Premessa:
Questo racconto è stato scritto per
partecipare al contest “Tutto accadde in una notte di mezza estate”, indetto da
_BitterSweet_ sul forum di efp
e si è qualificato terzo. Il contest richiedeva esplicitamente di ambientare la
storia nell’arco di una sola, intera notte d’estate. In più, si richiedeva di
inserirlo in un anno specifico (in questo caso il 1984) e che questo
inserimento fosse il più possibile chiaro leggendo la storia, pur non inserendo
una descrizione storica dell’anno.
Autore: 8WeirdSisters8
Titolo storia: Ventuno
Anno scelto: 1984
Rating: Verde
Avvertimenti: Nessuno
Genere: Commedia, Romantico
Introduzione: C’è una vicenda interessante, che vede coinvolti un John, una
Kelly, un’amica ossessionata dagli oroscopi, una coppia di zii strampalati e
una vecchia signora con piccoli problemi di memoria. Oh, dimenticavo il cane.
Tutto accadde in una notte di mezza estate del 1984. E quando dico tutto,
intendo tutta la serie di imponderabili eventi che portò a-
No, perché dovrei anticiparvelo? Ascoltate la
vera storia. Ascoltatela da una persona informata sui fatti.
Ventuno
«Eventi fortuiti o insignificanti, decisioni prese in
una frazione di secondo: è affascinante e sconcertante contemplare come possano
causare ripercussioni non meno decisive dei grandi fatti della storia.»
Robert
Cowley, La storia fatta con i se
«Tu ora sei con me, ti ho preso con me; io non posso
credere che in una qualsiasi favola si sia combattuto di più e più
disperatamente di quanto non si sia fatto dentro di me per averti.»
Franz Kafka, Lettera a Felice Bauer
La
ricorrenza del numero ventuno nella sua vita era molto singolare.
Da quando
la sua amica Marcia, che aveva un’insana passione per oroscopi e zodiaco,
gliela aveva fatta notare, Kelly non riusciva a credere di non essersene mai
resa conto.
Abitava al
numero 21 di Percy Street, la sua collezione di
cappelli ammontava a ventuno bizzarrissimi orrori,
tutti inservibili e tenuti in grande stima dalla loro proprietaria, e aveva ventun anni. D’accordo, ne aveva solo diciannove. Ma fingeva di averne già ventuno con una
frequenza tale da poterlo contare come terzo stravagante indizio in lista.
Kelly, in
posa riflessiva, lanciò uno sguardo alla finestra: stava facendo buio. Sapeva
che stava perdendo tempo. Doveva partire quella sera e invece di fare la
valigia – un’impresa che scoraggerebbe molti, con tredici cappelli a tesa
larga, cinque da notte, due sombreri e un copricapo indiano – aveva iniziato a
cincischiarsi con queste frottole. Perché sapeva che erano frottole.
Quello che
Kelly non sapeva era che aveva torto. Terribilmente torto.
* * *
Ventuno passi – considerata una falcata media di sessanta
centimetri – dividevano casa di Kelly da quella di John. Ventuno passi e un
inimmaginabile numero di esperienze, opinioni e modi di intendere la vita
fatalmente contrastanti. Avevano ricevuto un’educazione completamente diversa,
appartenevano a ceti diversi e vivevano agli estremi opposti della stessa
società. Capirete, se vi è capitato di dare un’occhiata a Marx,
che questa era una distanza rimarchevole a cui vivere.
Sì, c’era un intero, colossale e barbuto Marx
a dividerli.
Ma questo a John non importava affatto. Sognava Kelly con
una costanza (e un pudore, è bene specificarlo quando si parla di sogni)
commovente. Se ne era innamorato quattro anni prima ma, come spesso capita ai
taciturni eroi dei romanzi, non aveva mai avuto il coraggio di confessarglielo.
E ora lei stava per partire, per tornare alla sua città
natale, completamente ignara dei sentimenti del suo timido vicino. Piccolo
inconveniente, questo, che accade alla silenziosa schiera dei romantici dei
giorni nostri, il cui sentimento è talmente acceso da soffocare ogni parola.
O forse è solo perché Venere è entrata in collisione con
quegli insopportabili anelli di Saturno, avrebbe detto Marcia.
Sta di fatto che il giovane John, lui sì ventunenne, se ne
stava seduto sul divano, strizzato fra il gioviale zio Bob e l’egocentrica zia
Stella, coi quali viveva da sempre.
Zio Bob aveva un volto rubizzo e dei baffetti scuri. Zia
Stella aveva una vita passata molto ingombrante, essendo stata una Zarina.
«Ho
incontrato Maggie dal fruttivendolo,» iniziò quella
sera, mentre guardavano un talk show alla tv, «mi ha chiesto: “Come state?”»
A quel
punto fu interrotta da Bob: «Non le avrai detto della mia prostata!?»
«In
effetti, no» continuò sua moglie quieta «non le ho detto nulla di te. Sospetto
mi stesse dando del voi. Era tanto che nessuno lo faceva…»
John sedò
un sorriso, mentre sua zia si lasciava andare ad un sospiro nostalgico.
Stella era
sempre stata molto stravagante. Ed era anche una femminista molto convinta,
anche se originale.
Nella
camera da letto dei suoi zii rilucevano infatti il poster di Beverly Lynn Burns e quello di Svetlana Qualcosa, l’uno accanto all’altro, nuovi
fiammanti. A completare il terzetto c’era in realtà anche quello di Vanessa Williams,
di un anno più vecchio, che da qualche mese aveva trovato nuova collocazione
dietro la porta1.
«Va bene
essere originali, ma fomentare comportamenti indecorosi e osceni è sintomo di
una grave mancanza di integrità morale.»
Perciò la
bella Vanessa era stata messa al bando dopo il noto scandalo.
Ogni volta
che John provava a confidarsi con gli zii sulla sua taciuta passione per Kelly,
otteneva da loro consigli non proprio convergenti.
«Se non ti
ha dato segnali finora…» iniziava l’uno.
«Vuol dire
che è troppo timida e ti ama in segreto da anni» continuava l’altra.
«… non devi
farti avanti, non ci sono speranze, figliolo» completava il primo.
«Come con
il principe Volkonskji» gli si affiancava l’altra.
«Hey, non fare il tipo loffio, amico. Chiama la pupa e non
farti venire la strizza2», gli offriva preziose delucidazioni il suo
amico Stan.
E per dirle cosa? Non partire? Perché, sai, io John,
quello della porta accanto, ti amo disperatamente al di qua dei ventuno passi?
Sospirò. Si
alzò, disincastrando il proprio didietro da quelli degli zii, la qual cosa creò
un notevole scompiglio e nemmeno una parvenza d’imbarazzo.
Andò al
telefono, alzò la cornetta e compose il numero.
«È Maggie?» chiese zia Stella, senza spostare lo sguardo dalla
tv, «dille che mi mancano degli spiccioli e se scopro che è stata lei a sfilarmeli…»
«Tesoro…»
«Cosa?
Quella vecchia cleptomane…»
E al di
sopra delle voci concitate degli zii, John sentì una voce che sortì su di lui l’effetto
di un potentissimo alcolico. O di sette potentissimi alcolici, tutti illegali.
«Pronto?»
Mise giù,
per l’ennesima volta. Poi prese il guinzaglio e portò fuori il cane.
* * *
«Chi era?»
le chiese Marcia.
«Nessuno… hanno messo giù» rispose Kelly.
«Oh, il
solito maniaco!»
Marcia,
accorsa per aiutare l’amica a fare i bagagli, assolveva al compito dondolandosi
davanti allo specchio con una pila di cappelli in testa.
«A che ora
vengono a prenderti i tuoi?»
«Praticamente
in tarda notte. Hanno chiamato da una stazione di servizio nel Maine per dirmi
che hanno forato una gomma.»
«E questo
li fa ritardare così tanto?»
«Sì, visto
che sono ancora nel Maine. Ne avranno bucate una decina…»
Rimuginò
sull’improbabile contrattempo addotto dai suoi genitori, che in quel momento –
per dovere di cronaca mi tocca specificarlo – celebravano uno seconda scatenata
Luna di Miele, decisamente più disinibita della prima, in un poco
raccomandabile motel sulla statale, porta a porta con un sospetto serial killer
e il suo rumoroso cocker.
Sollevò uno
scatolone pieno di libri, il che scatenò a Marcia una serie di incredule
risatine: «Cosa ci fai con tutti quei libri? Lasciali qui, ci penserà la
padrona di casa a buttarli.»
«Dovrei
buttare anche questo? È l’unico libro che tu abbia letto» la stuzzicò Kelly.
«Oh, quello… effettivamente non ho ancora capito di che parli.
Sono rimasta scioccata quando ho letto che il protagonista ha solo trentanove
anni e già le vene varicose…» Una smorfia disgustata
le attraversò il viso.
«Eh sì, è
questo che ne fa un romanzo drammatico, non la dittatura del Grande Fratello3»
sorrise Kelly, infilando gli ultimi cappelli in una busta di plastica.
«Dittatura?
Il dramma sono i suoi baffi», Marcia incrociò le braccia, lanciando uno sguardo
all’appartamento ormai vuoto. «Vai a restituire la chiave?»
Kelly
rispose con un sommesso «Sì.»
«Allora
andiamo. Come si chiama la vecchia?»
«Signora Woodruff. Maggie Woodruff.»
Sì, quella Maggie “vecchia cleptomane” di cui parlava poco fa zia
Stella.
Ah, le
coincidenze. Così gustose, così sottili. Ne parleremmo per ore, se non
dovessimo spostare lo sguardo fuori al giovanotto che stava nello stesso
istante uscendo di casa con un cane al guinzaglio, ventuno passi più in là,
centimetro più, centimetro meno.
* * *
Era una notte estiva molto fresca, di quelle che a lui
piacevano.
C’erano ventuno gradi.
Mentre camminava, la sua mente era altrove. Pensava,
naturalmente, alla sua Kelly che stava per andarsene. Voleva intercettarla e salutarla
un’ultima volta. Si sarebbe portata via gran parte della sua felicità
quotidiana, della qual cosa non sembrava preoccuparsi nemmeno il cane, che
scodinzolava al proprio riflesso in una vetrina.
«Cane, dai
muoviti» disse John, dandogli una pacchetta.
Non è che
John disdegnasse di chiamarlo per nome. È che Cane era il suo nome. In molti se ne stupivano quando ne venivano
informati, ma John lo aveva sempre trovato originale. Che cosa vi aspettate da
uno che conta i passi di distanza fra sé e la casa della sua amata?
Cane aveva
appena deciso che il suo riflesso non meritava la sua attenzione, quando una
signora bardata di veli finì addosso al suo padrone. Era chiaramente una
zingara, una di quelle che leggono la mano e hanno nomi come Madame Pirì de Flanell, per gli amici
Carla.
Dopo
essergli caracollata addosso, Madame Pirì si
ricompose e gli disse, con una bassa voce tonante: «Hai un bel karma.»
«Grazie,»
fece John «ma è solo un bastardino.»
Madame Pirì gli rivolse uno sguardo che aveva del compassionevole
e lo superò.
John rimase
interdetto. Poi si tastò la tasca e capì di essere stato appena borseggiato. Si
voltò nella direzione in cui si era avviata al zingara.
«Ehi!»
iniziò a gridare, del tutto infruttuosamente.
Doveva
inseguirla? Ma così non sarebbe riuscito a salutare Kelly. Con un’espressione
angosciata, vide che qualche metro più in là due ragazze e un discreto numero
di valigie, borse e buste venivano fuori confusamente dal palazzo.
La
riconobbe subito.
Altrettanto
rapidamente, ahimè, si avvide che Cane era sparito.
* * *
Cane trotterellava, felice e inconsapevole come tutti i
cagnolini più miti, per il marciapiede di una strada secondaria. Si fermava ad
annusare le ruote delle auto parcheggiate con una frequenza tutta canina, il
muso schiacciato contro lo stesso asfalto che nelle ore diurne era stato
rovente.
A Cane sarebbe molto piaciuto essere un pastore irlandese,
quale effettivamente era stato suo nonno per parte di madre.
Di conseguenza, avrebbe preferito un nome che ricordasse le
sue origini. Qualcosa come O’Brien4, che ultimamente gli era
accaduto di udire spesso.
Continuò con passo deciso per il fitto reticolo di strade
che si dipartivano dal piccolo parco cittadino, ove era peraltro diretto. E
dopo aver annusato ogni vecchio chewinggum che si trovasse sulla sua via,
diverso tempo più tardi, varcò i cancelli del parco e vi si introdusse con
tutta la gaia disinvoltura che può avere un cane che si trascina dietro un
guinzaglio.
Lì si prese la libertà di scavare buche, inseguire qualche
sparuto gatto, raccogliere legnetti ed essere inseguito a sua volta da grossi,
sprezzanti gatti in assetto paramilitare.
Visse quella che, dal punto di vista canino, era la notte
ideale. Perciò si era alle prime ore del giorno successivo quando, stanco e
spensierato, decise di tornare a casa. Ma sapete che gli era impossibile
proporsi un obiettivo tanto complesso: il suo obiettivo era in realtà quello di
seguire una pigra farfalla.
Fu il destino poi a volere che quella farfalla lo conducesse
a casa. Ma prima di questo, volle fargli attraversare una strada.
Quella strada era Percy Street.
* * *
John aveva scartato l’idea d’inseguire Madame Pirì su due piedi. Ci aveva messo un po’ invece per
scegliere se ritrovare Cane o andare a salutare il suo amore. Si era
inutilmente mosso su e giù per la strada, chiamandolo con nomignoli ridicoli.
Lo aveva implorato di tornare, ma nulla era accaduto.
Alla fine aveva girato i tacchi e si era diretto da Kelly,
che stava sul marciapiede proprio fuori casa con un sombrero in testa,
accerchiata dalle sue valigie.
«Ciao» disse, raggiuntala.
«Ciao» fece lei, sorpresa.
«Hai già riconsegnato le chiavi?»
«No, la signora Woodruff non era
in casa. Le ho lasciate nell’appartamento.»
«Stai… aspettando che ti vengano a
prendere?»
«Sì, la psicopolizia5 dev’essere
qui a momenti» gli sorrise di rimando.
«Come?» fece lui, perplesso.
«Niente… sto aspettando che i miei
mi vengano a prendere. Da due ore e quaranta minuti per la verità.»
«Ah… » ribattè
molto intelligentemente lui.
Gli venne in soccorso Kelly: «Non hai letto il libro
dell’anno? Dai, non ci posso credere…»
«Ah, quello… » La fronte di John
si aggrottò. «No, non l’ho letto.»
Nell’impellenza di riempire il silenzio che seguì,
tossicchiò. Ecco, non era un gran modo di riempire il silenzio. Soprattutto con
quella tossetta nervosa, piena d’imbarazzo, che
assomigliava terribilmente al grido di battaglia di una palla di pelo che
risale per la gola di un gatto.
E poi ebbe un’illuminazione. Diglielo adesso, come con il Principe Volkonskji.
Schiuse le labbra, la guardò negli occhi e si preparò a
confessarle ciò che non aveva mai osato dirle.
Ma poco più in là, dall’altra parte della strada, Cane
abbaiò, mentre muoveva le sue zampette sul manto stradale.
John non se ne accorse. Guardava solo Kelly.
* * *
Si dà il caso che non si fosse accorto nemmeno dell’auto che
giungeva dall’altra parte. Alla guida del vecchio catorcio c’era Maggie Woodruff.
Maggie non era cleptomane, come aveva asserito Stella.
Però era svampita. E quando si era accorta di aver lasciato
la busta della spesa dal fruttivendolo nel pomeriggio, era già notte. E quando
si accorse che era già notte, si era già messa in macchina, cuffia da notte
pigiata sul capo, per andare a recuperarla, motivo per cui Kelly non l’aveva
trovata in casa.
Aveva perciò fatto una rischiosissima e spensierata
inversione a U e stava adesso tornando.
Fu sulla via del ritorno che un cagnolino meticcio dalle
origini irlandesi e un guinzaglio alle spalle le tagliò la strada.
Maggie Woodruff, la cui vita fino a quel
momento era stata mortalmente noiosa, visse l’istante più interessante della
sua intera esistenza. Istante, c’è ben motivo di dirlo, mortalmente interessante.
Fece una terribile deviazione per evitarlo e finì col
condurre la macchina proprio verso il marciapiede.
* * *
«Sì…?» chiese Kelly.
«Io…» fece John.
«Sì?» lo sollecitò nuovamente lei.
«Io…» Niente, non gli riusciva di
dirlo.
Kelly chinò il capo. Forse che aveva sperato che John le dicesse
proprio quello che aveva intenzione di dirle?
Fu questo pensiero a infondergli il coraggio necessario. In
un impeto di passione, l’afferrò per le braccia, la strinse a sé e si dichiarò.
«Io ti amo.»
Non riuscirono a dirsi nient’altro, perché non passò un solo
secondo prima che la vecchia auto di Mrs. Woodruff si
schiantasse contro il muro, trascinandosi dietro le numerose valigie, proprio
dove un attimo prima Kelly stava in piedi, in attesa delle parole di John.
Kelly e John erano sconvolti: l’auto gli era passata
vicinissima.
A noi, che abbiamo la tendenza a romanzare qualsiasi
vicenda, piacerà pensare che gli era passata a soli ventuno centimetri di
distanza e forse non ci sbaglieremo.
* * *
Vi farà piacere sapere, se non siete inclini al sadismo, che
nessuno si fece male quella notte. Cane e Maggie
erano miracolosamente illesi, così come John e Kelly. Quest’ultima, se John non
avesse obbedito all’improvviso impulso di attirarla a sé e confessarle i suoi
sentimenti, sarebbe stata sicuramente presa in pieno dall’auto.
Se John non avesse deciso di portare fuori il cane, se non
avesse poi ignorato Madame Pirì e la ricerca di Cane
stesso, se i genitori di Kelly non avessero improvvisato una rinata,
antigienica festa dei sensi in un motel qualsiasi, se Maggie
non avesse fatto quella deviazione per evitare di investire Cane, allora Kelly
sarebbe morta e nulla di quello che seguì sarebbe accaduto.
Kelly non avrebbe detto a John che lo ricambiava e non
avrebbe trascorso con lui una mattinata storica.
Alle prime luci dell’alba infatti, dopo essersi ripresi
dallo spavento, lui le prese la mano e, conducendola verso casa propria,
ventuno passi più in là (ventotto, visto che dovettero aggirare il rottame
della signora Woodruff), le sussurrò: «Voglio
svegliarmi anch’io con la parola Shakespeare
sulle labbra6.»
Lei si meravigliò: «Dicevi di non averlo letto?»
«Scherzi? È il libro dell’anno.» E si chiusero la porta alle
spalle, ridendo.
Naturalmente Kelly non si trasferì e dopo quella notte ve ne
furono molte altre.
Fu la ricorrenza di un numero a fare la differenza? O la
serie di occasioni che John non colse pur di dire a Kelly che l’amava? Io non
lo so. Ma visto che conosco loro figlio, so per certo che lui – come tutti − è il prodotto di un futuro che avrebbe potuto
non esserci.
FINE
Note:
1.
Beverly Lynn
Burns era diventata la prima donna capitano di un
Boeing 747 proprio il 18 Luglio del 1984. Svetlana
Qualcosa è in realtà Svetlana Savitskaya
che il 23 dello stesso mese fu la prima donna a farsi una passeggiatina nello
spazio. Ciò spiega perché una femminista come Stella ha i loro poster in camera
e perché questi siano nuovi fiammanti,
essendo gli eventi recentissimi rispetto alla storia narrata. Vanessa Williams
era stata, proprio l’anno prima, la prima afroamericana ad essere eletta Miss
America. Tuttavia fu costretta a restituire il premio – e fu così
paradossalmente la prima Miss America a farlo – il 23 Luglio 1984 dopo che
sorse uno scandalo a proposito di sue foto senza veli su una rivista maschile.
2.
Ho cercato qui di riprodurre
scherzosamente un linguaggio giovanile compatibile con quegli anni. Mi sono a
tal fine ispirata al Diario di Adrian Mole, di 13 anni e ¾, ambientato proprio nel
1984.
3.
Il libro cui si fa
riferimento è 1984, di George Orwell.
Sebbene fosse stato scritto nel 1948 e pubblicato l’anno seguente, le sue
vendite subirono un’impennata tale nel 1984 da crescere in maniera
esponenziale, soprattutto negli USA. La sua influenza culturale fu, ed è
tuttora, vastissima. Quell’anno in particolare, che era quello in cui la
vicenda era stata ambientata, uscirono canzoni, album e spettacoli che
riguardavano la celebre distopia. Il film tratto dal libro sarebbe stato
distribuito nell’Ottobre dello stesso anno. Leggere 1984 fu allora una vera e propria moda, il che giustifica perché
Marcia, che non era esattamente una grande lettrice, l’avesse letto.
4.
O’Brien,
oltre ad essere un nome di origine marcatamente irlandese, è anche il nome del cattivone di 1984. Ecco
perché Cane ne aveva sentito parlare spesso ultimamente.
5.
Psicopolizia. Come sopra, è un riferimento al libro cult. Se volete sapere che cos’è
la psicopolizia potreste leggere 1984, perché merita.
6.
Un ultimo riferimento a 1984. Il protagonista, quello che ha 39
anni e le vene varicose, si sveglia con questa parola sulle labbra dopo aver
sognato per la prima volta Julia. Chi è Julia? Ancora, leggete pure il libro!
Ecco la graditissima valutazione del(la) giudice:
Grammatica: 9.2/10
Originalità: 10/10
Caratterizzazione dei personaggi: 9/10
Attinenza al tema: 9.5/10
Attinenza all'anno scelto: 5/5
Gradimento personale: 4.5/5
Totale: 47.2/50
Per quanto riguarda la grammatica, ho trovato solo qualche piccola svista, ad
esempio qui: che stava nello istante uscendo di casa con un cane al
guinzaglio ti è sfuggito stesso.
E' una storia decisamente originale, mi è davvero piaciuto come hai saputo concatenare
tutti gli eventi, come ogni azione ne abbia innescata un'altra e come fosse al
tempo stesso indispensabile perché succedesse la successiva. La ricorrenza del
numero ventuno, poi, fantastica. Questa storia è costruita sui dettagli e tu
hai saputo infilare questo numero in ogni dettaglio.
I personaggi sono ben caratterizzati, forse avrei aggiunto qualcosa in più, ma
non ti ho penalizzata eccessivamente sotto questo punto di vista, perché credo
che aggiungendo troppo forse il dinamismo della storia ne avrebbe risentito.
Inoltre, molti personaggi sono appena descritti, vedi gli zii o Marcia, ma la
loro comparsa è fondamentale per la storia, per spiegare tutte queste piccole
coincidenze.
E' senza dubbio una nottata originale. Pensandoci, non accade mai nulla di
esagerato, nulla di eclatante (sarebbe successo se Kelly fosse stata investita
dall'auto), ma dando uno sguardo d'insieme è una notte folle se consideriamo
tutti questi eventi concatenati che hanno portato al sospirato lieto fine. Non
è la notte che mi aspettavo e se consideriamo il tema di fondo, ovvero lui che
deve confessare il suo amore a lei, non è estremamente originale, ma devo senza
dubbio riconoscerti l'originalità con cui l'hai sviluppata, come ti ho detto
sopra.
Devo farti i complimenti per come hai utilizzato l'anno scelto. Ti sei
ampiamente informata e hai usato con naturalezza ciò che sai su quest'anno.
Questa storia trasuda 1984 da ogni frase! I personaggi, l'ambiente che li
circonda, tutto è stato abilmente architettato per rispecchiare i pensieri, le
mode e la vita di quell'anno. In particolare ho apprezzato come 1984 di Orwell
sia stato inserito nei dialoghi, diventando così quasi un ulteriore
protagonista in questa bizzarra serie di eventi.
Mi sono davvero divertita a leggere questa storia. E' una lettura scorrevole
che ti lascia col sorriso sulle labbra e la convinzione che non mi bisogna mai
sottovalutare anche le più piccole coincidenze!