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Autore: MoustachioPenguin    24/09/2012    2 recensioni
L'infortunio di Kise è più grave di quanto chiunque avesse immaginato.
[AoKise; spoiler capitolo 173][Traduzione ad opera di Shichan]
Genere: Angst, Introspettivo, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: Traduzione, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Titolo: Just breathe (1/?)
Rating: giallo
Pairing: AoKise
Warning: non betata (nella versione inglese)
Intro: l’infortunio di Kise è più grave di quanto chiunque avesse immaginato.
Note autrice: spoiler per il match Kaijou vs Haizaki Shougo.

 

Respirare, deve solo ricordarsi di respirare e starà bene. Respiri calmi, regolari. Se si impegna abbastanza a concentrarsi sul suono dei propri respiri e sulla sensazione dei suoi polmoni che si gonfiano, tutto il resto sparirà. Solo respirare—dentro, fuori… dentro, fuori. L’acqua scivola lungo un lato del suo viso, solleticandogli la pelle accaldata prima di incontrare la mascella e viaggiare fino alla linea sottile del mento. Cade gocciolando; lo schizzo sembra fare un rumore forte a dispetto dell’attenzione che ripone nel semplice inspirare ed espirare. La vista è sfocata, ma rimane ostinatamente fissa sulla sua gamba sinistra. ‘Respira’, ricorda a se stesso, ‘respira e basta’.   
L’atmosfera nello spogliatoio è allegra per la vittoria contro Haizaki Shogo; i suoi compagni si colpiscono con gli asciugamani bagnati quando escono dalle docce per vestirsi. Mentre gridano e urlano, pianificando come festeggiare, lui respira regolarmente quanto il tremore del corpo gli permette; quando sbatte le palpebre, la sua vista non migliora. La gamba sinistra sobbalza e il suo respiro si spezza.
Respira’, ripete a se stesso, ‘respira, respira, respira e basta’. Chiude gli occhi ed inspira profondamente dal naso; quando espira, lo fa con un ansimo.
Un asciugamano viene lasciato cadere sulla sua testa, facendolo sussultare ed uscire dallo stato di trance in cui si era chiuso lui stesso. Attraverso la frangia umida vede Kasamatsu sorridergli gentilmente. Il senso di colpa si annida nello stomaco – tutto ciò che può rivolgere a Kasamatsu è un sorriso perfetto, di quelli che il senpai può trovare sulle riviste.
«Ti fai valere anche nelle giornate no, eh?» lo prende in giro Kasamatsu.
Per quanto vorrebbe scherzare con il senpai e crogiolarsi nell’euforia di una vittoria meritata, è troppo stanco. Persino continuare a respirare impiega tutta la sua energia. Quando Kasamatsu inizia ad asciugargli i capelli con l’asciugamano, non può far altro che chiudere gli occhi.
«È tutto a posto?» chiede Kasamatsu; in risposta, riesce solo ad annuire stancamente. È ovvio che non lo sia, ma con un po’ di fortuna Kasamatsu capirà che non vuole focalizzarsi sull’infortunio – perché non è nulla d’importante.
«Va bene anche se non è tutto a posto.» azzarda Kasamatsu tranquillo, lanciando un’occhiata furtiva ai loro compagni, mentre questi iniziano ad uscire dallo spogliatoio; non sa bene perché  non vengano a chiedere delle condizioni del biondo di fronte a lui.
«Ma lo è. Sto bene.»
Respira.
«Ma se non fosse così… andrebbe bene, Kise.» mormora piano Kasamatsu, frizionando i capelli biondi un poco più gentilmente di prima. Un esitante “so che non è tutto a posto e va bene così” non viene pronunciato, ma Kise sceglie di ignorare quelle parole che il senpai vorrebbe dire ma che non osa proferire.
«Mi hai- ci hai resi orgogliosi. Sei incredibile.»
Nonostante tutto, Kise si ritrova ad alzare gli angoli della bocca in un sorriso. Guarda verso Kasamatsu, mostrandosi in tutto e per tutto per il sedicenne che è, con quel sorriso sghembo e gli occhi appena socchiusi; coglie Kasamatsu di sorpresa, ma il moro si ritrova a sorridergli di rimando.
«Vi renderò orgogliosi anche nella prossima partita. Non vi deluderò.» dice Kise, la voce che si spezza a metà dell’affermazione.
Benché Kasamatsu sappia di dover sorridere gentilmente al kohai, o lodarlo, o qualcosa, si scopre incapace di farlo. Invece, tira l’asciugamano verso il basso per coprire lo sguardo di Kise; non esiste che gli permetta di guardarlo – non con quell’espressione arrabbiata sul viso, quando Kise sta semplicemente facendo del suo meglio per lui, per loro. Kasamatsu inspira profondamente con il naso, e continua ad asciugare i capelli di Kise.
«Kasamatsu-senpai?» chiama.
«Lo farai. Non ci deluderai, Kise.» pronuncia Kasamatsu; la fermezza della propria voce lo sorprende, ma ne è grato. Sa che le cose non saranno facili, nella prossima partita, e per quanto voglia convincere il kohai a non prendervi parte, sa quant’è importante quest’incontro, sia per la squadra che per Kise.
Sa anche quanto saranno importanti i prossimi anni.
«Ehi, Kasamatsu! Fuori c’è qualcuno per te.» lo chiama uno dei loro compagni; Kasamatsu sposta l’attenzione su di loro e inarca un sopracciglio con fare inquisitorio, gesto al quale riceve in risposta un’alzata di spalle. Con un brontolio, Kasamatsu dà un colpetto a Kise sulla testa, dicendogli che tornerà subito.

Non appena la porta si chiude, abbandona la facciata messa su e digrigna i denti. Le dita, contratte, raggiungono la gamba sinistra – che brucia, fa male e gli manda delle fitte. Benché tenti di mantenere il respiro regolare, riesce a sentire il sussulto del proprio petto quando cerca di riempire i polmoni d’aria.
Fa male.
Con l’adrenalina della partita ormai scomparsa, non c’è nulla a frenare le scariche di dolore che gli attraversano la gamba. In una stanza silenziosa, riempita solo dal suono del suo respiro irregolare, è impossibile fingere di non sentire dolore. Fa male, e nonostante voglia concentrarsi solo sul proprio respiro, la sua attenzione finisce sempre per rivolgersi all’evidente sofferenza che continua incessantemente ad aumentare dalla partita con la Touou.
Respira’, ripete a se stesso.
Dentro, fuori… dentro, fuori… den-
Sente appena la voce del suo senpai grugnire a malincuore un “rimarrò qui fuori” prima del rumore sommesso dell’aprirsi e chiudersi della porta. Continua a respirare, dentro, fuori… dentro, fuori…
«Kise?»
È l’ultima voce che vuole sentire in questo momento. Chiude gli occhi, sperando di sparire; non vuole essere visto mentre è così debole – è imbarazzante, specialmente se a vederlo è qualcuno così forte.
I passi proseguono al posto della voce, diventando sempre più rumorosi fino a fermarsi di botto. Anche se non vuole, alza la testa e sorride al suo visitatore da sotto l’asciugamano che ha ancora sulla testa.
«Aominecchi!» lo chiama Kise con la voce più allegra che gli riesce; persino alle proprie orecchie le parole gli suonano come un ansimo.
«Che stai facendo ancora qui?» chiede Aomine. Nota l’espressione sofferente che l’altro ragazzo prova a nascondere; vede una goccia di sudore scivolare lentamente lungo la mandibola del suo ex compagno di squadra e si chiede quanto Kise si stia sforzando per provare a nascondere un infortunio che tutti sanno essere lì.
«Credo che la domanda sia ‘che ci fa qui Aominecchi?’» lo canzona Kise, il sorriso forzato al suo posto; le dita lunghe e sottili vorrebbero massaggiare la gamba attraversata ininterrottamente dal dolore, ma Kise si trattiene dal fare qualsiasi movimento ad eccezione di una leggera contrazione che le sue dita hanno involontariamente.
Per qualche istante nessuno dei due parla; Kise riesce a sentire solo il suono del proprio respiro. Si chiede se anche Aomine stia respirando – se lo sta facendo, Kise non riesce a sentirlo. Gli occhi castani scendono al petto dell’altro sotto la maglia e lo vedono alzarsi e riabbassarsi gradualmente. Benché risulti difficile, prova a copiare il ritmo di Aomine.
Dentro, fuori… dentro, fuori…
Non combaciano.
«Ehi, ascolta quando la gente ti parla.» dice Aomine, piegandosi improvvisamente sulle ginocchia di fronte a Kise, fissandolo con espressione immusonita alla quale Kise non può far altro che ridere sommessamente.
«Cosa, scusa?» chiede, guardando stancamente il suo vecchio compagno di squadra.
Nonostante la figura dell’ala grande sia sfocata, Kise batte le palpebre e concentra lo sguardo su un punto in cui – deduce – deve essere il viso di Aomine.
«La tua gamba… come va?» chiede Aomine, lo sguardo che scende alla gamba di Kise coperta dal pantalone. Quando il moro alza lo sguardo, non può non notare quanto vacui siano gli occhi dell’altro, solitamente così luminosi. È snervante. «Perché non sei ancora andato all’ospedale?»
«Di che stai parlando?» ridacchia Kise «La mia gamba è a post– ah!»
Fa male. Fa male, fa male, fa male.
«Non mentirmi.» dice Aomine lasciando scivolare la mano dal punto in cui aveva afferrato il polpaccio di Kise, fino al bordo della tuta: «Fa male, non è vero? E ho visto cosa ha fatto prima Haizaki; tutti lo hanno visto.»
«Oh, quello.» dice Kise, allontanando la gamba dalla presa di Aomine con maggiore sforzo di quanto credeva sarebbe servito. Per poter apparire indifferente e distaccato, sorride nel modo più allegro che gli riesce: «È a posto, stavo solo pensando di fasciarla per sicurezza, anche se probabilmente non serve.»
Quando Aomine gli conficca un dito nella gamba, una scarica di dolore gli attraversa l’arto e gli fa scappare un lamento ben udibile. Di rimando, Aomine pronuncia un semplice «Ti ho detto di non mentirmi, idiota.» prima di recuperare le bende che spuntano dal borsone di Kise. A causa del dolore, il respiro del biondo si fa difficoltoso; se Aomine lo nota, non dice nulla.
«Non sto mentendo.» dice Kise, la voce strozzata quando Aomine arrotola con attenzione la gamba del pantalone della sua tuta blu verso l’alto. È imbarazzante – non può fare altro che spostare lo sguardo. Quando non riceve nessun commento sarcastico alla propria risposta, sposta lentamente gli occhi su Aomine, che osserva accigliato la gamba e il piede nudi di Kise. Quando il moro prova ad accarezzare delicatamente la pelle livida intorno al tendine d’Achille, lui si ritrae.
«Non penso sia questo il posto e il momento adatto per quello, Aominecchi. Pervertito
~!» pronuncia scherzosamente Kise con voce strascicata, portando una mano tremante ad arrotolare il pantalone «Davvero, non è grave come sembra, lo giuro!»
«Smetti di dire cazzate!» urla Aomine, portando lo sguardo direttamente su di lui. Per un momento la vista di Kise si fa nitida, ma tutto ciò che vede è il blu degli occhi di Aomine che gli fa sembrare di stare annegando; quando la vista si fa nuovamente sfocata, è per le lacrime trattenute.
Lui è debole, ferito – e odia che Aomine lo veda così; è umiliante, e vorrebbe solo sparire.
Perché non può?
«cusa.» pronuncia Kise, abbassando vergognosamente la testa.
«No, io- non sono arrabbiato…» borbotta Aomine, la voce bassa e il tono di scusa. Sceglie di non guardare Kise, non sapendo che faccia fare. «Sono solo…» preoccupato, ma non lo dice. Piuttosto che finire la frase, Aomine sposta l’attenzione alla caviglia livida di Kise, la pelle chiara tumefatta. Vederla lo fa sussultare; una parte di lui sta desiderando di non aver detto a Satsuki di andarsene prima – lei sa come sistemare queste cose—
«Merda.»
«Aominecchi?» chiama Kise, fissando con fare interrogativo i lineamenti contratti dell’altro. Anche se non è fisicamente ferito, sembra quasi che Aomine stia soffrendo più di lui. Kise aggrotta le sopracciglia ed inclina un poco la testa per vedere meglio il ragazzo inginocchiato davanti a lui: «Aominecchi, stai bene?»
«Non chiederlo a me, idiota.» grugnisce Aomine, srotolando energicamente le bende prese prima dal borsone di Kise: «Se c’è qualcuno che dovrebbe chiederlo, quello sono io.»
Entrambi cadono nel silenzio; Kise nota che il proprio respiro sta iniziando a seguire il ritmo con cui Aomine gli sta fasciando la caviglia. Dentro, fuori… avvolgi, stringi, avvolgi… è stranamente rilassante. Con ogni sfiorare delle dita callose contro la propria pelle, Kise riesce a sentire la tensione del proprio corpo allentarsi; il dolore alla gamba è sostituito invece da uno sfarfallio allo stomaco per il trattamento gentile di Aomine. È strano essere trattato così dall’altro, ma non spiacevole. Non del tutto.
«Perché giochi ancora?» la voce di Aomine è quasi dolce, più di come Kise l’abbia mai sentita. Lo sorprende, e il biondo quasi si perde completamente per strada la domanda. Le sopracciglia sono corrugate; Kise allunga in avanti un dito tremante e picchietta le rughe formatesi, massaggiando gentilmente per farle sparire.
Quando Aomine alza lo sguardo su di lui, Kise ritira la mano prima di picchiettare giocosamente la sua fronte: «Faresti la stessa cosa se fossi al mio posto, Aominecchi.» dice.
«Non stiamo parlando di me e di cosa farei!» Aomine ringhia arrabbiato, perché sa che Kise ha ragione. Finisce di fasciare il piede del modello, prima di afferrarne l’altra mano, tirandolo verso il basso quanto basta a stabilire un contatto visivo.
«Qui parliamo di te e della tua maledetta gamba! Se continui a giocare finirai col farti male. In modo permanente, forse.»
È una realtà a cui nessuno dei due vuole pensare. 
«S-Starò bene.» dice Kise, interrompendo il contatto visivo prima di finire la frase. Prova a ritirare la mano da quella di Aomine, ma l’altro la stringe più forte: «I miei compagni hanno bisogno di me. Non posso deluderli.»
Respira. Dentro, fuori… dentro, fuori…
«Stronzate!» pronuncia Aomine con tono di scherno, lasciando la mano di Kise per potersi alzare e si allontana di qualche passo – prima che abbia la possibilità di colpirlo o prendere a pugni qualcosa (perché davvero, ha solo voglia di prendere a pugni qualcuno) affonda con le mani nelle tasche del giacchetto. Quando si volta vede Kise fissarlo ad occhi sgranati: «Non se lo meritano! Tutto ciò che hanno fatto è stato deluderti, perché devi—»
«Non l’hanno fatto, Aominecchi! Sono stati grandi! Mi hanno accettato nella loro squadra, e credono in me, e— se c’è qualcuno che ha deluso loro, sono io! Ho finalmente fatto qualcosa di giusto – abbiamo finalmente vinto qualcosa; non ho intenzione di andarmene ora solo perché la gamba mi fa un po’ male!»
«Non pensare che me la beva! Stanno lasciando che ti faccia male! Nonostante sappiano che sei infortunato, stanno lasciando che tu ti faccia male cosicché loro possano vincere!» dice Aomine, ed è livido in volto. Lacrime calde gonfiano gli occhi di Kise, che si rifiuta di lasciarle libere, non di fronte ad Aomine dopo un’accusa del genere; piangere significherebbe che le accuse hanno delle fondamenta, e lui semplicemente non può crederci, non ora. Né mai. Il Kaijou è diventato troppo importante per lui. Nonostante i sentimenti di Kise, Aomine continua: «Loro non ti meritano!»
«Non parlare così di loro, Aominecchi.» pronuncia piano Kise, la voce quasi un brontolio. Le mani pallide ancorate al bordo della panchina, tremano; il dolore alla gamba sta diventando lentamente insopportabile. «Se c’è qualcuno che non è meritevole, quello sono io.»
Perché davvero, lui non è abbastanza. Le facce che ha visto dopo ogni partita persa, ogni torneo perso, ne sono la prova.
«Come ti pare.» sbotta Aomine, spostando lo sguardo da Kise, frustrato: «Metti del ghiaccio su quel dannato ginocchio; e quando cederà nella prossima partita? Non aspettarti che la tua “squadra”  ti resti vicino.»
E se ne va; la porta viene chiusa di colpo. Kise inspira, espira – dentro, fuori… dentro, fuori… dentro—«Nghh…» si lamenta, chinandosi in avanti finché la testa non tocca le ginocchia. La semplice pressione della propria fronte contro la parte superiore del suo ginocchio lo fa sussultare.
«Respira e basta.», dice a se stesso, ma tutto quel che esce fuori è un balbettio e degli ansimi.
Al di sopra dei propri singhiozzi sente Kasamatsu fare irruzione e corre verso di lui, sporgendosi in avanti per afferrargli con fermezza le spalle. Lo scuote gentilmente, ma la voce è agitata.
«Stai bene? Kise? Kise, è tutto a posto?»
No, non lo è… ma lo sanno già tutti.
Dopo una breve pausa per ricomporsi, Kise guarda il senpai con un finto sorriso e annuisce. Quando gli chiede di essere lasciato solo, Kasamatsu gli dà uno scappellotto sulla nuca con la promessa di tornare in cinque minuti, dopo aver preso del ghiaccio.
Quando la porta si chiude di colpo, Kise raggiunge l’asciugamano sulla sua testa con la mano e lo afferra. Appallottolato il tessuto, lo preme sulla bocca e grida. Fuori dalla porta, Kasamatsu si poggia di peso contro il muro comunicante; guarda verso il soffitto, verso le luci artificiali tremolanti prima di colpire con il lato del pugno il calcestruzzo.
«Dannazione.» pronuncia, portando il braccio a coprire gli occhi «Dannazione.»

 

 

 

 

Note traduttore
Innanzitutto ave a chi è giunto fin qui: parla Shichan, che deve condividere la sua sofferenza anche quando legge dal fandom inglese.
Sono incappata in questa fan fiction e, inutile, ho sentito il bisogno di tradurla; qualche breve nota che penso sia necessaria, sebbene presente anche nelle note d’autrice nei prossimi capitoli:
- la fanfic, per ammissione stessa dell’autrice, tratta la squadra del Kaijou – sebbene amata dalla stessa MoustachioPenguin, e quindi non intendendo alcun tipo di bashing – sotto una luce negativa (ad eccezione di Kasamatsu, aggiungo io). Pertanto, benché io reputi che rispetto alla trama sia fattibilissimo, qualora l’idea non vi entusiasmasse, avviso prima.
- l’autrice, più avanti nei capitoli, segnala un leggero OOC dei personaggi; personalmente ho preferito non inserire subito l’avviso, giacché ad una prima analisi mi sembrano sfumature legittime considerato il contesto. Naturalmente, se traducendo dovessi proprio riscontrarlo, non mancherò di aggiungere l’avviso.
- nel fandom inglese, la fan fiction è catalogata sotto “Hurt/comfort”; finché non comprendo il corrispettivo italiano, preferisco metterlo anche qui cosicché possiate farvi un’idea precisa del tipo di fanfic.

D’accordo con MoustachioPenguin, le tradurrò le recensioni eventuali che saranno lasciate, com’è norma :3

   
 
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