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Autore: Tomo_Luna    06/04/2007    0 recensioni
La vita può presentare sfumature molto diverse, margini di felicità e tristezza che possono cambiare la tua intera esistenza. Questa è solo una piccola raccolta di storie, deprimenti, con un lieto fine o magari impossibili da capire. Spero solo che appreziate.
Genere: Dark, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Fumo e cenere


Di notte, nulla si muove nella strada, neppure quei fragili tronchi dalla chioma grigia di vecchiaia, neppure la luce di quel lampione in lontananza, talmente staccato da te che pare quasi una misera lucciola solitaria nel folto di una foresta infernale. Non ti muovi neppure tu, gli occhi ciechi fissi sulla volta celeste, nera d’inchiostro e oscurità, senza che la luna, astro minuscolo e codardo, si azzardi a far vedere il proprio volto, timorosa di dover fronteggiare sola quel nero così profondo. E allora tu, dove trovi il coraggio di affrontare così la notte? Se neppure la Luna, che la conosce da millenni ormai, non ha l’animo di esporsi a quelle fauci fameliche, perché tu rimani immobile nella notte, filtrando ogni attimo di buio attraverso la tua pelle diafana?
Un passo, due, passi incerti su gambe malferme, gambe troppo sottili sotto quei pantaloni troppo larghi, troppo leggeri nel freddo dell’inverno, nel gelo che ti congela le lacrime sul volto in una patina di ghiaccio, che rende insensibili le tue labbra screpolate, che rende il tuo respiro visibile, sotto forma di un’effimera nuvola biancastra. Nulla in te dà sentore di vita, neppure quell’alzarsi appena accennato del petto, neppure il battito impazzito del tuo cuore, l’unico suono in tutta la strada. Aspetti nell’oscurità, ma non sai ancora cosa stai cercando nella tua silenziosa attesa; forse, aspetti un’automobile, una macchina che ti porti via da quel luogo selvaggiamente civilizzato, che ti conduca finalmente nel posto a cui appartieni. Forse aspetti un suono, un verso qualunque, perché i tuoi piedi riprendono una corsa che sembra proseguire nel tuo petto, una fuga eterna lontano, lontano da tutto ciò che conosci e detesti. Forse aspetti l’ennesima lacrima, una goccia salata che sciolga il tuo cuore e quel nodo nel tuo stomaco, quel senso di oppressione che rende più difficile la fuga del tuo cuore, inseguito da incubi troppo profondi da essere scacciati. Tutto si risolve in fuga, in una fuga immobile che non è altro che paura, terrore.
Sì, perché se scappassi saresti costretta ricordare perché fuggi, saresti costretta a ricordare di quella lunga reclusione, di quel pavimento sporco, di quelle mani artigliate che laceravano i tuoi vestiti e il tuo volto, quel dolore lancinante in posti che non avresti mai considerato, le lacrime silenziose nel mezzo della notte, quando nascondevi i singhiozzi sotto un cuscino sporco di sangue, le lacrime che spargevi quando, china su un lavandino, vomitavi disgusto e malinconia da un corpo drogato di dolore, gli insopportabili baci che ancora senti vagare sul tuo corpo, labbra screpolate che ti facevano rivoltare nel sonno, accompagnate dalla fredda carezza delle sue mani callose e del coltello da cucina. No, non devi, non devi ricordare! Non è successo nulla! Tu non ricordi, tu non hai memoria di quelle due settimane di reclusione, non rimane nella tua mente una sola immagine di quello che il tuo corpo mostra così chiaramente. Cosa mai dovresti ricordare? Violenza? Di cosa state parlando, voci? Non è mai successo nulla! Stupro? Siete forse diventati pazzi, angeli miei? Non c’è nessuno che mi abbia fatto una cosa del genere! I segni che ho sul corpo? No, non so come me li sono fatti, e allora? Probabilmente sarò caduta sull’asfalto, null’altro! Sì, ma perché sono qui? Ero a casa, stavo entrando a casa dopo una festa, e questa non è la mia zona… Cosa è successo?
Demoni, cosa urlate? Cosa mi mostrate ridendo a questo modo? Perché vi fate gioco della mia ignoranza, del mio dolore?
Perché devo star male per qualcosa che non ricordo? Dio, cosa sta succedendo?! Dove mi trovo, perché questa pena insopportabile in tutte le membra, perché queste lacrime cristallizzate sul mio viso, perché questo freddo?
I tuoi passi rimbombano sull’asfalto, uno dopo l’altro, al ritmo del tuo cuore impazzito. Sorpassi quel luogo, quella casa improvvisamente illuminata di grida e rabbia, quell’ignota figura disgustosamente familiare che urla dalla finestra, fuggi da quel quartiere improvvisamente sveglio e vigile, tutto al tuo inseguimento. Ti nascondi tra le foglie al giungere di una macchina, ti rifugi in un’oscurità fittizia, illuminata a tratti da fari lontani. Le tue orecchie sono piene dello stridio di gomme sull’asfalto, di gemiti bassi sotto il tuo collo, di mani contro una guancia morbida, di singhiozzi e frasi sconnesse, dello scoppiettio del fuoco, delle fiamme in cui brucia il tuo passato e il tuo futuro. Come puoi aver anche solo pensato di riuscire a scordare? Non riesci ancora a toglierti dalle narici quell’odore di carne bruciata, quella mano che sfrigola nel rosso come un ceppo roseo e come un albero si annerisce ben presto, liberando un fumo acre e sgradevole, mentre con le mani premute sulla testa ti difendi dalle percosse ed escludi quelle urla di agonia. Avresti voluto urlare anche tu, avresti voluto fermarli, ma come avresti potuto farlo, incatenata a quel termosifone incandescente? Cosa avresti potuto dire, d’altronde?
Non fategli del male, non ha fatto nulla di male! È solo un ragazzo giunto nel momento sbagliato! È un poliziotto, e allora? Non sta cercando me, no, nessuno mi cerca, lo avete detto anche voi! Anche se ci sono le mie foto sul giornale, anche se i miei genitori compaiono alla televisione per il notiziario delle dodici, con gli occhi cerchiati di scuro, anche se stranieri si sono avventurati nel quartiere molte volte, nessuno mi sta cercando, nessuno vi sta dando la caccia! Lasciatelo stare! Lasciatelo in vita! No, non fatelo! Non potete! Mostri! Mostri! MOSTRI!
Non ti accorgi neppure di stare urlando, mentre balzi nuovamente in piedi, inciampando miseramente in quei pantaloni ingombranti e troppo larghi per la tua figura incredibilmente deperita; le tue gambe protestano per la lunga corsa, i tuoi polmoni si rifiutano di continuare ad aspirare aria, mentre il tuo respiro è diventato come un mantice non oliato, inserendosi nella cacofonia di rumori che riempiono la tua notte. Cuore, passi, respiro, ricordi. Cuore, passi, respiro, ricordi. Cuore, respiro, ricordi. Cuore, ricordi. Ricordi. Perché non posso smettere di ricordare? Non dovrò vivere per sempre con queste memorie, vero?
Non ti sei accorta di esserti fermata in mezzo alla strada, non ti sei accorta che il tuo sguardo è ancora fisso su quel cielo nero che ti sovrasta. Non ti accorgi di quei fari in lontananza, di quella luce come una lucciola perduta nella notte tropo fonda. Non ti accorgi che viene avanti troppo veloce, non ti accorgi di nulla, gli occhi immersi in quell’oceano senza fine. Una stella lontana balugina leggera, come una speranza. Alzi la mano, in punta di piedi, per prenderla. Forse se la prendo potrò confidarle tutto. Potrò svuotarmi di questi incubi e vivere di nuovo. Non ti accorgi di quello stridio di freni, ferma in mezzo alla strada.

Ti sei sentita una falena, per un attimo, in volo lento attraverso la strada, illuminata dalle violente luci artificiali delle automobili. Senti un liquido caldo bagnarti la testa e per una volta non ti ritrai in disgusto, ma un leggero sorriso ti increspa le labbra cineree, colorate di carminio. Forse quel volo di pochi attimi ti ha portato veramente in cielo, perché senti la mente stranamente vuota di pensieri, linda di ricordi. Un’immensa distesa grigiastra copre di nebbia i tuoi occhi, ancora fissi su quella stella. Vedi, è come diceva quella canzone! Tutti alla fine diventiamo fumo e cenere, anche le stelle bruciano alla fine di tutto. Alla fine di tutto.





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