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Autore: Julia_Fred Weasley    25/09/2012    3 recensioni
Questa storia parla di una band musicale che mi sono inventata io, i personaggi principali sono Alex, Will, Simon e Sophie, ma io mi centrerò di più su Alex e Will, che hanno avuto un' infanzia difficile, il primo a innamorarsi dell'altraè Will che però non fa capire con esattezza l'amore che prova per Alex, quest'ultima il leader della band crede che serve qualcosa di nuovo, quel qualcosa che serve per dare un tocco in più alla band ed è qui che entra in scena Stephen, un ragazzo sicuro di sè, che sa di essere bello soltanto perchè è biondo, alto e ha occhi azzurri, ma in realtà lui è veramente bello e vuole far parte di questa band, il ragazzo comincia a conoscere Alex e quindi la corteggia anche se lei si irrita facilmente, però...
Genere: Comico, Drammatico, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo
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 HEADLIGHTS


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Camminava su un comune marciapiede di New York, una ragazza completamente vestita di nero. All’apparenza degli altri questa ragazza poteva attirare interesse, molti suoi coetanei che come lei in quel momento stavano passeggiando sulle strade di New York non potevano fare a meno di fissarla. E che al suo passaggio non mancavano di certo bisbigli, ma a lei non importava minimamente di quello che dicevano gli altri, perché vestita così lei si sentiva se stessa. E non c’erano bisogno di sguardi furtivi e cattivi bisbigli per sentirsi diversa. Dalle fessure dei suoi capelli corvini con alcune ciocche di colore viola che gli ricadevano sugli occhi intravedeva i suoi stivaletti neri che camminavano lungo il grande marciapiede della grande città. Con le mani nelle tasche del suo giubbotto di pelle, a testa alta girò un angolo, dove l’unica cosa che ospitava quel vicolo erano dei gatti randagi che cercavano di sfamarsi con quei pochi resti di cibo che traboccavano dai bidoni della spazzatura. La ragazza trattene il fiato per la puzza che echeggiava in quel vicolo, ma erano ormai undici anni che faceva quella strada che non vi era neanche bisogno di trattenere il respiro tanto dall’odore familiare. Uscendo da quel piccolo corridoio sudicio, girò un altro angolo che era totalmente diverso dal primo visto che era totalmente illuminato dalla luce del sole primaverile. Alla destra del marciapiede c’era un negozio di rosticceria di colori giallo e arancione, il proprietario era un uomo molto simpatico non solo caratterialmente ma anche esteticamente perché non avendo neanche un capello sulla testa aveva invece dei baffi che occupavano lo spazio sul labbro superiore e un pizzetto. Lui e la sua famiglia si erano spostati dall’Italia per aprire un negozio qui a New York, la rosticceria all’inizio della sua carriera era sempre affollata ma da quando la moglie del proprietario, Sarah, morì di cancro gli affari cominciarono a scemare visto che era lei, la creatrice di tutte le creazioni culinarie che esponevano in vetrina. La ragazza e il proprietario si conoscevano da molto tempo, ormai da quando lei all’età di soli sei anni cercò di rubargli un dolce perché moriva di fame e avevano preso molta confidenza tra di loro anche se la giovane donna manteneva la soglia della confidenza al limite. Comunque con la morte di Sarah il proprietario ha dovuto fare i conti anche con il bambino a cui avevano dato vita dalla loro unione. Il bambino era ancora troppo piccolo per capire la fine che aveva fatto la madre, la ragazza continuava a chiedere al rosticciere se voleva una mano per alzare gli incassi del negozio ma lui continuava a rifiutare. Diceva che se il negozio sarebbe tornato al successo che aveva una volta, sarebbe tornato per merito suo senza l’aiuto di nessuno. Quando la ragazza entrò nel negozio vide che dopo tutti quegli anni non era per niente cambiato: il negozio era molto grande, il pavimento era ricoperto di mattonelle che richiamavano un po’ lo stile anni ottanta, ospitava molti tavoli la quale però la metà erano vuoti. Da una parte dell’enorme negozio c’era un bancone il quale metà era composto da una vetrina con dentro qualche ciambella zuccherata e crostate all’albicocca invece l’altra parte era occupato dal registratore di cassa. All’altro capo del negozio invece era preso da un piccolo palcoscenico dove ogni sabato sera si esibivano band locali, comici e addirittura poeti, e quando venivano loro la ragazza e suoi amici non potevano fare a meno di non prenderli in giro da tutte le frasi senza senso che dicevano. Quando varcò la soglia del negozio la ragazza si avvicinò a un bambino con capelli ricci color sabbia, occhi verdi e magro come uno stuzzicadenti che era seduto su una poltrona di pelle marrone. Il bambino aveva nove anni e non faceva altro che stare incollato al suo videogioco, quest'ultimo si accorse della presenza della ragazza tanto da farlo deconcentrare dal suo videogame
- Ciao Alex, come va? – disse con un sorriso a trentadue denti
- Ehi, Tommy – lo salutò accovacciandosi per stare all’altezza del bambino – tuo padre c’è?
- Si, è nello sgabuzzino – Tommy indicò con la testa una porta dietro il bancone non distogliendo lo sguardo sul videogioco, la ragazza si alzò dalla posizione precedente appena in tempo per vedere il proprietario uscire fuori dalla porta traboccante di vassoi pieni di ciambelle con lo zucchero andate a male, che infatti buttò nella pattumiera.
- Ehi, ciao Al – disse la ragazza avvicinandosi al bancone appoggiando le braccia su di esso
- Ciao, Alex – disse – Tutto bene oggi?
- Si, e a te con il negozio come va?
- Come al solito forse anche peggio, le provviste che ho nello sgabuzzino stanno andando a male, è da tanto che nessuno viene a comprare qui.
- Lasci che ti aiuti allora! – cercò di convincerlo speranzosa
- No, voglio cavarmela da solo ok?!
- Orgoglioso! – gli rispose di rimando
- Come te, se per caso sei in una foresta e all’improvviso cadi in un burrone, c’è qualcuno che ti tende la mano per aiutarti tu cosa fai?
- Preferisco morire, e poi non so chi c’è dall’altro lato del burrone ad aiutarmi, potrebbe essere un assassino, quindi preferisco morire per mano mia pittosto che per mano di qualcun altro – Alex sfoderò un sorriso compiaciuto al proprietario che rispose con uno sguardo ovvio.
- Sempre la solita... Comunque perché sei venuta qui?
- Vengo qui a quest’ora da undici anni, secondo te?
- Sempre il solito? – rispose con un’altra domanda
- Si, grazie
- Solo per te o anche per i tuoi amici?
- Si, anche per loro, grazie Al – Al prese delle ciambelle zuccherate dalla vetrina le mise dentro a una busta da rosticceria e le porse alla ragazza che gli diede quattro dollari
- Ci vediamo Al, ciao Tommy – e se ne andò dal negozio. Appena usci proseguì sul marciapiede, uscì fuori dai confini della città dove non si scorgevano né strade né marciapiedi. Scavalcò una recinzione in ferro e si diresse tranquillamente verso un capannone abbandonato.
Il capannone era arruginito e malridotto, all’esterno aveva un’enorme cancello scorrevole che forse serviva per far entrare i camion per scaricare le merci, prima forse era di colore arancione ma con la ruggine che lo copriva non si riusciva a distinguere. Sopra a questa enorme porta c’erano delle piccole finestre quadrate, come in ogni fabbrica, alcune di esse erano rotte e mai state aggiustate. Alex con una presa serrea fece scivolare il cancello di ferro aprendolo quanto bastava per passarci per poi lasciare la vecchia maniglia arrugginita. Un grande spiraglio di luce illuminava l’interno dell’edificio che faceva distinguere le figure di Sophie, una bella ragazza seduta su un letto con dei biondi capelli mossi da far invidia a chiunque ragazza, se lei non avesse tinto le punte di tutte i colori. Portava una maglietta attillata e scollata abbastanza da far vedere la spaccatura del seno e dei jeans super stretti. In quel momento si stava guardando le punte dei capelli mormorando una canzoncina portando il ritmo col piede. Sophie era la seconda migliore amica di Alex si erano conosciute alle elementari mentre facevano le prove per la recita di Natale a scuola, appena la vide le rivolse un sorriso bellissimo che sembrava uscita dalle favole. Di Simon seduto su un amplificatore che ascoltava la musica sul suo Mp3 e non dava retta a nessuno come al solito, adorava il suo carattere. Era sfacciato, non gli importava un fico secco di quello che diceva la gente, non prendeva ordini da nessuno ed era l’anima delle feste, sempre allegro e faceva morir dal ridere con le sue battute. Poi di fronte a lei a colmarle il cuore di felicità repressa, seduto su una sedia rossa con dei buchi a fare da decorazione c’era il suo migliore amico, l’amico che ogni volta che incontrava la rendeva felice anche se lei manteneva la sua facciata da dura, l’amico con cui ha passato tutta la sua vita, l’amico con cui potersi confidare apertamente e sentirsi se stessa. Aveva capelli rossi e il viso cosparso di lentiggini, in quel momento era applicato su un cubo di rubik. Lui era il solito tipo che non parlava mai e si faceva sempre i fatti i suoi prendendo poi a scuola la nomina di timido o riservato o addirittura “diversamente dotato” per non dire stupido. Ma i professori e i loro coetanei non sapevano quanto era speciale, lui non aveva niente che non andava. Quando Alex lo sentiva parlare, quando erano da soli nel loro posto segreto dove stare lontano da tutto e da tutti, era affascinta da quello che cacciava fuori. Adorava ascoltarlo mentre lei era appoggiata alla sua schiena con occhi chiusi, ma quello che adorava di più erano i suoi occhi azzurri così limpidi e belli potretti da degli occhiali da vista neri firmati Ray Ban.
I due ragazzi si erano conosciuti da piccolissimi nel piccolo giardino di casa di Alex, sua madre adottiva l’aveva sgridata perché passava molto tempo in strada o al negozio di Al, allora lei piena di rabbia uscì di casa sbattendo la porta con le mani strette a pugno, si diresse dietro casa a piangere dove nessuno poteva vederla. Quando andò al suo solito posto lo vide occupato da un bambino con capelli rosso fuoco, anche lui stava piangendo. Appena la bambina lo vide una curiosità l’assalì ma non gli domandò niente, si sedette vicino a lui entrambi smisero di piangere per poi rimanere in un tetro silenzio. Alex non riusciva a mantenere tutte le domande che voleva chiedergli quindi parlò:
- Ciao, come ti chiami? – il bambino si girò guardandola con quei immensi occhi azzurri.
- Will, e tu? – chiese con una voce appena ripresa dal pianto.
- Alex, posso sapere perché piangevi? – porgli quella domanda la imbarazzò.
- Mia… mia madre è morta – a pronunciare quelle parole al bambino gli scivolò solo una lacrima che seguì il suo percorso fino all’incavo del collo. La bambina non disse nulla rimase per più di un secondo a fissarlo per poi distogliere lo sguardo, sapeva che non doveva fargli quella domanda.
- Se… sei sicuro? Chi te l’ha detto? L’hai visto? Credi che la persona che te l’ha detto abbia detto la verità? – anche se era semplicemente una bambina, Alex era molto acuta e intelligente, la sua madre adottiva glielo aveva sempre detto.
- Me l’ha detto il mio papà, sono sicuro che ha detto la verità. – furono le uniche cose che disse, la bambina ritornò in silenzio.
- Almeno tu hai tuo padre, io non ho nessuno dei due, vivo con mia madre adottiva insieme ad altri bambini sfortunati come me. – disse la ragazzina – Ma adesso non dovresti essere con lei, con tua mamma?
- No, voglio stare solo.
- E come mai sei qui adesso? – la piccola Alex non riusciva a smettere di fargli quelle maledette frasi col punto interrogativo.
- Quando papà mi ha detto che mamma non c’era più io ero rimasto lì a fissarlo arrabbiato per poi scappare finchè non c’è l’ho fatta più a correre e adesso sono qui. – infine i bambini rimasero in silenzio guardando davanti a loro il grande salice piangente che li sovrastava.
- Io ora devo andare – Will interruppe il silenzio.
- ok, va bene – disse Alex mentre guardava il bambino alzarsi e pulendosi lo sporco sulle ginocchia dei jeans, poi cominciò a correre – Ehi, domani torni qui? – gli chiese mentre Will correva, lui si girò e annuì percorrendo poi la sua strada.

- Ciao Alex – appena la vide Sophie si alzò dal letto, Will si girò non prestando più attenzione al cubo.
- Ciao ragazzi – disse lei avvicinandosi a Simon per tirargli le cuffiette dalle orecchie, il ragazzo quando non sentì più la musica perforargli i timpani aprì gli occhi prestando attenzione alla ragazza che era appena entrata.
- Ehi, Alex quando sei arrivata? – le domandò incredulo, poi posò gli occhi sul sacchetto che aveva in mano – Sono ciambelle? – indicò il sacchetto per poi prederselo con avidità.
- Si, le ho portate per tutti per fare colazione, le ho prese alla rosticceria di Al. – puntualizzò la ragazza con la sua voce sicura.
- Come al solito – Simon fece una smorfia mentre apriva il sacchetto addentando una ciambella zuccherata. Anche Sophie ne prese una, pur essendo una ragazza non gliene importava niente del peso, lei era una di quelle ragazze che si strafogavano per poi non prendere neanche un grammo e Alex la invidiava per questo. Prese un fazzoletto con cui ci circondò il dolce, fece lo stesso con un altro per poi andarsi a sedere sul poof viola vicino alla scrivania, porse una ciambella a Will che lui accettò silenzioso, da quando gli era morta la madre non parlava quasi più. Quando avevano finito di fare colazione Alex si alzò strofinandosi le mani per togliere lo zucchero appiccicatosi, prese con decisione il microfono per poi guardarsi indietro fissando i suoi compagni. Quel capannone l’avevano trovato quando avevano deciso di fondare una band, Will dopo la morte della madre per distrarsi aveva deciso di prendere lezioni di chitarra. Alex tutti i giorni andava a casa sua così Will le insegnava a suonarla visto che lei non poteva permetterselo, ma non era solo la chitarra la causa di tutti i loro incontri, loro lo facevano soprattutto per stare insieme perché erano gli unici che si capivano l’un l’altro, come due gemelli. Sophie invece, Alex l’aveva sentita a scuola durante l’ora di musica, quando il professore era andato a prendere dei materiali e in classe non c’era nessuno. Sophie si era avvicinata alla batteria cominciando a suonarla, Alex era la bambina che la osservava dallo spiraglio della porta con un lungo sorriso. Invece Simon, Simon è come se si fosse autoinvitato nella immaginazione di Alex di fare una band, mentre la ragazza guardava gli allenamenti di football degli atleti della scuola sopra gli spalti c’era un ragazzo con capelli marroni che gli ricadevano sugli occhi di un castano profondo che osservava il club di musica che di certo non era venuto lì a vedere i ragazzi a torso nudo, il ragazzo castano strappò di mano da uno dei componenti del club un violoncello per poi mettersi a suonare davanti ad Alex che lo guardava in un primo momento infastidita per poi scemare in un’espressione di astuzia e felicità. Comunque quel capannone che avevano trovato insieme serviva per fare le prove della band, avevano cambiato l’interno mettendo un letto a due piazze coperto da un piumone e lenzuola rosse e bianche. Poi in fondo c’era una scrivania con sopra quaderni di tutti i tipi e dimensioni per non parlare poi dei tanti portapenne. Affianco ad essa c’era un piccolo frigo bar che era pieno soprattutto di coca e infine per completare quel piccolo angolo di paradiso c’era un divano blu circondato da poof che guardava una televisione in quel momento spenta dove ogni venerdì guardavano un film che sceglievano a turno. Quelli di Will e Alex erano soprattutto film dell’orrore, e mentre la protagonista stava per essere squartata e Sophie si copriva orecchie e occhi col cuscino e Simon guardava innoridito la scena, i due ragazzi ridevano a crepapelle prendendo in giro gli effetti speciali e le finte budella che fuori uscivano dal corpo della vittima.
Quando i ragazzi capirono l’intenzione di Alex che si era avvicinata al microfono la raggiunsero prendendo ognuno le proprie postazioni: Will alla sua destra con la sua chitarra azzurra della Gibson, Simon alla sua sinista con il basso di un color marrone quasi cioccolato e infine Sophie dietro di lei con la sua batteria nera. In quel momento stava facendo roteare le bacchette in un modo che Alex non aveva mai capito come riuscisse a farlo senza mai farle cadere a terra. Loro non avevano ancora scritto nessuna canzone ma intanto suonavano cover, tutte le più grandi band avevano iniziato così.
- Quale canzone vuoi fare? – domandò Will
- Morning Parade, Headlights – rispose Alex schietta, Will alzò un’angolo della bocca.


P.S - allora... spero che questo capitolo vi piaccia e se avete qualcosa da dire spero che me la dite recensendo, la canzone che trovate alla fine del capitolo potete anche sentirla qui: http://www.youtube.com/watch?v=FcE9O2otHxs  , spero che vi piccia (la canzone), come credo che avrete capito ogni capitolo avrà il nome di una canzone... beh... buona lettura e vi prego, vi prego, vi prego RECENSITE!!!!! 

  
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