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Autore: purplebowties    22/09/2012    3 recensioni
Sarebbe stato nuovamente nudo in un letto che non era il suo, in una casa che non gli apparteneva, tra le braccia di una donna molto più forte di lui.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bart Bass, Blair Waldorf, Chuck Bass | Coppie: Blair Waldorf/Chuck Bass
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
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Autore:  purplebowties
Titolo: The Queen’s Job
Rating: Giallo
Timing: Idealmente all’inizio della sesta stagione. Scrissi questa fanfiction inspirata dagli spoiler su Bart, dunque, ad oggi, sarebbe considerata come una storyline leggermente alternativa a quella dei primi episodi dell'ultima serie. 
Personaggi: Chuck Bass, Blair Waldorf,
Nominati o minori: Bart Bass
Paring: ChuckBlair
Introduzione: Sarebbe stato nuovamente nudo in un letto che non era il suo, in una casa che non gli apparteneva, tra le braccia di una donna molto più forte di lui.

 

The Queen's Job:


“Grazie," sussurrò Chuck mentre le palpebre gli cadevano pesanti davanti agli occhi e la familiarità del buio lo avvolgeva delicata.

La testa di Blair, appoggiata con grazia proprio sopra al palpitare irregolare del suo cuore, era un peso dolce e rassicurante sul petto. Chuck inspirò profondamente, lasciandosi inebriare dal profumo che gli solleticava le narici. Sapeva di eleganza, seduzione e dignità, l’aroma inconfondibile che qualche goccia di Chanel N°5 faceva a contatto con la pelle sudata di Blair. Rilassò le spalle ed il braccio che le cingeva il corpo esile e sinuoso rimase ciondolante come un peso morto, mentre riprendeva fiato e respirava avidamente quella fragranza salvifica e rasserenante.

“Non devi ringraziarmi, ti assicuro che il piacere è stato mio,” tergiversò lei acuta con un mormorio soffice e trasognato, chiaramente intenzionata a godere del momento di quiete che gli strascichi della passione appena consumata avevano regalato ad entrambi.

Sebbene avesse gli occhi chiusi, Chuck era certo che Blair lo stesse scrutando con lo sguardo colmo di un liquido calore benevolo, le labbra ancora gonfie d’ardore ed i capelli spettinati sui seni nudi.  Un sorriso inconsapevole gli piegò leggermente gli angoli della bocca appena la figura si definì nella sua mente. Pensò che avrebbe voluto davvero sollevare le palpebre, solo per potersi beare di quell’immagine perfetta, ma sapeva che, se lo avesse fatto,  i suoi occhi gli avrebbero restituito la vista della stanza di Blair e tutta la sofferenza sarebbe tornata.

Sarebbe stato nuovamente nudo in un letto che non era il suo, in una casa che non gli apparteneva, tra le braccia di una donna molto più forte di lui.

Trattenne dolorosamente il respiro e percepì Blair farlo insieme a lui, come se il solo avvertire quell’accenno di tensione l’avesse immediatamente resa partecipe del suo dispiacere. Incapace di sopportare l’idea di turbarla Chuck aprì gli occhi e la osservò in silenzio, lo sguardo puntato sui segni pallidi e sbavati del rossetto cremisi che si estendevano ben oltre il confine delle labbra.

Blair, mirabilmente arruffata, lo stava studiando nuovamente con quello sguardo ansioso e impensierito, lo stesso che gli aveva rivolto quando era entrata e l’aveva trovato in piedi nella sua stanza, girato di spalle, con una mano aggrappata alle tende tirate.

Inizialmente l’istinto di voltarsi a guardarla mentre scivolava discreta verso di lui - un passo alla volta - non era riuscito ad avere la meglio sulla fremente amarezza con cui i suoi occhi erano rimasti fermi, incollati ad un punto preciso del panorama. L’insegna scarlatta dell’Empire aveva brillato fastidiosamente lontana*1, una macchia di sangue tra i grattaceli immobili dietro alla trasparenza dell’ampia finestra.

Poi però i passi si erano fermati e Chuck si era sentito sfiorare dall’ombra di Blair, una chiazza di scuro in mezzo alla luce calda e giallastra del lampadario, magnetica e rassicurante, un qualcosa che lo aveva fatto sentire a suo agio, lontano dalla lente di ingrandimento del giudizio spietato di suo padre, lontano dalla freddezza e dalla crudeltà.  
Allora si era voltato di scatto, consapevole che lei era lì a medicare le ferite del suo animo, che non se ne sarebbe andata neppure di fronte a questo, neppure di fronte all’uomo spogliato di potere, di dignità e considerazione in cui Bart lo aveva trasformato.

“L’ha preso, Blair. Ha preso l’Empire, me l’ha portato via,” aveva spiattellato incoerentemente, con il tono di voce più accorato e più alto di quanto fosse naturalmente e le sue stesse parole gli erano suonate nelle orecchie come quelle di un bambino, infantili ed agitate.

“Chuck…”

“No."

Con una fermezza che aveva stupito anche lui, Chuck le aveva impedito di dire alcunché e Blair, dal suo canto, aveva capito. Aveva capito come sempre, come nessuno era in grado di  fare con lui, aveva capito che ci sarebbe stato un momento per discuterne, ma che non era di  certo quello, non era ancora ora, era troppo presto, troppo doloroso e troppo difficile.

Non avuto parole o sguardi di pena, si era limitata ad avvolgergli il collo con le braccia fini e bianche e a far scivolare con disinvoltura la testa sotto il suo meno, piegata, con il naso e le labbra che gli solleticavano insistenti la gola.

Era sua. L’unica cosa che lo era mai stata davvero, che lo era stata da sempre, dalla prima volta che aveva avuto l’ardore di insinuare le dita oltre l’orlo della sua sottoveste di seta e Blair aveva risposto al tocco lasciandolo fare. Era sua non perché lui la possedesse come si possiede una proprietà - e Blair glielo aveva dolorosamente provato, più di una volta -, ma perché lei stessa desiderava ardentemente esserlo e questo avrebbe impedito a chiunque di portargliela via. Lei non lo avrebbe permesso.

L’abbraccio era diventato un groviglio di mani e labbra avide. Era stato il conforto più dolce ed immediato che Blair avrebbe potuto regalargli, la consapevolezza di essere l’unico uomo capace di farla fremere in quel modo, la fiducia incondizionata con cui lei si abbandonava ad ogni suo movimento. Era percepirla così profondamente sua che lo faceva sentire forte, lo faceva sentire amato ed apprezzato; importante, anzi,  indispensabile come quel contatto carnale era indispensabile a lui perché potesse provare altro che non fosse rabbia o dolore.

Entrambe le emozioni erano esplose in lei e sempre in lei si erano trasformate in gratitudine ed amore, nell’istintiva ed immediata impressione di sentirsi vivo e completo stringendole le cosce, accarezzandole il ventre ed i seni. Poi, nell’ansito in cui Blair aveva pronunciato un “Ti amo” vibrante di passione, tutto si era sopito, mutato nell’oblio malinconico e pacifico del silenzio.


L’illusione di quella fragile quiete si spezzò in un soffio secco e traboccante di realtà, nel sostenere lo sguardo profondo di Blair, che restava rispettosamente in attesa delle sue parole. Chuck sospirò pesantemente.

Gli parve di avere ancora in bocca il sapore annacquato dello scotch con ghiaccio che Bart gli aveva passato nell’accoglierlo, il fastidioso scialacquio dei cubetti nelle orecchie e la sgradevole sensazione che persino un particolare così effimero come l’ignoranza di suo padre circa come lui preferisse il liquore  - liscio - potesse fargli crescere nel petto una bruciante ed impellente necessità di ferire, di lasciare un segno sul volto marmoreo che lo fissava imperturbabile; qualsiasi cosa pur di essere considerato, purchè Bart fosse costretto a guardarlo in faccia e comprendere il suo valore, purchè desiderasse conoscere la persona che era diventato.

Ma, ancora una volta non c’era stato altro che distacco ed il solito luccichio di malcelata insoddisfazione nel modo in cui Bart aveva scelto di guardarlo ed era stato con quegli occhi che aveva sgretolato definitivamente la promessa che Chuck aveva fatto a se stesso quando aveva comprato l’Empire, la prima pietra del suo impero, quella che pensava avrebbe onorato il ricordo di Bart ed alimentato la speranza di non averlo deluso.


“Sostiene che l’Empire necessiti 
 'di una direzione meno inaffidabile ed inesperta',” disse infine Chuck ed il ricordo di quelle parole lo colpì nuovamente nel profondo, come se fosse stato costretto a rivivere la scena ed ascoltare un'altra volta il tono formale e distaccato di Bart, quasi stesse parlando con uno dei suoi dipendenti , con qualcuno che non fosse suo figlio – che non era meritevole di esserlo.

Ed in effetti lui non era pronto ad essere un Bass, Bart gliel’aveva anche detto mesi prima, aveva motivato così la sua decisione di estrometterlo del tutto. Non era un uomo e non poteva essere all’altezza del suo cognome, Bart continuava a pensare che lui non fosse abbastanza –abbastanza capace, abbastanza forte, abbastanza degno. Agli occhi di suo padre era come un debole ragazzino viziato, inutile, persino fastidioso.

Blair si morse il labbro. Di certo, pensò Chuck, lei doveva percepire quella sofferenza come un peso che condividevano. Non si trattava solo del filo invisibile che li legava - qualcosa di talmente forte da portarli a vivere le gioie e le tragedie dell’altro come fossero le proprie - ma anche di quello che l’Empire aveva significato per lei e per la loro storia, il segno del loro errore più grande, ma anche di quanto fossero cresciuti da allora.

“Tu sai che non è vero, Chuck."

“Ma lui no."

Lo sguardo di Blair era pungente ed attento, reso sorprendentemente intenso da una punta di risentimento. Sembrava amareggiata e pronta a sputare veleno, eppure, quando parlò, lo fece con singolare tatto. “Non ha importanza,” affermò, sorridendogli triste ma decisa. “Io so quello che sei, ma soprattutto tu sai quello che sei. Può portarti via tutto,  ma non ti può portare via quello che pensi di te stesso se non glielo permetti."

Chuck sospirò e prese ad intrecciare i boccoli di Blair tra le dita. Avrebbe voluto risponderle che aveva ragione (e lei aveva ragione, lui lo sapeva), eppure ricordava di essere rimasto tramortito di fronte alle parole di Bart, scoprendosi ancora capace di essere scottato e deluso, chiuso in un silenzio contrito e denso di ribollente sconforto.

Il moto infuocato d’orgoglio che gli si era stretto nel petto quando Bart aveva detto “Da oggi me ne occuperò io", con una sufficienza ed una noncuranza così inadatte a quanto era stato sacrificato in nome dell’Empire, non era stato niente in confronto alla sua improvvisa incapacità di fare nulla se non tentare di negare il bruciore negli occhi di qualche mortificata e  mal trattenuta lacrima.

Avrebbe voluto andarsene senza concedere a suo padre niente più di un’occhiata sprezzante, dimostrare che per quanto si sentisse umiliato non aveva bisogno di approvazione, che non aveva bisogno che Bart lo vedesse finalmente come un uomo per sentirsi tale, ma c’era stato qualcosa che lo aveva tenuto inchiodato dov’era, una speranza così vana ed infima che lo aveva fatto sentire uno sciocco ed un debole, ma della quale non era riuscito a liberarsi. Si era visto nuovamente come il bambino pronto ad attendere un complimento che sapeva non sarebbe arrivato: una rassegnazione muta ma incompleta, che generava rancore così come non mancava mai di portare con sè una se possibile ancor più dolorosa speranza che le cose sarebbero cambiate, che un giorno sarebbe stato all’altezza della considerazione di suo padre, che un giorno sarebbe riuscito a farsi amare, a smettere di deluderlo.

Adesso Chuck non poteva fare a meno di augurarsi che Bart riuscisse a vederlo come lui aveva imparato a vedere se stesso, che facesse un passo indietro, un passo verso di lui, e lo riconoscesse per il suo valore, non per le sue debolezze.


Arrotolare e srotolare tra le dita i boccoli di Blair lo faceva sentire al sicuro, confortato dalla ripetizione continua dei movimenti, mentre lei riempiva i suoi silenzi carezzandogli lentamente il petto, senza mai smettere di sostenere il suo sguardo, invitandolo implicitamente a proseguire.

“Ha chiamato la sicurezza, Blair. Mi avrebbe fatto cacciare se non me ne fossi andato da solo,” confessò e vide Blair abbassare gli occhi per un attimo, colpita.

Era stato umiliante e doloroso, esattamente come l’ultima volta, quando al posto di Bart c’era stata una donna con i suoi stessi occhi e l’inaccettabile coraggio di rinnegare nuovamente suo figlio. E Chuck, oggi come allora, aveva sperato invano che fosse un errore, se ne era andato da solo, con esasperata lentezza nei passi, covando nello sconforto il desiderio di venire richiamato indietro da un’espressione pentita e qualche parola di scusa che non erano arrivate.

“I genitori dovrebbero amare i propri figli,” sentenziò banalmente.

Era la prima cosa che gli era venuta in mente, il pensiero fisso che lo aveva accompagnato per tutta l’estate – che lo aveva accompagnato per tutta la vita. Era così innaturale, così sbagliato: se lui stesso si era sentito capace di amare un bambino che non era il suo, allora perché i suoi genitori non riuscivano ad amare lui? Perché non avevano provato verso di lui quello slancio di amore incondizionato, quel desiderio di proteggerlo e di renderlo felice?

Il coraggio di farsi quella domanda gli morì in gola insieme alle parole, affievolito ed avvilito dal sincero timore che Chuck nutriva verso la risposta. La convinzione che fosse colpa sua, che fosse effettivamente meritevole di tale mancanza di amore e considerazione, continuava ad insinuarsi silenziosamente tra le pieghe dei suoi pensieri, latente ma tenace nel resistere alla faticosa e quotidiana lotta con cui Chuck cercava di non piegarsi ad essa.

Ma combattere era estenuante, era deprimente e forse persino inutile, perché, per quanto Chuck si sforzasse di pensare bene di se stesso, il suo affanno non veniva mai ripagato; credere di non avere colpa per il disprezzo che riceveva da suo padre non cambiava le cose, anzi, finiva sempre sfiancarlo, indebolito com’era dalla battaglia che faceva contro se stesso e da quella che faceva contro le convinzioni di Bart.

Chcuk sentì l’impellente necessità di restare solo, di sottrare Blair da quella sofferenza, all’inevitabile impossibilità di non esserne partecipe; di impedire che lei lo vedesse così bisognoso, tanto fragile da far rabbia persino a se stesso per quell’imperdonabile debolezza.

Si rinfilò velocemente la camicia color prugna, si alzò e torno a guardare tra le tende spalancate della finestra mentre, dandole le spalle, metteva malamente a tacere la parte di sé che bramava per essere lambita da parole e tocchi confortanti, quella che bruciava del bisogno che aveva di Blair, della sua presenza, della sua capacità di farlo sentire amato e meritevole di amore. Tuttavia, nonostante la ferma volontà di rimanere girato, Chuck non potè impedirsi di sperare che lei ponesse fine a quel mescolarsi contraddittorio di necessità e fermezza.

Blair si mosse in un fruscio di seta.  Chuck la sentì avvicinarsi, caparbia e decisa, indifferente al suo fiacco tentativo di tenerla lontana.

Senza tacchi era più piccola di lui di almeno dieci centimetri, la pelle pallida e la figura minuta la facevano sembrare incredibilmente fragile, eppure fu con una forza sorprendente che Blair lo strattonò per la camicia e lo costrinse a voltarsi. Si era drappeggiata addosso il lenzuolo ed i capelli lunghi che le dita di lui avevano sformato ricadevano sull’oro pallido del tessuto, sporcandolo di chiazze scure. Chuck la fissò attonito per un attimo, poi abbassò la testa e gli occhi si fermarono sui piedi scalzi di Blair prima di chiudersi lentamente.

Fu con un tocco delicato delle dita calde di Blair a solleticargli il mento che Chuck smise di opporsi alla pressione misurata con cui lei cercava di sollevargli il capo. Quando riaprì gli occhi trovò le iridi scure di Blair a fissarlo, enormi ed umide, luccicanti di tenacia.

“Non è colpa tua se lui...” Blair si bloccò, scosse leggermente il capo, “…se loro non riescono a vedere quello che vedo io quando ti guardo. Non è colpa tua se sono così ciechi, così ignoranti da non capire quanto talento e quanta grandezza c’è in te."

“Non sono forte, Blair." Chuck lo disse sottovoce, regalò la sua confessione ad un sussurro vergognoso.

Blair scosse nuovamente la testa, questa volta con più decisione, e le ciocche di capelli si mossero disordinate sul petto e sulle spalle. “So che pensi di non esserlo, ma sei abbastanza forte da impedire loro di farti dubitare di te stesso."

Chuck sospirò. Non si sentiva abbastanza forte; si sentiva piuttosto sfiancato, annientato da una guerra che gli sembrava di stare combattendo da tutta la vita, da quando era venuto al mondo e nessuno aveva avuto il coraggio di volerlo e di amarlo.

Nessuno, tranne lei.

Si voltò nuovamente ad osservare le luci di New York contrastare con l’inchiostro nero del cielo. Blair si mosse con lui e gli cinse il collo con le braccia, il mento appoggiato alla sua spalla, sorprendentemente ferma sulle mezze punte.

“Aveva promesso che un giorno questa città sarebbestata mia,” disse, mentre i grattacieli prendevano la forma del suo futuro negato, frammenti taglienti dell’unica promessa che Bart gli avesse mai fatto, l’unica a cui Chuck avesse veramente creduto.

“Lo sarà,” affermò Blair con decisione ed una punta di incontrollato entusiasmo. “E non perchè tuo padre lo ha deciso, ma perché è il tuo destino e soprattutto perché è la tua volontà. Sei Chuck Bass ed il Chuck Bass che conosco io ottiene sempre quello che vuole, no?”

Chuck spostò il viso di lato e le narici finirono tra i boccoli di Blair, mentre guardava compiaciuto lo spuntare di un sorrisetto provocatorio e malizioso tra le labbra di lei. Gli venne da ridere, una risata leggera e vagamente amara.

“Non sempre,” commentò. “Con te non ci sono riuscito, tu sei scappata da me,” aggiunse, sottile ed ilare, ma con una nota tremula di fastidio nella voce.

“Ma sono tornata,” puntualizzò Blair, seria.

“Ma sei tornata,” ripeté lui, sussurrando.

Non disse altro, la baciò appassionatamente e si sentì quel trasporto travolgente rinvigorirlo, caricarlo di entusiasmo e desiderio, mentre tutto gli sembrò improvvisamente più facile e più possibile. Fu un bacio lungo e profondo, al termine del quale si trovarono faccia a faccia, gli occhi dell’uno fissi negli occhi dell’altro, avvolti nuovamente da un silenzio leggero e confortante. Chuck vide Blair sorridere, un sorriso dolce e malinconico.

“Sei felice, Blair?” le chiese in un soffio, velocemente, senza riuscire ad impedire che l’idea di non renderla tale lo perseguitasse. “Non c’è niente di semplice nella mia vita e so che tu…”

Blair lo zittì, sfiorandogli le labbra con un dito. “Nulla mi rende più felice di essere al tuo fianco, Chuck” gli disse con fermezza, senza smettere di sorridere. “Infondo,” aggiunse compiaciuta, “è il lavoro di una regina proteggere il suo re*2."

 


Note:
[1]In realtà non so se da camera di Blair si vede l’Empire. Probabilmente no, ma concedetemi la licenza poetica.

[2] E’ una quote di Blair, dell’episodio 3X07, How To Succeed in Bassness

[3] Non sto qui a citarvi tutti i vari riferimenti alla terza stagione, sono sicura che li abbiate comunque trovati.
   
 
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