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Autore: Midori_chan    24/09/2012    3 recensioni
[1° Classificata al contest- Tutto accade in una notte di mezza estate]
[Premio speciale: "Miglior Nottambuli" per la caratterizzazioni dei personaggi]

La noia della guardia notturna lo stava facendo addormentare, non c’era mai nessuno che cercava di insinuarsi nell’accampamento. Si sistemò meglio sul masso, sembrava levigato apposta per essere una sedia, chissà quanti sederi vi si erano strofinati sopra nelle notti precedenti.
[…]Andare in giro per quelle terre con l’unico scopo di uccidere, per una causa che nemmeno riteneva giusta, solo perché il suo padrone aveva scelto quella via; molti come lui erano stati obbligati in quella guerra. Morivano per l’egoismo di altri.
Genere: Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Inquisizione
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Ho sempre voluto scrivere una storia basata su dei fatti storici, soprattutto sui templari e con il contest "Tutto accade in una notte di mezza estate", indetto da _BitterSweet_ mi si è accesa la lampadina *click*
La storia ha un ambientazione vaga, imprecisata, ma ho messo delle note a piè di pagina per spiegarne il motivo.

Sono orgogliosa di esser arrivata prima e di aver avuto il premio speciale "Miglior Nottambuli" per la caratterizzazione :D *bannerini in fondo*

 

Autore: Midori_chan
Titolo storia: 1271-Cronache di un soldato qualunque.
Anno scelto: 1271
Rating: Giallo
Avvertimenti: ---
Genere: Storico/Introspettivo (lieve)


~
1271-Cronache di un soldato qualunque~ 


La noia della guardia notturna lo stava facendo addormentare, non c’era mai nessuno che cercava di insinuarsi nell’accampamento. Dopo un’intera giornata a combattere, a mostrare il proprio valore sul campo di battaglia, quella era la paga? Non il bottino dei ricchi: maiale, buon vino, frutti dolci delle terre esotiche. Ai soldati, gli unici a morire e a difendere la causa che portavano avanti sotto il nome di Dio, non spettava nulla se non la guardia notturna.
Si sistemò meglio sul masso, sembrava levigato apposta per essere una sedia, chissà quanti sederi vi si erano strofinati sopra nelle notti precedenti. Vicino ai suoi piedi c’era un gatto che cercava calore e magari qualche cosa da mangiare.
-Vai a chiedere alla tenda rossa-, lo cacciò con un calcio e l’animale secco gli soffiò contro; l’uomo ricambiò il soffio con altrettanta stizza.
Era tutto concentrato nel conficcare l’estremità del suo pugnale nella terra, aveva scavato una bella buca aiutandosi con la punta dello stivale, quando nel bosco baluginò una luce, piccola e ancora lontana, ma riuscì a vederla.
Velocemente tornò pronto, in difesa, camminando verso quel puntino con la lama abbassata, per non causare lo stesso effetto visivo e non dichiarare la sua presenza.
-Ahh!-, vide, prima ancora di sentire il dolore, il ragazzino dietro l’albero alla sua destra.
-Bastardo!-, gridò quello, dopo essere caduto per via del calcio troppo forte che aveva dato al soldato.
La guardia lanciò un ringhio basso afferrando il colletto della casacca vecchia, la gamba faceva male, mandava pulsazioni rapide, ma se ne fregò, puntando gli occhi sul monello sporco di terra.
-Bastardo, lasciami! Lascia la mia città!-, continuava a divincolarsi, menava calci e pugni in ogni direzione senza mai colpire l’uomo, che si sarebbe quasi messo a ridere se non avesse avuto il timore che quel ragazzino non fosse solo.
-Quanti siete?-
-Sono solo…-, sussurrò calmandosi, tirò un sospiro abbassando la testa.
-Sei una spia?-
-Non fatemi ridere-, la guardia lo lasciò e quello ricadde sul sedere con una smorfia. Rimase così a terra, a fissarlo, aspettandosi di morire da un momento all’altro.
Il soldato era tormentato, non voleva uccidere un ragazzino, ma era un’abitante di ***, come poteva lasciarlo in vita, magari era una spia, oppure era venuto per rilasciare qualche veleno nelle scorte dell’acqua.
-Quanti anni hai?-, si piegò sulle ginocchia, mezzo seduto, ma comunque pronto a scattare al minimo suono.
-Diciotto-, la guarda gli diede uno scappellotto.
-Non mentirmi!-
-Ehi, mi hai fatto male,- si lamentò, ma all’occhiataccia dell’uomo si morse un labbro.
-Sedici-, si arrese in fine, sorridendo amaramente,- Sono abbastanza grande per morire?-
-Non ti ucciderò, non c’è motivo per farlo, per ora-, si sedette del tutto a terra davanti al più piccolo.
-Potrei ucciderti-
-Fallo pure, sono stufo…-, ed era vero. Andare in giro per quelle terre con l’unico scopo di uccidere, per una causa che nemmeno riteneva giusta, solo perché il suo padrone aveva scelto quella via; molti come lui erano stati obbligati in quella guerra. Morivano per l’egoismo di altri.
-Hai da bere?-, lo guardava imbarazzato, chissà quanto era umiliante chiedere aiuto all’uomo che forse aveva ucciso suo padre, i suoi vicini di casa, sicuramente qualcuno della sua città.
-Tieni-, il giovane accettò eccitato la borraccia, l’acqua era fresca, si sentiva fin da fuori il tessuto compatto.
-Parli bene la mia lingua…-
-Mio padre mi ha insegnato molte cose-, disse tra un sorso e l’altro.
-Ehi, non la finire!-, gli strappò la sacca dalle mani, ne era rimasta così poca, tanto da poterne fare solo altre due sorsate.
-Dannato-, imprecò a bassa voce, tirò un’occhiataccia all’altro che si rannicchiò dietro le ginocchia.
-Signore…-, dopo qualche minuto, nei quali ognuno era impegnato nei propri pensieri, il giovane tornò a chiamarlo.
-Si?-
-Ci sono innocenti nella città che muoiono ogni giorno, senza un motivo-, il soldato sbuffò, facendo un gesto con la mano che voleva significare “lo so”.
-Non possiamo fermarci, gli ordini vengono dall’alto-, la guardia si ritrovò per la prima volta a dare una scusa per il proprio operato, il dito puntato al cielo a quel Dio di cui l’esistenza non era certa. Guardò il cielo, le stelle splendenti, la luce pallida della luna che illuminava la vallata con forza e con meno evidenza schiariva il sottobosco. Accarezzava ogni cosa, come un mantello e faceva brillare il fiume sulla destra dell’accampamento. Colpiva i cavalli dal manto lucido e amplificava la luce delle torce.
Per cosa combatteva? Se lo era chiesto spesso, eppure l’unica risposta era stata: i soldi. C’erano le tasse da pagare, la vita della moglie e dei suoi due figli aveva un prezzo. Le campagne erano in magra da anni e il cibo costava. Ma era davvero per quello?
Non era la fama, di questo era certo e non era neppure per odio o per l’amore nel sangue.
Combatteva perché non aveva altre doti, ecco il motivo.
-Signore?-, si riscosse, tornando a guardare quella figura esile, più magra di ogni persona del suo accampamento. Quella vista gli fece comprendere che avrebbero vinto, ma a quale costo? Anche quel giovane sarebbe morto, come tutti, magari ucciso dalla sua lama.
-Perché sei fuori dalle mura?-
-Non sopportavo più la puzza dei cadaveri-, si tappò il naso, il viso improvvisamente più pallido, scosse la testa, come per scacciare qualche demone e i fili neri gli invasero la fronte stretta.
Era così diverso da lui, un contrasto evidente di due popolazioni che abitavano quasi agli estremi confini delle terre conosciute.
Lui era biondo, l’altro di un corvino scurissimo, il soldato aveva la pelle accarezzata timidamente dal sole, il ragazzino invece ne sembrava violentato, scuro, di un colore che alla luce avrebbe ricordato la resina degli alberi.
Gli occhi erano i più diversi: di uno erano azzurri, come i ghiacci che ricoprivano le vette della sua terra, gelidi come la fredda morte, capaci di uccidere senza cambiare espressione; gli altri erano scuri, come la terra su cui avevano piantato le tende, neri come il pane così gustoso, come le spezie particolari e i semi di piante sconosciute, caldi come i bracieri delle ricche città, scuri come le navi nere dei racconti degli antichi greci.
-Ovunque scapperai la puzza ti seguirà-, il soldato non nascondeva il suo pessimismo, non dopo aver avuto la certezza che quello che si trovava davanti era un ragazzino più nel corpo che nella mente.
-Hai qualcuno da cui tornare?-
-Qualcuno?-, il giovane lo guardò negli occhi, forse per la prima volta da quando era iniziata quella loro strana conversazione.
L’uomo annuì, l’espressione sincera di chi attende una risposa.
-Cadaveri-
Il soldato, a quel punto, non sapeva cosa dire, non credeva fosse giusto consolarlo, dopotutto lui era il nemico, però si sentiva stranamente triste.
-Per quale motivo ci odiate? Noi non vi abbiamo fatto nulla…-, la voce gli si ruppe per il pianto, si coprì velocemente la bocca con la mano.
-Piangi se ti senti di farlo-
-Non lo farò davanti a te, te che non hai avuto esitazione ad uccidere!- con un balzo gli fu addosso, ruzzolarono a terra e si azzuffarono per qualche minuto, ma era chiaro al giovane che l’uomo non lo stava toccando per ferirlo.
-Sei un bastardo, tu, l’esercito, Dio che prima dice di amare il tuo prossimo e poi ci viene ad uccidere. Bastardi!-, le lacrime scesero davvero allora, cadevano pesanti sul viso del soldato.
-Ti prego, odiami-
Lui si odiava, si malediceva ogni giorno per quello che faceva, gli si rivoltavano le budella per i suoi gesti, eseguiti proprio come gli venivano ordinati.
Poteva anche azzardarsi a scaricare la colpa su i generali, ma la verità era che poteva scegliere di andarsene in qualsiasi momento, ma non lo faceva.
-Bastardo, non puoi piangere ora, dopo che hai ucciso-, sorpreso l’uomo si tirò a sedere con facilità, portandosi dietro il ragazzo e con l’indice si toccò l’occhio umido.
-Vieni con me-
Appena si era accorto di quella lacrima tutto era cambiato.
Non era un mostro, non uccideva perché gli piaceva, era obbligato, non l’avrebbe mai fatto se così non fosse stato.
Odiava i suoi compagni, la maggior parte di loro era lì per l’oro, odiava eseguire ignobili ordini.
Non stavano combattendo per proteggere le loro case, stavano invadendo, stuprando, violentando, incendiando, deturpando…
Non c’era onore in quello che facevano.
E al diavolo il paradiso e le altre promesse di Dio, quelle erano solo le mire degli uomini sudici e grassi e lui non era come loro.
-Venire con te? Dove?-, il ragazzo lo guardava senza più timore, aveva visto una luce diversa in quegli occhi grigi.
-Il dove ha importanza? Torna nelle mura, fai radunare tutti quelli che possono scappare, quelli in salute, le donne e i bambini-
-E gli anziani e le guardie?-, la voce del più piccolo tremava, come le labbra e le mani, come l’intero bosco che in quel momento venne attraversato dal vento freddo della notte.
-Vuoi scappare o morire nel tentativo?-, era nel suo carattere quell’atteggiamento forte, autoritario e anche quel ragazzo, quel nemico, non poté fare a meno di eseguire l’ordine.
Cosa diavolo stava facendo?
Aspettò fino a quando la figura esile scomparve nella nera vegetazione e poi tornò all’accampamento, avrebbe dovuto aspettare lì ancora un’ora e mezza prima del cambio della guardia.
Il suo cuore avrebbe retto? Lo sentiva battere fortissimo, tanto che temeva che qualcuno lo potesse sentire e smascherarlo prima ancora di aver messo in atto il suo piano.
Stava facendo qualcosa di troppo pericoloso per lasciarsi pervadere dalla paura, quindi fece un respiro profondo per calmarsi.
 
-Adrian avrai il culo piatto!-, la voce del suo compagno d’armi lo fece sobbalzare, ma riprese velocemente coscienza di cosa significava il suo arrivo.
-Vuoi controllare?-, rise battendosi una mano sul fondoschiena.
-Ehi, ci sono troppe poche donne per disprezzare, quindi non ci scherzare!-, gli batté la grande mano sulla spalla e lo superò per andarsi ad abbattere sulla povera roccia.
Gunnar era l’uomo più grande che avesse mai conosciuto: altro almeno due metri, con due spalle enormi, le mani callose da fabbro, la testa pelata sempre imperlata di sudore e la barba rossiccia tipica della sua terra.
Non era bravo nel combattere, ma spaventata i nemici e così era riuscito a sopravvivere a tutte le spedizioni.
Il suo turno era finito, poteva prendere le sue cose dalla tenda e andarsene.
Camminava a passi leggeri, come se non potesse farsi vedere all’interno dell’accampamento, il suo atteggiamento già disposto al tradimento.
Entrò nella tenda lasciandosi andare ad un sospiro di sollievo.
-Scappavi dai fantasmi?-, il compagno di tenda, un uomo più grande di qualche anno, si era tirato a sedere non appena lo aveva sentito entrare, come se lo stesse aspettando.
-Cosa ci fai ancora sveglio? Domani abbiamo un assedio, ricordi?-, si sedette sulla brandina vecchia, le mani sotto il mento.
Aveva sperato di trovare il compagno addormentato per poter prendere il necessario e scappare, subito, prima che il terrore gli facesse cambiare idea.
-Il vento assomiglia al canto dei morti, non dormo mai bene nelle notti ventose-
-Sarai mica un cavallo?-, domandò Adrian sorridendo.
-Ah, magari. Ti immagini cavalcare libero?-, sognava perennemente ad occhi aperti, lo faceva anche in battaglia, perdendosi nelle retroguardie quando il suo posto era nella fanteria.
 Il suo piano era andato in fumo, cosa doveva fare?
-Buonanotte cavallo-, si alzò e prese il mantello.
-Dove vai?-
-Ho visto qualcosa di strano, non mi ero preoccupato di avvertire nessuno, ma è meglio che lo faccia, altrimenti verrò punito per negligenza-
-Sia mai!-, l’uomo si accoccolò sotto le coperte,- Chi si alza per primo sveglia l’altro, d’accordo?-
-Certo-
Il mantello scuro gli permise di arrivare fuori dall’accampamento non visto, conosceva i punti di guardia e così li evitò tutti accuratamente.
Non conosceva però l’ubicazione dell’uscita segreta che aveva utilizzato quel ragazzino.
Comprese solo allora di non avergli neppure chiesto il nome.
Camminò nella boscaglia cercando di ritrovare il punto in cui loro due avevano parlato, ma con molto attenzione visto che Gunnar era di guardia e alto com’era il suo sguardo penetrava maggiormente nel bosco.
Improvvisamente si sentì toccare alle spalle, mentalmente tirò un sospiro di sollievo, ma la sua voce invece suonò arrabbiata.
-Credevo che ti avessero scoperto-
-Bhè, noi abbiamo scoperto te-, non fece in tempo a voltarsi che si accorse chi di aveva dietro: Mujial.
Quel mussulmano convertito era lo scagnozzo del principe, odiava i traditori quando lui stesso era un traditore della sua gente e della sua patria.
Lo aveva sfiorato con la punta della sua sciabola, famosa per il veleno che la ricopriva. Lui non uccideva atrocemente, lasciava piccoli graffi e il veleno, nel giro di pochi minuti, ti uccideva.
La scarica di adrenalina lo fece scattare indietro, anche se era consapevole dell’inevitabilità della cosa, scappare era inutile, provare a salvarsi anche.
-Il moccioso?-, domandò, la voce un po’ rauca.
-Intendi Asgher, quello che ho pagato per fingere di essere un abitante di ***?-, l’uomo aveva un volto brutale e spaventoso.
Adrian attribuì la sua paura al veleno, non alla stazza dell’uomo, quasi più alto di Gunnar, al viso ricoperto di cicatrici, al sorriso beffardo dai denti aguzzi.
Stava morendo come un cane disubbidiente.
Adrian scrollò la testa per provare a vedere chiaramente, mentre la vista gli si andava annebbiando, ma non servì a nulla. Prima di morire urlò, imprecò contro tutti quelli di cui ricordava minimamente il nome e infine sputò a terra sperando di aver preso i preziosi stivali del mussulmano.
-Dannato!-
Cadde a terra con un tonfo e un sorriso stampato in volto, dopotutto era riuscito ad insozzargli le calzature.
 
La luce gli ferì gli occhi.
Ferire… aveva provato dolore, anche nell’oltretomba era destinato alle sensazioni mortali?
-Si è ripreso!-, la gioia che traspariva da quella voce conosciuta lo allarmò.
-Tu? Io… dove sono?-, teneva ancora gli occhi serrati, vedeva la luce oltre la pelle fine della palpebra.
-Sono Asgher e tu sei su un carro per la vita-, il moccioso gli accarezzò la schiena, poco più in alto dove sentiva un continuo battito.
-Sei una spia-, la voce arrochita stava tornando lentamente.
-Forse, però ti ho salvato la vita-, improvvisamente tutto divenne più scuro.
-E’ ancora presto per alzarsi, riposati-, Adrian sentì il suono del telo scostato e poi un silenzio confortante scese all’interno del carro coperto.
Non provò neppure a domandare il come e il perché, si lasciò sballottare con una serenità che non aveva mai provato.
Non gli importava nulla, era già tanto essere vivo.
 
 
*Non ho voluto specificare la città di provenienza per un motivo preciso: nella storiografia solo i grandi castelli/città vengono citati, questo dove ho ambientato la storia è più piccolo, nascosto alle cronache.
Si trova comunque in Palestina, luogo che Edoardo, figlio di Enrico III, critica; in Terrasanta i cristiani vengono del tutto sconfitti dai mussulmani e poco tempo dopo c’è la caduta di S.Giovanni D’acri.

La bellissima valutazione: 

Grammatica: 9.4/10 
Originalità: 10/10 
Caratterizzazione dei personaggi: 10/10 
Attinenza al tema: 10/10 
Attinenza all'anno scelto: 5/5 
Gradimento personale: 4/5 
Totale: 48.4/50 
Grammaticalmente ho trovato solo qualche errorino, ad esempio un in fine al posto di infine, qualche errore di battitura e qui: sussurrò calmandosi, tirò un sospiro abbassando la testa sostituirei la virgola con una e, così da legare meglio le due frasi. 
E' senza dubbio una storia originale, o per lo meno un modo originale di interpretare ciò che chiedevo nel bando: una notte che cambia la vita. Non ci sono dubbi che la vita di Adrian sia cambiata dopo questa nottata, ha rischiato tutto e ha ritrovato la libertà. 
Ho seguito il flusso dei pensieri di Adrian e ho provato empatia con lui. Ho capito perché si trovava lì, ho capito i suoi timori, i suoi desideri, la sua insofferenza ormai per l'ambiente che lo circondava, per il compito omicida che degli uomini avevano detto era stato mandato da Dio. 
Questo soldato qualunque è decisamente ben caratterizzato, così come Asgher. Ho talmente creduto al dolore di questo ragazzino, che mi sembrava assurdo pensare che lui fosse solo una pedina, una spia per catturare i traditori come Adrian e sono stata davvero felice di scoprire che alla fine non era così. 
L'ambientazione è decisamente buona. Nello svolgimento della storia appare chiaro che ci troviamo nel bel mezzo di una crociata, ma anche le descrizioni dei soldati, dell'ambiente, delle persone stesse sottolinea in che periodo ci troviamo. Mi è particolarmente piaciuto il confronto tra l'aspetto fisico dei due, il modo in cui li hai descritti ha qualcosa di esotico e poetico, qualcosa che ti fa subito pensare a quelle terre lontane. 
La storia è ambientata nel 1271, ma i pensieri di quel soldato, le sue paure e la sua rabbia potrebbero anche essere trasposti ai nostri giorni. E' una storia senza tempo quella di chi deve combattere contro il suo volere, seguendo ideali che non gli appartengono. 
Credevo davvero che Adrian fosse morto e, se da una parte mi confortava l'idea che finalmente potesse essere libero, dall'altra ho provato un'immensa tristezza, sia perché era stato tradito proprio da colui che gli aveva fatto aprire gli occhi, sia perché si era illuso di poter scappare e vivere di nuovo. 
Mi è piaciuta davvero tanto questa storia, hai scelto un tempo lontano per raccontare una storia estremamente attuale. I pensieri di un uomo non hanno mai tempo e sei stata brava a trasmetterli attraverso un soldato qualunque. 


 

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