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Autore: Sam Vega    25/09/2012    7 recensioni
Shaun Fraser, diciott'anni, una chitarra e tanti sogni di diventare un cantante famoso. Ma Londra non sarà così scintillante come appariva quando la sognava dalla sua stanza in Scozia.
Storia ispirata alle canzoni e alla vita di Paolo Nutini
Genere: Slice of life, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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1.

Now who’s the fool

Song

 

Alle nonne bulle, che alla loro età decidono ancora di laurearsi,
A coloro che con il loro entusiasmo contagiano il mondo
Allo snobbismo musicale e ai suoi seguaci


 

“Wow, un addio in grande stile! Addirittura il sole” pensò mentre stringeva gli occhi, infastidito dal riflesso abbagliante sulla vetrina accanto. Crogiolandosi in quel tepore così strano per il tipico clima scozzese di inizio autunno, Shaun si fermò e, chinando lievemente la testa di lato, si accese l’ennesima sigaretta della giornata, ridacchiando per quell’orribile accendino da quattro soldi, adatto solo per i turisti in cerca di un souvenir scontato, che gli aveva regalato il suo fratellino Jeff.

Così non ti scorderai mai di casa”, si era giustificato. Come se avesse avuto bisogno di quell’adesivo di plastica per ricordarsi le strade che l’avevano visto crescere, correndo in giro per il quartiere con gli amici di sempre, quando la massima preoccupazione era non far vedere alla mamma lo strappo nuovo di zecca sui jeans. Evidentemente il fatto che fosse il trofeo di una caduta trionfale, avvenuta a seguito di un recupero del pallone finito chissà dove, non era così importante a casa come lo era tra l’allegra brigata. Che nome assurdo poi… A quattro anni, lui e Callum avevano passato quel fastidiosissimo periodo dove un film viene eletto a capolavoro assoluto, nonché guida di vita, e la loro scelta era ricaduta su Robin Hood. Quindi tra una dichiarazione di amore e l’altra alla Lady Marion di turno, le due pesti di Glenfield Road si erano autoeletti a Robin e Little John, affibbiando al resto della compagnia l’appellativo di allegra brigata. Appellativo che era poi rimasto negli anni, quando gli strappi sui jeans erano stati sostituiti dai primi dischi, i primi cuori infranti e, ovviamente, le prime bevute.

Sorridendo tra sé e sé, crogiolandosi in quella sensazione dolceamara così tipica dei ricordi felici dell’infanzia, non si accorse nemmeno di essere quasi arrivato alla meta. Passando davanti al Fish & Chips dei genitori di Callum e dopo aver salutato scherzosamente la proprietaria lanciandole un bacio, salì i due gradini che portavano alla grande porta di legno che altro non era se non l’entrata del negozio di sua madre. L’aprì con la sicurezza di chi sa di trovarsi a casa e, mentre la campanella posta sopra la porta segnalava la sua presenza, fu investito dall’odore di libri e carta così tipico di quel luogo.

-Arrivo!- sentì urlare da un punto non ben specificato tra la seconda fila di scaffali e il retro. Mentre l’aspettava, cominciò a gironzolare sovrappensiero, non rendendosi conto di come i suoi piedi lo stavano portando nell’angolo che per lui era il più familiare lì dentro. Suo padre gli raccontava sempre su come non avesse mai avuto dubbi sui suoi geni, quando alla veneranda età di due anni, dopo essere sfuggito alla supervisione di sua madre, era stato ritrovato proprio in quel cantuccio, con in mano un libro sui Pink Floyd. Il fatto che lo stesse sfogliando al contrario e che l’avesse impiastricciato con qualche sostanza non identificata fu messo immediatamente in secondo piano non appena il signor Tim Fraser si accorse che il ditino paffuto di suo figlio indicava la copertina di “The Dark Side of The Moon”. Da quel giorno, quell’incavo tra la parete e una delle librerie era diventato il suo rifugio, che con gli anni era stato arredato prima con cuscini e poi con una poltrona dall’ignota e dubbia provenienza.

Già, peccato che quel giorno il suo angolo di paradiso fosse occupato da qualcun altro. Una testa spettinata esattamente come quella di Shaun si scorgeva appena dietro a un tomo delle stesse dimensioni di tre elenchi telefonici sovrapposti. Non era la mole del libro a spiazzare Shaun, quanto il tema: Rudimenti di ingegneria nautica. Nulla di strano in sé per sé, peccato solo che il colonizzatore del suo angolino prediletto altri non era che suo fratello Jeff, che a soli dieci anni leggeva già di argomenti che lui non si sarebbe mai sognato nemmeno a trent’anni!

-A forza di leggere roba del genere, ti cadranno tutti i capelli, e poi puoi stare certo che Hanna non ti guarderà più,- commentò ridacchiando sotto i baffi, mentre osservava con crescente ilarità suo fratello spuntare da dietro al mattone, gli occhi sgranati dal terrore più puro. Non poteva permettersi di perdere la sua amata, rischiando che finisse tra le braccia del suo acerrimo nemico: il ragazzino di quarta di cui non conosceva neanche il nome che abitava in fondo alla strada.

E, mentre da un lato un fratello se la rideva e l’altro meditava piani per conquistare la sua bella, da dietro uno scaffale fece capolino la signora Fraser, con in mano il libro richiesto da uno dei suoi clienti più esigenti.

-Ah, eccoti, pensavo non arrivassi più!

-Tranquilla mamma, visto che ti lamenti che faccio sempre le cose all’ultimo minuto, ho finito la valigia con addirittura quattordici ore di anticipo rispetto alla partenza. Non sei fiera di me?- si vantò Shaun, esibendo il suo sorriso marpione collaudato che aveva affinato negli anni, fin da quando aveva scoperto l’effetto che aveva sulla signorina Kathy, la sua prima maestra d’asilo. Peccato solo che tale tecnica funzionasse con qualsiasi essere di sesso femminile, tranne che con sua madre!

-Certo, il fatto che ora sei in ritardo per accompagnare tuo fratello è assolutamente irrilevante, immagino.

Shaun la liquidò con un gesto vago. Tuttavia, mentre agitava la mano a pochi centimetri dal suo viso, si accorse di aver commesso un terribile errore: tra le dita reggeva ancora la sigaretta accesa, che fino a quel momento era miracolosamente passata inosservata all’occhio di sua madre. Ogni tentativo di nasconderla fu vano, perché con la stessa velocità con cui il suo cervello aveva realizzato l’irrimediabile smacco compiuto, la vena di sua madre cominciò ad ingrossarsi visibilmente. E a tutti era noto come quella particolarità, unita al rosso acceso sul volto, fossero inequivocabili segni di una terribile tempesta in arrivo.

-Shaun Timothy Fraser, quante volte dovrò ancora ripeterti di non fumare qui dentro?
Shaun fece appena in tempo ad afferrare fratellino e chiavi della macchina e uscire dalla porta, prima che l’innocuo libro che fino a qualche istante prima riposava indisturbato nel magazzino venisse scagliato contro la porta di entrata.

-Questa volta l’hai scampata per un pelo, ma mi sa che stasera niente cupcakes per te. E visto che mamma non è riuscita a punirti, credo sia opportuno che trasporti tu il mio borsone,- lo ammonì con fare saccente Jeff, mollando il suo equipaggiamento calcistico di colpo sul terreno, e per di più alzando il mento per dimostrare, anche fisicamente, la sua superiorità rispetto a quello scapestrato fratello che si era ritrovato.

-Gnomo, non ci provare neanche! Se non raccogli quel borsone entro due secondi, non ti porto ad allenamento. E se non ci vai, resterai per sempre con quelle gambette rachitiche che ti ritrovi, non giocherai mai per i Celtic Glasgow e Hanna non ti vorrà mai.

Jeff, sbuffando come una locomotiva, obbedì, e arrancando sotto il peso del suo borsone da calcio cominciò a maledire il giorno in cui aveva confidato a suo fratello la sua prima cotta.

 




*****

 




-Su i bicchieri ragazzi, stasera si festeggia! Dopo diciotto anni di sopportazione finalmente ce ne liberiamo!- urlò Dylan, informando della partenza di Shaun anche le due ragazze che, ignare del tutto, cercavano di godersi in pace le loro birre in fondo al pub. All’occhiata truce lanciatagli da una delle due, cercò di rispondere sorridendo e appoggiando la guancia su una mano in modo ammiccante. Peccato non aver considerato l’effetto delle tre pinte precedenti che, dannate loro, gli fecero mancare l’obiettivo, con il solo risultato di una testa sbattuta contro il tavolo, un imminente livido sul mento e le risate dei suoi amici.

Dylan Cooper a una prima occhiata poteva sembrare una persona seria: capelli tagliati corti, barba sempre appena rasata e viso dall’aria pacifica. Peccato poi che, alla prima parola versata, tutta la sua esuberanza e la sua rumorosità venissero alla luce. Non era uno dei membri fondatori della compagnia; anzi, a dirla tutta, il primo giorno di scuola non fu neanche così contento quando quel bambino magrolino, dai capelli decisamente troppo lunghi per i suoi gusti, ebbe la geniale idea di sedersi vicino a lui. Ma galeotto fu quel pennarello blu perduto proprio quando la maestra voleva disegnassero il mare, e l’amicizia scoccò. La scoperta dei primi album, inseriti di nascosto nel giradischi di papà Cooper e ascoltati davanti alla merenda avevano fatto il resto.

-Piantala di fare il buffone perché, prima di tutto, neanche tra mille anni quella ti avrebbe degnato di uno sguardo se non fosse stato per i tuoi modi fini e aggraziati quanto quelli di un pastore delle Highlands. E poi è inutile che fingi, sappiamo tutti che da domani resterai rintanato in camera tua ad ascoltare Jeff Buckley, crogiolandoti nella disperazione più nera perché il tuo compagno di diatribe musicali ti ha lasciato solo. I nostri timpani invece, quelli, ringrazieranno, visto che non potrebbero sopportare un’altra litigata a tema “Qual è il miglior disco degli Who?”

Darren, un altro dei membri storici della compagnia, con un tempismo perfetto rese nota la sua presenza nel locale, non perdendosi l’occasione di prendere in giro l’amico. Ai più era noto come il nerd del quartiere, ma secondo lui, nessuno capiva la poesia contenuta in ogni nuovo volume della Marvel, o la maestosità dei cavalieri di Rohan1, o la musicalità delle fantasiose costruzioni grammaticali di Yoda2. La sua smodata passione per tutto ciò che i più considererebbero “futile” o “infantile” era seconda solo a una cosa: tormentare Dylan in ogni modo. Fiero della sua battuta, cercò il sostegno di Cameron tramite una gomitata. Sostegno che arrivò, ma non esattamente nel modo in cui si era immaginato:

-Già, quando attaccate quella solfa siete quasi peggio di Darren e i suoi X-men!

-Ehi! Io almeno ho la decenza di non andare avanti una sera intera litigando su chi sia il migliore tra Wolverine e Gambit, anche se è palese al mondo intero che Gambit…3

-No, tu almeno hai la decenza di non cominciare a litigare con te stesso, visto che non hai nessuno con cui farlo!

Gli altri tre scoppiarono a ridere, mentre il povero Darren, sbuffando contro quei babbani dei suoi amici, ricominciava a giocherellare con il mazzo di carte che aveva l’abitudine di portarsi dietro da quando era ancora un brufoloso adolescente con un grande sogno: raggiungere il livello di maestria del suo idolo. Negli anni, fortunatamente, l’acne era passato, l’amore per Gambit, al contrario, no.

-Tanto lo so che ti mancherò da impazzire, mio piccolo cucciolo di labrador,- squittì Shaun con la tipica voce che le adolescenti usano per rivolgersi ai loro animali. Gettò le braccia al collo di Dylan, cercando di coinvolgerlo in un bacio passionale, mentre questo, terrorizzato, tentava di tenerlo alla maggiore distanza possibile. Questa era la scena che si presentò davanti agli occhi degli altri due membri dell’allegra brigata al loro arrivo: Teri e Amy, gli unici due membri femminili della compagnia, fecero il loro trionfale ingresso, l’una rubando la birra a Shaun, e l’altra facendosi spazio con la sua rinomata grazia, sedendosi tra Darren e Cameron.

-Dai, ora che siamo arrivate potete anche smettere di fare i finti intellettuali e parlare di cose serie. Hai visto quella in fondo all’angolo? Ha due…

-Sì, Amy, ha dei bellissimi OCCHI! Vedo che il corso di ballo a cui ti sei iscritta per far felice tua madre non ti ha ancora reso una signorina degna delle feste degli Windsor,-la prese in giro Cameron, imbarazzandosi lui per l’infelice uscita dell’amica.

Amy era un uragano di un metro e sessanta scarsi dai capelli rossi – non arancioni, rossi, come amava specificare lei. Cresciuta con tre fratelli maggiori, aveva ben deciso di circondarsi di ragazzi anche nel suo giro di amicizie. Il risultato era stato la distruzione dei sogni di sua madre, che ai boccoli aveva dovuto sostituire una ben più pratica treccia, e alle gonnelline di pizzo degli shorts da calcio. Ogni sera al ritorno di sua figlia dal parco, la donna poteva solo limitarsi ad ascoltare i racconti estasiati della bambina, mentre descriveva al padre per filo e per segno la partita del pomeriggio. Purtroppo, oltre alla passione per il calcio, i suoi amici le avevano trasmesso anche la discutibile abitudine di commentare ogni ragazza che capitasse sotto i loro occhi; non che Amy fosse interessata alle ragazze in sé per sé, ma era così abituata a sentire le battutine degli altri che era stato naturale iniziare anche per lei. La mancanza di peli sulla lingua di lei, veniva controbilanciata dall’imbarazzo che provava il povero Cameron ogni qual volta la sventurata di turno per sbaglio ascoltava la sentenza che la rossa sfornava a voce decisamente troppo alta dopo un’attenta analisi. Le occhiatacce se le beccava sempre lui, probabilmente per la sua stazza che non passava facilmente inosservata: l’anno prima una turista americana gli aveva rovesciato addosso la sua birra, accusando lui e la sua “ragazza” di essere alla ricerca di una terza persona per soddisfare le loro perversioni. Quell’aneddoto era ormai diventato leggenda, e per quanto Cam si sforzasse di dimenticare, veniva periodicamente riesumato da uno di quegli sciacalli dei suoi amici che si divertivano ancora a ridere delle sue sventure.

E, mentre da una parte Cameron e Amy battibeccavano riguardo a un eventuale ripasso dell’etichetta, e dall’altra Dylan cercava disperatamente di spiegare per l’ennesima volta a uno sconvolto Darren perché non era socialmente accettabile collezionare action figures di Star Trek a diciott’anni, Teri scavalcò abilmente la panca, sedendosi accanto a Shaun.

-Pensi di ridarmi la mia birra prima o poi?

-Non vedo perché dovrei. Se non sbaglio me ne devi ancora una come pagamento per averti suggerito al compito di matematica due anni fa! E ringrazia che non ti chiedo gli interessi…

Con un movimento fulmineo Shaun le rubò il boccale di mano, e cominciò a gustarsela mentre le proteste di lei si facevano sempre più accese.

-Su, su, fai la brava che da domani dovrai esercitare di nuovo gli occhi da cerbiatta con qualche povero sventurato per bere a sbaffo,-la schernì lui, passandole un braccio intorno alle spalle e stringendola affettuosamente a sé.

-Spiegami perché io non posso avere Spock4 sul comodino quando tu puoi incorniciare quel disco giallo sulla parete!- la voce di Darren giunse alle loro orecchie.

-Shaun, ti prego,-lo implorò Dylan, - dì qualcosa al TUO amico! Senti che eresie? Il disco giallo… IL DISCO GIALLO! Quella è una copia tiratura originale di Never Mind The Bollocks!

-Mi dispiace, ragazzi, ma non mi metterò a discutere anche stasera. Lunga vita e prosperità,- rispose Shaun scimmiottando il saluto del vulcaniano.

-Ecco, vedi che almeno lui mi da un po’ di soddisfazioni! Diciott’anni di amicizia e non hai neanche imparato una parola di Klingon!5

La serata proseguì come sempre all’Orchy6, tra sguardi fulminanti rivolti dai tavoli accanto, uscite alquanto infelici di Amy, sconforti di Cameron e battibecchi da Darren e Dylan che vennero prontamente rinominati da Teri bisbetiche non domate7. Shaun, invece, quella sera se ne restò relativamente in disparte, cercando di immagazzinare quante più sensazioni possibili, ben conscio di come tutti quei momenti, quei luoghi e quegli atteggiamenti a lui così familiari sarebbero stati lontani mille miglia da lui il giorno dopo. E, mentre gli altri erano troppo presi da altro, Teri fu l’unica ad accorgersi della malinconia che lo circondava, e si strinse a lui come per confortarlo, sapendo che qualsiasi parola sarebbe stata inutile data la sua abitudine di trasformare tutto in una battuta. Grato di quella piccola attenzione, e conscio del suo significato, le sorrise, passandole un braccio intorno alle spalle e giocherellando coi suoi capelli.

Quando l’eco delle campane della chiesa segnalarono la mezzanotte, Shaun si alzò, tentando di recuperare la camicia a quadri che aveva abbandonato da qualche parte a inizio serata.

-Cenerentolo, dove pensi di andartene? Tanto la tua bella ce l’hai qua!

Shaun non ebbe nemmeno bisogno di rispondere visto che venne prontamente zittito da un sottobicchiere volante che si schiantò contro la sua faccia, casualmente proveniente dalla direzione di Teri. Erano anni ormai che convivevano con le battutine su un’ipotetica storia tra loro due, anche se ogni volta i diretti interessati si ostinavano a riproporre la versione ufficiale: siamo solo amici. Di certo però l’essere stati beccati da Dylan, nascosti in uno sgabuzzino in attività che di certo non comprendevano cercare detersivi per pavimenti, non li aveva aiutati, così come non lo avevano fatto le ripetute sparizioni nel medesimo istante e per periodi prolungati durante varie feste nel corso degli anni.

-Al contrario di te, che ancora vieni coccolato da quella santa donna di tua madre, io domani mattina ho un treno da prendere,- replicò piccato il ragazzo.

Il momento temuto ed appositamente ignorato da tutti, era dunque arrivato. Erano ben consci di come quell’istante avrebbe cambiato definitivamente tutte le dinamiche e avrebbe scombussolato la routine a cui erano abituati fin da bambini.

-Bene, tocca a me essere il responsabile e fare le raccomandazioni: non accettare caramelle dagli sconosciuti, indossa la maglia di lana e guarda sempre prima di attraversare la strada, ok?- esordì Cameron, avvicinandosi per abbracciarlo. Il metro e novantaquattro di muscoli del suo amico si abbatté su di lui, lasciandolo per un istante senza fiato.

-Cam, stai forse cercando di trattenermi qua spezzandomi una costola?

-Veramente contavo di spezzarne almeno due, sai com’è, giusto per andare sul sicuro,- rise l’altro, allontanandosi mentre Darren si infiltrava in mezzo.

-Darr, fammi un favore, per amor di pace, stacca il poster di Gambit,- suggerì Shaun.

-Mai! Non rinnegherò mai il mio mentore! Vi pentirete di queste assurde richieste una volta che avrò capito il segreto del suo fascino e stuoli di cosplayer di Rogue8 capitoleranno ai miei piedi!

-Peccato che per il momento, al massimo, puoi assomigliare a Neville Paciock,- replicò la voce di Dylan.

-Ma bene, vedo che finalmente qualcosa in zucca è entrato! Citazione da Harry Potter. Notevole, anche se un po’ mainstream.

Shaun lo abbracciò per non strozzarlo, mentre dietro di loro, Dylan scoppiava in una sonora risata. E poi fu il turno del saluto più difficile. La mente ripercorse veloce i mille attimi trascorsi insieme, fianco a fianco: le partite a calcio nel parco dietro casa, le corse sfrenate in bici, molte delle quali terminate bruscamente con salti degni del Cirque du Soleil, ma con atterraggi non altrettanto aggraziati. E come non rimpiangere i pomeriggi passati nel garage di casa Fraser che come scopo avevano la creazione della loro prima band, ma che finivano inevitabilmente con loro due sdraiati per terra spalla a spalla, passandosi una sigaretta mentre il padrone di casa spiegava dettagliatamente tutti i motivi per cui Tommy era indubbiamente superiore a Quadrophenia9. E mentre i due restavano imbambolati, non sapendo come, o forse non volendo affrontare il momento, un aiuto inaspettato arrivò.

-Visto che la tensione sessuale è palpabile tra voi, perché non vi salutate con un bel bacino che vi farà scoprire quanto siete stati innamorati l’uno dell’altro per tutto questo tempo, decidendo di vivere per sempre felici e contenti in un bel cottage in campagna? Aggiungerei anche un paio di pargoli biondi, ma c’è un limite fisico. Però ho letto che la scienza sta facendo passi da gigante e potreste sempre…

Amy fu prontamente interrotta da Shaun, che abbracciò la rossa, impedendole di finire la frase.

 




*****

 




L’aria fresca della sera lo colpì appena uscito dal locale; avviandosi lungo la strada, cominciò a rovistare nelle tasche alla ricerca delle chiavi della macchina.

-Quindi il gran giorno è arrivato, eh?- spezzò il silenzio Teri, mentre procedeva accanto a lui, stringendosi nel cardigan.

-Già…

-Vedo che sei di molte parole stasera,- rise lei, ottenendo come risposta solo uno grugnito.

Dei passi veloci riecheggiarono alle loro spalle, mentre la voce di Cameron li chiamava.

-Shaun, potresti un attimo…- tentenno Cameron, lanciando uno sguardo a Teri.

-Ho capito, cose da uomini. Ti aspetto in macchina.

Shaun le diede le chiavi e la ringraziò con un occhiolino, a cui lei rispose con uno sbuffo e roteando gli occhi, strappandogli un sorriso.

-Scusami, prima mi sono dimenticato di una cosa. Dovrei spedire questo a Londra, ma visto che ci vai domani pensavo di usarti come pony express personalizzato,- ridacchiò l’amico, porgendogli una grossa busta bianca indirizzata a una delle numerose università della capitale.

-Ma tu non avevi deciso di restare qua e non abbandonare i tuoi amatissimi compari rugbisti?

-Scoprirai tutto a tempo debito. Per ora dai la cera e togli la cera, Shaun-san10.

-Tu passi decisamente troppo tempo con tuo cugino e la cosa comincia a preoccuparmi.

Cameron ridacchiò e, dopo aver ricompensato l’amico con una “delicata” pacca su una spalla, si incamminò di nuovo in direzione dell’Orchy. Avviandosi verso la macchina, Shaun cominciò a giocherellare con la busta, notando come al posto del mittente figurasse il nome di Darren. Non se ne curò molto, rimandando i dubbi alla prossima telefonata con Cam. Salì in macchina, lanciando la busta sui sedili posteriori, notando come Teri avesse già provveduto a rovistare tra i suoi cd, scegliendo quello più di suo gradimento per il rientro a casa. La scelta era ricaduta su un disco dei Jet e, quando la macchina partì, diedero vita al solito karaoke improvvisato. A metà della terza canzone, essendo ormai arrivato sotto casa di lei, Shaun accostò; quando spense il motore, anche la musica di arrestò di colpo. Si voltò verso di lei, notando come il suo volto restasse ostinatamente diretto verso la strada oltre il parabrezza.

-Ehi, non vado così lontano, eh! Secondo google maps sono esattamente 659 km.

-Comodo! Con il treno delle 8.27 posso essere lì in un batter d’occhio, mi dicono…- rispose lei sarcastica.

-Eddai, piantala! Conoscendoti non ti accorgerai nemmeno della mia assenza. O meglio, lo farai solo perché non avrai più nessuno a cui scroccare passaggi per tornare a casa.

Un pugno arrivò dritto al suo braccio, decisamente più forte di quello che si aspettava dalla ragazza magrolina che sedeva accanto a lui. Tentando di fermare la sua nuova indole manesca, l’abbracciò, sortendo l’effetto desiderato.

-Non sei spaventato? Partire così, senza un lavoro, senza una casa…

-Confido nella protezione di San Callum da Paisley, patrono degli amici spiantati e dei senzatetto!

-Sant’ uomo, quello!- replicò ridendo lei. –Sopportarti da tanti anni ed avere ancora tutti i capelli in testa… impresa notevole.

E mentre l’eco delle loro risate spariva e il silenzio si faceva sempre più tangibile intorno a loro, il bisogno di stringersi in quel momento era talmente forte da impedire a entrambi di allontanarsi anche di un solo millimetro. Passarono secondi, minuti, ore, ma nessuno dei due tenne conto del tempo trascorso.

-Da matti,- esordì dal nulla lui.

-Cosa?- domandò lei perplessa, alzando la testa dalla sua spalla.

-Mi hai chiesto se non ho paura di prendere e partire. Beh, ne ho, a secchi. Ma per quanto ami questo posto, e per quanto queste strade saranno sempre casa mia, ciò che cerco non lo troverò mai qua. Non riesco più a sopportare tutti quelle persone poco più grandi di noi, che si sono accontentate di un lavoro da Tesco e ora si sentono realizzati, additandomi come lo scemo del villaggio che crede ancora di poter combinare qualcosa di grande.

D’improvviso come era nato, quel flusso di parole si arrestò, lasciando a fare nuovamente da padrone il silenzio di quella strada vuota. Non sapendo cosa dire, ma conscia che il restare ferma sarebbe comunque stata la scelta sbagliata, Teri cercò di comunicare quello che pensava nell’unico modo che le venne in mente: si sporse e lo baciò. Non era la prima volta, e di certo non sarebbe stata l’ultima. Il loro era un rapporto talmente particolare che trascendeva qualsiasi categoria o definizione applicabile da chiunque, anche da loro stessi. Per nulla sorpreso di quella mossa, Shaun le passò una mano dietro la testa, cercando in quel bacio la sicurezza che cercava, una risposta a tutte le domande che vorticavano nella sua mente da quando aveva deciso di partire. Quando il bacio cominciò ad approfondirsi troppo e i movimenti andavano facendosi più frenetici, Teri si allontanò. Come ogni volta, il contatto con la sua pelle la spezzava in due; non era innamorata di lui, questo no, ma sapeva bene come la linea dei due sentimenti diventasse sempre meno marcata e definita ad ogni tocco, e non aveva alcuna voglia di cambiare lo stato delle cose tra loro. Allo sguardo interrogativo di lui rispose indicando la casa.

-La luce in camera dei miei si è appena accesa. Poi lo spieghi tu a mio padre com’è che da innocuo ragazzino sei diventato il donnaiolo che sei ora.

-Ehi, io non sono un donnaiolo!

-Certo, e quella mano ancora sulla mia coscia ti aiuterà molto nel supportare la tua teoria.

Shaun tornò sul suo sedile, appoggiando la testa sullo schienale, sospirando.

-Perché non sono tutte come te, Teri? Niente problemi, niente complicazioni; niente complicazioni uguale niente stress; niente stress uguale il mondo sarebbe decisamente un posto migliore.

-Manca un “Don’t worry, be happy” alla fine e sembra tu stia parlando di una canna. Ad ogni modo sorvolerò su eventuali fraintendimenti e lo prenderò come un complimento.

Si sporse dandogli un bacio sulla guancia, poi, dopo aver recuperato la sua borsa dal fondo dell’abitacolo, si arrampicò fuori, chiudendo la portiera dietro di sé. Proprio mentre il motore tornava a rombare, si sporse dal finestrino verso l’amico.

-Comunque, per dovere di cronaca, io faccio il tifo per te.

-In questo caso credo sia utile dare una rispolverata a quell’uniforme da cheerleader11, che ti donava davvero molto,- rispose con fare malizioso lui, facendole l’occhiolino.

Non avendo nulla da tirargli dietro, Teri dovette limitarsi a guardarlo allontanarsi, mentre il suono della sua risata le echeggiava ancora nelle orecchie.

 



*****

 



Il treno per Londra, Liverpool Street è in partenza dal binario 3.

La voce gracchiò dall’altoparlante posto sopra la sua testa, comunicandogli che era giunto il momento di alzarsi da quella sedia di plastica rossa decisamente scomoda. Trascinandosi dietro il trolley, con il confortante peso della sua Takamine12 sulla schiena, si avviò verso il binario 3.


E adesso, chi è il matto?


 



NOTE:
Questa storia è nata assolutamente per caso, e ancora stento a credere di essere qua.
Sarà un tributo a Paolo Nutini e alla sua musica e per questo devo solo ringraziare Veronica, alias SidRevo che mi ha contagiato con la sua passione per quest’uomo. La sua macchina trema ancora al pensiero dei nostri duetti sulle note di “Jenny don’t be hasty”.
Sparsi per la storia ci saranno moltissimi riferimenti alla sua musica, ai suoi testi e, inevitabilmente, alla sua vita. Già il titolo della storia e di questo primo capitolo riprendono due sue canzoni. Se conoscete almeno un minimo questo ragazzo, divertitevi a trovarli!

I ringraziamenti vanno innanzitutto alla già menzionata SidRevo e a LyraWinter, che finalmente dopo mesi di bullizzamento da parte mia contro i loro incisi, si sono potute vendicare betandomi.
La mia famiglia pennuta, senza la quale le mie giornate sarebbero vuote, ma la batteria del mio telefono di sicuro ringrazierebbe.
Infine vorrei ringraziare Matisse, perché la sua dolcezza e il suo entusiasmo sono sempre un rimedio miracoloso per la mia scarsa autostima.


1. Personaggi della saga de “Il Signore degli Anelli” di J.R.R. Tolkien.

2. Personaggio della saga di Star Wars.

3. Personaggio della Marvel, presente soprattutto nella saga degli X Men. In qualità di mutante riesce a caricare di energia bio-cinetica gli oggetti. In particolare usa come arma un mazzo di carte da gioco che usa come proiettili, da qui il riferimento alle carte. Inoltre è particolarmente noto per le sue doti da ladro gentiluomo e donnaiolo, da qui il fatto che Darren vorrebbe diventare come lui.

4. Personaggio di Star Trek. Anche il saluto “Lunga vita e prosperità” e riferito a lui.

5. Linguaggio appartenente all’universi di Star Trek.

6. Anche se il vero Orchy a cui si riferisce Paolo Nutini nelle sue canzoni è un quartiere, qui è stato trasformato in un pub, non vogliatemene.

7. Riferimento all’opera Shakespeariana “La bisbetica domata”.

8. Altro personaggio della Marvel appartenente agli X Men. Famosa è la sua storia tormentata con Gambit.

9. “Tommy” e “Quadrophenia” sono due dischi degli Who. Se non l’avete mai ascoltati, shame on you!

10. Citazione dal film "Karate Kid"
11. Ho controllato, anche se non è diffuso come negli Stati Uniti, ci sono squadre di cheerleading anche in UK.

12. Marca di chitarre.

   
 
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