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Autore: louehs    25/09/2012    8 recensioni
Istituto di riabilitazione Saint Patrick, Ohio.
Tutte le famiglie hanno una pecora nera. Un figlio che va tenuto nascosto e protetto come uno sporco segreto, rinchiuso in istituto, pronto per essere riabilitato e rigettato in società.
E se quello fosse proprio il luogo per ricomiciare a vivere?
||Brittany/Santana - Kurt/Blaine - Sebastian/OC - [possibile] Quinn/Rachel ||
Genere: Angst | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Blaine Anderson, Nuovo personaggio, Santana Lopez, Sebastian Smythe | Coppie: Blaine/Kurt, Brittany/Santana, Quinn/Rachel
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Was a long and dark December

From the rooftops I remember.
There was snow. Whithe snow.

 

Lima,Ohio. Istituto di riabilitazione Saint. Patrick

“Buongiorno signorina Lopez.”

La ragazza sbuffò e tirandosi su le maniche del pigiama si lasciò cadere sfinita sulla sedia,incrociando le braccia al petto,con un’ostinata aria di sfida stampata in viso.

“Oh salve dottor Parker,magnifica giornata,vero?” sorrise con una notevole nota di sarcasmo.
“Sono lieto di sapere che il nuovo programma alimentare è di suo gradimento” continuo il medico sfogliando gli appunti appoggiati di fronte a lui.
Santana sollevò un sopracciglio “E’ evidente che ci troviamo in disaccordo su quest-“
“Santana.” La interrupe l’uomo alzandosi in piedi “Ne abbiamo già parlato,sei in osservazione e ,volente o nolente, sono il tuo medico base in struttura e voglio che tu esca di qui sulle tue gambe.”

Santana pestò un piede a terra. Sapeva che dando sfogo alla sua rabbia gli infermieri avrebbero solo aumentato i controlli su di lei,ma odiava questa situazione. Odiava che dovesse alzarsi alle sette del mattino per far visita al medico,odiava dover prendere tutte quelle vitamine,odiava essere rinchiusa in quella trappola per topi da tre anni e odiava se stessa. Si odiava talmente tanto che aveva iniziato a punirsi da sola. Aveva iniziato a pagare caro quelle debolezze che la legavano,come catene invisibili a quel luogo infernale.
“Io sono guarita.” Strepitò la ragazza massaggiandosi la fronte con i polpastrelli. “Non ho bisogno di tutte queste …” Santana roteò vorticosamente le braccia “queste attenzioni. Ho diciotto anni,non sono una bambina.”

Il medico le si avvicinò,accompagnandola alla bilancia contro il muro della sala.
“Santana,sono appena le otto,siamo tutti stanchi e nessuno ha voglia di imbottirti di antianalgesici,ti costa tanto collaborare?”
La ragazza si ravvivò i capelli,salendo sulla bilancia,visibilmente seccata. Sapeva di avere un problema. Sapeva quali rischi aveva corso nei mesi precedenti ma quel controllo costante sulla sua vita la opprimeva. Ed era proprio per quello che aveva iniziato a vomitare.
Ricordava a malapena la prima volta che la sua trachea incontrò la punta del suo spazzolino,aveva cambiato così tante volte versione che ora anche nella sua mente il ricordo era sfocato e nebbioso.
Era dopo una gara,di quello era certa. Ricordava la sensazione del magnesio sulle sue mani e ricordava il dolore lancinante alle ginocchia mentre si accasciava accanto al water. Era troppo grassa.
Troppo grassa per effettuare un uscita senza errori alle parallele. Troppo grassa per compiere un volteggio perfetto,e Santana Lopez non poteva permetterselo.

“Spalle dritte” La invitò il dottor Parker mentre annotava il suo peso sul suo classico blocco degli appunti.
49.7 Kg.
Otto chilogrammi e 3 in più del giorno in cui l’avevano ricoverata in struttura quattordici mesi prima.
Santana sentì l’aria mancarle e la bile salirle in gola. Ormai non aveva nemmeno più bisogno di causarsi il vomito manualmente,era quasi un riflesso innato.

“Bene,è un ottimo traguardo,Santana.” Le sorrise il medico,porgendole la vestaglia “Ci vediamo alle undici in sala riabilitazione.” Disse,soddisfatto dell’ottimo lavoro che svolgeva con la paziente.
La ragazza si vestì,aspettando che gli infermieri la scortassero nella sua camera per godersi la sua ultima ora di riposo prima che il frenetico ritmo del Saint Patrick s’impadronisse anche di quella giornata.
Aveva bisogno di Brittany,e ne aveva bisogno in quel momento.

 

                                                                                       *

 

Sebastian si portò la sigaretta alle labbra ispirando profondamente mentre il fumo gli penetrava nei polmoni.
La fredda aria di Dicembre gli graffiava il volto,ghiacciando l’aria che espirava.
Erano appena passate le otto del mattino e l’istituto sembrava immobilizzato dal freddo. Era avvolto in un cappotto nero affacciato al balcone della sua camera all’ultimo piano della struttura. Provava pena per i pazienti che dovevano condividere la stanza con altri ragazzi mentalmente instabili.
Qualche tempo fa,in struttura c’era un ragazzo con uno strano tic nervoso, ogni notte verso le quattro esplodeva in un’infinita serie di urla strazianti che svegliavano l’intero piano.
Aveva meditato una gratificante vendetta che comprendeva un repellente per insetti e un cappio,ma il ragazzo aveva tolto il disturbo prima che Sebastian riuscisse a procurarsi un pezzo di corda abbastanza lungo.

Si rigirò il mozzicone tra il pollice e l’indice prima di lasciarlo cadere sotto, dove iniziò a scaldare la neve che ne aveva attutito la caduta.
Con un rapido gesto della mano si scostò un ciuffo di capelli dagli occhi.  Si sentiva intrappolato nel bianco che lo circondava. La neve sotto di lui era bianca,le pareti della sua stanza erano bianche,il cielo sopra di lui era bianco. E lui era nero. Era un minuscolo puntino nero immerso nel bianco più totale.
Il bianco lo terrorizzava,lo metteva a nudo davanti a tutti,lo faceva sembrare debole. Per questo aveva deciso di diventare un puntino nero,e proprio per questo si era beccato l’AIDS.

Il bianco che lo circondava a Parigi non era opprimente,anzi. Era persino comodo perdersi nel pallore delle lenzuola altrui e svegliarsi la mattina senza dover rendere conto di niente a nessuno,come una lunga vacanza ai confini della civiltà.
Finché tutto quel bianco non l’aveva toccato dove lui non poteva proteggersi. All’interno. Nel suo stesso sangue.
Il nero aveva preso il sopravvento. Si era impadronito della sua vita, delle sue giornate,della sua voce e delle sue lacrime. Un lungo susseguirsi di nero che contrastava contro il bianco esterno.
Era più facile rintanarsi in se stesso che dover fare i conti con la realtà. Fingere che nulla fosse cambiato e continuare a recitare la lunga e vecchia storia del cattivo ragazzo senza sentimenti e con il sangue sporco.
Sì,perché il suo sangue, che aveva terrorizzato i suoi genitori a tal punto da rinchiuderlo al Saint Patrick, attirava tanti figli di papà con una vena sadica innata.

Ormai erano quasi due anni che condivideva le sue giornate con lui. Due anni dal giorno in cui sua madre l’aveva sbattuto all’entrata di un ospedale. Due anni da quando aveva pianto la prima volta.
Amava fingere di non provare niente ma spesso si ritrovava a combattere contro il ragazzo che lo fissava dallo specchio del bagno,che lo faceva sentire così piccolo,così solo,così insignificante.

“Oh cazzo,Sebastian ci saranno due gradi.”
La voce del ragazzo gli arrivò alle orecchie limpida e chiara,come una doccia calda in pieno inverno.
“Ero convinto fossi abbastanza grande da poter muovermi liberamente almeno nella mia stanza – rispose sarcastico Sebastian – O forse sono troppo instabile per poter fumare una sigaretta sul mio balcone.”
Josh gli sfilò il pacchetto di sigarette dalla mano con un gesto brusco.
“Sbaglio o ne abbiamo già parlato? Il dottor Parker ti ha specificatamente detto di non fumare. Il fum-”
“Il fumo uccide?” Chiese Sebastian scoppiando in una risata carica d’amarezza. “Sei arrivato alla mia stessa conclusione con due anni di ritardo,bel fondoschiena.”

L’infermiere avvampò visibilmente,era abituato alle continue avances di Sebastian,ma quel ragazzo lo inteneriva immensamente. Era uno stronzo e più di una volta aveva cercato di metterlo in situazioni piuttosto compromettenti,ma non riusciva a non tornare lì ogni dodici ora per portargli gli antistaminici.

“Sebastian puoi fare la persona seria per cinque minuti?” Chiese Josh posando il bicchiere e le pastiglie sul comodino del ragazzo.
Sebastian inarcò le sopracciglia maliziosamente “scusa ma i tuoi pantaloni mi distraggono alquanto.”
“Ok,Sebastian,io ti avevo avvertito – Sospirò Josh – Non vorrei essere costretto a chiamare il dottor Parker e informarlo del tuo vizietto.”
Sebastian impallidì. Un conto era farsi scoprire con una sigaretta in bocca da Josh,era sexy comportarsi da cattivo ragazzo con lui, ma , nonostante odiasse ammetterlo , il dottor Parker era la cosa più simile ad un tutore che aveva avuto negli ultimi anni, e se fosse venuto a conoscenza delle sue scorte di sigarette probabilmente lo avrebbe messo sotto torchio per mesi , procurandosi ventine di video sugli effetti immediati del fumo sull’apparato respiratorio.

“Ok,Nixon hai vinto tu.” Si arrese Sebastian porgendogli il pacchetto di sigarette che teneva nella tasca del cappotto  “Però devi fare una cosa per me.”
Josh incrociò le braccia al petto, divertito dal comportamento provocante del ragazzo “E sarebbe?”
“Beh … “ disse Sebastian,avvicinandosi al ragazzo. Riusciva a sentire il suo fiato mescolarsi al suo,talmente erano vicini. Aveva un marcato odore di menta,e la menta gli piaceva tanto da spingerlo a leccarsi le labbra. Josh era decisamente attraente. Aveva dei disordinati capelli castani che gli incorniciavano il viso,due occhi da cucciolo e un corpo esile e muscoloso. Queste cose Sebastian le sapeva,perché , negli ultimi sei mesi, mentre si ripassava l’intero istituto pensava sempre all’unico ragazzo che non poteva avere. E sapeva di aver bisogno di superare anche quel limite. Qualsiasi cosa potesse fare per togliersi quel chiodo fisso dalla testa meritava di essere fatta.

“Ti farò sapere.” concluse allontanandosi dall’infermiere ammiccando.

 

                                                                                        *

 

Blaine si rigirò nelle coperte,disturbato dalla flebile luce che filtrava dalle tende. Avrebbe preferito mettere la testa sotto al cuscino e non uscirne più.
Si portò una mano sugli occhi per coprirsi da tutta quella luce,mentre strisciava fuori dalle lenzuola. Era il suo terzo giorno in istituto,o almeno così gli aveva raccontato il dottor Parker la sera prima.
Non ricordava praticamente niente delle quarantotto ore precedenti, niente tranne il calore delle sue lacrime sulle sue guance.
Si sedette sul bordo del letto,cercando un qualcosa con la quale coprirsi. In quei due giorni non aveva nemmeno parlato con il suo coinquilino,anzi non era nemmeno sicuro di averlo intravisto tra una crisi isterica e l’altra. Il suo letto era affiancato a quello del ragazzo,perfettamente pulito e ordinato.
Sua madre diceva che dalla camera di una persona si potevano capire molte cose,e lui aveva un’occasione per conoscere il suo compagno di stanza senza.

Blaine infilò i piedi nelle ciabatte adagiate accanto al suo letto e si sporse sul comodino accanto al suo.
Vi era appoggiata una copia di “Romeo e Giulietta” avvolta da una copertina nera e perfettamente lucida.
Blaine aveva letto qualche opera di Shakespeare al corso di letteratura,l’anno precedente, ma non si erano soffermati a lungo su quel libro. Venendo da una scuola maschile i libri sull’amore non erano molto quotati eppure anche il suo compagno di stanza era un ragazzo,o almeno così credeva,non avendolo ancora visto non poteva avere fonti sicure.

Blaine si fece scivolare il libro sulle ginocchia e accarezzandone la prima pagina. Era una vecchia edizione,anche abbastanza costosa. Una di quelle che immagini nelle librerie della borghesia inglese, non in mano ad un ragazzo rinchiuso in un istituto di riabilitazione.
Aprì con cura la prima pagina,dove trovò una breve frase scritta in un elegante corsivo.
A Kurt da Elizabeth”

Ora tutto aveva senso. Gliel’aveva regalato la fidanzata,era plausibile come ipotesi. D’altronde era un libro romantico e le ragazze in genere erano romantiche.
Beh,lui non poteva saperlo. Non aveva mai avuto una ragazza,non che non avesse mai ricevuto proposte ma più che altro perché … non erano il suo genere.

Il ragazzo passò un dito nel solco lasciato dalla penna su quella carta così costosa, chiedendosi se Kurt avesse apprezzato quel regalo, se l’avesse letto tutto d’un fiato o se si fosse perso nei dettagli della storia.
Di colpo si ritrovò a fantasticare sul suo compagno di stanza. Lo immaginava biondo,con gli occhi blu,alto e magro,come Cody,il ragazzo per cui aveva una cotta alla Dalton. Il suo Kurt era un nuotatore e adorava il cibo messicano.

“Ehm … Blaine giusto?”

Blaine alzò lo sguardo,terrorizzato da quella voce così melodiosa che proveniva da un esile ragazzo di fronte a lui.
“Sì,sono io.” Rispose in tutta fretta,appoggiando il libro sul comodino,in bilico su una penna stilografica.
Blaine odiava le leggi fisiche,eppure pure un ignorante come lui sapeva che quel libro sarebbe caduto nel giro di un paio di secondi,ma prima che potesse iniziare a imprecare il ragazzo di fronte a lui si lanciò in avanti per afferrarlo.

“Ok,credo che questo sia meglio lasciarlo qui.” Disse il ragazzo,posando il libro sul comodino. “Comunque io sono Kurt.”
Blaine era alquanto confuso. Si aspettava che Kurt gli urlasse contro per aver preso il libro senza il suo permesso,come era solito fare Cooper,e invece era in piedi di fronte a lui che gli porgeva la mano.
“Blaine,Blaine Anderson.” Si presentò velocemente Blaine,ricambiando la stretta.

Kurt era decisamente diverso da Cody. Era un po’ più basso,e aveva dei capelli castano chiaro,quasi biondi sulle punte che ne mettevano in risalto il viso,ma lo sguardo di Blaine venne catturato immediatamente dai suoi occhi. Brillavano più di tutti gli anelli di sua madre messi insieme e sembravano sorridere senza bisogno di altro.

“Bene, Blaine Anderson, vedo che ti piace Shakespeare.” Scherzò Kurt infilandosi le mani in tasca.
“Beh …”
“Io amo William – Continuò il ragazzo – E’ una sorta di droga per me,potrei passare giorni interi a leggere in generale,ma lui è un gradino sopra. Cavolo,sto parlando a vanvera.- Disse colpendosi in fronte con il palmo  della mano. – Erano giorni che immaginavo il mio primo discorso con il mio nuovo compagno di stanza e rovino tutto così,dovresti odiarmi”
“Non sono stato molto di compagnia in questi due giorni,vero?” Disse Blaine arrossendo.
“Ti posso capire. I primi giorni sono i peggiori,alcuni piangono per settimane. Io ci h messo cinque giorni a formulare la prima frase di senso compiuto.” Scherzò Kurt.

Blaine sorrise. Blaine sorrise per la prima volta dopo giorni,e l’unica ragione di quel sorriso era una battuta di un ragazzo che aveva conosciuto pochi minuti prima.

“Sbaglio o quello era un sorriso?” Chiese Kurt, aprendosi a sua volta in un sorriso a trentadue denti. “Beh, Blaine Anderson,benvenuto nella camera 113 c.”

 

                                                                                     *

Santana entrò nella stanza,chiudendosi a chiave all’interno.
Lasciò cadere la vestaglia su una sedia e si buttò sul letto al centro della stanza dove una ragazza era stesa con la testa affondata nel cuscino e i lungi e lisci capelli biondi sparsi sulla schiena.
“Britt “ sussurrò all’orecchio della ragazza ci cingendole le spalle con un braccio. “Sono io,Santana.”
La bionda inspirò profondamente,come per catturare l’odore della mora.
“Santana.” Mormorò debolmente.
“Sì,Brittany,sono io.” Rispose dolcemente,scostandole dei capelli dagli occhi,ancora chiusi.
“Dove siamo?” chiese la ragazza,aprendo gli occhi impaurita.
“Siamo in Istituto Brittany,ricordi?” pronunciare quelle parole fu come una coltellata in pieno petto.
Osservò gli occhi azzurri della ragazza vagare per la stanza in cerca di qualcosa che Santana non riusciva a cogliere.
La mora sospirò profondamente e le prese la mano,convincendo Brittany a guardarla negli occhi.
“Buongiorno amore” le sussurrò contro le labbra,convinta che almeno quello Brittany non avrebbe potuto dimenticarlo.
La smorfia spersa di Brittany si trasformò in un debole sorriso. Poteva non ricordare dov’era,poteva non ricordare che giorno o che anno era,ma di una cosa non si sarebbe mai dimenticata. Santana.

“Bene,Britt,che dici,andiamo a farci una doccia?”
La bionda annuì,strofinando il suo naso contro quello della fidanzata.
“Ti aspetto dentro.” Sorrise la ragazza entrando in bagno.

Santana la seguì con lo sguardo,finché non sentì lo scattare della serratura del bagno darle il via libera,a quel punto la ragazza afferrò il barattolino di pillole che teneva nel cassetto del comodino,posandone un paio sul palmo della mano.

Beh,buongiorno Saint Patrick.” Disse Santana,con una punta di amarezza ingoiando tutto d’un fiato gli antidepressivi.

 

 

N.d.A
Ehm… Salve. Bene,storia nata dal nulla durante l’Estate più difficile della mia vita. L’idea dell’Istituto di Riabilitazione per figli di papà mi perseguita da quando ho trovato un post simile di un RP su tumblr.
Ovviamente ci saranno vari sviluppi perché ammetto che la trama è leggermente piatta per il momento. Avviso che la storia potrebbe raggiungere un livello di Angst che nemmeno io posso controllare.
Non ho subito messo in chiaro tutti i disturbi di cui soffrono i personaggi ma diamo tempo al tempo.
Spero vivamente che vi sia piaciuto.
Lo dedico a Dalila,la mia metà,Fede che mi ha aiutato a mettere il tutto su carta e a Fra che c’è sempre per i mie scleri.
Love you all c:

Giuls 

  
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