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Autore: Euphemia    25/09/2012    3 recensioni
"Un solo pensiero gli attraversò la mente in quel momento:
E' COMINCIATA.
[...]
Com’è fragile la vita, basta poco per farla cessare.
Com’è malvagia la morte, si avvicina nei momenti meno inaspettati, per poi colpire alle spalle, senza neanche dare il tempo di riflettere e di capire ciò che accade."
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Naoya Teshigawara
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Correva, un corridoio che non finiva più. Scappava, da qualcosa che l’avrebbe raggiunto. Una porta, troppo lontana da raggiungere.
La cosa lo aveva quasi preso. Uno slancio in avanti, afferrò la maniglia. La porta si sgretolò in briciole di polvere. Un altro corridoio. Sentiva il sudore gocciolare dalla fronte, il sangue pulsare nelle vene, il fiato freddo della cosa sul collo.
Intorno a sé, un lago di sangue. Vide sua madre, il denso liquido rosso che le usciva dagli occhi e dal collo. Suo padre, le braccia e le gambe strappate dal corpo. Urlò. La cosa li aveva presi tutti, mancava solo lui.
Un  vicolo cieco. Era in trappola. Si schiacciò contro il muro e si accasciò per terra. Alzò lo sguardo: una figura nera incappucciata si stagliava di fronte a lui. Il suo fiato freddo, poteva sentirlo, era più vicino: un vento così ghiacciato da togliere il respiro. La figura nera allungò il braccio verso di lui; poteva vederne la mano, bianca come quella di un cadavere, scheletrica, secca come rami di un albero nel gelo dell’inverno. La falce era nella mano sinistra, ricoperta di sangue. La alzò, la puntò contro di lui.
 
GAME OVER
 
Si svegliò di soprassalto, nel cuore della notte. Si guardò attorno: la camera dell’albergo dove dormiva era in disordine come l’aveva lasciata, non c’era nulla di diverso. Guardò l’orologio: le tre.
Ancora una volta quel sogno.
Lo faceva di continuo, ormai, lo perseguitava. Era l’inizio di agosto. Il cerchio si era ristretto.
Il cerchio della morte...
Era da mesi che ci pensava, da quando una delle sue compagne di classe, Yukari Sakuragi, era morta in un incidente, inciampando nelle scale e ficcandosi la punta dell’ombrello nel collo.
Al momento dell’incidente era in classe, stava facendo una verifica. Ricordava il bidello, la notizia dell’incidente della madre, Sakuragi che usciva in gran fretta dalla classe. Fu quella l’ultima volta che la vide. VIVA.
Aveva appena finito il compito in classe, quando dal corridoio si udì un boato di terrore. Uscì, incuriosito. Vide Misaki, la ragazza non esistente, il bidello e Sakakibara, anzi, Sakaki, come lo soprannominava lui, guardare inorriditi verso la rampa di scale che portavano al piano di sotto della scuola. Intuì che c’era qualcosa che non andava, si avvicinò. E la vide: Sakuragi, immersa in un lago di sangue, il suo  sangue, agitare le mani nel caldo liquido rosso intenso nell’intento di liberarsi, scappare dalla rigida presa della morte. La punta dell’ombrello aperto conficcata nel collo, da cui uscivano zampilli di sangue incontrollabili. Il debole rantolo che proveniva dal corpo disteso. Poi silenzio.
Era morta.
Nessuno aveva osato avvicinarsi al corpo senza vita, dal quale continuava a sgorgare sangue, sembrava non finire più. Sakaki e il bidello erano rimasti pietrificati, come dopotutto anche lui. Misaki guardava la scena, senza esprimere alcuna emozione. Poco dopo arrivarono anche gli altri compagni, alcuni di loro urlarono inorriditi. Un solo pensiero gli attraversò la mente in quel momento:
 
È COMINCIATA.
 
Da quel giorno altri eventi spiacevoli si erano verificati. Era deceduta la sorella di Mizuno, aveva sentito da Mochizuki com’era morto Takabayashi, d’infarto; Mochizuki e Sakaki erano presenti. E poi, a luglio, fu presente ad un’altra morte.
Ricordò quando il professor Kubodera era appena entrato in classe. Era nervoso, cominciò a parlare della maledizione, della morte che avvolgeva la classe, e tirò fuori dalla sua borsa un grosso coltello da cucina.
“Non di nuovo, ti prego...”, pregava. Non voleva vedere, non voleva assistere a un’altra scena raccapricciante, a un’altra scena che l’avrebbe perseguitato per tutta la vita.
Ma le sue preghiere non avevano avuto effetto.
Quel giorno il signor Kubodera si era suicidato davanti a tutta la classe. Il grosso coltello conficcato nella gola, il sangue che sgorgava come una cascata, violenti schizzi rossi che volavano copiosi dappertutto, macchiando la stanza e gli alunni. Poi, si colpì per la seconda volta.
Uno schizzo di sangue gli finì proprio sulla fronte. Era caldo... arrivò un secondo schizzo, un terzo, una goccia rossa gli colò dalla fronte, arrivando fino alle labbra. Era rimasto pietrificato, per la seconda volta, tra le urla dei compagni, che si erano alzati in preda al terrore e scappavano, fuggivano dall’ennesima vittima della morte. Aveva visto Kazami, completamente ricoperto di sangue, accasciato sul corpo del professore. Sebbene fosse lontano da lui, riuscì a vedere il movimento delle sue labbra.
“Perché.. perché..?” Sussurrava, gli occhi sgranati, le mani tremanti sul corpo senza vita.
“Teshigawara, Teshigawara!”
Mochizuki gli afferrò il braccio, scuotendolo.
“Teshigawara, andiamocene!” aveva urlato l’amico, facendolo ritornare alla realtà. Si alzò, e insieme a Mochizuki, si avviò velocemente verso la porta. Era arrivato il signor Chibiki, aveva urlato a tutti i rimasti nella classe di uscire di corsa, mentre lanciava occhiate di terrore verso il corpo senza vita del collega.
Perché il professore si era suicidato proprio di fronte alla classe? Non aveva pensato ai suoi alunni? Non aveva pensato alle conseguenze di quel gesto? Non aveva pensato a cosa quel gesto aveva suscitato in quei poveri ragazzi? Il terrore che poteva avere il sopravvento su di loro?
 
Il susseguirsi delle morti continuò. Arrivò anche il turno di Nakao, durante la gita al mare, morto a causa di un aneurisma. Nella sua mente rimaneva anche il ricordo del suo corpo, completamente smembrato dalle eliche di una nave che passava alla velocità della luce. Aveva anche cercato di aiutarlo, invano.
 
E pensare che qualche attimo prima della loro morte, aveva visto tutte queste persone vive, che camminavano, sorridevano, amavano, odiavano...
Pensare che poco prima di scivolare sulle scale, Sakuragi era concentrata sulla verifica, magari quando l’aveva terminata aveva anche sorriso, soddisfatta di ciò che aveva svolto.
Pensare che il professore il giorno prima di suicidarsi stava normalmente svolgendo la lezione di matematica, con la sua solita calma e pazienza che facevano di lui un bravo insegnante.
Pensare che poco prima di morire in mare, Nakao stava giocando a palla con lui, Mochizuki, Akazawa e Sugiura, e sorrideva come al solito, spensierato, senza sapere che la maledizione l’avrebbe raggiunto presto.
Com’è fragile la vita, basta poco per farla cessare.
Com’è malvagia la morte, si avvicina nei momenti meno inaspettati, per poi colpire alle spalle, senza neanche dare il tempo di riflettere e di capire ciò che accade.
 
La cosa era vicina.
 
La paura della morte si fece più viva. L’angoscia era dentro di lui, ogni giorno temeva per la sua vita, ogni giorno temeva di tornare a casa e di vedere sua madre, suo padre o qualche altro suo familiare morto, colpito dalla maledizione. La vita era diventata terribile, il senso di angoscia che lo schiacciava, non era più riuscito a sentirsi a suo agio. Voleva scappare, non poteva. Chi provava a scappare, moriva.
Il giorno in cui era andato con Sakaki, Mochizuki e Misaki a cercare la cassetta che l’ex alunno Matsunaga aveva nascosto nella vecchia 3-3, la loro compagna Ayano, di nascosto a tutti, aveva fatto i bagagli e con la sua famiglia era partita verso una nuova città. Ma sulla strada che fiancheggiava la montagna, la macchina era scivolata sulla strada bagnata, ed era caduta in un profondo precipizio. L’aveva saputo proprio qualche giorno prima, nello stesso giorno in cui aveva saputo della morte del fratello di Ogura, schiacciato nella sua stessa casa da un escavatore fuori controllo. NELLA SUA STESSA  CASA.
E finalmente aveva capito: la morte si prendeva gioco di loro.
Questo cerchio senza fine era partito venticinque anni prima, per qualcosa di totalmente innocente: onorare e amare un morto, facendo finta che questo fosse ancora vivo. La morte, la figura incappucciata del sogno, si era presa gioco di questo semplice gesto di bontà, trasformandolo in un susseguirsi di eventi terribili, di incubi, di disgrazie.
Un gioco alla sopravvivenza, in cui più i morti aumentavano, più le probabilità di morire crescevano. Lui avrebbe potuto essere il prossimo.
 
La maledizione della 3-3.
 
Non sarebbe mai finita, era impossibile bloccarla. Ma forse c’era un modo per fermarla quando cominciava. La risposta era nel nastro.
 
RIPORTARE IL MORTO ALLA MORTE.
 
Doveva trovarlo. Doveva ucciderlo. A tutti i costi.

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Salve a tutti, grazie per aver letto fin qui! ^^
Questa è la mia prima fan fiction su Another, un anime davvero stupendo. *-*
In questa fan fiction ho voluto ricalcare le idee del mio personaggio preferito, Naoya Teshigawara. Ho cambiato alcune cose in alcuni momenti, come per esempio la morte di Sakuragi  (infatti Naoya nella versione originale non c’era) e il suicidio del professor Kubodera, nella cui scena Teshigawara non è stato minimamente calcolato. ^^””
Spero che questa fan fiction vi sia piaciuta, e perdonate per favore i miei eventuali errori di grammatica. ^^”
Infine, vorrei ringraziare pensiero_invisibile, SushiLolita ed Ely-kun. ^w^
Euphemia.
  
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