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Autore: Ginevra Gwen White    23/09/2012    7 recensioni
“Sono Luke.”
Annabeth restò per un attimo interdetta, incerta se credergli o meno. Come era possibile che quel ragazzo fosse Luke? Si chiedeva. Fece per dire qualcosa ma Luke la anticipò.
“Mi chiamo Luke Castellan, sono morto ad opera di Crono qualche decina di anni fa. Mia madre è May Castellan e mio padre Ermes, il dio messaggero. Il mio colore preferito è il rosso tiziano, adoro i biscotti al cioccolato. Tu sei Annabeth Chase, figlia di Atena, il tuo film preferito è "Il Codice da Vinci", in cui adori il personaggio di Robert. Una volta ti sei arrabbiata con me perchè credevi che ti avessi rubato il coltello ma alla fine lo aveva usato Talia per tagliarsi le unghie. Ti ho mai raccontato che fino ad otto anni, dormiva ancora con l’orsacchiott...”
Genere: Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Annabeth Chase, Luke Castellan
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questi personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Rick Riordan e di chi ne detiene i diritti. Ergo, questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro. 



Questa storia è dedicata a Ranerottola,
che mi ha rivisto il testo con grande attenzione.
A Luna Ginny Jackson perchè la adoro
e a Margareth_Brown perchè d'ora in avanti ogni storia che pubblicherò,
la dedicherò a lei, la mia Musa <3






Imponenti balconi neri sporgevano dalle pareti, anch'esse nere, di un’altezza senza fine. Si specchiavano sul pavimento scuro, lucido, che pareva appena levigato. Grossi sbuffi d'aria fredda spiravano da ogni parte, invadendo di gelo l'ampia sala. L'anima si guardò attorno incerta e continuò a dirigersi verso l'enorme trono rosso, posto a pochi metri di distanza. Dopo aver volteggiato fino ad esso, si inchinò dinnanzi alla figura, lì accomodata placidamente. 
“Ti è stata offerta un'opportunità.” proruppe la figura seduta, con una voce acuta e frusciante.
L'anima, chinato il capo rispettoso, rispose: “Mio signore?”
“Sai già ciò che ti offro.” disse Ade, sbrigativo “Sta' a te decidere.”
Lo spirito si sollevò con un fruscio. Se avesse avuto un viso, starebbe decisamente sorridendo.
“Vi sono grato di ciò che mi state elargendo.”
Ade liquidò la faccenda con una mano e si passò una mano fra i capelli. “Sii prudente.”
“Lo sarò.”
“E sta' attento, Luke.”
Per l'anima fu solo una questione di secondi, poi si sentì risucchiare verso l'alto e fu buio.
 
Diciotto anni dopo.
 
A Ryan Jefferson piacevano i biscotti al cioccolato. Ne andava letteralmente matto! Ma neanche questi riuscivano a sollevarlo dopo un'intensa giornata no. 
Così, sconfortato da tutto e da tutti, si distese sul letto, e si mise a pensare alla sua vita.
 
Ryan era nato nell'ospedale della sua città. Battesimo, primo compleanno, scuola, comunione... diciotto anni erano passati in un batter d'occhio! Generalmente la sua vita era stata tutt’altro che triste: aveva una famiglia felice, una grande casa, una bellissima ragazza! E non poteva pretendere di meglio. Tuttavia quel giorno era inquieto, tanto che decise di alzarsi dal morbido materasso e di recarsi nel salotto, dove il fratello (il quale, per un estroso caso, si chiamava Jeff Jefferson) stava guardando il famoso cartone animato Hercules.
 
“...ma padre! Ho sconfitto tutti i mostri in cui mi sono imbattuto... Sono... sono solo la persona più famosa di tutta la Grecia! ...Il mio pupazzo va a ruba!...” tuonava il televisore con impeto.
 
Ryan osservò con le sopracciglia inarcate la figura muscolosa e con una rampa di capelli arancioni che aveva pronunciato la frase. “Sai, dicono che ciò che uno guarda in tv rifletta la propria capacità intellettiva” ironizzò Ryan lanciando un'occhiata a Jeff, gettato spaparanzato sul divano e con lo sguardo perso sullo schermo. Egli, di rimando, lo guardò di sfuggita e riprese ad osservare lo schermo “Davvero? Questo spiegherebbe perchè ti vedi Hannah Montana” borbottò lui.
Il fratello sorrise, suo malgrado: Jeff era davvero perspicace. “Hannah Montana? Ma per favore, stavo semplicemente facendo zapping.” 
“Sì, certo, pensala come vuoi”
Ryan scosse la testa divertito, prima di avvertire una dolorosa stretta allo stomaco. Era come se qualcuno gli stesse strozzando l'esofago, per poi catapultarlo per terra e schiacciarlo ripetutamente. Si piegò in due, gemente e la vista gli si appannò.
 
“ ... guarda dentro il tuo cuore...” fu l'ultima cosa che udì, prima che le orecchie prendessero a fischiare e Ryan piombasse a terra, agonizzante.
 
“Ehi Ryan, ti senti bene?” 
Ryan? Chi era Ryan? Il ragazzo aprì gli occhi e si ritrovò sdraiato sul pavimento.
“Mi hai fatto preoccupare, imbecille! Stavo per chiamare la mamma. Per fortuna stai bene.” Jeff gli offrì la mano che Ryan prese senza esitare. Si guardò attorno con una consapevolezza del tutto nuova. Non ci poteva credere. Avvertiva dentro di sé una situazione nuova. Si sentiva... completo. E, infondo, lui sapeva perchè. Quel giorno non era più Ryan, bensì Luke Castellan.
 
Luke prese fra le mani l'elenco telefonico e lo sfogliò fino a trovare ciò che cercava. Chase - Jackson 555-2794 Nord Avenue Street 99, New York.
Prese dal comò le chiavi della macchina e si avventurò in direzione dell'indirizzo segnato. Guidando, si rese conto che il corpo in cui si era reincarnato, non era poi tanto male. Si guardò per un attimo nello specchietto retrovisore, ammiccando. Poi distolse lo sguardo e lo puntò sulla strada, pensando da quanto tempo non guidava. 
Durante la reincarnazione, ricordò Luke, era ovvio che il nuovo individuo in cui ci si reincarnava, non serbava ricordo della propria vita precedente, ma ne conservava la mentalità e lo spirito. Il figlio di Ermes era contento di aver preso il sopravvento sul corpo del ragazzo; Ade glielo aveva concesso per qualche ora, il tempo di sbrigare degli affari.
Svoltò di nuovo a destra e capì di essere arrivato quando una graziosa villetta azzurra gli apparve dinnanzi. Parcheggiò di fronte al cancello aperto, scese dalla macchina e si diresse verso la porta, suonando più volte il campanello. Il suono viaggiò limpido per tutta la casa, facendogli salire ansia.
“Chi è? Sei tu, Percy?” chiese poco dopo una voce femminile, facendo capolino da uno spiraglio della porta.
Luke sorrise. “Salve. La signora Chase è in casa?”
La porta si aprì del tutto. Una donna bionda, con grandi occhi grigi scrutò sospettosa il ragazzo. Doveva avere al massimo una quarantina di anni, lo si capiva dalle piccole striature di grigio dei capelli e dalle minuscole rughe accanto agli occhi, ma rimaneva ugualmente una splendida donna. Luke continuò a guardarla stupefatto e fu preso, lì per lì, dalla voglia di stringerla a sé, magari dicendole: "Annabeth! Sono io, Luke! Sono tornato!". Tuttavia, conosceva la figlia di Atena, e sapeva che prima doveva convincerla a credere che fosse davvero tornato. Si schiarì la voce ed iniziò: “Annie. Ne è passato molto di tempo...”
“Chi sei? Come fai a sapere il mio nome?” la donna drizzò la testa altezzosa e lo fissò dall'alto in basso.
Lui sospirò. “Sono Luke.”
Annabeth restò per un attimo interdetta, incerta se credergli o meno. Come era possibile che quel ragazzo fosse Luke? Si chiedeva. Fece per dire qualcosa, ma Luke la anticipò.
“Mi chiamo Luke Castellan, sono morto ad opera di Crono qualche decina di anni fa. Mia madre è May Castellan e mio padre Ermes, il dio messaggero. Il mio colore preferito è il rosso tiziano, adoro i biscotti al cioccolato. Tu sei Annabeth Chase, figlia di Atena, il tuo film preferito è "Il Codice da Vinci", in cui adori il personaggio di Robert. Una volta ti sei arrabbiata con me perchè credevi che ti avessi rubato il coltello ma alla fine lo aveva usato Talia per tagliarsi le unghie. Ti ho mai raccontato che fino ad otto anni, dormiva ancora con gli orsacchiott...” fu interrotto da Annabeth che con le lacrime agli occhi lo abbracciò, tenendolo stretto e mormorando: “Luke... dei, sei proprio tu...” 
Il ragazzo curvò le labbra e la strinse forte a sé. 
“... mi sei mancato così tanto... non ho avuto nemmeno il tempo di dirti...” Le lacrime non le lasciarono completare la frase. “Entra in casa” disse ad un tratto, sciogliendosi dall'abbraccio e spingendolo verso la porta.
Luke entrò nell'ingresso-salotto, composto semplicemente da un tavolo, diverse sedie, una credenza e due divani. Il tutto decorato con splendide tonalità di azzurro. Tipico di Percy, pensò.
Si sedette sul divano ed attese Annabeth, che era andata in cucina per prendergli un po' di tè. Dei, come era strano rivederla dopo così tanto tempo e così tanti eventi in mezzo. Non ebbe neanche
il tempo di elaborare qualche altro pensiero, che Annabeth tornò, portando tra le mani un bricco e due tazze su di un vassoio. Lo poggiò sul tavolo e rimase a fissare Luke per un po', forse per cogliere un familiare luccichio azzurro negli occhi neri di Ryan.
“Dei, Luke, come hai fatto a...”
“Mi sono reincarnato. La mia anima dimora da diciotto anni in questo corpo, ma la memoria è tornata solo adesso, grazie ad un piccolo aiuto.” Indirizzò lo sguardo al pavimento, poi prese tra le proprie mani quelle di Annabeth.
“Dov'è Percy?” domandò.
Annabeth guardò un orologio sulla parete. “È fuori con Luke e Zoe.” Si tinse di rosso per un attimo. “I nostri due bambini.” 
Lui la osservò di sottecchi. “Congratulazioni! Sono davvero felice per voi.”
Con uno scatto, la figlia di Atena riempì le due tazze e ne porse una a Luke. “Luke, mi dispiace molto...” Allo sguardo interrogativo di lui, spiegò: “La profezia alla fine aveva ragione. Sei sempre stato tu l'eroe.” Sussurrò.
Luke si irrigidì un istante. “Alla fine è andata così.”
Lei si piegò leggermente, gli occhi le si stavano nuovamente colmando di lacrime “Ho avuto così tanta paura quel giorno... guardarti morire...”, soffocò un gemito, “Tu... eri molto importante per me... e lo sei ancora.” 
Gli strinse la mano. 
“Annabeth, io...”
La tazza di lei tintinnò. “Tutti siamo...tuo padre è... molto, molto fiero di te.” Mormorò con lo sguardo incentrato sul vassoio.
Un fremito attraversò le mani di Luke che, non trovando nient'altro da fare, bevve un sorso dalla tazza. “Lui... non si vergogna di me? Degli sbagli che ho fatto?” Disse poi, dopo averne svuotato il contenuto.
Annabeth si asciugò ancora gli occhi e sistemò con le mani l'orlo del vestito a fiori che indossava. “Non si è mai vergognato di te.” rispose tenue. “Mai.” precisò ancora una volta.
Fu con quel "mai" che Luke si rese conto di quanto Annabeth fosse cresciuta. Era una donna ormai... il tempo in cui lui la rassicurava per la sua fobia dei ragni, era passato ormai. Tacque un istante, rimanendo a contemplarla. 
“Io... non ho molto tempo” disse infine con un sospiro.
Lei alzò di scatto lo sguardo e sussurrò, guardandolo dritto negli occhi: “Ti ricordi quando mi hai chiesto se ti amavo?” Unì le mani, nervosa. “Non sono stata del tutto sincera nella risposta...” lo disse in maniera quasi impercettibile, come il tenue crepitio del fuoco, ma Luke capì lo stesso. Si alzò dal divano, nel quale era sprofondato e si diresse verso la porta. 
“Devo andare.” 
“Oh, sì, sì certo, perdonami...” Annabeth si rialzò indaffarata e corse alla porta. “Torna a trovarmi quando vuoi.” 
“Non penso che mi ricorderò più di questo incontro... o di te, in generale.” rispose lui, inerte.
Lei emise un gemito e qualche lacrima irruenta calò giù. Luke la guardò, si chinò verso di lei e le diede un leggero bacio a fior di labbra. Durò meno di dieci secondi , ma fu abbastanza per entrambi.
“Anch'io ti ho sempre amata, Annabeth.” disse Luke, prima di sentirsi avvolgere da una dolorosa ed oramai familiare sensazione allo stomaco e venire inghiottito dall'alto.
L'ultima cosa che colse fu Annabeth che sorrideva fra le lacrime.
 
Ryan riaprì gli occhi. Che era successo? Non ricordava molto. Sapeva solo che l'inquietudine di quel giorno era scomparsa. Si osservò attorno: Jeff era ancora disteso sul divano a guardare Hercules. 
Finalmente la normalità! Felice andò a balzi verso il fratello e gli scompigliò i capelli. 
“Ti voglio bene!” gli strillò nell'orecchio, facendolo saltare in aria.
“Ma sei impazzito?! Levati di mezzo!” gli urlò di rimando Jeff, dandogli un colpo. “Se a diciotto anni si hanno queste crisi di mezza età, preferisco rimanere nei miei tredici anni.” borbottò più a sé, che a Ryan.
Il maggiore rise e puntò lo sguardo sullo schermo.
 
“... le persone fanno sempre cose pazze quando sono innamorate...” 
 
A Ryan quella frase non disse niente ma, nel profondo del suo io, Luke sorrise.
   
 
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