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Autore: yuki013    24/09/2012    1 recensioni
“Avrebbero potuto strappargli via il nome ed il passato, e lui era certo che comunque non avrebbe mai dimenticato il colore dei suoi occhi felini, o la sua voce roca quando non riusciva a trattenersi e lasciava che il nome di Takuto gli corresse sulla lingua con un basso vibrare, o il sapore salato sulla pelle dopo una mattina passata al mare […],e si malediva per tutto questo.”
[Sugata/Takuto - 1° classificata al contest "Access Denied!" di Akira Haru Potter]
Genere: Angst, Erotico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: PWP, Triangolo
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Star Driver ha qualcosa che richiama molto, ma davvero molto ai threesome. Sarà che Wako è la perenne indecisa (vedo somiglianze con Haruka Nanami) ma il triangolo ci stava, anche se a conti fatti è implicito almeno in questo caso.
Un grazie va ad Akira Haru Potter per aver indetto il contest (che trovate qui), e i miei complimenti vanno a tutti i partecipanti.
Alla prossima, e buona lettura =)
-Yu


Titolo: I just wanna use you
Coppia: Sugata Shindou/Takuto Tsunashi (accenni Sugata/Wako e Takuto/Wako)
Raiting: arancione
Genere: erotico, sentimentale, angst
Avvertimenti: PWP, lemon, yaoi, what if…?, crossdressing
Prompt scelti: 1 (mutande di pizzo), 14 (occhiali da sole rosa shock), 19 (macchie di sporco), 33 (ventilatore), 53 (stivali di pelle)
Note: il titolo riprende un verso del testo della canzone "Use you" di Dave Gahan.



Il buio della stanza non sarebbe bastato a nascondere il rossore sulle sue guance, né i gemiti che gli sfuggivano dalle labbra. Il suo orgoglio era stato preso e fatto a pezzi, masticato e poi risputatogli in faccia dalla stessa bocca che lo trattava quasi con cura, scivolando tra baci e carezze sul collo e sulle spalle tese. E seppur odiasse con tutto se stesso il modo in cui si stava abbandonando all’altro, non riusciva a muovere un solo muscolo che lo portasse lontano. Lontano da quella casa, da quella stanza, da quel letto sul quale Sugata l’aveva spinto togliendogli con un gesto rapido gli occhiali da sole rosa e il cerchietto che teneva appoggiato sopra la parrucca. Aveva riso per quelle lenti dal colore così spudoratamente femminile, ma solo per annullare ancor più le sue difese prima di coprirlo con il proprio peso.
Takuto odiava essere sempre la seconda scelta, era la sua dignità ad urlarglielo. Era la consapevolezza di dover sottostare alle leggi dell’altro quando se lo vedeva spuntare in camera – e lui sapeva che la causa di quello sguardo adirato era l’indecisione di Wako.
Wako che non sapeva scegliere; Wako che teneva i piedi in due scarpe differenti e le stava bene così com’era, senza preoccuparsi se esse erano spaiate e facevano a pugni tra di loro e col resto del mondo. Wako che li amava entrambi, un’onta quasi insopportabile per Sugata.
Così lo prendeva e gli affibbiava il ruolo che più gli piaceva, decidendo come e quando, facendogli indossare ad esempio una pacchiana chioma biondo miele e stivali in pelle che toglieva con calcolata lentezza dalle lunghe cosce di Takuto, mordicchiandolo man mano che scendeva con la zip lungo il tessuto scuro. Infilava le dita dentro le mutandine di pizzo e sorrideva sulle labbra di Takuto che cercava invano di trattenere i sospiri, in un misero residuo di amor proprio rimastogli. I suoi denti lo accompagnavano sotto la gonna cortissima, sfilando pian piano la stoffa nera e fermandosi su un’eccitazione che Takuto non riusciva mai, mai a contenere.
Sugata sapeva troppo bene cosa fare, quali punti premere perché urlasse e si contorcesse tra le lenzuola sfatte e il calore asfissiante di Agosto – e a nulla serviva cercare il refrigerio del ventilatore, soltanto le strisce di carta attaccate alla griglia di protezione sembravano trarne frescura. Tutto il resto era una massa di calore in cui Takuto veniva inghiottito, un buco nero fatto di sensazioni e spasmi di piacere, di spinte e del corpo – bellissimo, agli occhi di Takuto – di Sugata che si lasciava andare con un sospiro sopra il suo.
Però faceva male, quel circolo vizioso. Si annidava in un punto ben preciso del petto e bruciava pian piano, scavando una fossa che presto Takuto non sarebbe più stato in grado di richiudere. Poteva tornare a casa sua, o cercare conforto da Hana, o persino sperare che Wako alla fine scegliesse lui ma nulla gli avrebbe tolto dalla pelle la sensazione di avere Sugata addosso. Avrebbero potuto strappargli via il nome ed il passato, e lui era certo che comunque non avrebbe mai dimenticato il colore dei suoi occhi felini, o la sua voce roca quando non riusciva a trattenersi e lasciava che il nome di Takuto gli corresse sulla lingua con un basso vibrare, o il sapore salato sulla pelle dopo una mattina passata al mare. Le sue dita gli sarebbero rimaste impresse addosso, così come ognuno dei suoi baci e le scie che aveva tracciato con la lingua infinite volte creando altrettanti sentieri, e si malediva per tutto questo.
Perché dopotutto, ogni volta che terminavano, era lui quello che doveva rimettere a posto i pezzi di un’anima infranta dal desiderio di possesso. Era lui che rimaneva ad ascoltare la voce di Sugata mentre telefonava a Wako come se niente fosse, per fare due chiacchiere. Era solo e soltanto Takuto che raccattava i suoi vestiti, puliva alla bell’è meglio il futon dalle macchie di sporco lasciate dall’amplesso e si allontanava con lo sguardo vacuo.
Senza dire una parola, senza sperare in una parola da parte sua. Solo un’ombra solitaria nella fastosa residenza degli Shindou.
E la cosa peggiore, il motivo per cui Takuto scivolava lentamente contro la porta chiusa di camera sua premendo i palmi delle mani sul viso per ricacciare indietro le lacrime, era la consapevolezza che l’avrebbe rifatto ancora e ancora. Anche se avrebbe fatto male.
Anche se quella casa sarebbe diventata la sua prigione e tomba.

   
 
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