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Autore: valli    20/09/2012    6 recensioni
Inizi del '900, Chicago (Illinois). Un matrimonio combinato, la finzione di un amore, il dolore di una donna. Finirà tutto così? Le cose si possono sistemare?
Genere: Romantico, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Old loves they die hard;
Old lies they die harder.

Capitolo XVIII: esserci.


Alexander


Restai fermo a fissare la porta da cui se n'era andata.
L'avevo praticamente costretta a restare qui, in questa casa, con me e mio figlio.
Come diavolo mi era saltato in mente?
Ma cos'altro potevo fare?
Era da quando avevo deciso di partire, di tornare a casa, che mi facevo queste due domande in contemporanea.
Ero così combattuto!
Però la promessa fatta ad Elizabeth continuava a rendersi vivida nella mia mente: Ritorna a casa. Fagli conoscere le nostre famiglie. Crescilo con Reg... con Regina.”
L'avevo promesso alla donna che amavo e che era in punto di morte: due validi motivi perchè io rispettassi la parola data.
Un vagito da parte del piccolo Andrew mi riscosse dai pensieri che troppe volte si ripetevano nella mia mente nel corso di una giornata.
Però quel pomeriggio avevo altro a cui pensare, ad esempio dovevo trovare un modo per uscire da questa casa e attraversare il quartiere fino a giungere all'abitazione dei miei genitori.
Niente di difficile se non fosse stato che io avrei voluto essere invisibile, per camminare tra la folla senza farmi vedere.
Non mi vergognavo delle mie azioni passate - azioni che mi avevano portato il bambino tra le mie braccia - ma sapevo delle conseguenze che esse avevano colpito la mia famiglia.
Presi un grande respiro e guardai Andrew. «Dobbiamo uscire. Siamo uomini, vero, piccolo? Non abbiamo paura.»
Mio figlio mi rispose tendendomi un pugnetto e aprendo la bocca.
«Lo prendo come un sì» conclusi sorridendo.
Mi capitava spesso di parlare con lui. Da quando era nato ed Elizabeth non c'era più, non avevo nessuno con cui parlare.
Certo, discutevo con il dottor Roger e con sua figlia, che gentilmente si era offerta di aiutarlo per quanto riguardava l'allattamento almeno per i primi mesi.
Ma quando mi trovavo a casa, seduto a tavola con lui tra le braccia, a chi potevo confidare le mie ansie, le mie paure?
Era anche quello uno dei motivi che mi aveva spinto a tornare a casa: avevo bisogno della mia famiglia.
Così pensando uscii di casa. Presi con me le chiavi che avevo usato per aprire - il mio paio, che avevo sempre con me - e mi incamminai per il marciapiede tra la gente che mi fissava e bisbigliava.
Marciai a testa alta, stringendo Andrew a me, orgoglioso del mio piccolo trofeo, unico ricordo di un amore e di una passione travolgente.

~

Davanti al cancello della casa dei miei genitori, sospirai.
I pochi chilometri che avevo percorso erano stati faticosi, non per la stanchezza ma per le occhiate e i bisbigli che non si fermavano mai.
Entrai nel giardino di casa mia, percorsi il vialetto guardando l'erba verde e curata e le amate aiuole di mia madre che davano un tocco di vivacità all'area.
Presi un grande respiro mentre suonavo il campanello e diedi un'occhiata ad Andrew, stretto nella sua copertina grigia, che dormiva beato.
Fortunato lui.
Appena sentii dei rumori alla porta, risollevai gli occhi, giusto in tempo per vedere mia madre.
La sua espressione stupita e sconvolta fu quasi un colpo al cuore. «Ale-Alexander?»
«Buon pomeriggio, mamma.» mormorai.
«Cosa... Oddio, vieni dentro, intanto!» esclamo scostandosi e gesticolando agitata.
Varcai l'uscio, stranamente imbarazzato.
Era mia madre, ero nella casa in cui ero nato e cresciuto, avevo ricordi legati ad ogni oggetto presente ma mi sentivo quasi un estraneo.
Mamma dietro di me chiuse la porta, sbattendola in faccia a tanti visi curiosi. Con quel rumore improvviso, Andrew aprì gli occhi e la bocca dando vita ad un piccolo pianto.
Lo cullai sussurrandogli parole di calma, mentre con la coda dell'occhio notai mia madre avvicinarsi e fissarci stupefatta e commossa.
Era suo nipote, il suo unico nipote. Era diventata nonna.
«Oh mio Dio...» sussurrò portandosi una mano al petto.
«Mamma, lui è Andrew... È tuo nipote» mormorai notizie di cui era già venuta a conoscenza tramite lettera, scoprendo la piccola testolina che non aveva mai visto.
«Posso?» chiese allungando le braccia.
«Certo. Magari riesci a calmarlo...» aggiunsi continuando a sentirlo strillare.
Ci avvicinammo ancora di più perchè potesse prendere il piccolo e ne approfittai per guardare con più attenzione il suo viso. Era sempre uguale, sempre bellissima... e mi era mancata.
«Ciao, Andrew, sono la nonna» gli mormorò intanto cullandolo e vezzeggiandolo per farlo calmare.
«Forse ha fame. Come posso dargli del latte?» mi chiese alzando il viso.
«I medici mi hanno insegnato un modo per non ricorrere alla balia sempre. Basta immergere una pezza nel latte perchè assorba il liquido e poi il bambino riuscirà a succhiare. Non è come avere una mamma, ma...» spiegai.
«Oh, ingegnoso. Non ne avevo mai sentito parlare. Tienilo, e seguimi in cucina che prepariamo tutto» aggiunse riporgendomi mio figlio.
La casa non era cambiata. Anzi, a pensarci, non aveva mai subito grossi cambiamenti fin da quando ricordavo!
Ogni tanto mia madre provava a cambiare la disposizione di un mobile o soprammobile i quali, però, dopo poco tornavano al loro posto.
Guardai mia madre affaccendarsi per prendere l'occorrente, chiedendomi ogni tanto informazioni a proposito.
Una volta finito mi avvicinai di più a lei che iniziò a portare la pezza imbevuta di latte alle labbra del piccolino.
«Aveva proprio fame...» mormorai sentendolo rilassarsi tra le mie braccia.
Mia madre restò in silenzio. Immaginai la sua mente piena di domande senza risposta, rimproveri, auguri, lamentele e sospiri: ero sicuro si sentisse così.
«Come stai, mamma?» chiesi allora.
«Sto bene, Alex. Sono contenta di vederti... Non ti nascondo quanto sono stata in pensiero per te in questo anno... quanto lo siamo stati tutti...» si corresse.
«E papà?»
«Lui non si da' pace, si ritiene colpevole. Ha tutti i motivi per farlo! Se solo mi aveste resa partecipe dei vostri piani...» commentò infastidita.
«Mamma, io... mi dispiace. 'On volevo, anzi non volevamo soffrissi per nostre azioni...» spiegai.
Sospirò, passando oltre quel discorso, probabilmente trito e ritrito in quei mesi.
«Sei già stato a casa tua?» domandò.
«Sì. Ho anche parlato con Regina. Beh, diciamo discusso o litigato... Non che mi aspettassi di meglio. Almeno non mi ha lanciato addosso il servizio di piatti...» cercai di scherzare, non causando però neanche un sorriso.
«Quello che hai fatto, figliolo... Le conseguenze sono tutte ricadute solo su di lei. Non ha passato dei bei mesi, e non parlo solo della vergogna pubblica. Parlo del dolore causato da un tradimento, dell'autostima spezzata, della solitudine voluta e del sentimento di sfiducia verso chiunque.» concluse.
Mi zittii, pensando alla veridicità delle sue parole. «E cosa posso fare, allora?»
«Cosa intendi?» domandò fissandomi interdetta.
«Come devo comportarmi con lei? Siamo sposati, divideremo la casa...»
«Sul serio, Alex? Hai intenzione di abitare di nuovo con lei?» chiese stupefatta.
«Sì. Andrew ha bisogno... Ed Elizabeth me lo chiese in punto di morte. Di tornare qui, di fargli conoscere la sua famiglia... e di crescerlo con Regina.» spiegai convinto.
Non potevo, non mi passava nemmeno per la testa, di infrangere la promessa fattele.
«Capisco, ma... hai provato a metterti nei panni di Regina? Le promettesti amore e felicità di tua spontanea volontà - o almeno questo credeva quando la chiedesti in sposa. Una volta sposata sei cambiato totalmente, l'hai trattata peggio di un animale e poi un mattino non ti ha più trovato a casa. Scopre dal tuo migliore amico che sei scappato con un'altra donna con cui avevi una relazione extraconiugale, una donna che è incinta di tuo figlio. È costretta ad affrontare noi, l'ira della famiglia Sawyer, le occhiate della gente e pure il proprio dolore. Non so se lei ti amava, non so cosa provava per te... ma non aspettarti che ti accolga in casa, non pensare nemmeno che possa allevare Andrew... non lo farà.»
La ascoltai fino alla fine capendo quello che voleva trasmettermi e, allo stesso tempo, sentendomi disperato.
«Cosa posso fare, allora? Madre... Andrew ha bisogno di una figura materna e io sono sposato con Regina...» espressi la mia confusione.
«Per prima cosa non dirle mai una cosa simile! La faresti solo sentire obbligata ed oppressa,» iniziò. «Sei davvero convinto, sei sicuro di quello che vuoi fare? Pensaci, Alexander, pensaci. Elizabeth non ti vorrebbe male se sapesse che non l'hai accontentata... Per favore, riflettici bene» concluse.
«Ci ho già pensato per settimane e la mia decisione non è mai stata diversa. Non cambierà neppure ora, mamma, mi dispiace» replicai.
Mia madre mi osservò a lungo prima di mutare la sua espressione in una maschera di compassione: «va bene,» disse, «questa è la tua scelta. Spero solo vada tutto bene. Non combinare altri guai, Alex, ed ascolta Regina. Non lasciarla da parte come un cane un'altra volta. E se hai bisogno... io sono qui ed anche tuo padre. Noi ci siamo.».


§§§

Non mi intrattengo troppo perché sono talmente stanca da non riuscire quasi a pensare! D:
Non vedo l'ora di andare a dormire!
Comunque, qui abbiamo esplorato abbastanza le idee di Alexander, il motivo del suo ritorno.
Cosa ne dite?
Lo so, vi sta abbastanza... antipatico, però... a me da l'idea di uno sperduto. Non sa cosa fare, dove andare.
Già prima della fuga non sapeva cosa fare, pensarsi dopo quando si è trovato con un neonato a cui, ovviamente, non poteva badare sotto tutti gli aspetti, e la fidanzata morta, senza una famiglia, senza amici.
Mica dev'essere facile.
Naturalmente, non per questo gli deve essere dimenticato tutto.
Mi fa pensare ad uno dei significati dello yin e dello yang: anche nel bene c'è sempre una piccola parte di male ed ugualmente viceversa.
Piccola noticina, l'idea di "allattare" il bambino utilizzando un panno l'ho letta nel libro "I pilastri della terra" di Ken Follett.
Dopo questo pensiero, vi lascio augurandovi una buona notte.
A presto
e grazie per seguirmi!

   
 
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