Fanfic su artisti musicali > Backstreet Boys
Segui la storia  |      
Autore: mamogirl    20/09/2012    2 recensioni
Due ragazzi si incontrano.
Due ragazzi si conoscono e si piacciono, ritrovandosi l'uno attirato dall'altro.
Due ragazzi si innamorano.
E' una storia, è una trama, di cui tanti libri hanno narrato. Non c'è niente di differente eppure ogni storia è una perla a sè stante. Come questa. Perchè anche nella più bella e semplice storia d'amore, l'ostacolo è sempre lì pronto per mettere alla prova quest'amore. Può essere banale, può essere qualcosa di totalmente minuscolo dall'essere superato anche senza accorgersene. Oppure può essere la più alta delle montagne ed il più impervio dei fiumi: è una corrente che ti trascina e vuole dividerti e l'unica cosa che puoi fare è aggrapparti a quell'amore e sperare di superare la tempesta.
Brian e Nick si incontrano.
Brian e Nick si innamorano.
E questa è la loro storia.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Brian Littrell, Nick Carter, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

* Prologo *

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La vetrina luccicava sotto i riflessi gialli dorati di quell’insolito caldo sole autunnale. Tocchi di giallo, marrone, rosso e arancione volteggiavano danzanti nell’aria e i più stanchi si adagiavano dopo poco tempo ai lati dei marciapiedi. Una lieve brezza accarezzava le fronde ormai spoglie degli alberi ai lati della strada, alzando e portandosi dietro l’aroma di caldarroste di un piccolo carretto all’angolo di una strada, lì dove incominciava il parco comunale.
Fra i passanti, i bambini che si rincorrevano fra loro, le mamme che passeggiavano lentamente dietro di loro scambiando pareri sull’ultima moda o l’ultimo telefilm visto, un ragazzino camminava velocemente fra di loro. I capelli biondi cadevano in dritti fili davanti agli occhi, due punti azzurri fissi sulla strada davanti a lui mentre le lunghe gambe accorciavano velocemente la distanza fra lui e la sua destinazione. Le dita, lunghe e chiazzate qua e là di colore, erano strette attorno alle cinghie dello zaino che teneva sulle spalle e che ad ogni passo si alzava per poi sbattere contro la schiena. L’ansia e l’agitazione lo avevano tenuto sveglio tutta notte, arricchendo immagini in cui finalmente le sue mani avrebbero potuto accarezzare l’oggetto tanto desiderato e ora la trepidazione lo spingeva ad accelerare come se fosse inseguito da dei mostri. Aveva aspettato quel giorno da tanto e troppo tempo, contando minuziosamente i giorni e le ore nella speranza di riuscire nel suo intento. Quella via, ormai, era diventata sua amica: il marciapiede lo aveva accompagnato nelle sue abitudinali passeggiate di controllo; il lampione, posto proprio a pochi passi dalla porta d’entrata, gli aveva regalato luce per poter sbirciare all’interno della grossa vetrata, anche se sempre inconclusamente. Solo una volta a settimana entrava nel negozio, pochi minuti solamente per controllare che il suo desiderio fosse ancora ben realizzabile prima di uscire con un passo decisamente più ottimista. Era stata una giornata strana quella, il ragazzo poteva benissimo ricordare come si era svegliato scosso da un sogno in cui tutti i suoi sforzi andavano in fumo e di come avrebbe dovuto trascorrere il resto dei suoi mesi girando di mercatino in mercatino per trovarne un’altra copia. Ecco perché quella mattina aveva deciso di saltare la prima ora di lezione per poter mettere a tacere quel tarlo fastidioso. Il respiro di sollievo aveva echeggiato nel corridoio, troppo forte almeno alle sue orecchie, ma nessuno era venuto per riprenderlo o cacciarlo via così lui era rimasto qualche secondo in più tenendo fra le mani quell’oggetto così prezioso, cercando di rubare via un po’ di quel caratteristico profumo per non scordarlo appena solcato la soglia d’uscita.
Non quel giorno. Quel pomeriggio tutte le ore di fatica e di sforzo sarebbero state ricompensate ed il ragazzo non vedeva l’ora di rendere il suo sogno finalmente reale.
Giunse finalmente alla sua destinazione. Il negozio si trovava fra un condominio, da cui lui aveva sempre visto uscire anziani, e una caffetteria che sonnecchiava con pochi clienti e l’aroma di caffè appena macinato. Non amava particolarmente quel profumo, forse perché al caffè la sua mente associava immediatamente i ricordi dell’infanzia trascorsa nella casa dei nonni, ma gli piaceva rinchiudersi in un angolo e incominciare ad immergersi in una nuova avventura mentre, davanti a lui, una tazza di cioccolata calda fumava aspettando che lui si prendesse una pausa da quel nuovo mondo in cui si era appena addentrato.
Ma quel pomeriggio persino quel profumo non gli dava particolarmente fastidio. Niente di brutto o negativo poteva introdursi in quella bolla di contentezza che lo avvolgeva mentre rimaneva lì, fermo ed immobile, davanti alla vetrina della libreria sorridendo come un bambino di fronte al più grande albero di Natale mai esistito. C’era quella sottile aurora di paura che cercava di prenderlo per mano, quello stesso sentimento che avvolgeva chiunque fosse sul punto di realizzare uno dei tanti sogni che ci si portava dentro: e se poi ne fosse rimasto deluso? E se poi non valeva tutta quell’attesa? Ma era anche quello parte del gioco e ciò che rendeva tutto ancora più bello: il senso del rischio, l’avventurarsi in qualcosa di cui potevi aspettarti solamente parte mentre il resto era ancora lì, avvolto da un buio drappeggio, pronto per essere scoperto.
Ma il ragazzo sapeva che ciò non sarebbe successo a lui. Certo, nessuno poteva essere completamente sicuro al cento per cento ma la delusione era davvero un piccolo tarlo che poteva essere facilmente cancellato via. Non andava alla cieca, aveva già controllato e ricontrollato, e sapeva che non sarebbe stato deluso.
A meno che... no, non poteva lasciarsi tentare dal dubbio. Aveva aspettato quel giorno da fin troppo tempo, sopportato qualsiasi richiesta pur di giungere al suo scopo, e non poteva lasciarsi rovinare quel momento.
Con convinzione, posò la mano sulla maniglia della porta: prima il mignolo, poi l’anulare, il medio e infine l’indice mentre il pollice si appoggiava sulla parte finale, quel tondo cicciotto di ottone. Con una lieve spinta, la abbassò e spinse verso l’interno, facendo suonare il campanello posizionato proprio al di sopra della sua testa. Un passo in avanti mentre la sua mano abbandonava la maniglia, lasciando che la porta si chiudesse dietro la sua schiena. L’odore fu la prima cosa che colpì i suoi sensi, ancor prima della vista. L’odore inconfondibile e peculiare di libri, l’aroma di nuove pagine appena stampate che si mischiava insieme a quello di pagine che invece portavano su di loro i segni del tempo che era trascorso inesorabilmente. Amava quel profumo che, se ne fosse stato capace, avrebbe cercato di racchiuderlo in una bottiglia per averlo sempre con sé.
Ed ecco spiegato perché i tuoi compagni pensano che tu sia un po’ strano. Si disse fra sé e sé mentre si toglieva il berretto e scuoteva i capelli per liberarli da quell’informe forma, causata dall’essere stati rinchiusi in quella che molto spesso aveva pensato fosse un’antica forma di tortura. Specialmente i berretti di lana cuciti a mano da un parente.
Colonne e colonne di libri aprivano un piccolo varco al centro del negozio mentre ogni parete era dipinta di mille colori e titoli. Nell’angolo più in fondo, nascosto da altri scaffali, vi era il bancone dove solitamente stazionava il proprietario. Il ragazzo sapeva solo che si chiamava Sig. Richardson, che era sposato – questo lo aveva dedotto avendo notato la fede al dito – e che non era così scorbutico come appariva. Era sì un uomo di poche parole ma era sempre gentile e non si era mai arrabbiato del fatto che lui rimanesse ore a sfogliare libri e libri senza comprarli. O meglio, qualcuno ne aveva anche comprato ma era pur sempre un ragazzo, seppur diciottenne, e le sue finanza erano sempre ben magre. Ma il sig. Richardson incuteva una sorte di rispetto che a volte vacillava sul confine del terrore, specialmente quando appariva alle spalle di qualche cliente per domandare se avesse bisogno di aiuto. Doveva ammetterlo, qualche volta anche lui era saltato di qualche centimetro sentendo quel tono grave che sembrava quasi emergere da una caverna oscura, anche se quelle parole non erano mai rivolte direttamente a lui.
L’unico ad avergli rivolto la parola, qualche settimana prima, era un ragazzo che presumibilmente lavorava lì occasionalmente, considerato che non sempre lo aveva visto nei paraggi. Aveva anche qualcosa di famigliare, probabilmente veniva alla sua stessa scuola eppure non sapeva dire quale fosse il suo nome né di che classe facesse parte. E questo piccolo dettaglio stonava un po’ con quella sensazione, considerato che vi era un’unica scuola in tutto il paese – non molto grande – e molti degli studenti si conoscevano l’un l’altro essendo letteralmente cresciuti insieme. Quel ragazzo, invece, era apparso qualche mese prima anche se lui non sapeva dire esattamente quando fosse avvenuto. L’estate era finita da un pezzo, Natale era già ad aspettare all’angolo eppure quei mesi sembravano essere volati via. E un giorno, entrando in quello che ormai considerava il suo nascondiglio preferito, si era ritrovato faccia a faccia con quello sconosciuto. E quel ragazzo possedeva una fisionomia affascinante, anche se non aveva potuto osservarlo per lungo tempo senza apparire alquanto inquietante.
Scosse la testa mentre si dirigeva verso il punto in cui sapeva che era stato sistemato il libro per cui aveva risparmiato ogni mancia che gli era stata data, lo stesso libro per cui aveva accettato di fare lavoretti che mai avrebbe fatto e sempre per lo stesso per cui aveva fatto la vedetta fuori dalla libreria per settimane. Non era un normale libro. E non era solamente l’ennesima edizione speciale di tutti i racconti su Sherlock Holmes. Era un pezzo unico e raro per un collezionista e per un appassionato, il genere di oggetto per cui valeva la pena rinunciare a serate al cinema o comprarsi l’ultimo disco che andava di moda per il week-end e che poi, inesorabilmente, si sarebbe perso nel vuoto del dimenticatoio. Perché quel libro non raccoglieva solo dei racconti ma ognuno di essi era accompagnato dai disegni del suo artista preferito. Ricordava quando aveva tenuto le mani quel libro per la prima volta e di come aveva accarezzato la copertina con il polpastrello dell’indice, quasi come se solo con quel gesto potesse carpire un segreto da quelle linee o da quei colori.
Era lì, lo sapeva. Fra una biografia di Sir Arthur Conan Doyle e un libro di cui non aveva mai sentito parlare ma che non sembrava così malvagio, in quel buco c’era ciò che aveva allietato i suoi sogni fino a quella stessa mattina. Beh, se proprio doveva essere onesto, lo aveva fatto anche durante l’ora di matematica e di chimica ma semplicemente perché quelle lezioni erano noiose e poco interessanti.
Ecco la biografia, ecco il libro sconosciuto. Ma del suo libro, quello per cui stava delirando nella sua mente da mesi, non ve n’era traccia. No, non era possibile. Dovevano semplicemente averlo spostato, era quella l’unica spiegazione accettabile. Così si diresse all’inizio dello scaffale e, socchiudendo gli occhi per poter vederci meglio, incominciò a far passare ogni singolo volume. Se fosse stato necessario, avrebbe controllato ogni singolo scaffale ed ogni singola colonna di libri. Era a metà, nemmeno aveva ancora raggiunto il punto dove in teoria avrebbe dovuto esserci il suo libro, quando una voce alle sue spalle lo fece trasalire. Non era quella bassa ed alquanto terrificante del proprietario. Era altrettanto bassa ma calda e genuina. Nonostante ciò, si voltò di scatto, facendo cadere qualche volume che stava pericolosamente barcollante sul primo scaffale in alto e si ritrovò ad osservare due intensi occhi azzurri dietro a due lenti d’occhiali.
“Posso esserti d’aiuto?”
Per qualche secondo, dalle sue labbra non uscì nemmeno un filo d’aria. Perché il viso che si trovava di fronte doveva appartenere ad una di quelle statue che aveva visto in un libro dedicato all’arte: i confini erano marcati, decise linee che marcavano l’osso della mascella e che poi si perdevano nei riccioli biondi miele. Le labbra disegnavano il più semplice dei sorrisi, lontano da quelli che spesso indossavano i commessi, finti e pieni di noia di fronte all’ennesimo cliente che ficcava il naso, combinava disastri e poi usciva senza prendere niente. Il ragazzo non poteva essere più grande di lui, forse erano coetanei o forse aveva qualche anno in meno. Eppure, nonostante non riuscisse a spiegare da dove nascesse, c’era qualcosa in quel volto che lo rendeva molto più maturo della sua reale età, quasi come avesse già compreso che le favole che venivano raccontate dagli adulti erano proprio quelle. Favole, racconti fantastici ma con poco appiglio in una realtà che di magico aveva ben poco.
“Ti senti bene?” Gli domandò ancora il ragazzo, la fronte corrugata in una linea di preoccupazione.
“Sì, scusa. Stavo.. stavo cercando l’edizione speciale di “Sherlock Holmes”.”
La preoccupazione si dipinse e trasformò in confusione. “Non è al suo posto?”
Lui scosse la testa.
“Mh. – Mugugnò il ragazzo, battendo l’indice contro le labbra. – Non credo che l’abbiamo venduto. Fammi controllare. Magari mio zio lo ha preso per mostrarlo ad un cliente e si è dimenticato di rimetterlo a posto.” Detto ciò, si dileguò dietro il bancone lì dove il ragazzo sapeva c’era una piccola porta che dava sul retro.
E così, quel ragazzo era il nipote del Sig. Richardson. Dall’apparenza, non avrebbe mai detto che i due potessero avere un legame di parentela, tanto erano differenti l’uno dall’altro. Non avevano niente in comune, almeno quello era ciò che poteva giudicare ad una prima occhiata. Soprattutto, erano così differenti nel carattere. Anche se era solo una prima impressione, considerato che non conosceva personalmente né nipote né zio. Mai giudicare un libro dalla sua copertina.
Nell’attesa, infilò le mani nelle tasche della giacca, alternando il peso su un piede e poi sull’altro. Pensare a quel ragazzo sconosciuto era molto più interessante che pensare al suo libro che non si trovava e alla possibilità che fosse già stato venduto. Che cosa avrebbe fatto in quel caso? Quel libro era un’edizione rara, sarebbe stato impossibile farne arrivare un’altra e, anche se ci fosse riuscito, avrebbe dovuto aspettare ancor troppo tempo per averla e la sua pazienza aveva un limite.
Allungò il collo, cercando di captare qualche ricciolo biondo proprio nel momento in cui stava ritornando verso di lui. L’espressione sul volto del ragazzo non era delle più speranzose ma, magari, era il tipo che non lasciava mai sfuggire nessun pensiero né informazione, una specie di agente segreto dei libri.
“Mi spiace, mio zio lo ha venduto proprio questa mattina.”
Il ragazzo pensò di essere appena caduto nel suo peggior incubo. Tanti sforzi svaniti nel nulla solo perché non era stato più veloce. Oh, perché non lo aveva preso quella mattina direttamente? Sapeva perché, era il motivo per cui non portava quasi mai i suoi libri a scuola né si fidava di lasciarli nel suo armadietto.
“Mi spiace.”
Alzò le spalle, le mani che tornarono a stringersi attorno alle cinghie dello zaino mentre incominciò a mordicchiarsi il labbro inferiore. Fallimento, arresa e semplicemente tanta delusione incominciarono a pizzicargli gli occhi, offuscando per qualche secondo la vista prima che quelle stesse lacrime non scesero nella sua gola, formando un groppo che non voleva sciogliere lì davanti ad uno sconosciuto. No, almeno si sarebbe risparmiato quella figura imbarazzante e avrebbe potuto continuare a venire in quella libreria.
“Grazie lo stesso.” Mormorò prima di voltarsi e rifare l’esatto numero di passi che lo aveva condotto fino a quel punto, riaprendo velocemente la porta e rinchiudendola dietro di sé.

 

 

 

 

 

*~*~*~*~*~*~*~*

 

 

 

 

 

 

Non sapeva per quale motivo continuasse a tenere gli occhi fissi sulla porta d’ingresso, né per quale altra ragione una parte di sé volesse che quel strano ragazzo con i capelli biondi ritornasse dentro al negozio.
Lo aveva visto spesso in quegli ultimi mesi: c’erano giorni in cui rimaneva ore a sfogliare libri su libri con lo sguardo di chi avrebbe voluto portarseli a casa tutti e divorarli oppure crearsi una piccola alcova in un angolo e rimanere lì dentro per sempre; e c’erano altri in cui rimaneva fuori dal negozio, le mani e la fronte appoggiate contro il vetro a semplicemente osservare dentro.
Ora comprendeva in parte quel comportamento. L’espressione nei suoi occhi quando gli aveva detto che il libro non c’era più, che qualcun altro lo aveva comprato e, senza saperlo, aveva distrutto un pezzo di sogno, era molto più esplicativa di spiegazioni e parole. E anche lui sapeva che cosa significa dover aspettare pazientemente per qualcosa e poi ritrovarsi senza niente fra le mani
Ciò che non riusciva a spiegarsi era quella spinta, dentro di lui, a far qualcosa. Non era compito suo, nemmeno conosceva quel ragazzo, se non per quelle poche volte che era stato lì quando lui lavorava e per quei brevi attimi in cui incrociava il suo sguardo a scuola. Era differente, a scuola. Indossava sempre la felpa della squadra di basket ed era sempre circondato da persone, altri ragazzi in altrettante felpe che ridevano e scherzavano mentre camminavano nei corridoi come se quelle mura appartenessero a loro. Sapevano di essere invidiati, sapevano che la maggior parte dei ragazzi volevano essere esattamente come loro, sentirsi come loro. Ma lui era stato, tanto tempo prima, da quell’altra parte e sapeva che, spesso, nessuno riusciva ad andare oltre l’apparenza di quelle giacche. Come quel ragazzo: scommetteva che i suoi amici nemmeno sapevano come trascorreva le sue ore quando non erano insieme e che, invece di continuare a fare tiri o guardare una partita in televisione, se ne stava in un luogo chiuso circondato da libri e libri.
Riportò la sua attenzione verso la pila di libri posta di fronte a lui. Aveva promesso a suo zio che quel giorno avrebbe terminato di inserire tutti i codici nel database ma continuava a sbagliare mentre la sua mente ritornava a quel ragazzo. A quel ragazzo che, molto probabilmente, nemmeno sapeva della sua esistenza.
Perché lui doveva preoccuparsi?
Perché lui continuava a pensare a come risollevare di morale quegli occhi tristi?
Dovevano essere i geni di sua madre, non c’erano dubbi. Erano gli stessi geni che lo spingevano ad accogliere in casa gattini dimenticati o abbandonati, a curarsi di uccelli feriti fino a quando non potevano riprendere il volo da soli e a spendere parte delle sue mance che guadagnava lì in negozio per aiutare chi ne aveva più bisogno.
Che differenza c’era fra tutti quei gesti e risollevare il morale a quel ragazzo?
C’era il piccolo e minimo particolare che gli piaceva. Oh, non era una cotta di quelle romanticamente sdolcinate di quei libri rosa che ogni tanto aveva letto e non si sarebbe nemmeno messo a combattere contro un drago per vincere il suo cuore ma non poteva non ammettere che non fosse carino. Lo era. E lui ne era attratto, per tutti quei dettagli fisici che la divisa della squadra di basket metteva ben in mostra, per quegli occhi azzurri che risplendevano sempre non appena trovava un titolo che catturava la sua attenzione.
Gli piaceva, non avrebbe avuto problemi ad ammetterlo. E, qualche mese addietro, quando ancora non si era trasferito in quella cittadina e quando ancora la sua vita aveva un senso, non si sarebbe fatto problemi a farsi avanti.
Ora? Ora non ne vedeva il motivo. Anche ammesso che il ragazzo ricambiasse la sua attrazione, non vi erano possibilità di... Scosse la testa, allontanando quel pensiero dalla sua mente. Non pensarci era la sua soluzione, anzi, era la soluzione della famiglia. Nonostante le differenze fisiche, nonostante tutti quei particolari che rendevano così strano pensare che lui e suo zio fossero realmente consanguinei e non semplicemente parenti acquisiti, il carattere era sempre lo stesso: le emozioni non venivano mai messe in pubblico, venivano nascoste dietro i sorrisi e la finta ignoranza che niente sarebbe successo.
Ma che cosa c’entrava tutto quello con quel ragazzo? A maggior ragione, avrebbe dovuto ritornare a inserire codici invece che pensare a come consolarlo. Eppure, eccolo lì, il mento appoggiato sul dorso delle mani congiunte davanti a lui mentre pensava e ripensava a che cosa potesse fare. Qualsiasi altro libro sarebbe stato solo un mero palliativo, se il ragazzo aveva cercato quella particolare copia per settimane – e su questo non c’era dubbio -  non si sarebbe consolato con un più banale libro su un detective che pensava di essere Sherlock ma non lo era. E non poteva nemmeno promettergli di fargli avere una nuova copia: la peculiarità di quell’edizione era che le copie erano poche e numerate. Tranne una, quella che suo zio gli aveva consegnato non appena erano arrivate.
“Non vi è il numero e manca la pagina dei ringraziamenti. Non posso venderla quindi, se vuoi, è tua.”
Ovviamente, l’aveva presa e messa in un angolo, visto che nella libreria nella sua camera non vi era più posto. Avrebbe dovuto chiederne un’altra ma, fino a quel momento, aveva tenuto la sua collezione in un angolo della stanza nel retro. Sulla forza dell’istinto, si infilò in quella stanza e recuperò il suo oggetto, urlando poi a suo zio che si assentava qualche minuto. Uscì di fretta dalla porta del negozio, fermandosi solo qualche attimo per guardarsi in giro alla ricerca di quel ragazzo: prima a destra, dove il semaforo avvisava con la sua luce verde che i passanti potevano passare e poi a sinistra. Fu in quella direzione che notò il berretto colorato che il ragazzo indossava, quei capelli biondi che si muovevano velocemente verso il parco. Si mise ad inseguirlo, passi che diventavano sempre più veloci fino a quando non risultò essere una corsa ed il pensiero da quanto non corri, da quanto non provi più questa sensazione?  balenò nella sua mente per una frazione di secondo prima di ritornare ad essere solamente un battito d’ala silenzioso. In poco tempo, però, riuscì a recuperare parte del terreno perduto, trovandosi solo a pochi metri da quel berretto colorato che dondolava ad ogni passo.
“Ehi!”
Lo vide fermarsi di colpo e voltarsi lentamente, le guance rigate da lacrime che una volta anche lui aveva conosciuto. Non erano le stesse, cambiavano i contorni, ma il disegno era sempre lo stesso.
“So che non è la stessa cosa ma... – Dalla schiena, fece emergere la mano con il libro. - ... è tuo, se vuoi.”
Gli occhi si ingrandirono per lo stupore. “Cosa?”
“Non è considerata come ufficiale, anche se fra qualche anno diventerà ancora più rara. Mio zio me l’ha data perché non può venderla.” Azzardò un passo in avanti, quasi come se stesse cercando di avvicinarsi ad un gattino impaurito e spaventato.
Con il palmo della mano, il ragazzo biondo si asciugò velocemente gli occhi. “E la vuoi dare a me? – Gli domandò confuso e sorpreso. – Perché?”
“E’ da un mese che vieni sempre a controllare che non l’abbiamo venduta. Una volta a settimana, solitamente il venerdì perché non hai gli allenamenti e quindi esci prima da scuola. Per il resto dei giorni, ti fermi davanti alla vetrina ad osservare, anche se non so quanto tu possa vederci visto che è da secoli che prometto allo zio di pulire il vetro e non l’ho ancora fatto.”
Quell’ultima frase, una velata battuta dipinta d’ironia, fece sorridere il ragazzo e lo fece avvicinare.
“Hai impiegato settimane per recuperare i soldi, ecco perché solo oggi sei venuto.”
“Deduzione esemplare, non c’è che dire. Degno del migliore Sherlock.”
“Sono un dilettante. Ma osservo.”
“Qualcuno potrebbe confonderlo con lo stalking.”
“Non credo che ciò che faccio si possa considerare illegale. – Rispose con un sorriso. Allungò la mano con il libro. – L’offerta è sempre valida.”
“Perché?”
“Perché ci tieni. Perché, per qualche motivo, questo libro per te è davvero importante. E perché preferisco vedere persone uscire dal negozio con un sorriso invece che con delle lacrime.”
“Non sai nemmeno come mi chiamo. Sono uno sconosciuto.”
“Andiamo alla stessa scuola. Sconosciuto è un termine un po’ troppo grande. Ma puoi dirmi come ti chiami, se vuoi.”
Il ragazzo rimase qualche secondo in silenzio. Lo sguardo era fisso su quel libro, quei colori e linee che tanto aveva sognato. Era strano, surreale perché era la prima volta che qualcuno commetteva un’azione solamente per il desiderio di rendere qualcun altro – lui – felice. Non era abituato. “Nickolas. Ma tutti mi chiamano Nick.”
“Bene Nick. Ora che so il tuo nome, non siamo più sconosciuti, no?” Rispose, porgendogli ancora il libro.
“Non posso accettare.”
“Sì che puoi. Non sai che è maleducazione rifiutare un regalo?”
Nick mise per terra il suo zaino; aprì la tasca sul davanti e frugò alla ricerca del suo portafogli. Dopo pochi secondi, le sue dita si stringevano attorno ad una mazzetta di soldi, arrotolati fra loro e tenuti insieme da un elastico giallo. “Tieni, allora.” Mormorò, allungandoli verso il ragazzo.
“Mettili via per qualche altra edizione speciale.”
“Metà, allora.”
“E’ un regalo.”
“Beh, grazie. – Pronunciò con voce mezza rotta da una gratitudine che si era fermato proprio in gola. – Grazie, davvero. E hai ragione. Desideravo quell’edizione da tanto. I disegni sono stati fatti dal mio disegnatore preferito e Natale era troppo lontano per chiederlo come regalo anticipato. – Nick fermò il treno di parole, una fermata per prendere respiro prima di riprendere. – Grazie.”
Le loro mani si toccarono, una veloce carezza mentre il libro veniva passato da uno all’altro. Fu una scintilla, durò per un nanosecondo e poi ritornò a non essere come d’abitudine. Ma colpì entrambi, lasciandosi dietro quesiti e domande che ancora non potevano essere esplicate. Rimasero due sguardi ad osservarsi, analizzarsi ed elaborare i piccoli dettagli che ora non sembravano più invisibili.
Non fu Nick ad interrompere quel contatto. Fu l’altro ragazzo, abbassando gli occhi e facendo un passo indietro. “Devo tornare in negozio.” Mormorò semplicemente prima di voltargli la schiena e ritornare dalla direzione in cui era arrivato.
“Aspetta! - Lo richiamò Nick – Che cosa posso fare in cambio?”
Il ragazzo si rivoltò e lo guardò un momento prima di formulare la sua richiesta. “Chiedermi il nome.”
“Come ti chiami?”
“Brian.”  

 

 

 










 

 

 

_____________________________________

Lo so, lo so. Non dovrei incominciare una nuova storia quando ne ho ancora in ballo tante altre. Ma... quando un'idea ti colpisce, non puoi semplicemente metterla da parte e lasciarla in un angolo aspettando tempi migliori. Tra l'altro, idea nata da una semplice chiacchierata con Sakura e un suo commento! lol Così, eccola qua. Un'altra AU, ambientata nel contesto del liceo e con caratteri a volte differenti. Chi mai si sarebbe aspettato un Nick che passa il tempo in libreria? LOL

   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Backstreet Boys / Vai alla pagina dell'autore: mamogirl