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Autore: Cee4    21/09/2012    3 recensioni
"Sei pazzo".
"Schizofrenico borderline. E' così che bisogna dire"
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Dominic Howard, Matthew Bellamy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era lì davanti alla sua porta con il peso tutto appoggiato sul piede destro e una bottiglia di champagne in mano.
La bottiglia quasi del tutto vuota. Forse era per questo che sentiva nella testa qualcosa di molto simile a scimmiette che suonano piatti. Simpatiche scimmiette.
C'era un tale frastuono in quella scatola cranica.
Diede un altro sorso brindando con se stesso e nel farlo si disse che non era un granché, non per quello che gli era costato.  D'altronde ora poteva permettersi anche il lusso di essere fregato ben considerando l'ampia varietà cromatica delle carte di credito a disposizione.
Carte di credito luccicose e personalizzabili, che pacchia!
L'avevano anche fregato quelle due ragazze che si era portato in stanza progettando un gioco a tre. La cosa si era rivelata un divertente scambio a due in cui la sua persona non era molto contemplata.
Non gli piaceva essere messo in disparte. Merda, figura di merda. E poi era una rockstar. Odiava quel termine nella cui pelle, ovvi vantaggi a parte, non ci sapeva ancora stare, ma era una rockstar cazzo!
Le aveva salutate lasciando loro il  letto. Non gli era sembrato carino interromperle e, poi, a lui  era passata del tutto la voglia. No, la voglia c'era. Diciamo che l'entusiasmo era scemato.
Ora si ritrovava davanti alla sua porta non sapendo cosa fare. Chiamarlo, bussare, sedersi in mezzo al corridoio dell'albergo, farsi dare un'altra camera, andare in giro per poi magari firmare altri autografi, chiacchierare  con qualche fan e chissà cos'altro. Aveva un variegato ventaglio di scelte e nessuna sembrava prevalere sulle altre.
L'alcol può rendere pieni di un'inebriante allegria o di una tristezza soffocante. Lui era così fortunato da essere tanto ubriaco e tanto  triste. A volte sì, capitava anche a lui di essere triste. Triste, depresso, spompato, accigliato, con il cervello e lo stomaco accartocciati, le ginocchia stanche, le mani un po' tremanti e gli occhi lucidi.  Un carrozzone di disperazione in pratica
Era lì per un abbraccio.
Aveva bisogno di un abbraccio.
E se lui fosse stato occupato? Non c'aveva pensato. Si era soffermato esclusivamente sulle sue stringenti necessità e sul fatto che si sentiva solo.
Posò la bottiglia a terra.
Ormai era vuota.
Aveva la mano stretta in un pugno appoggiata alla porta.
Porta che voleva graffiare, che voleva aprire.
Voleva assolutamente entrare.
Un messaggio.
Aprimi.  Avrebbe dovuto scrivergli  Mi apri? . Sì, sarebbe stato più conveniente ed educato e, soprattutto, non l'avrebbe fatto arrabbiare per una così marcata mancanza di cortesia.
Lo scatto della serratura era un Tà. Quell'albergo aveva porte con serrature da Tà.
A quel  "Dai, su, entra" si abbandonò totalmente alle sue braccia come se stesse buttandosi in un precipizio nero e profondo. In realtà,  in un certo senso era così.
Stare con lui dava vertigine e ti faceva venire voglia di cadere. Una magnifica, inimmaginabile, meravigliosa, stupida voglia di cadere.
Gli si schiacciò contro con forza  facendogli avvertire il suo alito ad alta gradazione.
" Pipì ".  Aveva la vescica piena come quella di una donna incinta, doveva essere un altro effetto collaterale della sbronza.
Quando ritornò dal bagno, lui gli indicò di sedersi sul letto e gli diede una tazza alta, enorme, color prugna, con all'interno un intruglio verde e giallo che probabilmente si era fatto portare. Aveva scomodato quei poveri cristi del servizio in camera, Gesù! Li aveva scomodati per quella che sembrava essere una camomilla. Era troppo dolce: lui  aveva abbondato come al solito con lo zucchero.
Voleva distendersi e la camomilla era bollente. Per sbrigarsi e non perdere la sensibilità della lingua nelle seguenti settantadue ore prese un cucchiaino e se la mise a bere così, soffiandoci sopra e ingoiando piano piano.
Si sentiva un bambino malato con la febbre a trentanove.
Non riuscì a  finire la camomilla
Si tolse le scarpe con facilità dato che, fortunatamente, era da sempre un disastro con i lacci e, in generale, con ogni tipo di nodo. Anni addietro non sarebbe stato un abile boy scout qualora l'avesse voluto dunque. In compenso, però, non conosceva nessuno più bravo nell' attaccare le esche all'amo o nell' usare uno squamapesci. Cose di cui andare fieri insomma.
Si infilò sotto le coperte.
C'era puzza di piedi, erano quelli di lui ma ebbe la delicatezza di non farglielo notare stavolta.
Era stanco. Erano entrambi stanchi.
Era contento che fossero accoccolati e che per una volta lui avesse smesso di parlare lasciando perdere quel vago gusto per discorsi inconcludenti.
Gli venne in mente uno dei portieri  Quello che assomigliava a Tarantino.
Gli venne in mente Pulp Fiction, si ricordò di Mia.  "E' solo allora che sai di aver trovato qualcuno di davvero speciale: quando puoi chiudere quella cazzo di bocca per un momento e condividere il silenzio in santa pace".
Ebbene, lì , nell'aria, si avvertivano esclusivamente respiri e battiti lenti.
Quanto alla parte del 'davvero speciale' lui lo era e, sì, lo amava. Lo amava con l'entusiasmo di un "Eureka" ad un problema irrisolvibile tanto a lungo studiato o con l'attaccamento ad uno di quei sogni che si affacciano poco prima della sveglia e che non si vorrebbero abbandonare. Gelosamente e con tenerezza. Erano già andati oltre l'affetto da molto tempo. Tutti possono dirti di volerti bene ma l'amore è un'altra cosa, è privazione. Era così anche fra loro: lui l'aveva portato a privarsi di oggetti, sentimenti, situazioni e a farlo sentire felice la maggior parte delle volte per questo. Significava così tanto per il suo cuore, ne aveva così tanto nel suo cuore. A volte lo guardava di nascosto e si arrabbiava con se stesso perché sbagliava a considerarlo come qualcosa che gli apparteneva. Non gli apparteneva, non poteva accaparrare nessun diritto. Le persone non si appartengono. Eppure ogni giorno ricadeva nello stesso perfido errore. Aveva persino iniziato a grattarsi il naso come lui  e lui aveva preso il suo modo di scrollare il polso quando era arrabbiato. Il punto era che non potevano neanche più giocare a carta, forbice e sasso: finiva che se uno lanciava carta, l'altro lanciava carta. Di un'ovvietà inquietante. La simbiosi paguro-attinia al loro rapporto faceva un baffo.
Si girò verso di lui e accostò la fronte alla sua. Alla domanda " Sei sveglio?" si sentì stringere la mano.
Era il momento giusto per formulare un desiderio. "Vorrei fare un po' di snowboard".
"Lo sai che non mi mantengo teso. Io, piuttosto, vorrei della cioccolata calda".
"Perchè non hai ordinato pure quella?".
"Prima non la volevo. Me l'hai fatta venire in mente tu".
"Finisce che è sempre colpa mia", gli disse imbronciato sistemandosi il cuscino sotto la testa.
Lui dovette convenire in un logico "Bè, si".
Si risistemò il cuscino di nuovo. Non riusciva a trovare la posizione giusta. "Abbiamo fatto pace?".
"Oggi durante il soundcheck...sono stato un vero str...cioè, ho sbagliato e  per tutto il concerto...si, insomma, pace fatta. No?". Eccolo lì. Lui era il tipo che non si scusava mai in maniera esplicita, neanche sotto tortura. Era fatto così. Quando era stanco o annoiato, era acido, si incazzava e faceva tragedie. Nella sua testa tutto durava neanche il tempo tra un singhiozzo e un altro ma i suoi grandi dolori da niente facevano del male agli altri.
"Non ti preoccupare. Che sei un cretino è cosa risaputa". L'avrebbe voluto accoppare con quel delizioso casco di banane che, scampato sorprendentemente alla sua voracità, spuntava dal cesto di benvenuto sulla scrivania. Gli avrebbe voluto sputare in faccia quanto lo detestava quando ci si metteva d'impegno ad essere uno stronzo con gli artigli, ma sapeva che lo avrebbe ferito. Preferì tenere le ferite solo per sè.  Come sempre.
Lui allora gli concesse un regalo. "Ti porto a fare snowboard fra due settimane, dopo Stoccolma".
"Hai un ponfo sulla guancia sinistra".
"Stress".
"Tu lo stress lo fai venire agli altri altroché".
"Se non stai zitto ti sbatto fuori. Perché sei qui?".
"Volevo vedere se la tua stanza fosse più grande della mia e se avessi più bagnoschiuma in omaggio di me".
"Mi stai facendo il verso?".
"Dici?".
"Ti odio".
"Anche io".
"Ma ti sceglierò sempre". Era arrivato, allora, un altro regalo. Questo però era inatteso. Il ginocchio freddo di lui  indugiò tra le coperte sfiorando la sua gamba. Quelle parole morsicate, in cui lui aveva inciampato sputazzando un po' ovunque, erano pesanti. Entrambi cercarono di mantenere la calma anche se la tensione muscolare si scioglieva lentamente nella malinconia.
"Ho paura".
"Lo so. Tutti ne abbiamo".
"Sei un filosofo del cazzo, e nel mezzo della notte per di più".
"Dovresti avere un figlio".
"E con chi?".
"Le ragazze con cui ti sei appartato...".
"Credo che abbiano altre priorità al momento".
"Mettiamo un annuncio. Anzi no, lanciamolo sul sito con l'account anonimo che mi sono fatto".
"Gesù".
"Vorrei che avessi un figlio".
"Perché?".
"Ti assomiglierebbe e io lo amerei". Era meschino da parte sua affrontare certi argomenti quando c'era solo buio attorno a loro.
"Sicuramente. Rivolgile a te queste trovate".
"Vorrei che avessi un figlio per sentirmi meno in colpa".
"Di cosa?".
"Di lasciarti a volte troppo indietro".
"Perché un figlio e  non una socia di single.com allora?".
"Uhm. Mmm. Godrei nel vederti tra pannolini e fasciatoi, con le mani nella merda e lo sguardo terrorizzato. Sempre con un po' di disinfettante nel giubbotto".  Lui avrebbe dovuto aggiungere che voleva che ci fosse sempre qualcuno che lo facesse entrare quando si sentiva solo. Avrebbe dovuto aggiungere che sarebbe stato un padre meraviglioso perché aveva tutti i requisiti giusti. Aveva tutti i requisiti giusti perchè li aveva potuto apprendere dal signor Bill.  Sapeva come sacrificarsi, proteggere, amare nel modo giusto; tutte azioni in cui lui mancava troppo spesso.
"Sei pazzo".
"Schizofrenico borderline. E' così che bisogna dire". Per un istante lui pensò a lei e a quei volumi che ogni tanto aveva sfogliato quando, ciondolando per casa insonne, lei dormiva profondamente. Anche con lei  non era stato corretto quel giorno. Non era quello il momento adatto per chiamare ma avrebbe dovuto chiederle perdono, per l'ennesima volta.
"Che decide sempre tutto lui".
"Quando mai?"
"Fatti un esame degli ultimi anni e vedi un po' tu 'quando mai'. Ora potrei dormire?".
Era vero. Aveva  deciso sempre tutto lui. Era stato lui a notarlo per primo, a convincerlo, a convincere Chris, a convincere tutti. E sempre lui  aveva  risollevato se stesso dai casini in cui si cacciava e in cui lo cacciava. Lo  aveva convinto ad investire sulla loro musica anche quando la vita faceva davvero schifo e c'erano solo lacrime seccate per tutto ciò che avevano perso, persone comprese.
Lui gli mise la testa nel collo e lo abbracciò.
"Non sbavare però".
"No che non sbavo", gli rispose mugolando e stringendosi più forte. Era proprio un gatto e come ad un gatto anche a lui  piaceva strusciarsi, miagolare,  per poi  mostrare la coda e andarsene. Gli piaceva  poter fare i capricci senza la paura di sentirsi stupido o infantile, senza il timore che si stancasse di come era.
Si fissarono.
"Che cos'è quello?".
"Dormiamo".
"Ma...guarda.".
Dal bagno, la cui porta era socchiusa, si vedevano dei lampi di luce. Sembrava quasi che pulsassero.
"Dormiamo. Non sono venuto per...".
"E se fossero degli ufo? Eh?".
"Sì, gli alieni  nel cesso".
"Non sto scherzando".
"Ho capito. Vado a controllare". Si alzò per scoprire in realtà che la lampadina della toilette stava esalando i suoi ultimi contatti elettrici.
"Tutto sotto controllo Houston".
"Accendiamo la TV?".
"Unf".
"Non riuscirei ad addormentarmi senza".
Accese la televisione e si ridistese accanto a lui porgendo il telecomando.
"Che vediamo?".
La sua loquace risposta fu dargli le spalle e sbadigliare.
Un canale musicale. Un gruppo chiamato Enter Shikari si dimenava su un palco.
"Ti prego! Non mi piace. Potresti abbassare il volume".
Lui premette il tasto rosso e  lasciò il controller sul comodino immediatamente alla sua destra. "Buonanotte".
"Notte".
"Dolci sogni".
"Come ti pare".
"Ri-buonanotte":
"Insomma". Si mise seduto a gambe incrociate.
Anche lui si mise a gambe incrociate.
Gli spiragli della grande finestra rettangolare illuminavano delicatamente la stanza. La luna, che nessuno dei due aveva osservato quella notte, doveva essere piena. Era piena e colma di luce, uno splendido cliché di geografia astronomica.
Tuttavia, c'era abbastanza oscurità da permetterli di nascondere occhi e bocca.
"Sta cambiando". Tutto era diventato all'improvviso più strano e complicato. "E non so se ne ho il coraggio". Finalmente lui aveva iniziato a raccontare ciò che era veramente importante, ciò che aveva bisogno di raccontare ma che non raccontava mai fino in fondo. Non ci riusciva.  Inoltre era abbastanza bizzarro ammettere di essere terrorizzato al pensiero di abbandonare quelle paure che erano diventate certezze, addirittura punti di forza. Era abbastanza bizzarro davvero.
Uno, due, tre, quattro.
Aspettò portandosi istintivamente il braccio davanti al naso così da coprirsi il viso. Lo faceva quando era in imbarazzo, inadeguato, fuori posto, non pronto.
Sapeva benissimo ciò che lui aveva voluto dire. Lo sapeva perché conosceva lui e conosceva quel panico. Tutto stava cambiando, tutto diventava un po' meno loro, un po' meno suo.
Era già successo ma ora era la confusione totale, era una svolta.
Però tutto si sarebbe aggiustato, si sarebbe equilibrato, sia dentro che fuori.
Avrebbero trovato il coraggio.
Gli tirò un pizzicotto sorridendo. "Dormiamo".
Si distesero nuovamente. Lui affondò il mento nell'incavo della sua spalla.
Non era per niente confortevole ma era splendido stare così. L'orrore e la meraviglia di  riuscire a stare così e a non pentirsi, ad ignorare i ricordi e a non sapere nulla di cosa li toccasse dalle otto di mattina in poi, colazione abbondante esclusa.





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I Muse e il loro 'entourage' non hanno nulla a che fare con i fatti esposti in questa storia, etc. etc.

La definizione di "borderline schizofrenico" viene direttamente da una delle mie interviste preferite. Una di quelle cose mi danno formicolio agli occhi . Ecco.

Se c'è tra di voi qualche fan degli Enter Shikari mi scuso ma, ecco, autoreferenzialmente, mi viene da dire "Te possino" ancora a distanza di un anno.

Non doveva essere una shot e non dovevano essere loro i protagonisti ma who cares.

Spero che la lettura non sia stata una rovinosa perdita di tempo o che non vi abbia depresso troppo.

Ciao.

Ange.


   
 
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