Film > Disney
Ricorda la storia  |       
Autore: Nymphna    23/09/2012    7 recensioni
[Disney]1-Jasmine~ “Voglio volare” bisbigliò. Il vecchio Joe scoppiò in una risata strana, sguaiata, che sembrava l’abbaiare di un cane.
2-Cindy~ Lui l’aveva riconosciuta. L’aveva cercata. Ma, soprattutto, l’aveva trovata.
3-Ariel~ Quel ragazzo meraviglioso con la risata contagiosa e il viso impertinente l’aveva appena baciata.
4-Belle~ E lei voleva un’avventura? Lei chiedeva di avere qualcosa in più? Proprio lei, che non aveva mai fatto niente.
5-Esmeralda~ Prese un Tennessee Wisky e ne ingollò due grandi sorsi. Poi ripensò a Febo e la preoccupazione prese il sopravvento.
6-Aurora~ “Perché sorridi?” domandò la mora. “Ora ti racconto” disse Aurora, i capelli sciolti che si muovevano al vento “Anch’io ho trovato l’amore”
7-Jane~ "Io non voglio perdere la libertà. Ma soprattutto non voglio perdere papà. E nemmeno te."
8-Meg~ "Sei veramente … fantastica. Una forza” “No. Sono tremendamente sola”
9-Blanche~ "Ma quella sera il baco si era aperto e ne era uscita una meravigliosa farfalla.
10-A Whole New World~ Fine.
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 1, Jasmine
(domenica 13 giugno)

 


Era una mattina soleggiata di giugno, a New York, e il caldo si faceva sentire già insistente. La luce del sole penetrava fra le pesanti tende arancioni della camera da letto. Leggeri granelli di polvere volteggiavano alla luce, come piccoli petali di soffione. Nella stanza in stile arabo regnava una penombra rosata, che si spezzava solamente per illuminare il corpo di una ragazza sul letto a due piazze di ferro battuto a motivi arricciolati.
Jasmine stava dormendo profondamente, sospirando leggera, con i lunghi capelli corvini sparsi sul cuscino. Accanto a lei, accoccolato fra le sue gambe piegate, sonnecchiava un gattone arancione e zebrato, che sembrava proprio una piccola tigre. E pensare che qualche mese prima era solamente un cucciolo denutrito che la ragazza aveva trovato a cibarsi dei resti di un cous cous buttato nei bidoni della spazzatura lì fuori… fra i due si era subito creato un profondo legame. Rajah, questo il nome del gatto, attendeva Jasmine per mangiare, non dormiva se non sulle sue ginocchia o sul suo letto e soffiava minaccioso a chiunque non fosse lei. La ragazza era l’unica che gli dava da mangiare, che si occupava della sua salute e del suo lungo pelo. Il padre proprio non ne aveva il tempo. Sbadigliò spalancando la bocca, per poi allungare le sue zampette feline e riaccomodarsi.
Passarono solo pochi secondi, prima che Rajah drizzasse le orecchie, sentendo un rumore fin troppo conosciuto in casa della padroncina. Si alzò sulle quattro zampe con la coda ritta.
“JAS!” urlò una voce melodiosa anche se urlante. Le pupille del gatto diventarono sottili come mai “JAAAAAAAAAS!” strillò di nuovo. Rajah saltò giù dal letto appena prima che la porta si aprisse, sentendo già i passi che correvano per il corridoio, e corse fino alla cabina armadio, dov’era sicuro che avrebbe trovato un po’ di calma.
La ragazza che spalancò la porta aveva lunghi capelli rosso fuoco, grandi occhi blu e un’esuberanza innata che risplendeva intorno a lei come un’aurea. La rossa era Ariel, una delle migliori amiche di Jasmine.
“Jas!” gridò ancora, saltando sul letto e cominciando a scuotere la mora. “Dai, Jas, ho una notizia davvero stupenda da darti! Non ci crederai mai! Dai, sta arrivando anche Aurora… dai, Jas! Svegliati!”, concluse con la sua solita risata spensierata e cristallina.
La mora aprì gli occhi sbattendo le palpebre diverse volte, e quando focalizzò l’amica corrucciò le sopracciglia sospirando sonoramente. Si portò le mani al viso, se lo sfregò un paio di volte e si mise seduta, con l’aria ancora insonnolita. Ariel si spostò e si mise in ginocchio sul letto accanto alle sue gambe, con un’aria maliziosa che solo lei aveva, che poteva voler dire solamente… una pessima idea in vista.
“Buongiorno mondo” esclamò Jasmine cinicamente, stiracchiandosi. La rossa aveva un’aria esaltata. Sospirò ancora una volta. In quel momento irruppe nella stanza anche la terza del gruppo, che guardò un momento la situazione con aria critica, per poi mettersi i pugni sui fianchi e assottigliare le labbra come solo lei sapeva fare, mantenendo l’aria da dolce principessa delle favole.
“Ariel!” esclamò con la sua voce da contralto, spiritosa e dolce anche se in aria da rimprovero “Jasmine stava dormendo! Dove l’hai imparata questa maleducazione di svegliare le persone mentre sono ancora in fase REM?!”
“In fase cosa?” domandò la rossa con aria fintamente colpevole, mostrando con il brillio degli occhi tutta la sua indifferenza a riguardo. Aurora, l’ultima entrata, sospirò.
“Non imparerai mai, vero?” domandò esasperata.
“Non importa…” intervenne Jasmine, cosciente che le due si becchettavano continuamente, pur volendosi un bene dell’anima. “Dovevo alzarmi prima o poi. E comunque…” lanciò un’occhiata alla sveglia sul comodino lì accanto. Segnava le undici e un quarto della domenica mattina. “Si, mi sa di aver dormito fin troppo” concluse stancamente, lanciando il lenzuolo da un lato e buttando le gambe giù dal letto. Si stiracchiò la schiena.
“E comunque, abbiamo una notizia magnifica” sostenne ancora la rossa.
“Ma io non sto cercando di diffondere la sopraddetta notizia a tutto il mondo, Ariel!” esclamò Aurora inviperita.
“Sbagli!” la interruppe ancora l’amica “E’ proprio tutto il mondo che deve saperlo!”. Jasmine scosse la testa, si alzò in piedi e si diresse verso il bagno, chiudendo la porta a chiave dietro di sé, lasciandole becchettarsi. Si spogliò velocemente per fare una doccia veloce.
Il suo sguardo venne attirato dallo specchio grande quanto la parete lì davanti. Nuda, si fermò e strinse gli occhi, guardandosi. Appoggiò le dita contro la superficie liscissima.
Perfetta. Ecco ciò che diceva suo padre di lei, quando la presentava ai suoi amici, quando la abbracciava, quando le faceva un complimento. Semplicemente perfetta. Ma Jasmine sapeva che l’aggettivo in realtà era riferito non a lei, ma a sua madre, morta prematuramente dopo il parto della sua unica figlia. Erano identiche, e la ragazza l’aveva sempre saputo, rivedendosi nelle mille fotografie che invadevano la casa, nelle descrizioni dettagliate del padre, nelle melliflue parole di Jaff.
Jasmine non si trovava proprio perfetta, ecco. Perfetta poteva essere l’aggettivo adatto ad Aurora… non certo a lei. Jasmine era magra, pesava a malapena 45kg, aveva un bel seno sodo e una vita sottile e delineata. Era alta un metro e sessanta molto scarso (ma a lei piaceva dire di essere leggermente più alta della realtà), aveva capelli corvini lunghi fino alla vita e vispi occhi scuri come la notte. La pelle leggermente olivastra faceva da contorno alla sua figura. Il viso era a forma di cuore, con gli zigomi molto alti e il mento sottile, gli occhi grandi a mandorla, le labbra carnose e rosee. Diede precipitosamente la schiena allo specchio e si chiuse nella doccia, sperando di uscirne più alta di un centimetro.


Jasmine uscì dal bagno della stessa altezza e dello stesso peso con cui era entrata, e quando tornò in camera le sue amiche erano ancora sul letto, ma sembrava che avessero fatto pace. Ariel chiaramente fremeva e non vedeva l’ora di parlare, mentre Aurora, l’unica da cui Rajah si facesse toccare oltre alla padroncina, era accoccolato sul suo grembo e si godeva i grattini sotto il mento. La bionda lo guardava con un dolce sorriso. La mora si diresse verso la cabina armadio, per scegliere che biancheria mettersi. Si infilò dei semplicissimi slip bianchi e un reggiseno in tinta, poi ne uscì strofinandosi i capelli.
“Allora, Ary?” domandò sedendosi sul pouf lì vicino, abbandonando l’asciugamano e impugnando una spazzola. “Qual è questa meravigliosa notizia che ti ha portata a irrompere nella mia camera e a svegliarmi questa mattina?” la ragazza lanciò un gridolino soddisfatto e si sedette sul bordo del letto, scostandosi i capelli all’indietro con un sorriso. Mentre prendeva respiro venne interrotta da Aurora.
“I miei non ci sono per un paio di giorni” la precedette. “Vanno a prendere quella famiglia di amici… sai, quelli che ogni tanto chiamano… i tipici perfetti sconosciuti che sono venuti a vedere il mio battesimo e basta. Il loro preziosissimo pargolo ha deciso che farà qui l’università di veterinaria… ovviamente andare a vivere nel college universitario è troppo da comuni mortali… il diletto Filippo dovrà venire a vivere a casa mia” si lamentò “Ma ti pare che debbano venire proprio in casa mia, come se fosse un albergo?! Occuperà la mia seconda stanza!” gemette. Jasmine giustificò mentalmente le lamentele dell’amica ricca sfondata, che non era mai stata abituata ad avere una sola camera come tutti gli altri.
“E poi, cosa direbbe Eric?” domandò Jasmine ammiccando. Aurora la guardò sospirando e scompigliandosi i boccoli dorati. Poi sorrise arrossendo graziosamente.
“Beh, non stiamo insieme” si giustificò alzando le spalle “Ci stiamo solamente frequentando”.
“L’arrivo di un ricco scapolo ci sta distraendo dal nostro obiettivo primario” scherzò Ariel “In realtà il punto era un altro!” Aurora sospirò.
“Si, ecco, l’altro giorno Ariel si stava giusto lamentando perché siamo tre ragazze… ecco… poco popolari, a scuola”.
“No, Aury” la corresse subito Jasmine “NOI non siamo così popolari. TU sei la reginetta di tutti i balli che hai passato qui a scuola… credo che tu abbia davvero fatto un record.”
“Beh… oh, va bene!” esclamò alla fine, dispiaciuta “Okay, Ariel si lamentava perché voi due, e soprattutto lei, non siete abbastanza popolari. Perciò mi ha spinta a proporre di dare una festa sabato prossimo…”
“Festa a cui verrà sicuramente tutta la scuola!” esclamò la rossa con aria sognante.
“Si, e quindi?”
“E quindi pensavo di dare una super festa” concluse Aurora “So che non è nel mio stile… ma non l’abbiamo mai fatto, e… potremmo provare, no? Vorrei provare a invitare tutti… senza distinzione di chi è più ricco o meno ricco… non è quello l’importante, no? Noi tre siamo amiche, anche se apparteniamo a famiglie diverse in ricchezza!”
“Certo” la confortò Jasmine, non troppo sicura dell’idea “Certo, potrebbe essere un successone” l’amica la guardò preoccupata.
“Vorrei solo non fare danni ma riuscire a dare ad Ariel l’opportunità di farsi un nome… e perché no, potrebbe anche essere l’occasione buona di incontrare qualche ragazzo, o provarci definitivamente con Eric… potrebbe essere divertente, anche io vorrei organizzare una festa, dal momento che non ho mai…”
“Ehi, Aury, calma” la tranquillizzò la mora sedendosi accanto a lei e tirandole indietro i capelli, scostandoli dagli occhi “Possiamo provare. Non abbiamo nulla da perdere. Io sono con te” Ariel balzò in piedi saltellando euforica.
“Sarà meraviglioso. Aspettate e vedrete… andiamo alla tipografia? Magari possiamo stampare già qualche biglietto…” le amiche si guardarono sorridendo, Jasmine si vestì con un top bianco e blu e un paio di jeans e uscirono insieme, dirette alla tipografia.


Si diressero subito verso il centro commerciale, che distava solamente due isolati dal famoso ristorante arabo del padre di Jasmine, “La Reggia del Sultano”. La ragazza, a ogni passo, diventava più euforica. Mille pensieri e preoccupazioni le si affollavano in testa, primo di tutti il fatto che era sicurissima che il padre non l’avrebbe mai lasciata andare a una festa. Ma pensava di poterlo convincere dicendogli che era semplicemente un pigiama party a casa di Aurora. Anche se non l’aveva mai lasciata andare, ormai aveva sedici anni e poteva fare un sacco di cose in più di prima… in fondo la sua maggiore età si stava avvicinando rapidamente, e le mancava solo un anno e mezzo di scuola, poi sarebbe andata all’università… già si immaginava il castello dell’amica addobbato per la festa, gremito di persone, pieno di gente e di musica… si immaginava le feste proprio come nei film: un grande spasso. Tutti i dubbi sparirono prima che arrivassero al centro commerciale, e una volta varcata la soglia era già convinta che la festa sarebbe andata a gonfie vele.
Arrivate nella tipografia, Aurora e Jasmine lasciarono la parte artistica ad Ariel, che era decisamente la migliore in queste faccende, e si misero in disparte a dare un’occhiata alle decorazioni e agli stencil vari che pendevano dal soffitto in maniera artistica e sofisticata. Jasmine colse l’occasione per scambiare due parole con la bionda con calma.
“Come va con Eric?” le domandò. Aurora le sorrise timidamente.
“Va bene. Cioè, ai miei non va proprio a genio il fatto che ci piacciamo… sai, loro vorrebbero vedermi accasata con l’amico Filippo…” spiegò sfogliando un libro illustrativo distrattamente.
“Sempre quel Filippo, eh? Ma non te lo toglierai mai di torno? I genitori non dovrebbero intromettersi nelle decisioni delle figlie” sostenne Jasmine convinta “Anzi, penso proprio che lo debba imparare anche mio padre… non mi lascia mai uscire di casa la sera, solo di giorno e per poche ore! E’ come se mi tenesse continuamente sotto controllo, mi sento prigioniera in una gabbia che profuma di spezie” Aurora le prese una mano e la strinse con affetto.
“Anche io non mi sento affatto libera” ammise “Quando non ci sono i miei, ci sono sempre le mie madrine… sono terribili, mi chiamano al cellulare ogni ora per sapere dove sono e cosa faccio… e se ritardo di anche solo un minuto sono scintille. Arrivano immediatamente a casa mia a farmi una bella lavata di capo…” sorrise “So che lo fanno per il mio bene, ma trovo che siano un po’ esagerate, ecco…”
“Sembra che Ariel sia così libera…” sospirò Jasmine. Aurora scosse tristemente la testa.
“Ariel a volte nasconde cose che mi feriscono molto…” sospirò. Ma quando Jasmine stava per chiedere cosa, vennero interrotte dalla diretta interessata che aveva dato l’ordine ed ora dovevano solamente aspettare un’oretta prima di vedere i loro seicento inviti stampati su un cartoncino di un delizioso rosa antico, scritte in un lilla scuro che risaltava perfettamente. Aurora fu così soddisfatta del lavoro che volle tenere un biglietto anche per sé, dopodiché uscirono a fare un giro fra i negozi per ingannare il tempo.
Erano appena al secondo piano, quando Aurora lanciò un urletto di gioia mal contenuta e si catapultò dentro un negozio. Jasmine lanciò un’occhiata all’insegna prima di seguirla, e quando si rese conto che era una boutique Gucci girò i tacchi e si sedette con Ariel nella panchina lì davanti. Rimasero in silenzio per una decina di minuti, ognuna immersa nei propri pensieri. Aurora ogni tanto sbucava da una vetrina indicando loro una borsetta, un paio di scarpe o qualsiasi altra cosa con aria euforica. Quando mostrò loro una giacchetta a maniche corte, con maniche a palloncino e collo a volant, color rosa antico, Ariel non riuscì a trattenere un sospiro. Jasmine la guardò. Sapeva che l’amica soffriva molto per non essere ricca. Anzi, se viveva nell’isola di Manhattan era semplicemente perché suo padre era il pescivendolo di fiducia della maggior parte dei ristoranti più in vista del luogo. Ma con una casa costosa e sette figlie ancora in casa da mantenere, non rimanevano molti risparmi a fine mese.
Aurora, al contrario, era l'unica figlia di uno degli uomini più influenti di tutti gli Stati Uniti, e sua moglie era la sua assistente. Era tanto bella quanto ricca, aveva sempre i vestiti più alla moda delle marche più costose in piazza, e non passava quasi giorno senza che la ragazza andasse a spendere qualcosa dalla sua Golden Card. Ma il contenuto di quella tessera non era niente in confronto alla sua gentilezza e alla sua modestia: nonostante fosse ricca, popolare, bella e avesse una marea di strade possibili davanti a lei, Aurora continuava a rimanere una semplicissima ragazzina di sedici anni, l’amica ideale per fare da psicologa, leale e disponibile, fin troppo gentile.
Jasmine stessa era agiatissima grazie al rinomato ristorante del padre, che attirava tutta l’èlite americana.
“Nemmeno io posso permettermi quella roba” ammise infine “Non che mi dispiacerebbe… ma non credo di poter ottenere qualcosa che vada molto più in alto di Zara o H&M.”
“Aury è proprio fortunata. Non è cattiva, solo che ora è troppo presa da quella giacchetta per rendersi conto che ci siamo anche noi” commentò con un sorriso un po’ troppo tirato, per i gusti di Jasmine. Non le piaceva vedere l’amica giù di morale. Era lei l’anima del gruppo, lei quella che le tirava sempre su di morale quando avevano bisogno di un sorriso.
“Sembra che abbia quasi finito” annunciò la mora indicando l’amica che stava pagando alla cassa.
“Non ce l’ho con lei, Jas” disse Ariel alla fine “Alcune persone nascono in un castello, altre in un appartamento. Ma va tutto bene. Lo sai che il vostro mondo è il mio sogno, ma voglio anche guadagnarmelo” Jasmine sorrise.
“Secondo me ce la farai!” esclamò. Ariel la interruppe con la sua risata argentina.
“Lo spero proprio!” in quel momento le due furono interrotte da Aurora, rossa in viso e chiaramente felice.
“Ho comprato tutto quello che mi piaceva di più!” disse con tono sognante “Sono delle cose bellissime, non vedo l’ora di abbinarle a quel vestito rosa, e…”
“Dai, principessa, scendi dal trono e accompagnaci al mercato!” esclamò Jasmine ridendo e spingendola dalla schiena “Abbiamo visto un H&M di sotto, e anche un negozio che sembrava più economico dei tuoi… tocca anche a noi un po’ di shopping!”


Quando Jasmine tornò a casa era l’ora di cena per tutti i comuni mortali. Non certo per il Sultano. Suo padre era in piedi alla cassa e spuntava da un elaborato foglio di carta i clienti che avevano già prenotato e stavano arrivando. Dall’entrata principale scorse la fila, così si fece portare sul retro del ristorante dalla limousine di Aurora, che era venuta a prelevare le ragazze al centro commerciale, e dopo aver aperto il cancello si fece strada fra i cespugli e l’erba alta per raggiungere la porta della cucina. Un paio di sacchetti minacciarono di cadere, ma Jasmine mantenne un equilibrio invidiabile e proseguì. Spalancò la porta delle cucine e si districò fra i cuochi, gli aiutanti, il capo chef e i camerieri che brulicavano come formiche per tutta la stanza. Finalmente riuscì a uscire da quel caldo soffocante e imboccò immediatamente le scale per salire al piano superiore, dove c’era casa sua. Arrancò su per i gradini, ostacolata da tutti quei sacchetti, dopodiché entrò in camera e lì lasciò cadere sul letto. Poi girò i tacchi e ridiscese, andando in cerca di qualcosa da mangiare. Si infiltrò nuovamente fra i vari dipendenti di suo padre, e riuscì ad arraffare un pezzo di Tajine e un piatto di minestra. Poi si diresse nuovamente verso il piano di sopra. Prima, però, passò dal padre, che doveva vedere ciò che consumava la figlia e pagarlo di tasca sua. Quando Jasmine si sentiva molto arrabbiata, prendeva dalla cucina una quantità enorme di cibo e lo portava di sopra senza nemmeno farglielo vedere.
“Ciao papà” lo salutò. Il Sultano, così chiamato da tutti quanti, col viso gentile, si sporse dalla cassa per guardare la figlia, interrompendo la discussione con il Capo Sala, Jaff, l’uomo più antipatico e subdolo di tutti gli Stati Uniti.
“Bentornata, gioia mia!” esclamò il Sultano “Hai comprato qualcosa di bello al centro commerciale?” Jasmine annuì.
“Si papà.” L’uomo abbracciò la figlia. “Papà, domenica prossima sono stata invitata fuori da Aurora… posso andare?”
“Certo, certo… se torni presto ti farò anche stare in cassa, so che ti piace tant…”
“Papà, è un’uscita di sera” sospirò Jasmine “In realtà è un invito per un pigiama party…”il viso dell’uomo cominciò a virare in un colorito scarlatto molto poco promettente “Ti prego, papà, è l’unica volta che veramente vorrei uscire, non mi hai mai fatta stare fuori la sera, e…”
“Non è il momento di parlarne, Jasmine. Abbiamo ancora tempo, e io ora stavo parlando con Jaff riguardo…”
“Si che è il momento di parlarne!” sostenne la ragazza incrociando le braccia “Non mi fai mai uscire la sera!”
“Perché è così che devo fare. Non sai quanta gente cattiva può esserci là fuori, e io non ho la minima intenzione di perderti come…” la voce gli morì in gola. Come mia madre, pensò Jasmine. Il Sultano si schiarì la voce “La gente che gira la notte, credimi, è orribile. E tu non potresti nemmeno difenderti!” esclamò preoccupato. “Dai, gioia mia, ora è il momento di andare di sopra, i clienti aspettano di essere sistemati ai loro tavoli” Jasmine strinse i pugni, e come al solito quand’era arrabbiata, arricciò le labbra spalancando ancora di più i suoi occhioni scuri.
“E’ una festa in casa” sostenne la ragazza “Io sarò dentro la casa, non fuori. E poi sarò lì a divertirmi un sacco, e…”
“Festa?” scattò il padre. Jasmine si morse il labbro inferiore. Accidenti alla sua impulsività. “No, se si parla di festa è fuori discussione. Vai in cucina di sopra, Jasmine, subito.”
“Ma papà…”
“Non mi interessano ragioni, Jasmine, tu non andrai a quella festa. Non se ne parla nemmeno. Ora vai” Jasmine sentì le lacrime salirle agli occhi e cercò di frenarle mordendosi il labbro ancora più forte.
“Certo, e io non avrò mai una vita sociale, un ragazzo decente, qualche amica in più e qualcosa da scrivere nel diario segreto!” sbottò “Ma a te che importa? Tu puoi fare tutto quello che vuoi!”
“Tu sei mia figlia” tuonò il padre “E in quanto tale, il tuo dovere è imparare a gestire questo ristorante, che un giorno sarà tuo! Dovrai sposare un uomo per bene secondo le regole del Corano e vivere qui tutto il resto della tua vita!”
“E se io non volessi?!” urlò Jasmine. Qualche signora lì intorno trattenne il fiato. La ragazza si rese immediatamente conto che tutti i clienti erano in silenzio e li stavano ascoltando. Ma non le importava. “E se il mio unico desiderio fosse demolirlo?! Io non voglio questo ristorante! Tu non puoi capire! Tu non capisci mai!”afferrò i piatti che aveva preso dalle cucine e corse di sopra, in preda a mille emozioni diverse. Appena entrata in casa sbattè la porta e la chiuse a chiave, poi si lasciò cadere sul pavimento e scoppiò a piangere, con Rajah che le sfiorava delicatamente le gambe.


La casa di Jasmine era su un piano solo, sopra il ristorante, ma non si udiva nulla che poteva ricordare il chiacchiericcio dei clienti. Era un appartamento grande e raffinato: i pavimenti erano di marmo e cotto, le pareti colorate di un caldo color arancio che ricordava la sabbia del deserto. La cucina nella quale Jasmine mangiò si componeva di due parti: la cucina vera e propria e la sala da pranzo, separate da colonne a volta di legno, intarsiate. La ragazza sbocconcellò il Tajin guardando fuori dalla finestra, intarsiata anch’essa e bloccata all’esterno… Una gabbia, pensò Jasmine. Una bellissima gabbia, dalla quale sentiva di non poter uscire, di non avere scampo. Non si sentiva affamata, così andò sul balcone di camera sua e si sedette con le gambe a penzoloni fuori dal balcone, con Rajah seduto accanto. In quel momento le suonò il cellulare. Era Ariel.
“Ehi” rispose malinconicamente.
“Anche tu, vero?” sospirò la rossa dall’altra parte della cornetta, capendo al volo ciò che era successo.
“Anche io” confermò “A volte penso che se ci fosse stata mamma…”
“Lo penso anche io” condivise Ariel. A entrambe mancava la madre. Ed entrambe ne soffrivano molto ed erano convinte che i padri si comportassero in maniera così restrittiva per paura di perdere anche loro. “Almeno tu hai anche mancanza di sorelle” commentò acida “Non che non voglia loro bene, ma le mie sono tutte più grandi e dato che sono scappate di casa tutte almeno un paio di volte… beh, io sono tenuta sotto controllo dal pesce cane!” Jasmine sorrise “E poi oltre al pescecane c’è anche il mastino, quel dannato di un Sebastian che mio padre ha istruito perché si mettesse ad abbaiare ogni volta che raggiungo la porta di casa. Non ci sono soldi per comprare vestiti nuovi, né un cd, né per avere una casa più bella, ma per avere un cane rompiscatole i soldi ci sono sempre.” Jasmine scoppiò a ridere, e Ariel la seguì pochi secondi dopo. Fu Jasmine a interrompere il momento divertente delle due ragazze.
“Dov’è che andavano le tue sorelle quando scappavano di casa, Ary?” domandò la mora.
“Credo andassero in un luogo chiamato Bazar.” Rispose l’amica “Le ho sempre sentite molto parlare di quel posto. Credo sia una specie di centro commerciale sotterraneo, non so come dire… ci puoi trovare di tutto a poco prezzo. Molte volte lì si ruba anche. Sai quante volte Arista è tornata a casa con qualcosa di nuovo che non si sapeva dove l’avesse preso. Io penso che abbia rubato là al Bazar.”
“Hanno anche trovato i loro ragazzi lì, no?” domandò Jasmine sempre più curiosa.
“Si… o almeno, Arista e Adella si.” Rispose l’altra “Come vorrei andarci anche io… ne sento sempre parlare come se fosse il paradiso!”
“Ma sai dov’è?” nella mente della mora cominciava a figurarsi un piano perfetto per riuscire ad andarsene finalmente dalla sua prigione. Se ne sarebbe scappata di casa… anche il padre di Ariel aveva fatto così, teneva le sue sorelle continuamente sotto controllo, esattamente come il Sultano, ma quando una sera non le aveva trovate a letto e compreso che erano fuggite le aveva lasciate più libere… sperava che anche il suo grasso papà reagisse alla stessa maniera. La rossa le diede informazioni abbastanza dettagliate sulla posizione di questo Bazar. “Grazie Ary… ora penso proprio però di dover andare. Devo mangiare. Ho una fame. Non ho ancora avuto tempo di andare a prendere qualcosa in cucina” mentì.
“Perfetto Jas. Ci vediamo domani a scuola. Buona serata!” esclamò, per poi chiudere il telefono. Jas grattò sulla testa Rajah.
“Mi dispiace, Rajah, ma questa notte non dormiremo insieme” disse al gatto, per poi alzarsi.
Frugò per un po’ nella sua cabina armadio, per poi tirare fuori un paio di jeans scoloriti e strappati sul ginocchio, che non metteva più da anni, una felpa blu e un paio di deformate scarpe da ginnastica nere. Sotto la felpa indossava il più fantastico dei top bianchi, senza reggiseno, e nella borsa aveva infilato un paio di scarpe col tacco nere e bianche. In bagno si truccò in modo da sembrare più grande, si acconciò i lunghi capelli neri e posò tutto il necessario nella borsa. Lasciò il cellulare sul letto, bene in vista, in modo che suo padre capisse. Rajah stava miagolando nervosamente, sbattendo la coda di qua e di là, ma Jasmine non lo assecondò. Scavalcò la ringhiera del balcone bombato, poi si lasciò cadere in un cespuglio. I capelli rimasero perfettamente integri grazie al cappuccio calato sul viso. Aspettò accucciata che un paio di cuochi smettessero di fumarsi una sigaretta, per poi correre al cancello del retro. Quando ne fu uscita, sospirò profondamente un respiro di libertà.


Le occorsero cinque fermate di metropolitana, tre di autobus e un bel pezzo a piedi prima di raggiungere il Bazar. Inizialmente non era così sicura di aver preso la strada giusta, ma quando si trovò intorno sempre più ragazzi man mano che si avvicinava, capì che non poteva aver sbagliato. Si sedette su un muretto, si tolse le scarpe da ginnastica e al loro posto si infilò quelle col tacco, si liberò della felpa e si fece largo fra la folla. Riuscì ad arrivare alla fine della fila di gente che stava aspettando il proprio turno per entrare. Davanti a lei c’erano due ragazze che stavano parlando fra loro fumando sigarette.
“Suonano i Dark Sea, sta sera. Sono nella sala concerti” stava dicendo una, con la voce roca.
“Si, ma prima passiamo da Joe. Voglio farmi una dose.”
Jasmine non aveva la minima idea di che cosa potesse essere una dose, ma il suo sesto senso le disse di non andare da questo Joe. Attese in fila per una ventina di minuti, dopodiché arrivò il suo turno e si presentò davanti al buttafuori che era all’entrata. Lui la squadrò un momento, poi le fece un cenno con gli occhi, e Jasmine sorpassò la soglia. Si trovò su un pianerottolo, e cominciò a scendere delle buie e ripide scale. Man mano che scendeva una luce cominciava a mostrarsi avanti a lei, e quando arrivò alla fine della scalinata, si trovò in una vera e propria cittadina sotterranea. C’erano varie bancarelle piene di merce, e talmente tanta gente da fare fatica a camminare. Lo spazio era illuminato scarsamente, e la ragazza non riusciva a distinguere chiaramente alcun viso. Si accostò ad una bancarella per prendere un po’ di respiro e per vedere meglio cosa c’era da offrire. Erano esposti dei gioielli economici di bigiotteria, e l’uomo con un’ispida barba castana dietro il banco la guardò con un sorriso non proprio rassicurante. C’era una musica ritmata piena di bassi penetranti che proveniva da qualche parte. Jasmine ricominciò a camminare finchè non arrivò a un bivio: in un vicolo cieco c’era una massa di gente che saltava con le mani in aria, e davanti a loro un gruppo che suonava con amplificatori giganteschi e una console. Anche il cantante stava saltellando come impazzito. Jasmine scoppiò a ridere: ecco cosa le piaceva, la sensazione di libertà, di trasgressione, il lasciarsi andare completamente alle emozioni e ai desideri del momento… non che fosse una ragazza con la testa per aria, ma una volta ogni tanto si sentiva perfettamente autorizzata a fare quello che voleva. Nonostante dentro di lei ci fosse una vocina che le consigliava di fare attenzione e di tornare subito indietro, la ragazza decise di ignorarla completamente e proseguire nel suo giro nel Bazar.
Proseguendo per il lungo corridoio che mostrava le varie bancarelle, la musica si affievoliva sempre più, fino a mischiarsi con altri generi. Jasmine sentì della musica suadente ed attraente, e si avvicinò alla massa di gente che stava davanti a un piccolo palco con dei pali disseminati qua e là. Si alzò sulle punte dei piedi per sbirciare. Sopra il palco c’erano quattro ragazze semi nude, con solamente un paio di tanga ciascuna e delle scarpe col tacco, ognuna di loro stava ballando in maniera sensuale, mostrando tutte le forme e punti che fecero trasalire Jasmine. Erano tutte a petto nudo, e gli uomini sotto di loro gridavano oscenità guardandole e fischiando. La mora si sentì arrossire. Provava un senso di attrazione verso quelle ragazze, ma razionalmente si sentiva profondamente turbata. Lei non aveva mai visto niente di più osé delle danzatrici del ventre che suo padre pagava per intrattenere gli ospiti durante la cena, ma nessuna di loro mostrava niente tranne le braccia, le spalle e la pancia, e nessuno urlava loro niente. Semplicemente, i clienti sprofondavano in complimenti al Sultano per l’ottima scelta, per la bravura delle ballerine e per la loro sensualità. Fu proprio guardando quelle ragazze danzanti, con i seni scoperti, che Jasmine capì chiaramente di essere arrivata in un altro mondo. Era sempre la stessa città, ma niente era più diverso dal suo universo e dal loro. Un uomo nella fila di gente sotto al palco urlò qualcosa prendendo la mano di una delle ragazze. Quella annuì sorridendo e scese dal palco. Poco dopo, Jasmine li vide passare dietro di sé, lui che mormorava alla ragazza stringendole le natiche, lei che ridacchiava divertita. La ragazza rimase turbata. Sapeva che c’erano donne che si facevano pagare per i propri servizi, non sapeva cose fossero ma sentiva istintivamente che era quello che stavano per fare, e vederne una a così poco spazio da lei la sorprese. Decise di non pensarci, cercando di giustificare la sua ansia dicendosi che quelle erano cose per le persone “più grandi” e che lei era ancora una ragazzina, che finalmente stava vedendo la realtà. Decise di andare avanti. Lanciò un ultimo sguardo alle danzatrici, ma si fermò proprio in quel momento. Ce n’era una, con i capelli rossi e ipnotici occhi viola che le sembrava di aver già visto. Era alta almeno venti centimetri più di lei, magra e longilinea, con seni a punta. La guardò stringendo gli occhi e pensando, poi le venne in mente che l’aveva già incrociata a scuola, e che doveva essere chiaramente più grande di lei. Si, pensò, è sicuramente più grande e l’avrò incrociata in corridoio, ora non sarà più al liceo.
Jasmine continuò a camminare. Si ritrovò in una stanza grande, l’ultima dell’edificio, nella quale c’erano due banconi illuminati e tutto il resto era buio. La ragazza sentì dei mugolii arrivare da un lato della stanza, ma non ci fece caso. Si avvicinò a uno dei due, vedendo le ragazze che erano davanti a lei all’entrata del Bazar. Dietro al bancone c’era un uomo sulla cinquantina, magro come uno stecco, con l’aria allampanata e stempiato, che la guardò e le fece cenno di avvicinarsi. Jasmine eseguì. Lui le mostrò con una mano varie polverine e foglie di piccole dimensioni, pastiglie colorate e altre sostanze informi che sembravano sassi o tuberi.
“Salve, ragazzina” la salutò con voce roca, sorridendole con denti neri e senza metà dentatura “Hai voglia di comprare qualcosa dal vecchio Joe? Lui ti può procurare tutto, qualsiasi cosa… il vecchio Joe ti può procurare visioni fantastiche o la sensazione di volare, un orgasmo che dura per mezz’ora oppure sonni colorati… dimmi, ragazzina, dimmi cosa desideri” Jasmine era titubante. Non aveva mai sentito parlare di tuberi che dessero sonno e nemmeno di pastiglie che facessero volare. In quanto all’orgasmo, poi, non sapeva nemmeno cosa fosse. Si ricordò che in un momento molto vicino ma che a lei sembrava lontanissimo si era ripromessa di non parlare con Joe. Socchiuse gli occhi.
“Voglio volare” bisbigliò. Il vecchio Joe scoppiò in una risata strana, sguaiata, che sembrava l’abbaiare di un cane.
“Ti faccio volare subito, ragazzina. Tu dammi trenta dollari, e io ti faccio finire sopra le nuvole” in quel momento una delle ragazze che erano davanti a lei, che stavano aspirando col naso una polverina bianca, alzò la testa e lo guardò.
“E dai, Joe, non lo vedi che è una ragazzina? Non puoi farle sborsare trenta dollari per un cannone” la difese. Un cannone? , si domandò Jasmine.
“Io le faccio sborsare quello che voglio, Sam.” Replicò Joe “E’ una mia cliente, e qua sono io che detto le regole. Anche tu, se ti stai sniffando quell’ottima roba, è grazie a me, quindi non ti intromettere”
“Ma dai, sarà scappata da casa e non avrà dietro un centesimo. Guardala” continuò la ragazza indicandola con una mano “Ha una maglia di Gucci. Ti dice qualcosa? Sarà evasa dalla sua prigione di cristallo per farsi un’esperienza. È così che cominciamo tutti. Forza Joe, abbassa il prezzo, o non vengo più da te. C’è un altro ottimo fornitore a Central Park, sai? Si chiama Jim”. Fornitore?, si chiese ancora Jasmine. Pensò che un fornitore per definizione doveva rifornire la gente di qualcosa. E se la gente comprava, non doveva essere qualcosa di illegale…
“Quel maledetto Jim. Ha preso tutto quello che ha da me!” sbottò Joe “Va bene, dai, ragazzina, facciamo quindici dollari e facciamola finita. Ora sei contenta, Sam?”
“Resterò da te, allora” concluse l’altra chinandosi nuovamente. Jasmine tirò fuori il portafoglio sentendosi molto in soggezione, e il vecchio Joe in cambio dei suoi quindici dollari le diede una sigaretta fatta a mano. Poi le offrì un accendino.
“Tieni, ragazzina. Sei capace a fumare?” Jasmine scosse la testa. “Queste maledette ragazzine! Mi sa che avevi ragione, Sam!” disse. Poi le prese la sigaretta e la accese. La ragazza sentì immediatamente un profumo che non aveva mai sentito. Sapeva solamente che era molto buono. Sentì la saliva in bocca aumentare. “Allora, ragazzina. Dato che non sei abituata, devi prenderne poca alla volta. Ma veramente poca, okay? Brava. E poi devi mandarla giù, devi sentirla nei polmoni. Poi soffi fuori quello che è rimasto in bocca.” le mostrò come si faceva. “Forza, prova tu” Jasmine prese la sigaretta fra le dita come aveva visto fare molte volte da Ariel, che fumava di nascosto ogni tanto, appoggiò la sigaretta alle labbra e aspirò un po’ di fumo. Lo mandò giù come aveva detto il vecchio Joe, e sentì la gola bruciare, gli occhi riempirsi di lacrime e cominciò a tossire. Joe scoppiò a ridere. “Certo che sei proprio forte, ragazzina. Un cannone come prima fumata. Il prossimo è gratis, te lo prometto. Offre la casa. Ma solo se riesci a fartela tutta, quella roba lì. Dai, fammi vedere che ne sei capace. A proposito, come ti chiami?” Jasmine provò a fare un altro tiro, e questa volta andò molto meglio. La gola bruciava comunque, ma molto meno di prima, e tossì molto poco.
“Jasmine” rispose lei.
“Ottimo, Jasmine. Se te la fumi tutta, te ne do un’altra gratis”. La ragazza alzò le spalle con fare indifferente, pensando che fosse assolutamente figo. Il vecchio Joe rise di nuovo.
Un’ottima qualità di Jasmine, che in quel momento le sembrava proprio preziosa, era che non demordeva mai. Se desiderava davvero qualcosa, solitamente la otteneva. L’unica eccezione, ovviamente, era quando desiderava qualcosa che al Sultano non andava bene per niente. In quel caso, e solo in quello era costretta a cedere. Ma in quel momento suo padre non c’era, era sola. C’erano solamente lei, quel cosiddetto cannone e il vecchio Joe. E Jasmine aveva appena imparato a fumare. Joe continuava a chiacchierare, dicendo che era stata fortunata a trovare roba ottima in quel modo, e raccontandole di tutti i suoi numerosi clienti. La mora lo ascoltava fumando, ma si accorse che più la sigaretta giungeva alla fine, meno lei capiva quello che stava succedendo intorno a lei. Si rese conto che i suoi sensi non funzionavano più come avrebbero dovuto funzionare. Si rese presto conto che tutto ciò che sentiva le arrivava al cervello come in un eco, e tutto era davvero divertente, così tanto che presto si trovò a ridere con Joe di qualcosa di cui non aveva nemmeno afferrato il senso. La sua vista funzionava, ma si rese anche conto che se guardava lontano tutto diventava sfumato, come se non ci vedesse bene, ma non si preoccupò, anzi, scoppiò a ridere anche per questo. La bocca divenne secca, quando quel “cannone” era quasi alla fine, e Jasmine chiese da bere. Il vecchio Joe le propose di andare a chiedere al bancone davanti, quello dall’altro lato mentre le girava “quella nuova”, e la ragazza eseguì. Arrivò davanti al banco, e quando l’uomo la guardò, lei scoppiò a ridere.
“Vorrei dell’acqua” disse infine.
“Dell’acqua?!” esclamò l’altro, un uomo grasso e curato, tutto il contrario di Joe “Qua non abbiamo acqua. Nemmeno un goccio. Se la vuoi… beh, credo dovresti risalire in superficie, bambina. Qua ho qualsiasi altra cosa, ma proprio acqua no”
“E allora io cosa bevo?” esclamò Jasmine incrociando le braccia contrariata, ma sempre sorridendo sotto i baffi.
“Ho un’idea: ti faccio un bel Sex On The Beach” propose lui “E’ buono e non è troppo pesante. Però non bere altro per questa sera, d’accordo?”
“D’accordo” rise lei esultando fra sé e sé.
“Ce l’hai i soldi, ragazzina?” domandò lui ancora, però poi cominciare a prendere gli ingredienti e a mescolare vari contenuti di bottiglie che Jasmine non aveva mai visto. Annuì incantata da tutti quei colori che si mischiavano.
“Ehi, Mike!” esclamò Joe dall’altra parte della stanza buia “Per lei è gratis, questa sera. È la prima volta che fuma, e guardala! La prima volta, già Maria…”
“Io non mi chiamo Maria!” sbottò la ragazzina, afferrando il drink che aveva preparato Mike “Grazie Mike” disse poi.
“Di niente ragazzina, goditelo tutto.” Rispose lui ridendo. Jasmine rise con lui, poi si soffermò a osservare quella bevanda. Era color arancione, ma era sfumata. Partiva rossa, poi diventava arancione caldo, poi più chiaro per finire gialla. Aveva un bastoncino con una ciliegina infilzata sopra. Credeva di non aver mai visto qualcosa di più bello in vita sua. Jasmine era veramente estasiata. Lo buttò giù in un paio di sorsi, sentendolo al gusto d’arancia, dolce, ma con una sfumatura amara dell’alcool. Era davvero buono, e lei era sicura che si sarebbe ricordata il nome per sempre. Sex on the Beach. La bevanda del paradiso. Girò sui tacchi appena svuotato il bicchiere, e tornò da Joe, reclamando l’altro cannone. Joe glielo diede senza fare storie, porgendoglielo già acceso. Se già Jasmine non capiva più niente dopo la prima canna, dopo la seconda rideva senza motivo di qualsiasi cosa e non riusciva a stare in piedi senza cadere. Aveva una sete incredibile, e il Sex On The Beach non aveva sortito nessun effetto. Così, su indicazione di Mike, si diresse verso l’entrata: le avevano detto che dalle parti del concerto dei Dark Sea avrebbe potuto trovare un chiosco dove prendere l’acqua. Così, traballando e reggendosi alle pareti, alle bancarelle e alle persone, si avviò verso il concerto. Doveva solamente andare dritta. Qualcuno la guardava male, altri scoppiavano a ridere, alcuni la indicavano e bisbigliavano fra loro, ma la maggior parte della gente la ignorava. Se avesse ragionato normalmente, Jasmine si sarebbe resa conto che erano abituati a vedere quella stessa scena tutte le sere, se non peggio, da varie persone e non solamente da una ragazzina chiaramente scappata di casa. Si sarebbe anche resa conto di che tipo di gente infestava quel posto, e avrebbe capito perché le sorelle di Ariel ormai erano lasciate totalmente allo sbaraglio dal padre. Forse sarebbe addirittura arrivata a capire perché il vecchio Tritone non faceva uscire la sua figlia minore di casa, se non strettamente controllata.
Arrivò al luogo dove le ragazze ballavano e si fermò nuovamente a osservarle. Quella che se n’era andata via con l’uomo era tornata, e stava continuando a ballare in modo sensuale. Quella che era convinta di aver già visto era ancora nello stesso punto di prima, muovendosi lenta e nel modo più attraente che Jasmine avesse mai visto. Venne colta da un’incontrollabile voglia di andare a ballare con loro, trascinata dalla musica. Si avviò con un sorriso ebete verso il palco, sgomitando fra la folla, e quando finalmente arrivò all’obiettivo salì goffamente sul rialzo. Un paio di ragazze si fermarono incredule e stupite a guardarla, ma non la ragazza della scuola, che le lanciò uno sguardo privo di interesse, e nemmeno la ragazza che se n’era andata poco prima, la mora con i capelli alle spalle, che si fece avanti verso di lei continuando a ballare, avvolgendole un boa di sgargianti piume fucsia intorno al collo e ancheggiando sensuale. La ragazza, presa dall’euforia, cominciò a ballare con la donna davanti a lei. Sentiva un’irrefrenabile voglia di toccarla, di essere come lei, di entrare nella sua carne. Le sfiorò un fianco, poi lo strinse e continuò a ballare, accecata da tutte le luci intermittenti di vari colori che si alternavano intorno a lei. La donna si avvicinò finchè non la ritrovò a un soffio dal viso, per strusciarsi, abbassandosi e rialzandosi a gambe aperte. Gli uomini sotto il palco erano in delirio. Una delle ragazze urlando preoccupata corse via, ma Jasmine non capì cosa stesse dicendo, non avvertì una singola parola. In quel momento era totalmente stordita dal profumo dell’altra, così tanto da non riuscire a percepire nulla intorno a sé…
La prima cosa che la fece tornare cosciente per un paio di minuti fu una mano grande e grossa, posseduta da un uomo altrettanto alto e grasso che le strinse il polso sottile. L’uomo la stava guardando con aria furibonda, le sopracciglia aggrottate in un’espressione di insoddisfazione e frustrazione. La trascinò malamente giù dal palco, mentre la ragazza, terrorizzata, cercava disperatamente una parte del suo cervello funzionante, capendo immediatamente di quanto ne aveva bisogno in quel momento.
“Ehi tu!” esclamò l’uomo con una voce roca e profonda, rivolgendosi a lei. “Che cosa stavi cercando di fare, ragazzina?! Quello era il mio spettacolo di burlesque, quelle erano le mie ragazze e quelle ragazze hanno con me un contratto per farmi guadagnare, capito? Non dovevi salire lì sopra, adesso hai stravolto tutto! Non hai idea delle conseguenze che ci saranno! Adesso mi verranno a chiedere tutti delle minorenni, per Dio!” Jasmine non capiva quasi niente di ciò che l’uomo le stava dicendo, e quel poco che recepiva la faceva scoppiare a ridere, anche se la sua coscienza stava provando disperatamente a urlare di tenere la bocca chiusa e di assumere un’aria contrita e dispiaciuta. “Quanti anni hai? Dovresti essere a letto tu a quest’ora! Dovrei chiamare i buttafuori e far arrivare tuo padre! Ecco, giusto, mi frutterebbe un po’ di soldi, gli farebbero una bella multa per averti lasciata venire qua al Bazar da sola. Forza, muoviti, dammi il cellulare!”. Fu proprio quando l’uomo allungò la mano per afferrarle la borsa che spuntò fuori un’altra mano, che lasciò Jasmine confusa come non mai.
“Ehi, Pain, lascia stare la ragazzina” esclamò una voce chiara e cristallina. La ragazza si girò, e nel suo campo visivo entrò un ragazzo. Non era molto più alto di lei con i tacchi, perciò avrebbe dovuto essere sul metro e settantacinque. I suoi capelli erano lunghi sulle spalle, nerissimi, gli occhi grandi, castani e sinceri. Le sue labbra erano sottili e la sua pelle abbronzata quanto quella di Jasmine. Indossava un paio di pantaloni da tuta bianchi e una maglietta viola. L’uomo grugnì. “E’ mia sorella… è un po’ matta, è per questo che non ho mai detto di averla… sai…” si avvicinò all’uomo e gli parlò con tono confidenziale “Stavamo tornando dallo psichiatra quando lei è scappata via ed è arrivata qua” si allontanò, mentre alla ragazza veniva fuori un’improvvisa cascata di risate, data l’espressione facciale che il ragazzo sconosciuto aveva utilizzato. “Ora andiamo. Scusami per il disturbo. Ciao ciao!” esclamò. Prese Jasmine per mano e la trascinò fra la folla. “Riesci a correre?” le domandò poi con un sorriso. La mora cominciava a capire qualcosa della situazione, e si rese improvvisamente conto che il ragazzo era un completo estraneo. Cercò di ritrarre la mano da lui, che la strinse ancora un po’. “Ci sta per correre dietro. Dai, ti porto fuori di qui. Mi sembri una che ha proprio bisogno di una boccata d’aria”. Disse. Jasmine si lasciò andare e lo seguì come in trance fino alle scale, poi su, su, sempre più su, fino a sentire l’aria fresca pizzicarle il viso sudato. Si sentì subito meglio. Inspirò profondamente, poi il ragazzo la trascinò velocemente fino a un parco lì vicino, la fece sedere su una panchina e le chiese di aspettare. Tornò pochi minuti dopo portando con sé una bottiglietta d’acqua. “Tieni, bevi” le offrì. Lei non se lo fece ripetere due volte: afferrò la bottiglia e cominciò a bere avidamente. Lui rise. Aveva una bella risata, sincera, aperta. “Avevi proprio sete, eh?” lei annuì. Sentiva pian piano l’effetto di quella cosa che aveva fumato sfumarsi sempre di più, e un sonno tremendo le stava calando addosso. Si ripromise di tornare a casa prima di addormentarsi, ricordò la promessa che si era fatta, di non tornare più a casa finchè suo padre non si fosse arreso all’idea di lasciarla andare alla festa, e si sfregò gli occhi. “Quanti anni hai?” domandò ancora lui.
“Sedici” rispose lei con la bocca impastata. Bevve ancora un po’ d’acqua “E tu?”
“Io ne ho quasi venti” rispose lui “Li farò il mese prossimo. Come ti chiami?”
“Jasmine”
“Io sono Ali. Piacere di conoscerti, Jasmine” si presentò lui stringendole calorosamente la mano. La ragazza sentì un brivido su per il braccio, e decise che il ragazzo le stava decisamente simpatico. Aveva una bella voce, un tono simpatico, la risata aperta, e il suo viso ispirava subito fiducia. Gli sorrise, e sentì quasi di potersi fidare di lui. Bevve ancora. “Cosa ci facevi al Bazar, Jasmine?” domandò. Lei sospirò un momento, cercando di riordinare le idee. Le sentiva come se fossero un vortice che girava al massimo della velocità dentro la sua testa. Chiuse un momento gli occhi, e quando li riaprì aveva ricomposto il pensiero.
“Volevo far preoccupare mio padre” disse “Lui non mi vuole far andare alla festa che organizza Aurora” Ali annuì divertito “Ariel mi aveva parlato di questo posto, e mi aveva detto che le sue sorelle venivano sempre qui. Quindi sono voluta venire anche io. Ma non riesco bene a capire cosa…”
“Hai fumato una canna.” La interruppe lui, capendo al volo cosa lei stava per chiedergli. Strinse gli occhi osservandolo, senza capire. Lui sospirò stringendosi nelle spalle. “Una canna è… un cannone. Gangia. Maria. Insomma, marjuana. Ed è una droga. Non è forte… ti stordisce solamente un po’. Solitamente fa venire la sensazione di volare.”
“Era quello che volevo” ammise lei.
“L’hai ottenuto” le sorrise “Allora, ti è piaciuto il giro sul tappeto volante?” lei gli sorrise e annuì.
“Credo che me ne abbiano date due, una dopo l’altra. Non so come ho fatto a rimanere in piedi” raccontò “Mi hanno anche dato da bere qualcosa di strano… alcool… si chiamava Sex On The Beach” il ragazzo scoppiò a ridere, e lei incrociò le braccia sul petto, quasi offesa. “Che c’è?”
“Beh, mi fai ridere” ammise lui “Credo di non aver mai incontrato nessuno di più ingenuo di te. Cioè… vai al Bazar, il covo delle persone più depravate di tutta New York, con tutta probabilità non hai mai fumato nemmeno una sigaretta e come prima esperienza ti fai due canne una dopo l’altra, bevendoci addirittura su…! Insomma, sei… sei una bomba, Jasmine” lei lo guardò imbarazzata, sentendosi arrossire.
“Grazie. Ma non sarei riuscita a uscirne bene se non ci fossi stato tu. Grazie”
“Non… non ringraziarmi, non è stato nulla” rispose lui, grattandosi dietro la testa e sorridendo imbarazzato. Jasmine sorrise ancora una volta. Quel ragazzo le piaceva sempre di più. Era simpatico, carino e sembrava sincero. “Tu cosa fai nella vita?” domandò lui improvvisamente, cambiando argomento. Jasmine sorrise.
“Vado a scuola, torno a casa e rimango lì finchè non ottengo il permesso del mio caro padre per uscire con le mie due uniche amiche” alzò le spalle “Sembra che non sia un granchè, lo so, ma è anche peggio di come sembra. Sai, ho il tipo di padre che è spaventato da qualsiasi cosa sia fuori dalle mura che lui ha costruito con sangue e sudore, non accetta in alcuna maniera che io possa uscire e divertirmi.” Il ragazzo annuì.
“Ho capito il genere. Deve essere davvero una noia! Ma… sempre meglio che non averlo, un padre” mormorò cambiando espressione, che diventò triste e abbattuta. “I miei sono morti in un incidente d’auto quando ero troppo piccolo per capire, e da allora ho sempre vissuto in un orfanotrofio… nessuno mi ha voluto adottare, e un paio di anni fa sono uscito con la mia roba e non sono più tornato. Adesso lavoro part – time in un call center e non guadagno proprio niente. Ecco perché ero là sotto… per cercare di trovare qualcosa da mangiare”. La ragazza improvvisamente si sentì toccata dalla semplicità di quel ragazzo, dalla sua malinconia nascosta, dal suo spirito di fuoco sotto tutto il dolore, e gli sorrise sinceramente. Gli prese una mano e lo guardò negli occhi.
“Io non ho più mia madre”. Il ragazzo la osservò per un momento con mille emozioni che gli passavano negli occhi. Era triste, malinconico, confuso, ma era anche speranzoso e felice di aver trovato qualcuno che almeno in parte potesse capire come si sentiva a non avere un genitore. Quell’Ali era davvero straordinario, pensò Jasmine, e improvvisamente si rese conto che tutto il mondo stava girando vorticosamente intorno a lei. Si chiese se fosse ancora l’effetto della droga (ehi, non poteva credere di essersi drogata), ma non se ne curò più di tanto, perché era totalmente concentrata sugli occhi castano scuro di lui. Erano così grandi… sinceri… semplici… e le ispiravano fiducia. Si rese improvvisamente conto che si stavano impercettibilmente avvicinando, piano piano, come tirati uno contro l’altro da un filo misterioso… un ciuffo ribelle gli scendeva sulla fronte, cadendogli sull’occhio. Jasmine era incantata.
Si sentiva totalmente scombussolata, perché improvvisamente si era resa conto anche che se non si fosse fermata subito si sarebbero baciati. E per questo era veramente agitata. Lei non aveva mai baciato nessuno. Molte volte ne aveva parlato di nascosto, sotto le coperte con una torcia accesa, con Ariel e Aurora. Ariel si vantava di aver già baciato qualcuno, ma a dire la verità, era stato solamente il suo cane Sebastian. Aurora era quella con più esperienza di tutte, essendo la più bella fra loro. Non si vantava mai, ma una volta aveva ammesso di aver baciato tutti e tre i ragazzi con cui era stata insieme, e aveva anche baciato Eric, la sua recente conquista. Jasmine molte volte aveva guardato film o cartoni animati in cui le persone si baciavano più o meno appassionatamente. Ma non sapeva assolutamente come si desse un bacio, e improvvisamente si sentì così ignorante sulla materia da pensare di allontanarsi da Ali e correre via. Ma c’era un’altra vocina dentro di lei, piccola e stridula, che si faceva strada nel suo cervello. Non aveva mai sentito una vocina del genere, ma le stava dicendo di rimanere, di non andarsene, perché finalmente aveva trovato la persona di cui le sue labbra agognavano il tocco. La vocina le diceva che era lui quello giusto, era lui quello che lei avrebbe voluto baciare da tutta la vita. Si sentì totalmente spiazzata, quando avvertì del movimenti mai esistiti prima nel basso ventre, e quasi si spaventò quando si rese conto che il suo corpo stava reagendo con così tanta violenza alla mano di lui che le sfiorava il fianco. Non si era mai sentita meglio e nemmeno peggio.
Erano vicini. Erano pericolosamente vicini. Suo padre l’aveva sempre messa in guardia dagli uomini che si avvicinano troppo, descrivendoli tutti come depravati che volevano solamente “quella cosa”, anche se Jasmine non aveva la più pallida idea di che cosa fosse “quella cosa”. Ma nei film le donne si facevano baciare con facilità, senza alcun problema… molte cose presero forma nella sua mente nello stesso istante, in quei pochi secondi in cui i due si stavano avvicinando.
Le venne in mente un film che aveva visto molti anni prima, in cui i protagonisti si erano dati un umido bacio appassionato. Quando suo padre l’aveva scoperta davanti alla televisione, l’aveva messa in punizione per un mese. Pensava che i baci si dessero così, anche se nei cartoni animati erano totalmente differenti. Capì immediatamente che il padre voleva evitare proprio questo, quando si era inventato qualcosa per cui lei non poteva fare educazione fisica. Sentì nel cuore un’ondata di desiderio di libertà, di Ali, del suo profumo e della sua pelle sulla sua, anche se non capiva esattamente in che senso. L’istinto era troppo forte. Si dimenticò che era scappata di casa, che era dall’altra parte della città e che era stata nel Bazar, un luogo sotterraneo in cui si mescolavano alcool e droga. Si dimenticò di essere salita sul palco sul quale una ragazza già vista, coi seni a punta, ballava in maniera sensuale. Si dimenticò chi era, come si chiamava e da dove veniva, sentendo l’odore pungente di spezie che aleggiava intorno al ragazzo. Ebbe il desiderio di affondare il naso nel suo petto e aspirare quell’inebriante profumo. Qualcosa, dentro di lei, le diceva che lo voleva, che lui era la persona che aveva sempre aspettato, che i loro cuori battevano in sintonia e che lui poteva capire come si sentiva.
Socchiuse gli occhi. Ormai erano vicinissimi. L’unico pensiero che balenò nella mente di Jasmine in quel momento, a cui lei non diede peso per non rovinare oltre le sensazioni che le scorrevano sul corpo una dopo l’altra, fu: “Baciami con passione”. Schiuse le labbra…
“Signorina Jasmine?!” esclamò una voce melliflua fin troppo vicina a lei, fin troppo reale. Jasmine si girò di scatto, con gli occhi spalancati. Ali si ritrasse imbarazzato, alzandosi in piedi d’istinto e portando la mano dietro la testa.
“TU?!” Jasmine era senza fiato. Jaff… proprio lì, davanti a lei, il caposala di suo padre, l’uomo alto e magro, con quei baffi e quella barbetta che sembravano propri del demonio, che con la sua voce suadente e i toni sempre ossequiosi riusciva a manovrare il padre come voleva. “Cosa… cosa ci fai qui?!” Ali alzò lo sguardo e subito sgranò gli occhi.
“Jafar?!” balbettò, per poi tossire. L’uomo sorrise unendo le mani sul petto.
“Proprio io” sorrise un momento maleficamente, poi tossicchiò e riprese il suo solito tono ruffianamente disgustoso. “Ma signorina Jasmine, cosa ci fa lei qui, in mezzo a un parco, con un…” storse il naso “Un ragazzo di strada. Un reietto. Uno scarto della natura”.
“Non è uno scarto della natura, si chiama Ali! E mi ha salvata da…” provò a protestare la ragazza, ma quando vide lo sguardo di Ali ammutolì spaventata. Fra lui e Jaff non c’era solo imbarazzo e antipatia, ma ciò che Jasmine lesse negli occhi di entrambi era odio puro.
“Ci conosciamo già” ringhiò il ragazzo “Mi ricordo di una volta, non troppo lontana, in cui mi fu rifiutato di lavorare alla Reggia del Sultano come lavapiatti perché arrivavo da un orfanotrofio! E tu!” esclamò puntando il dito verso la ragazza “E tu sei la figlia di quel… Sultano?! Chi l’avrebbe mai detto!”
“Già, e credo che il Sultano non sarà per nulla compiaciuto nel sapere che la sua adorata figliola va a offrire piaceri a coloro che non dovrebbero fare altro che gli sguatteri.” Commentò Jaff. Poi si allungò e afferrò un polso di Jasmine. “Iago!” chiamò poi, e l’autista della loro Jaguar apparve dalle foglie del parco. La ragazza non sapeva più come sentirsi. La serata si era ribaltata in vari modi diversi, e uno strano presentimento le diceva che il peggio stava ancora per venire. Iago, un uomo grosso quanto stupido, afferrò Ali che cercava di saltare al di là della panchina senza successo, e lo trascinò con sé. Jaff tirò una Jasmine urlante fino alla macchina, su cui fu sbattuta al fianco di Ali. Le portiere si chiusero con uno schiocco sonoro, dopodiché l’auto partì. Jaff disse qualcosa in arabo a Iago, che Jasmine non capiva. Era di origini arabe, ma avendo vissuto per tutta la vita in America non conosceva alcuna parola se non le denominazioni dei cibi. La ragazza era preoccupata. Non sapeva cosa aspettarsi. Allungò la mano per sfiorare quella di Ali, che le lanciò uno sguardo stupito. Si guardarono negli occhi per un lungo momento. Lei cercava di chiedergli scusa, era dispiaciuta e non voleva che lui pensasse male di lei. Lui era ferito, sorpreso e arrabbiato, ma le fece un sorriso tirato per farle capire che non ce l’aveva con lei. Sapevano entrambi che non potevano andare oltre a quel leggero tocco, ma tanto bastava.
Per tutto il viaggio in auto, Jasmine cercò di racimolare tutta la chiarezza mentale di cui disponeva, cercò di far tornare nel cuore la determinazione e le parole che avrebbe voluto dire al padre il giorno dopo, quando avrebbe voluto tornare a casa. Cercò di trovare i modi giusti nella sua mente, tentò in ogni maniera di trovare la calma, perché sapeva bene che senza non avrebbe ottenuto nulla, nemmeno il perdono per essere fuggita da casa. Allo stesso tempo, cercava di trovare altre parole, ancora nascoste nella sua mente, per far capire al padre la cattiva influenza che Jaff aveva su di lui. Avrebbe anche voluto saperne di più su Ali che si era presentato alla Reggia per chiedere di diventare lavapiatti, e sul perché era stato rifiutato. Non riuscì a parlare per tutto il tempo.
La Jaguar posteggiò esattamente davanti al ristorante, e Jaff scese per primo, per poi afferrare di nuovo il sottile polso della ragazza.
“No!” esclamò lei, tendendo l’altro braccio per toccare Ali “Ali!”
“Jasmine!” urlò lui, con voce piena di disperazione. Ma Jaff e Iago ebbero la meglio, la ragazza si ritrovò contro il petto del caposala e vide la portiera chiudersi davanti a lei. L’ultimo sguardo che Ali le lanciò era quello che la ragazza si sarebbe ricordata per sempre: uno sguardo sconfitto. Jaff la trascinò dentro il ristorante ormai vuoto, e con la coda dell’occhio Jasmine vide che l’orologio nella sala segnava le tre e mezzo di notte. L’uomo accese la luce, la ragazza sentì dei passi affrettati giù per le scale e infine spuntò suo padre, con gli occhi rossi e gonfi di chi ha pianto a lungo, i capelli scarmigliati e la camicia sbottonata e messa molto male.
“Sultano, le ho riportato…”
“Jasmine!” esclamò il padre della ragazza “Gioia mia!” la abbracciò forte a sé, ma la ragazza non ricambiò l’abbraccio, convinta di ciò che voleva fare. “Sei sparita nel nulla… improvvisamente non eri più nella tua stanza, c’era il tuo cellulare sul letto, e… ma dove sei stata? Oh, gioia mia”
“Papà, dobbiamo parlare.” Disse lei freddamente. Poi puntò il dito contro Jaff “Quest’uomo mi ha presa… quasi catturata… e con me un ragazzo, che…”
“Il ragazzo stava cercando di…” Jafar tossicchiò “Sono sicuro che lei mi potrà capire, signore”.
“Che cosa?!” strillò l’uomo “Io non permetto che qualcuno tocchi mia figlia in modo volgare!”
“Non mi ha nemmeno sfiorata!” protestò Jasmine.
“Quando sono arrivato, la stava spingendo sulla una panchina in un parco…”
“Su una panchina?! In un parco?!”
“Non è assolutamente vero!” ruggì la ragazza, ma nessuno la ascoltò. Si sentiva completamente ignorata.
“Portatelo alla polizia, sarò io stesso a pagare l’avvocato per mandarlo in galera!”
“Certo, come desidera, signore…”
“Lui mi ha salvata” urlò Jasmine con tutto il fiato che aveva in gola. Il padre si girò verso di lei e la guardò ferito e sorpreso “Ero andata al Bazar” ammise in fine “Da sola. Perché volevo dimostrarti che mi tieni troppo chiusa in casa. La mia vita non può girare semplicemente intorno al ristorante! Io sono una persona, papà, non posso certo restare qua dentro senza avere un ragazzo, o un’amica, o senza andare a nessuna festa da nessuna parte… volevo solo dimostrarti che so cavarmela! Che posso farcela!”
“Lui ha cercato di…”
“Lui non ha cercato di fare niente. L’unica cosa che ha fatto è stata prendermi una bottiglia d’acqua quando avevo molta sete, e tirarmi fuori da un gran guaio nel quale mi stavo cacciando, e…”
“Io, signore, ho visto quel che ho visto” insistette il caposala “E lei sa che io non direi mai una bugia a vossignoria. Il ragazzo è lo stesso che era venuto per fare il lavapiatti qualche mese fa, si ricorda? Sicuramente voleva farci un torto facendo del male a sua figlia dopo che l’avevamo rifiutato, in modo da poterci ricattare a suo piacimento”.
“Lui non sapeva nemmeno chi ero!” Jasmine era esasperata.
“Non voglio sentire più ragioni. Vai subito in camera tua. Provvederò ad attivare l’allarme di sicurezza” borbottò il padre dirigendosi verso la cassa, su cui c’era il telefono del ristorante. La ragazza si sentì sprofondare. Suo padre non attivava mai l’allarme, la zona in cui vivevano era una delle più ricche e nessun ladro osava mettere piede nel giardino della Reggia del Sultano. Mentre Jasmine ancora boccheggiava dalla delusione e cercava di mandare giù l’aspro sapore della sconfitta, a Jaff squillò il cellulare. Rispose e disse poche parole, per poi rimettere il telefono in tasca e guardare il Sultano profondamente, senza degnare la ragazza di un’occhiata.
“Iago l’ha portato alla polizia. Hanno detto che conoscono già i suoi crimini. Starà là dentro per tutto il resto della sua vita. lo manderanno in un carcere di massima sicurezza”.
Jasmine non riuscì più a trattenersi. Sentì le lacrime arrivarle agli occhi, i muscoli tendersi fino a farla tremare. Il labbro inferiore cominciò a muoversi. Si sentì una fallita, una bambina inutile e senza importanza. Non c’era mai stato qualcosa che lei desiderasse più della libertà di poter uscire di casa come voleva, e l’unica volta nella sua vita in cui l’aveva fatto aveva trovato qualcosa che aveva scoperto di desiderare ancora di più della libertà. Si rese improvvisamente conto che i mille sogni che erano passati nel suo inconscio senza che la sua mente li esprimesse erano stati infranti ancor prima che potessero diventare ciò che avrebbero dovuto essere: desideri. Sapeva che non avrebbe mai potuto dimenticare quel ragazzo che per quella piccola frazione di tempo l’aveva fatta sentire così bene, così adatta, così in pace col mondo, quel ragazzo che le aveva provocato le sensazioni più forti che avesse mai provato. Jasmine non era mai stata innamorata in vita sua, e nessun ragazzo le aveva mai dato una benché minima emozione che non fosse ilarità o compassione. Ma questa volta sentiva che qualcosa era cambiato nel suo profondo, capì che per la prima volta nella sua vita il suo cuore batteva per qualcuno, agognava qualcuno, desiderava maledettamente qualcuno. Sapeva che nessuno era come Ali, quant’è che ogni singola goccia d’acqua è diversa una dall’altra. Sapeva che il suo desiderio non si sarebbe mai estinto e sapeva che non avrebbe mai potuto trovare qualcuno che le desse simili emozioni. Jasmine si era resa conto che improvvisamente non era più una bambina, e il suo corpo gliel’aveva urlato a pieni polmoni mentre era con il ragazzo che ora era in qualche cella. Jasmine lo desiderava non come una ragazzina desidera un giocattolo, ma come una donna desidera un uomo. Lo desiderava accanto a sé ogni giorno, desiderava il suo profumo speziato, desiderava ballare sensualmente davanti a lui, desiderava sentire il suo respiro sulle sue labbra, voleva sentire la sua bocca sulla sua, desiderava sentire il suo corpo, la sua pelle color caffelatte premuta sulla sua, desiderava, per la prima volta nella sua vita, fare l’amore con qualcuno. E all’improvviso aveva anche capito cosa significasse “quella cosa”, quello che stava facendo e ciò che le stava chiedendo il suo ventre quando stava per baciarlo.
Girò sui tacchi, che risuonarono sul pavimento di marmo della sala. Urtò suo padre, che si era girato a guardarla. Salì le scale velocemente, spalancò la porta di casa e poi quella della sua camera, che poi chiuse fragorosamente e a chiave. Si tolse la maglia, le scarpe, i jeans con forza e si lasciò cadere sul letto, piangendo lacrime amare di sconfitta.


Jasmine non si era ancora calmata quando suo padre bussò alla sua porta. Non sapeva che ore fossero, e non le importava. Era sdraiata sul letto da ore, minuti, giorni, non sapeva dirlo.
“Jasmine… gioia mia, fammi entrare” domandò suo padre con tono calmo e affettuoso. La ragazza non rispose. Rimase con la testa affondata nel cuscino. “Perla mia… ti prego… fammi entrare”.
“Non voglio vederti mai più” gracchiò lei “Mi hai rovinato la vita” sentì un sospiro dall’altra parte della porta di legno, poi sentì la chiave di scorta entrare nella serratura e aprirsi. Si ricordò improvvisamente che non aveva privacy nemmeno nella sua stanza. Si rese conto di essere controllata in ogni secondo. Suo padre entrò titubante. Rajah, che si era accoccolato vicino al fianco di Jasmine, saltò via e si diresse verso la cabina armadio.
“Ma, gioia mia… copriti” balbettò il padre notando che la ragazza era a petto nudo.
“Non ne ho voglia e non mi importa” rispose lei. Il Sultano sospirò e si sedette accanto a lei. “Non mi toccare” lo minacciò la ragazza. Lui si sedette con le mani intrecciate in grembo. Sospirò un paio di volte, poi decise di parlare.
“Vedi, gioia mia, quando è morta tua madre mi sono sentito talmente in colpa.” Mormorò “Mi sono sentito come un pesce fuor d’acqua, e l’unico senso della vita che mi era rimasto eri tu. Io ho sempre avuto paura che prima o poi qualcuno ti avrebbe portata via da me come era successo per tua madre. Io non volevo condividerti con nessuno. Non voglio che tu corra pericoli. Voglio che ti sposi con un uomo per bene, certo, ma non voglio che ti succeda qualcosa di male. Io non posso sapere se la persona che desidererai sposare un giorno ti tratterà male, abuserà di te in qualche maniera o ti tradirà. Io voglio solamente il meglio per te. È per questo che quando ho incontrato Jafar, così a modo, così ricco, così gentile e così attaccato affettivamente alla nostra famiglia ho deciso di prometterlo a te come sposo” Jasmine, sconvolta, si mise seduta indietreggiando verso il muro, senza curarsi di coprire i seni. Era inorridita. Jafar e lei? Quell’uomo che aveva il doppio dei suoi anni doveva diventare suo marito, l’uomo che lei avrebbe dovuto compiacere in ogni maniera?
“Tu non puoi…”
“Ho deciso così, Jasmine. E così tu farai. L’unica cosa che posso fare è aspettare che tu abbia la maggiore età, in quel momento firmeremo il vostro matrimonio, che tu lo voglia o no. È per il bene della nostra famiglia. Del ristorante. Tuo e mio.” Fece una pausa, poi si alzò e si avvicinò alla porta per uscire “Puoi andare a quella festa” disse infine.
Jasmine lo maledì mentalmente. Le aveva rovinato la vita in una notte. E l’ultima cosa che avrebbe voluto in quel momento era andare a quella stupida festa.
C’era una sola cosa che lei desiderava veramente in quel momento.
E quella cosa era Ali.













NdA: buongiorno a tutti! Mi cimento con una nuova storia, spero che vi piaccia e che lasciate un commentino ^.^ Non so ogni quanto aggiornerò, il tempo potrebbe andare dalle due settimane al mese. Abbiate pazienza! Cercherò almeno di essere costante! :) Ovviamente però non andrò avanti se non riceverò commenti; in quel caso via la storia e via tutto perchè sarebbe a dire che non è interessante :) Perciò se vi piace fate quel piccolo sforzo, per piacere.
Grazie per la lettura, spero a presto!
Nymphna

   
 
Leggi le 7 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Film > Disney / Vai alla pagina dell'autore: Nymphna