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Autore: Mirae    24/09/2012    2 recensioni
Un ragazzo e sua sorella – due ex schiavi – si apprestano a lasciare l'America per far ritorno nella terra dei loro avi. Alle loro spalle, New York è in fiamme a causa dei disordini scoppiati tra l'11 e il 13 luglio 1863.
5^ classificata al contest "Tutto accadde in una motte di mezz'estate" indetto da _BitterSweet_.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Autore: Mirae
Titolo storia: ALI SU NEW YORK
Anno scelto: 1863
Rating: verde
Avvertimenti: one shot
Genere: introspettivo, storico
Introduzione: Un ragazzo e sua sorella – due ex schiavi – si apprestano a lasciare l'America per far ritorno nella terra dei loro avi. Alle loro spalle, New York è in fiamme a causa dei disordini scoppiati tra l'11 e il 13 luglio 1863. Racconto partecipante al contest "Tutto accadde in una notte di mezz'estate" indetto da _BitterSweet_. (5^ classificata con 46.5/50)
Note (eventuali): La storia è ambientata nella notte tra il 12 e il 13 luglio 1863, quando gruppi di immigrati irlandesi si ribellarono a una legge voluta da Washington secondo cui tutti coloro che non potevano pagare una cauzione di 300$ avrebbero dovuto prestare servizio attivo nelle file dell'Unione durante la Guerra di Secessione. Purtroppo, come spesso accade in questi frangenti, invece di ribellarsi al potere, si ribellarono contro coloro che ritenevano colpevoli, vale a dire gli ex-schiavi scappati dalle piantagioni del Sud.

 

 

E anche l'ultimo bagliore del giorno è morto. L'oceano, che ringhia a pochi passi da me è nero. Non c'è la luna che lo illumina. Non si vedono neanche le stelle, questa sera. Le fiamme che mangiano New York alle mie spalle le hanno inghiottite. Brucia New York. Brucia perché persone come Casey dicono che è colpa della mia gente. Non siamo stati noi a volere la guerra, non siamo stati noi a voler nascere schiavi. I nostri antenati vivevano senza padroni nella terra dove il leone e la gazzella corrono ancora liberi. Tra poche ore, mia piccola Rose, salperemo anche noi verso quella terra. I nostri avi solcarono questo oceano legati in catene, noi lo solcheremo da persone libere. Non avevo soldi per due biglietti – neanche per uno, a dire la verità – perciò dovremo lavorare, sì, anche tu, sorellina, ma almeno, quando finalmente metteremo piede sulla terra dei nostri antenati saremo persone, non più schiavi! 
E intanto, New York, questa città che ci accolse, noi poveri schiavi fuggiaschi, brucia. Ogni tanto anche qua sul molo, mentre attendiamo di imbarcarci sulla nave, si odono i colpi dei fucili. Saranno gli Irlandesi? O forse i soldati? 
Che Dio ti protegga, Casey, amico mio. In questi pochi mesi tu per me sei stato più di un amico, quasi un fratello, ma all'improvviso sei cambiato. Nel giro di poche ore non hai più visto in me un amico, ma una persona con la pelle dal colore sbagliato, dal passato sbagliato. Ricordo quando mi parlavi della tua terra. Era verde, una volta, mi dicevi, e io, invece, non sapevo cosa raccontarti della mia. Quante lacrime allora bagnavano i miei occhi, anche se ormai ero grande per piangere. Eppure... 
Sapevo solo raccontarti una favola che mio nonno mi raccontava sempre. Un giorno, il Creatore si avvide che il sole era troppo caldo, allora decise di stendere una coperta, ma col tempo, questa coltre si bucò, lasciando trasparire piccoli squarci di luce: le stelle. Ma in questa notte senza luna, le fiamme che bruciano New York hanno anche bruciato le stelle. E se queste acque sono nere, il cielo, invece, è rosso. Rosso di fuoco, rosso di sangue. Sangue di persone come me e come te, che muoiono per che cosa? Per i soldi! 
Soldi! Per loro, io e Rose siamo nati in catene, tu hai abbandonato la tua terra. Per i soldi, la mia piccola Rose si è tagliata i capelli, per sembrare un ragazzo, per poter lavorare su questa nave e raggiungere assieme a me la nostra terra, quella che vide nascere liberi i nostri antenati... 

“Ehi, voi due scansafatiche, ci sono ancora questi sacchi da caricare sulla nave! Non penserete mica di viaggiare gratis, vero?”. 
“Avanti, Rose, vieni, dobbiamo lavorare”. 
“Tom, ricordati che io adesso mi chiamo Sam”, mi guarda divertita. Ha ragione. Devo ricordarmi che lei ora è mio fratello e si chiama Sam, ma appena arriveremo nella terra del leone e della gazzella, lei tornerà a essere Rose, la mia sorellina. 
“Hai ragione. Vieni, meglio che ci sbrighiamo”. Mi alzo e vorrei aiutarla a fare lo stesso, ma lei è più veloce e si alza con una grazia troppo innaturale per un maschiaccio, quale dovrebbe essere ora. Glielo faccio notare e lei mi fa la linguaccia. 
Un ultimo sguardo all'oceano che sta cambiando colore – presto sarà l'alba – e poi via, a caricare le ultime mercanzie sulla nave. Nessuno sguardo, invece, a questa città traditrice. Ci ha accolto come una madre, è vero, ma poi, tutto a un tratto, ci ha voltato le spalle, come una prostituta che si offre al miglior offerente. 
Addio New York, addio America.

   
 
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