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Autore: Willy Wonka    25/09/2012    2 recensioni
[E glielo avrebbe voluto sbattere in faccia, quasi con arroganza, che non era proprio possibile quello che stava dicendo.]
Forse c'è un po' di slash fra Nick e Simon, forse no, giudicate voi...
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Pray

 

Nick sbatte la testa contro al vetro, esausto, chiudendo gli occhi stanchi e non sapendo chi pregare, perché lassù non c’è nessuno che possa interessarsi di noi quaggiù, si ripete, e allora che fare? A chi chiedere aiuto?


Era stato così, come quando si soffia sopra un soffione e i piumini si disperdono nell’aria primaverile. Tutte le sue certezze e le sue gioie si erano distaccate piano da lui e se ne erano svolazzate via, lasciandolo nudo e solo, proprio come lo stelo di quel soffione. Così immediato e inaspettato, tanto incredibile quanto impossibile. Nessuno lo aveva avvertito che la cornetta del telefono potesse celare in realtà un alito di vento, nessuno, altrimenti li avrebbe tenuti stretti per sé i suoi petali, stretti stretti.
Fatto stava che nessuna nuvola, da lassù, gli aveva impedito di afferrare quella cornetta blu e di dire quel monotono “pronto?” , azzardando un sorrisetto e prendendo l’apparecchio fra le mani per portarselo in giro per casa per quanto il cavo della corrente  potesse permetterlo.
Nessuna, lo giuro, nessuna nuvola, o stella della sera, aveva tappato il suo orecchio in modo da non fargli sentire quella voce mormorare un “Nick, sono Yasmin”.
E i passi, oh i passi di quell’uomo si erano fermati, lasciando che egli si coprisse di quel male velenoso che chiamano presentimento, che sale su per la colonna vertebrale come la temperatura in un termometro quando si è accaldati. Ma cos’è, in fin dei conti, un presentimento? Una spina incastrata sul palmo della mano dei paranoici, e lo sapeva, lui, che la sua pelle pungeva  praticamente da sempre.
“Yas… ciao! Non mi aspettavo una tua chiamata, devo essere sincero!” aveva replicato accarezzandola con quella sua voce di velluto, ma dall’altra parte era arrivato un silenzio, di giusto un paio di secondi. E Nick forse si aspettava che quella nuvola arrestasse ciò che ne era seguito, ma sta di fatto che quel singhiozzo lo aveva raggiunto attraversando il telefono, e  la spina era ritornata a pungere e  a premere sulla carne più forte di prima.
“Yas? Yas è successo qualcosa?”
Il suo timbro si era fatto più serio, più preoccupato, più spaventato, perché era come se già sapesse che non c’era spazio per un no fra le labbra di quella donna.
“Nick…” lo aveva chiamato tremando, e gli sembrava quasi di vederla, con la mano che le copriva la bocca e gli occhi che si stringevano per raccogliere tutta la forza possibile. La percepiva deglutire e prendere un respiro profondo.
“Devi venire all’ospedale Nick”.
“Cosa è successo?” aveva ripetuto in preda al terrore, sentendo le piastrelle del pavimento sotto di lui sgretolarsi pezzetto dopo pezzetto per lasciarlo sprofondare e cadere.
“S-Simon ha avuto un incidente con la moto”
E sotto di lui, più niente.  Le labbra si erano dischiuse ma non per parlare, gli occhi si erano spalancati ma non per guardare. Era lì, piantato in mezzo al salotto, in silenzio, lasciando che la spina lo tagliasse e lo perforasse facendolo sanguinare.
Erano passati due, tre, quattro secondi. Il tempo che bastava perché si spezzasse qualche collegamento dentro di lui e non riuscisse così più a respirare, o pensare, o risponderle.
Simon, incidente, moto. Non riusciva a collegarle fra loro quelle tre parole, no, non potevano avere un senso insieme, no, non era proprio possibile. Non era proprio possibile perché Simon era Simon, quel Simon, che si butta in acqua anche se c’è il temporale e se ne esce ridendo, che rovescia i tavolini degli hotel per divertimento e non gli capita mai niente.
Non era proprio possibile.
E glielo avrebbe voluto sbattere in faccia, quasi con arroganza, che non era proprio possibile quello che stava dicendo.
Ma Yasmin continuava a mettere insieme frasi, troppe in quel momento per la mente di Nick, e a piangere dall’altra parte dell’apparecchio senza che nessun’anima da lassù potesse fermare le sue lacrime e la sua ansia.
“E-era uscito per fare un giro Nick, e-era uscito e subito dopo mi è squillato il cellulare per dirmi che lo stavano ricoverando d’urgenza…”
Un altro singhiozzo, un altro silenzio da parte del tastierista.
“Yas, Yas calmati ora. Arrivo subito” aveva esclamato tutto d’un fiato, consapevole che era l’unica cosa che le sue corde vocali potessero produrre in quell’istante. Aveva raggiunto quindi la scrivania per riappoggiare il telefono, quando il suo cervello a poco a poco non era ritornato ad ingranare, e si era reso conto di non saper dove andare.
“Siamo al St Peter Hospital” lo aveva avvertito con la voce rotta dalla paura, e lui non aveva potuto  far altro che ripetere quell’ “arrivo subito”, perché era veramente l’unica cosa che le sue corde vocali potevano produrre. Infine aveva riagganciato, accorgendosi di tremare come una foglia.

 
Ed ora è lì, con la fronte ben premuta contro al vetro della porta sulla quale campeggia un “critical care”, e non le capisce quelle due parole scritte in rosso e in stampatello, non le capisce proprio.
E tiene gli occhi chiusi pensando a qualsiasi cosa che non sia quella cosa, quel pensiero nero che spera non possa diventare una spina.
La gente, in certe situazioni, prega. Sa che Yas lo sta facendo, seduta accanto alla finestra del St Peter.
“Ma io chi posso pregare?” pensa sconfitto stringendo i denti, perché lui non ci crede, non crede in nessuna nuvola, o stella della sera. Ma da solo forse non può farcela, non questa volta.
Ripensa a Simon mentre delle lacrime si raccolgono ai lati dei suoi occhi chiusi, mentre respira a scatti e si tiene in piedi grazie a quella porta bianca e pesante. Ripensa al suo sorriso, al modo buffo in cui balla, alle sue palpebre costantemente abbassate, alla sua risatina così infantile e genuina, alla sua voce. A come scuote i polsi ogni volta che è concentrato ad ascoltare le basi suonate alla tastiera per cantarci un nuovo pezzo sopra, a quell’occhiolino che gli è scappato durante il video di All she wants is. Pensa, pensa e ripensa, concedendo a mille fotografie di danzare dentro di lui. Pensa a Elvis Presley, a quei bizzarri pantaloni rosa leopardati, al taccuino pieno di poesie, al Rum Runner.
Lui non può pregare, non può e basta. Eppure Simon è lì, davanti a lui, che tira un sorriso dei suoi e che lo rimprovera dicendogli che non ci dev’essere alcuna vergogna a pregare. Ma a chi può chiedere aiuto, lui, che la religione l’ha sempre oltrepassata? Lui, che non ha santi in cielo da chiamare?
E Simon sorride ancora, svelandogli il segreto.
E si ritrova a dover raccogliere tutte le forze che ha in corpo per intrecciare le sue dita sottili, per premere l’uno contro l’altro i palmi delle mani fredde. Per portare queste ultime fin sotto la punta del mento.
Apre la bocca per bisbigliare, ma ne escono solo suoni strozzati, così ci riprova, facendosi più coraggio e concedendo ai tremori di passare dalla carne alla voce.
Prego il mare di poterlo salvare. Prego Rio che non me lo porti via così presto
Quei sussurri gli escono a fatica, ma deve continuare, per se stesso e per quel valore che si chiama vita.
Prego la luna nuova di fargli riaprire gli occhi, prego che lo lasci qui con noi. Perché sennò non sarebbe giusto, non sarebbe giusto. Perché i-io sono solo qualcuno che non ha chi pregare, e forse non merito di essere salvato, ma lui, lui sì. Perché lui è il mare, Rio e la luna nuova messi insieme, e deve vivere, d-deve vivere… deve, deve…”
E stringe le mani facendo diventare i polpastrelli e le nocche bianche, sgridandosi mentalmente ogni qual volta gli scappa da piangere.
“t-ti prego… Rio ti prego…”
Sebbene le sue preghiere siano così sottovoce, così nascoste, in un attimo non sente più i passi di Roger fare avanti e indietro per il corridoio intonso, non sente più John, accucciato per terra, sbuffare e imprecare contro qualcuno che nemmeno lui sa, non sente Warren cercare di consolare Yas. Non si accorge nemmeno di Andy, precipitatosi nel reparto con il fiato corto, che senza parole fa scorrere i suoi occhi dolci su di loro che non vedeva più da tanto, e gentilmente stringe la mano al nuovo chitarrista dei Duran Duran.
Nick smette di pregare solo quando sente afferrare il maniglione dall’altra parte, ed è costretto a scansarsi di tutta fretta. Nick smette di pensare quando il medico, dal camice bianco quanto le pareti e le guance del musicista, non va a parlare con Yas. Nick smette di farsi forte quando Yas esplode in un sorriso e abbraccia il dottore portatore di buone notizie.
E così si lascia scivolare contro il muro richiudendo gli occhi e scoppiando in un pianto a singhiozzi che è un riso allo stesso tempo, a costo di sembrare un pazzo.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
Bonjour tristesse.
No dai, alla fine è finita bene!!!
Ancora un’altra storia su Nick e Simon *sbatte la testa contro al mobile
Che volete, mi ispirano troppo! Awsdfrthjhfgtdrs.
Un beso a chi leggerà, a chi recensirà, a chi piacerà questa storia e a chi no.
 
Di incidenti motociclistici ne sono capitati davvero a Simon, credo due, ma non penso così gravi come l’ho descritto io! (e il nome dell'ospedale, il St Peter, me lo sono inventato aUa)
Per quanto riguarda Nick, mi sembrava proprio di aver letto da qualche parte che è ateo, poi non so se sia vero o meno.
   
 
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