“Cosa vi
porto?”
I due
rimasero leggermente colpiti. D’altronde non udivano una voce umana dire una
cosa così comune da…quanto ormai?! Gesù, erano passate meno di ventiquattro
ore.
“Per me un
caffè, e per lei…”
“…una
cioccolata calda”. La ragazza terminò la frase per lui. Dopodiché porse il menu
all’uomo che li guardò con un sopracciglio alzato, tenendo la sigaretta fra le
labbra. Poi si voltò scuotendo la testa e avviandosi verso il bancone. E chi
poteva biasimarlo in fondo…vedere un uomo trasandato con i capelli brizzolati e
la barba incolta in compagnia di una ragazzina bionda con lo sguardo spento e
stanco alle due di notte in un autogrill frequentato perlopiù da camionisti,
sulla superstrada che passa per Silent Hill, la cittadina abbandonata, non
doveva essere proprio qualcosa di ordinario.
Fortuna che
lei aveva lasciato il giubbetto sporco di sangue e la pistola nella
macchina...
Non
parlavano da un po’…nessuno dei due. C’era poco da dire, e anche se lei gli
aveva chiesto di chiamarla con il suo nome vero, le occasioni per chiamarla per
nome scarseggiavano.
L’uomo
accese con calma una sigaretta. Ne gustò il sapore, godendo appieno della
sensazione di rilassatezza che ne traeva. Cacciò una nuvola di fumo grigiastra
in parte dal naso, in parte dalla bocca. Poi si leccò le labbra e ne prese un
altro tiro.
La ragazza
invece restava ferma, fissa a guardare il tavolo lucido di metallo. Lo sguardo
era spento, e aveva delle occhiaie scure, violacee, e gli occhi arrossati dalla
stanchezza e dal pianto.
Arrivarono
le ordinazioni. Il caffè nel bicchiere in cartone chiuso, e la cioccolata in una
tazza chiara, che fumava vistosamente, confondendosi con il fumo della
sigaretta. Non una parola uscì dall’uomo che aveva un aspetto burbero e dei modi
bruschi, sviluppati probabilmente con lo svolgimento di quel mestiere da chissà
quanto tempo. Lei ringraziò comunque, con un cenno della testa, poi prese a
guardare sconsolata il fumo che usciva dalla tazza. Sorrise, di un sorriso
amaro.
“Immagino
che non potremo raccontarlo in giro”
Douglas
voltò lo sguardo nella sua direzione. Teneva il caffè in una mano, e la
sigaretta ancora tra le labbra. La allontanò con due dita. “…già…e poi
difficilmente crederebbero a una storia del genere”
Anche lui
fece una smorfia simile al sorriso della ragazza. Poi sorseggiò il caffè. Era
pessimo. Proprio come se lo ricordava…
Quando
l’incubo terminò sembrò che tutto scomparve nel nulla. Anche nella memoria
dell’uomo i ricordi si fecero sfocati, lasciando posto a forti emicranie che si
aggiungevano al dolore della gamba ferita. Heather lo trovò confuso, mentre
guardava in tutte le direzioni. Le grate e il sangue erano spariti, e rimanevano
l’asfalto e le giostre, e tutto aveva un aspetto più normale. Non ricordava le
creature che abitavano quel luogo inquietante, ma ricordava bene Claudia e le
sue assurdità sul paradiso eterno. Si era dimenticato dei grumi di sangue
raccapriccianti con cui aveva convissuto per parecchie ore. Ricordava solo ciò
che di umano possedeva quel mondo. Ricordava per sommi capi ciò che era
successo, ricordava Vincent, quell’uomo strano che compariva dal nulla e nel
nulla spariva subito dopo. Ma anche se dalla sua memoria il mondo di Alessa, gli
incubi di quella bambina erano stati cancellati, forte rimaneva la convinzione
che tutto ciò che non ricordava era orribile e
raccapricciante.
Lei però
ricordava tutto. Ricordava ormai anche più di quanto avesse vissuto in quelle
ore infernali. Ricordava anche ciò che era successo 17 anni prima, e ricordava
di aver perso una persona che fu amica e nemica allo stesso tempo. E ricordava
soprattutto di aver perso qualcosa di troppo importante. E un pensiero fisso la
tormentava…
“…papà…”
Douglas
sentì a mala pena il mormorio mentre spegneva ciò che rimaneva della sigaretta
in un posacenere. Guardò la ragazza di sottecchi.
Nessuno sa
mai cosa dire in situazioni simili…le parole sembrano così futili, e le persone
che soffrono sembrano irraggiungibili, troppo distanti, quasi in un altro mondo,
inaccessibile, lontano, disperso. Nessuno sa mai cosa
dire…
Bevve un
altro sorso di caffè. “So che non sono parole confortevoli, e non aiuteranno di
certo…” cominciò insicuro. “…ma farò in modo che la polizia non ti dia nessun
fastidio. Prenderò il caso e impedirò a chiunque di fare
domande”
Che
assurdità. Appena pronunciate le ultime parole il primo pensiero fu quello; che
assurdità! Sarebbe stato meglio tacere.
Heather
sorrise di nuovo. “Grazie”. Poi prese a bere la cioccolata che nel frattempo si
era leggermente raffreddata, e la temperatura non era più in grado di bruciarle
le labbra.
Nell’aria
si diffondeva una musica calma, rilassante, tipica di un autogrill, anche se il
suono era roco a causa della probabile età avanzata del jukebox. Infatti andava
ancora con i dischi in vinile. Ma forse era meglio così, la musica che ne usciva
sembrava più “vera”, meno perfetta.
L’uomo
strinse una mano. Si stava incolpando di ciò che era successo. In fondo era
stato lui a trovarla, a permettere che gli eventi volgessero in quel modo. In
fondo era stato lui a portarglielo via…
“…mi
dispiace Heather…”
La ragazza
lo guardò. Alzò solo gli occhi, rimanendo con le labbra attaccate alla tazza.
Bevve un altro sorso, poi abbassò tazza e viso. Scosse la testa lentamente. “Ti
ho già detto che ora non c’è più bisogno di chiamarmi
così!”
L’uomo
rialzò la testa come se si fosse appena svegliato da un sogno. Incrociò il
sorriso e gli occhi timidi e allo stesso tempo sfrontati della ragazza, con quel
suo sguardo impacciato e triste. “Adesso voglio che tu mi chiami Cheryl! Non
devo più nascondermi da niente!”
L’uomo
rimase qualche istante a guardarla come si potrebbe guardare una matta. Poi
sorrise a sua volta, un sorriso che non nascondeva l’amarezza, e con la sua voce
roca e trascinata le disse: “Hai ragione, ma sarà difficile
abituarmi…”
Il cartone
del caffè era ormai vuoto, mentre Cheryl, passandosi la lingua sulle labbra,
assaporava le ultime gocce della sua cioccolata. Si rialzarono, non senza
qualche difficoltà; la gamba dell’investigatore lo sorreggeva a malapena, anche
se era stata ben fasciata e il sangue aveva ormai smesso di
uscire.
“Sei sicuro
che vuoi guidare tu? Guarda che se vuoi ti do il cambio”
Douglas
sorrise, appoggiandosi al tavolo per non sforzare la gamba, e cercando con
l’altra mano il portafogli.
“Ha il
cambio automatico, questa gamba non serve a niente. E poi mi sembri molto
stanca, credo sia meglio che tu dorma un po’!”
La biondina
sorrise, e si infilò sotto al suo braccio, sorreggendolo non senza
fatica.
“Ti
ringrazio…”
La macchina
ripartì dirigendosi nella notte verso gli appartamenti Villa Daisy
In quella
casa non era cambiato nulla. In fondo, nessuno avrebbe potuto immaginare cosa
nascondesse al suo interno. Il sangue sul lenzuolo si era seccato, e la macchia
rossa era diventata più scura rispetto a quando erano partiti. Uno dei fiori
bianchi era scivolato, ed era finito a terra. Cheryl si chinò a raccoglierlo, e
lo avvicinò al suo petto. Poi prese a guardare il letto.
Il corpo
era ben visibile sotto le lenzuola, con le braccia giunte sul petto. La ragazza
esitava. Sotto il lenzuolo lo attendeva il corpo smostrato e senza vita di suo
padre, il suo unico affetto, la sua unica famiglia.
“…se non
sei riuscita a dormire in macchina, non credo proprio che ci riuscirai in questa
casa…”
Douglas
guardava la scena dalla porta aperta, appoggiato con una mano allo stipite. Lei
non si voltò neppure a guardarlo. Strinse più forte il fiore al petto, e perse
una lacrima. Ma si sforzò di increspare l’angolo della sua bocca in un sorriso
incerto. “Il problema è che non ho nessun altro posto dove
andare…”
L’uomo
rimase indeciso sul da farsi. Poi, con un paio di passi si avvicinò alla
ragazza, e le poggiò una mano su una spalla.
“Vai nella
tua camera Heather. Cerca di riposare al meglio. Io rimarrò qui, se ne avrai
bisogno ti basterà chiamarmi”
La ragazza
continuò a guardare il letto. Non si muoveva. Non parlava.
“…hai
bisogno di riposare!”
Douglas
strinse la spalla e con un gesto deciso la costrinse a voltarsi, e a guardarlo
negli occhi.
Quello
sguardo…quello sguardo era distruttivo! L’investigatore si accorse che era
difficile sostenerlo, e che se ci riusciva era solo perché era anch’egli
testimone di ciò che quegli occhi avevano visto e sopportato. Se ci riusciva era
solo perché anch’egli aveva vissuto l’incubo terribile fatto di grate e sangue,
rancore e speranza.
Cheryl
abbassò la testa, sorridendo. “Forse hai ragione…”
Scostò la
mano dell’uomo e si avviò verso la porta della stanza. Si fermò sulla soglia e
voltò appena la testa.
“Mi hai di
nuovo chiamato Heather”
…
…si era
distesa senza neanche spogliarsi. Aveva chiuso la porta, forse per istinto,
forse per abitudine, forse per paura. La poltrona insanguinata dove aveva
trovato il padre era a due passi da quella porta, e l’odore del sangue gli
ricordava il mondo marcio che aveva affrontato troppo poco tempo fa. Ci era
passata davanti per arrivare nella sua stanza, e si era fermata un istante a
guardarla. Poi aveva accelerato il passo e, chiusa la porta alle sue spalle, si
era gettata sul letto.
I suoi
occhi erano pieni di lacrime.
Perché?! Perché sei
morto?! Perché non sto sognando? Alzati da quel letto, e vieni qui, vieni ad
abbracciarmi, e a dirmi ancora quanto secondo te sto crescendo bene, e a
rimproverarmi per il mio modo di parlare. Vieni a leggermi un'altra poesia che
secondo te è affascinante, vieni a insegnarmi ancora come scoprire subito il
colpevole in uno di quei brutti romanzi polizieschi. Vieni a dirmi ancora che
non devo avere paura del buio, che non devo avere paura degli specchi, che non
devo avere paura del fuoco. A dirmi che non permetterai a niente e a nessuno di
farmi male, a dirmi che starai sempre vicino a me, che mi proteggerai. Vieni a
dirmi che sei l’uomo più forte del mondo…
La ragazza
socchiuse gli occhi, e le lacrime cominciarono a scendere copiose lungo le
guance, bagnando il cuscino che stringeva sempre più forte. Si rannicchiò su se
stessa.
Vieni da me,
papà!
La parte
più difficile sarebbe stata inventare una storia plausibile per tentare di
mantenere a distanza la polizia e tutti i giornalisti impiccioni che avrebbero
affollato la casa per cercare di ottenere un primo piano delle lacrime di
Cheryl. Era sicuramente compito suo, doveva proteggerla!
Questi
erano i pensieri di Douglas che si era seduto al tavolo, vicino al balcone, e
cercava di trovare una storia convincente da raccontare alla polizia. Raccontare
tutta la verità sarebbe stato inutile, e i due correvano il rischio di essere
anche considerati pazzi.
Lo sguardo
cadde sulle macchie di sangue che portavano dalla poltrona al tetto, dove quel
mostro si era rifugiato. Aveva controllato più volte da quando Heather si era
chiusa nella sua camera, ma del cadavere non v’era traccia. Meglio
così…
“Accidenti…”
la voce era un sussurro, e l’uomo sorrise leggermente, abbassando la testa.
“Anche quando ci penso non riesco a chiamarla Cheryl…”
Potrebbe
arrabbiarsi a lungo andare. È questo ciò che sta pensando. Voltò lo sguardo
verso l’esterno, verso il buio della notte. Perché preoccuparsi di farla
arrabbiare. Probabilmente fra non molto farà in modo di non vederlo più, e
allora non dovrà più chiamarla. Quando si scoprì a pensare tali stupidaggini si
colpì leggermente con un pugno la testa, dandosi dello stupido e del codardo.
La porta si
aprì lentamente, e il cigolio si diffuse nel silenzio della casa. Quando fu
completamente aperta Douglas poté vedere la sagoma di Cheryl. Sembrava si
mantenesse a stento in piedi, la testa era bassa, e i capelli le coprivano gli
occhi, ma le lacrime che cadevano erano ben visibili. Douglas cercò di alzarsi
il più velocemente possibile, ma lei lo anticipò, avvicinandosi con passo svelto
al tavolo, evitando accuratamente di posare lo sguardo sulla poltrona. Si
appoggiò con le mani, e senza dire nulla si abbandonò su una sedia, di fronte
all’uomo. Poi appoggiò la testa sulle braccia incrociate, e per qualche istante
calò il silenzio. Douglas tornò a sedere. Non sapeva assolutamente che dire, e
forse sarebbe stato meglio fare silenzio. Sentì dei singhiozzi sommessi,
leggeri, appena percettibili. Doveva aver pianto a lungo…
Che
stupido! Non avrebbe certo potuto riposare in quella casa. Ma cos’altro avrebbe
potuto fare?
Il silenzio
fu rotto dalla voce femminile, soffocata dalla pressione del viso sulle braccia.
“Non riesco a stare da sola”. Douglas chiuse gli occhi e chinò leggermente il
capo. Anche lui era stanco, si vedeva. Ma non poteva abbandonarla, non dopo
quello che aveva passato. “Si, capisco”. Si passò una mano sul viso. “…allora
stai qua. Ti farò una camomilla.”
“Non farti
strane idee” disse la ragazza senza muoversi. “…è che in camera mia c’è quel
maledetto specchio”
L’affermazione
fece bloccare di colpo l’uomo che si stava alzando a fatica per raggiungere la
cucina. Ma fu solo un istante di esitazione, non c’era
nulla da capire si disse. Decise quindi di non fare domande, e si avviò
zoppicando. Cercò la camomilla e qualcosa per scaldare l’acqua, affacciandosi di
tanto in tanto per controllare Cheryl. La ragazza però non si spostava di un
millimetro.
L’acqua
cominciava a bollire. Fu mentre immergeva la bustina nella tazza fumante che
sentì farfugliare qualcosa.
“Non
importa nulla a quella stupida…fa piangere solo me…solo
me…”
“Hai detto
qualcosa?”
Douglas era
di ritorno, teneva con due mani la tazza per evitare che la sua andatura incerta
ne facesse versare il contenuto. Quando giunse al tavolo sentì che il respiro
della ragazza era diventato più pesante e regolare. Sospirò, e appoggiata la
tazza sul tavolo cercò una coperta da metterle sulle spalle. Poi si sedette
nuovamente; guardò la camomilla fumante. La bevve velocemente, riappoggiando la
tazza sul tavolo. Fissava i capelli della ragazza, e il movimento regolare del
suo corpo, che si gonfiava leggermente quando inspirava aria e tornava giù nel
cacciarla. Sembrava fosse svenuta…finalmente! Un altro po’ e le occhiaie
avrebbero cominciato a scavarle gli occhi.
Il suo
sonno era profondo, le porte tutte chiuse, e Douglas era molto stanco a sua
volta. Guardò nuovamente la ragazzina, che ora sembrava inerme e impotente. E
pensare che portava in grembo un dio. Scosse la testa, e tra questi pensieri si
concesse a sua volta qualche ora di riposo.
Era estate,
quindi non sembrava affatto una giornata triste. I vestiti neri dovevano essere
uno strazio per tutti.
Come avranno fatto poi
a sapere già tutto?
Il vento
soffiava ogni tanto, regalando qualche momento di sollievo dal caldo
incessante.
Vedo i volti di
persone completamente sconosciute passarmi davanti, ai lati…tutti a dire “mi
dispiace”, tutti a stringermi la mano, qualcuno azzarda anche un abbraccio. Vedo
anche le persone conosciute, e quelli che definisco amici. Anche loro usano la
stessa attenzione. Ma quando li guardo negli occhi, tutti, nessuno escluso,
abbassano lo sguardo, quasi impauriti.
Vedo le persone
susseguirsi, sento le loro voci e i loro profumi mescolarsi, le differenti
temperature dei loro corpi quando mi toccano, e comincio a essere stanca di
tutto ciò. Qualcuno se ne accorge, qualcun altro non si accorge nemmeno di
essere solo una seccatura.
Sento qualche parola,
detta sotto voce per ‘educazione’, non capisco cosa dicono, non mi
interessa…
Vedo il legno laccato
calare nella terra bagnata, nella fossa scavata nella notte. Chissà chi l’ha
scavata. Non dovrebbe essere difficile riconoscerlo: avrà le mani piene di
piaghe. Anzi, no…forse c’è abituato, e allora saranno talmente dure da non
spaccarsi più.
È incredibile quanto
possa vagare la mente di una persona che sta soffrendo. Sarà un meccanismo di
difesa. Ma non cambia la situazione…quello nella bara è comunque mio
padre…
Douglas mi è rimasto
vicino per tutto il tempo. Gli altri poliziotti invece sono lontani; sono due e
parlano tranquillamente fra di loro. Se solo me ne fregasse qualcosa riuscirei
perfino a capire cosa stanno dicendo.
Ho portato questo
fiore con me. Non l’ho lasciato da ieri notte, quando l’ho trovato a terra nella
stanza dove giaceva. A papà piacevano i fiori, penso fosse uno dei pochi uomini
che non si vergognava a dirlo. Così lo lascerò a te, e chissà che non ne
spuntino di nuovi dalla terra dove riposerai per sempre
papà…
Cheryl si
incamminò verso la fossa aperta attirando gli sguardi delle persone su di sé. Ma
questo sembrava non turbarla minimamente. I suoi occhi erano impenetrabili, e
tutti, tutti i presenti non riuscivano a guardarli per più di una manciata di
secondi. Così anche in quella occasione, gli sguardi si spostarono presto verso
la terra o il cielo, e comunque lontano da lei. Giunta al ciglio, guardò la bara
serrando gli occhi. Per un istante non mosse un muscolo. Poi lasciò cadere il
fiore bianco che teneva stretto al petto. Solo a quel punto permise a una
lacrima di solcare il suo viso. Una sola minuscola lacrima che percorse la
guancia sinistra fino a raggiungere il mento, e, dopo una piccola esitazione, si
staccò definitivamente per raggiungere il fiore appena
lasciato.
Poi la
terra cominciò a calare.
Douglas
aveva assistito alla scena. Non si era mosso, non lo aveva fatto neanche per suo
figlio, e non disse nulla nemmeno ai due poliziotti che adesso cercavano di
trattenere un risolino, non essendosi accorti di nulla.
Poi sentì
una presenza al suo fianco. Voltò lo sguardo e trovò una donna bionda con i
capelli corti vestita in giacca e pantaloni, e con degli occhiali da sole che ne
nascondevano gli occhi. Tornò a guardare in direzione della fossa. Ma la donna
cercava proprio lui.
“Com’è
successo?”. La sua voce era sottile, e tuttavia trasmetteva sicurezza e forza.
Scandiva bene le parole, e c’era qualcosa nel tono. Qualcosa che Duoglas
riconosceva.
L’uomo
voltò la testa verso quella persona, guardandola meglio. Non la riconosceva. No,
non la conosceva affatto. Era sicuro di non averla mai vista prima. Così si girò
di nuovo.
“Una rapina
finita male…” D’altronde era di sicuro la storia più
plausibile.
La donna
non si scompose.
“Non la
storia per i giornali…voglio la verità!”
Douglas si
voltò di scatto. La vide togliersi gli occhiali con le mani coperte da guanti in
pelle nera, e mostrare i suoi occhi blu, imperlati di lacrime, che iniziarono a
puntare insistentemente verso di lui…
Cheryl si
voltò, decisa a tornare a casa. Ormai non c’era più nulla da fare li. Mentre
tornava indietro si accorse che Douglas era sparito. Inarcò le sopracciglia e
voltò la testa in tutte le direzioni per poterlo ritrovare. Lo vide lontano, di
spalle sotto un albero, e c’era qualcuno con lui. Si avvicinò lentamente, con lo
sguardo basso. Non le interessava chi fosse la persona che stava parlando con
lui, voleva solo tornare a casa.
“Douglas,
voglio andare via…”
Si ritrovò
a pensare che poteva sembrare quasi un capriccio, e che forse avrebbe dovuto
formulare la richiesta in modo diverso, ma questi pensieri svanirono nel momento
stesso in cui Douglas le rivolse la parola.
“Cheryl,
c’è qualcuno che dice di conoscere te e tuo padre molto
bene”
L’uomo si
spostò, permettendo così a Cheryl di incrociare gli occhi con quelli blu della
donna che la fissavano insistentemente. E subito poté notare una cosa: quella
donna non abbassava lo sguardo. La guardava con uno sguardo triste ma deciso, e
sembrava volesse penetrare a fondo nei suoi occhi. La ragazza inarcò un
sopracciglio, squadrando la figura della donna per cercare di riconoscerla. Ma
per quanto si sforzasse, non riusciva ad associare un nome al volto delicato e
attraente che le si parava dinanzi. Eppure aveva un che di
familiare…
“Ma tu chi
sei?”
Douglas fu
quasi sorpreso da quella domanda, e si voltò di scatto verso la donna. Sembrava
deluso. Ma la donna non si scompose. Sorrise con naturalezza. In fondo se lo
aspettava.
“Sono
Cybil…Cybil Bennett!”
…il cuore
di Cheryl perse un battito…
Non sono sicuro se e come continuare. Mi sono sempre chiesto come deve essere per gli eroi di questo macabro viaggio tornare a una vita "normale", o a quello che rimane di una vita normale. Però mi sono accorto che in fondo in quasi tutti i silent hill c'è un effettivo "finale", mentre per Heather questo si ferma apparentemente alla fine del gioco, lasciando ombre micidiali sul come tornerà a casa, e cosa farà dopo. Harry, James, Henry e Travis non sembrano subire questo problema. Per di più a rendere ancor più unica la situazione di Heather è il fatto che è l'unica donna, e l'unica (rimasta in vita) a non avere più nessuno. Così mi sembrava doveroso addolcirle un po' la vita e regalarle un barlume di speranza. Insomma mi sono affezionato a lei!
Fatemi sapere cosa ne pensate, consigli e critiche bene accette.
Leo