un essere umano e quello di un maiale. Non siamo
proprio niente belli se ci guardiamo dentro, Madame, e sarebbe il caso che ce
ne ricordassimo, qualche volta. Scusate, dovevo dirvelo: forse sono stato
brutale, ma ne andava della vostra felicità, della vostra salute…forse perfino
della vostra vita. Quel vostro dottor Wharton non vi ha detto niente? O è stato
proprio lui a prescrivervi il laudano per farvi dormire? Beh, buttate il
laudano di quel criminale giù dallo scarico del lavandino e, dopo esservi
bevuta una bella tazza di latte caldo, leggetevi un paio di pagine del
“Capitale”.Dovreste addormentarvi come un angelo e, anche qualora la cosa non
dovesse riuscirvi, potreste trovarlo una lettura interessante: mi è stato detto
che vostro…marito è azionista di maggioranza di una delle più grosse fabbriche
di armi del Paese.
Fu l’orgoglio, quello
soltanto, a impedirle di scoppiare a piangere come una stupida in faccia a
quell’uomo insolente.
-Andatevene-gli sibilò come una vipera, i
pugni serrati, i lineamenti del viso irrigiditi dalla collera, gli occhi verdi
stretti come due fessure.
-…E cercate di non farvi più vedere, sporco
negro, altrimenti…
Le
sorrideva, mentre si calcava sulla testa il cappellaccio nero a larghe tese,
con quella faccia d’angelo ombreggiata da un filo di barba, un turchese
d’argento che gli luccicava appena sotto la gola. Wade
Gabriel Butler. Forse
non aveva sbagliato, era davvero uno
dei molti bastardi che Rhett doveva aver seminato in giro.
*
Ho
buttato il laudano giù dallo scarico del lavandino. Vi aspetto.
Rossella
O’Hara
Il
sorriso del dottor Butler doveva indubbiamente costituire, per la donna, una
delle prove inconfutabili dell’esistenza di Dio, ma era troppo ordinaria,
troppo timorata e, quel che è peggio, troppo vecchia per un uomo del genere.
Vecchia? La padrona lo era più di lei e stava giocando a un gioco rischioso:
avrebbe voluto dirglielo, cercare di metterla in guardia per il suo stesso
bene, ma era cresciuta nella convinzione che non si potesse proibire a un
bianco di far quel che si era intestardito di fare, neanche dopo che la guerra
si era portata via i vecchi tempi ma non i vecchi pregiudizi.
-Riferitele che mi vedrà presto.
Se
il gioco fosse andato avanti, avrebbe finito col diventare pericoloso anche per
lui. Soprattutto per lui. Ma quell’uomo aveva
tutta l’aria di non aver paura di niente. L’affitto delle tre stanze che
occupava, lo pagava a Mexcal, il più temuto stregone vudù del Vieux Carré; né
meno terrificante appariva agli occhi di Prissy la creatura che il dottor
Butler tratteneva per il collare: un
cane nero, gigantesco, tutto zanne acuminate e occhi rossi, che la
guardava truce e ringhiava sordo.
-Con chi non è animato da cattive intenzioni è un agnello: buono, Bear…
Difficile crederlo. Era bello anche più del solito, col sole che gli
illuminava la faccia, le brache di pelle aderenti alle gambe slanciate, il
collo della camicia aperto sugli amuleti indiani, lo sguardo che gli sorrideva.
L’arredamento della sua stanza era semplice, perfino sommario. Un paio di
quadri appesi al muro scabro, un tendaggio a fiorami scoloriti che nascondeva
un letto, alcune vecchie sedie, un armadio a muro, un tavolo con sopra un vaso
di fiori: camelie bianche.
*
-Accomodatevi dove meglio credete, dottor Butler.
Lo
aveva accolto con il sorriso dei bei giorni, la dama bianca graziosa, serena e
distesa come non l’aveva mai vista. E molto ben disposta nei suoi riguardi.
-Credevo di avervi offesa. E che non avreste più voluto che mi presentassi
davanti a voi nemmeno per tutto l’oro del mondo.
-In effetti, lì per lì vi ho odiato, dottore. Ma poi ho riflettuto su
quel che avete detto: anch’io ero abituata a prenderle a calci in faccia, le
difficoltà della vita…
Un
grazioso sorriso le aveva sollevato gli angoli delle labbra, disegnato due
leggere fossette sulle guance. Quali difficoltà aveva dovuto prendere a calci
in faccia, una donna come quella che sicuramente dalla vita aveva già ottenuto
tutto quanto? L’amore non ricambiato per un uomo? Guardare, impotente, il suo
mondo fatto di sopraffattori e di sopraffatti andare in pezzi senza poter fare
nulla per impedirlo? Dover tollerare che un negro le impartisse lezioni di
vita? E adesso, poi, perché aveva deciso, inaspettatamente, di riceverlo? Solo
perché, utilizzando più buonsenso che medicine, aveva restituito a Kitty il
bene della salute? O perché l’aveva convinta a gettare dallo scarico il laudano
con cui si stava lentamente avvelenando? O semplicemente per sbattergli sul
muso tutte le insolenze che non aveva fatto in tempo a sciorinargli l’altra
volta? Eppure, sembrava gentile. Lo sarebbe stata altrettanto, si domandava
Wade, se lui fosse stato vecchio e brutto, o forse…Capace che la cortesia di
quella donnicciola ricca e viziata fosse motivata da secondi fini sordidi, da
curiosità malsane che aveva sempre provato, da voglie che aveva deciso di
togliersi e lui era quello giusto, con la sua pelle chiara, i suoi lineamenti
regolari, il suo corpo perfetto che non smentiva, nemmeno in quel certo
dettaglio anatomico che balenava attraverso i calzoni di pelle, le dicerie
messe in giro i bianchi a proposito dei neri?
-Mi piace conoscere
persone interessanti e sapere tutto quanto sul loro conto, dottore.
-Mi
considerate…interessante?
-Un medico nero laureato
ad Harvard, giovane bello e bravo non può non esserlo.
La piccola mano bianca
gli si era posata sull’avambraccio, facendogli correre un brivido per la
schiena; e gli occhi verdi, freddi e distanti come quelli di un uccello da
preda, avevano cercato i suoi per conficcarvisi dentro come chiodi.
-La mia serva mi ha detto
che vivete a Congo Square.
-Sto bene in mezzo ai miei
simili. E poi mi sono trasferito in questa città per curare la gente che sta
male, non per sfidare i pregiudizi dei bianchi.
-E che pagate l’affitto a
Mexcal lo stregone.
-E’ un buon diavolo, in
fondo. Non credo che possa fulminare con lo sguardo, fare innamorare chi non
ama o rubarti l’anima: ma conosce il potere di guarigione delle erbe e questo
può tornare utile anche a un medico.
-Ha anche detto che tenete
in casa un grosso cane feroce.
-Amo gli animali. Eppoi Bear
non è affatto feroce.
-E ha notato delle camelie bianche in un vaso…
-Per me sono semplicemente
fiori e nient’altro. Del resto, il mio colore non dovrebbe dare adito a nessun
equivoco.
In Louisiana, i membri del
Klan avevano scelto quel fiore candido e innocente come simbolo, chissà perché.
E solo e nient’altro che quello doveva essere, per uno come Wade.
-Odio la loro vigliaccheria.
Chi ha qualcosa contro di me, deve dirmela guardandomi in faccia, senza
nascondersi dietro cappucci, lenzuoli e mascherate ridicole. Vengo dal Nord,
non sono stato capace di restarmene al mio posto, parlo bene, ho preteso di
studiare invece di fare il facchino o il lustrascarpe, non ho peli sulla
lingua, mi porto appresso con orgoglio e senza falsa modestia un bel cervello e
una faccia che le donne guardano volentieri…Potrei essere un bersaglio con
tutte le carte in regola, non trovate? E invece di nascondermi, me ne sto a
fare conversazione con una dama di qualità come voi. Basterebbero le
chiacchiere di una serva, un’osservazione innocente della vostra bambina, e
potrei ritrovarmi in un mare di guai.
Rossella si morse le labbra,
ricordando un passato che sembrava lontano secoli. Frank, il suo secondo
marito, il buon vecchio Frank Kennedy che l’aveva salvata da un’umiliante
indigenza quando aveva accettato di sposarlo fingendo d’ignorare che aveva il
doppio del suoi anni e il fiato che gli puzzava, era rimasto ucciso proprio nel
corso di una spedizione punitiva organizzata dal Klan per mettere a posto
qualche negro che s’era azzardato a tralignare, contando sulla presunzione che
i tempi fossero cambiati. Anche Rhett gli aveva dato manforte, e altri con lui.
-State attento.
Le stesse parole che aveva
detto a Frank, quella sera di tanti anni fa. Ma Frank era un vecchio, mentre
Wade era giovane e spavaldo. Era un buon tiratore, le aveva detto, e se la
cavava bene anche semplicemente menando le mani.
-So badare a me stesso. Se
dovesse capitare, i Lenzuoli ne uscirebbero malconci.
Non aveva sprecato troppe
delle sue lacrime, sul povero Frank, e aveva avuto modo di consolarsi in
fretta. Tutto si sarebbe risolto nell’oblio, non fosse stato per quella figlia,
Annabelle, tozza, brutta e musona quanto lei era vivace e graziosa. Una figlia
che malediva la sorte per averle negato i doni che aveva invece elargito a
piene mani a sua madre e che aveva scelto di vivere con gli zii paterni. Erano
anni che non la vedeva: doveva averne sedici, ormai, era una ragazza da marito.
O, più probabilmente, un’infelice destinata a restare zitella.
-In ogni caso,da me non
avete niente da temere, dottore. Io vi devo molto. La mia servitù sa essere
discreta. In quanto alla bambina, a quest’ora si reca da Mademoiselle Berthaud per le lezioni…Ho sempre fatto quello
che ho voluto, ricevuto chi mi andava e intrattenuto chi desideravo, senza
renderne conto a nessuno.
E lui aveva annuito
abbassando le palpebre. Non l’aveva mai messo in dubbio, anche se quella non
era una donna del Nord, una come Miss Simpson che gli aveva tolto la verginità
e insegnato quel che un uomo deve sapere, quando lui aveva sedici anni e lei
più del doppio. A Miss Simpson non era mai importato un accidente del colore
della sua pelle anzi, sicuramente trovava eccitante l’idea di farsela con quel
ragazzo nero che mandava a comprarle l’inchiostro, era bello come un dio e
poteva esserle figlio. Aveva i capelli tinti e due grosse tette, Miss Simpson.
Non dipendeva da nessuno, si manteneva insegnando calligrafia alla scuola di
Belle Arti e faceva tutto quello che voleva, senza renderne conto a
chicchessia. “C’era proprio bisogno di una guerra, gli diceva sempre, per
stabilire che anche tu sei un uomo, Wade, angelo mio? Perché tu sei mille
volte più uomo di chiunque abbia mai
conosciuto…”
-Quel quadro, Madame. E’ un
Mc Rae.
-Credevo aveste intuito che
ho abbastanza denaro da potermi permettere un McRae originale.
-Non è quello che volevo
dire, Madame.
-Ve ne intendete anche di
arte, a quanto vedo.
-Più di quanto sia lecito aspettarsi da un negro, anche da
un tipo strano come me.Forse non distinguo il tabacco dal cotone, ma mi piace
dipingere e disegnare, quando il tempo me lo permette. Da ragazzo ho avuto buoni maestri: tutti dicevano che
avevo abbastanza talento da farmi un nome, ma io volevo aiutare gli altri e
così ho scelto di diventare medico. Un medico che dipinge, appena può. Beh,
forse se avessi scelto di fare il pittore e basta sarebbe stato tutto più
facile. “Il mondo dell’arte non conosce pregiudizi, nessuno farebbe caso al tuo
colore. Con il tuo talento e con la tua bellezza, potresti avere il mondo ai piedi,
Wade…” Ma non me ne importava un fico secco di avere il mondo ai piedi, anche
se era McRae in persona a dirmelo, un giorno sì e un giorno no.
-Conoscete…Leeland McRae?
-Sono cresciuto in casa sua.
Perché, come mai…Ve lo state domandando, lo so. E allora preparatevi ad
ascoltare una storia lunga. E ad arrossire, perché non ho intenzione di
nascondervi niente.
-Non sono nata ieri
dottor…Butler.
-Butler. Come il vostro
attuale…marito. Scommetto che vi siete domandata come mai ogni volta che vi
sono venuto in mente. Eppure non credo di avere molto a che spartire con lui,
se non il nome. E questo Paese è pieno di Butler.
-Potrebbe non essere
esattamente come dite. L’avete definito mio marito, e vi ringrazio della vostra
creanza. Siamo stati sposati, una bella manciata di anni fa, poi ci siamo
lasciati, quindi ritrovati. Forse ci risposeremo. Forse. Chissà quando. In
quanto a quello che volevate dirmi, avete ragione, l’America è piena di Butler.
Ma è anche vero che il mio uomo non è mai stato uno stinco di santo. Perdonate
la mia acredine, io…
-Lo amate ancora, questo
spiega tutto quanto. E immagino che, quando mi guardate come mi guardate, è per
vedere se in qualcosa gli rassomiglio, anche se non è facile individuare
somiglianze tra un bianco e un uomo di colore, mi sbaglio?
-No, come al solito.-
Sorrise, scoprendo per un attimo i dentini aguzzi tra le labbra pallide. Rhett
e Wade forse fisicamente non si somigliavano proprio, aldilà del fatto che uno
fosse nero e l’altro bianco. Ma il primo aveva la stessa diabolica intuizione
del secondo, perfino un pizzico del suo sarcasmo, raddolcito appena dal miele dell’eredità materna.-In ogni caso,
voi siete del Nord.
-Quanto lo siete voi:
Richmond, Virginia. Ma mi sono trasferito al Nord che avevo cinque anni.
-Continuate a stuzzicare la
mia curiosità e non mi dite niente di voi.
-Forse arrossireste.Io sono
abituato a chiamare le cose col loro nome e la mia vita, beh…non è stata un
tappeto di petali di rose, almeno non sempre. Non vorrei offendervi o turbarvi.
-Siete convinto che io abbia
vissuto un’esistenza fatata? Ho perso tutto quello che avevo a causa della
guerra: il mio mondo, i miei affetti, le mie fortune, e mi sono dovuta
rimboccare le maniche per riprendermi quello che era mio di diritto. Ho dovuto
lottare per difendere me stessa e chi mi era caro. Ho seppellito due mariti,
pianto la morte di una figlia piccola, sopportato, tutta sola, pesi che
schiantano. Mi sono trovata sposata senza amore, ho due figli ormai grandi che
non vedo da anni. Il maggiore si chiama Wade, come voi, ha vent’anni ed è
cadetto a West Point. Annabel ha scelto di vivere con i parenti di suo padre.
Avevo sposato il padre di Wade per andarmene da casa, alla vigilia della
guerra: era un ragazzetto insignificante, a stento lo conoscevo. E’ stata la
guerra a portarselo via. L’altro…Era vecchio e ricco. Io ero povera.
Quel Butler,invece, doveva
averlo amato davvero. Al punto da piegare il suo orgoglio e rinunciare alla sua
rispettabilità. Chissà se ne era valsa la pena. In ogni caso, niente avrebbe
potuto offenderla o turbarla, pensava Wade.
(continua)