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Autore: Tury    25/09/2012    1 recensioni
Una ragazza dal passato misterioso, un re in cerca di vendetta e un uomo che imparerà a conoscere la vita. Il tutto incorniciato da un gruppo di briganti in cerca di potere. Non so bene da dove sia nata l'idea di questa storia, ma ora è qui, tanto vale evolverla. Spero che la lettura possa piacervi, in caso contrario chiedo venia!
Genere: Avventura, Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Delle urla destarono gli uomini che riposavano in quel villaggio abbandonato. Un uomo subito corse ad avvisare la ragazza dell'imminente pericolo ma si fermò sulla soglia. Lei era già lì, a guardare lo spettacolo fuori dalla finestra.
“Guarda, sembra un enorme serpente di fuoco.” gli disse, alludendo alla folla che si avvicinava reggendo in una mano il fucile e nell'altra una lampada ad olio, per illuminare la strada.
L'uomo sospirò.
“Hanno svegliato anche te.”
“No, non hanno svegliato nessuno. Ero già sveglia.”

L'uomo si avvicinò alla giovane donna, fermandosi alle sue spalle. Avrebbe voluto abbracciarla, consolarla. Farle sentire che non era sola in quella lotta contro il mondo. Ma l'unica cosa che riuscì a fare fu chiederle se stesse bene.
La ragazza, vedendo il riflesso di lui nel vetro della finestra, si voltò, sorridendogli.
“Ti preoccupi troppo, Orel. E senza motivo.”
“Sappiamo entrambi cosa vogliono quegli uomini, Levinja.”
Il sorriso sul volto della ragazza si allargò ancora di più.
“Davvero Orel? E dimmi cosa vogliono?”
Visibilmente irritato da quella domanda, Orel attese qualche secondo prima di rispondere, lottando contro se stesso per sputare quelle tre parole che avevano il potere di infliggere ferite più dolorose e profonde di quelle che infliggeva il suo pugnale.
“La tua testa. Ecco cosa vogliono.”
La risata di Levinja riempì la stanza, con l'unico effetto di far irritare ancora di più l'uomo che le stava di fronte.
“La mia testa. Peccato che questa testa sia così affezionata a questo collo che non ha alcuna intenzione di barattarlo con un palo. Nemmeno se questo fosse rivestito di diamanti.”

Levinja superò Orel, dirigendosi verso la porta. Prima di uscire si voltò per chiamare a sé quel suo amico dall'aspetto burbero e il cuore tenero. Orel sospirò ancora una volta. Il pensiero che fosse stato lui a trascinarla in quella situazione lo tormentava ogni giorno.

Fuori, gli uomini della brigata erano già nelle loro posizioni, in attesa dell'attacco nemico. Levinja uscì da quello che era stato ribattezzato il quartier generale, ovvero l'unico edificio che ancora potesse esser definito casa in quel cumulo di macerie. Indossava abiti larghi, rigorosamente neri, in modo che si sposassero meglio con le tenebre che la circondavano. L'unica sfumatura di colore era data da una sciarpa rossa, che le copriva metà volto, lasciando scoperti solo gli occhi. Un vivo ricordo di una vita passata. Dopo poco giunse anche Orel, con il pugnale sul fianco sinistro, che rifletteva la luce della Luna, attirando l'attenzione della ragazza, facendola sorridere. Orel era famoso nella brigata non solo per il suo sangue freddo ma anche per quel pugnale che portava sempre con sé e a cui dedicava tutte le sue cure. Si diceva che se la sarebbe portata nella tomba, quella lama.
-Sempre che ci sarà concesso l'onore di poterla avere una tomba.- pensò Levinja, sempre col solito sorriso sulle labbra.
“Nemmeno le leggende su questo posto sono riuscite a tenere lontani quegli uomini.” disse Orel.
“Che ti aspettavi? Hai presente la taglia che pende sulla mia testa, caro fratellone? Ben 250.000.000 abbasi. Ho superato anche te.”
“Tutte parole. Aspetta che uccida questi pupazzi armati, poi ti farò vedere quanto salirà la mia.”
“Sempre che non te lo impedisca.”
Orel sbuffò.
“Dimenticavo che a sua altezza non piace il sangue. Ma in certi casi, tipo questo, è inevitabile.”
“Troveremo una soluzione, anche senza spargere sangue.”
Orel si voltò a guardarla.
“Io ancora mi chiedo come sia possibile che la tua taglia sia più alta della mia.”
“Ferito nell'orgoglio, eh?”
“Esattamente. È qualcosa di inconcepibile.”
La risata di Levinja giunge alle orecchie dell'uomo ovattata, a causa della sciarpa.
“Ah, fratellone, quando capirai che a volte un nome vale più della persona. Sarebbe inutile spiegare a quegli uomini che non mi sono mai macchiata le mani di sangue, perché non ci crederebbero. Troppo impegnati a rivendicare una testa mai caduta. Sono solo poveri naufraghi in un mare di sangue che non è stato mai versato. Perché poco importa della persona, è stato il nome a morire. E tanto basta per aizzare degli uomini contro degli innocui viandanti.”
“Bella faccia tosta a definirci innocui viandanti. Siamo belve assetate di sangue, noi.”
“Non di sangue, ma di fama! E di soldi.”

La ragazza scappò via, facendo terminare quella discussione. Orel, non aspettandosi una reazione simile, riuscì solo a chiederle dove stesse andando.
“Ad impedire che la tua taglia continui a salire! Voialtri non osate muovere un passo! Ci penso io a loro. Anzi, occupatevi di quel colosso che mi insegue!” urlò la ragazza, senza smettere di correre e notando che intanto Orel si era lanciato al suo inseguimento. Gli uomini, prontamente, obbedirono ai suoi ordini, ostacolando, per poi bloccare definitivamente, la corsa di Orel.
Mentre seminava i suoi uomini, Levinja sentì il fratello urlarle contro che gliel'avrebbe pagata e non potè trattenere un sorriso, l'ennesimo. In realtà i due non erano accomunati da nessun legame di sangue, ma questo non aveva alcuna importanza.

Superato il ponte che permetteva di attraversare il fiume quando questo era nella fase di piena, la ragazza si guardò intorno, studiando il territorio per vedere come poterne usufruire a suo vantaggio. Non intendeva far del male a quelle persone, assolutamente. Erano solo poveri contadini spinti dalla disperazione e dalla fame, ma era anche vero che erano in troppi perché potesse sperare di salvarsi la pelle. E aveva anche ordinato ai suoi uomini di non seguirla. La situazione non si metteva per nulla bene. Il respiro del vento tra le foglie la distolse dai suoi pensieri e la portò ad alzare lo sguardo verso la Luna. Fu in quel momento che le sagome degli alberi illuminati dalla flebile luce lunare le fecero trovare la strategia vincente per allontanare quegli uomini dai suoi territori. Il giorno prima, passeggiando nel mercato del paese, aveva chiesto a dei bambini di raccontarle la storia delle rovine, dove poi aveva trovato rifugio con i suoi uomini, in cambio di qualche abbaso. Aveva così saputo che intorno a quel villaggio abbandonato giravano voci su fantasmi e figli del male. Ringraziò mentalmente quei ragazzi e si mise subito all'opera. Si trattava di una vera corsa contro il tempo.

La folla era finalmente giunta al ponte, con gli animi spenti, non più sicuri di ciò che stavano facendo. La foresta che erano stati costretti ad attraversare aveva distrutto con un lieve colpo quelle maschere che tanto faticosamente si erano costruiti per illudere prima loro stessi di non provare paura. Ma ora erano lì, ad un passo dal villaggio abbandonato. Pronti alla battaglia. Uno degli uomini, preso tutto quel poco coraggio rimastogli, fece il primo passo verso il ponte ma subito un brivido gli percorse la schiena. Qualcuno aveva urlato.
“Allora! Chi è lo sciocco che ha tanta voglia di scherzare? Tornatevene pure in paese se non volete obbedire agli ordini!” disse rivolto alla folla, con la viva speranza che l'urlo fosse davvero stato uno stupido scherzo di qualche ragazzo che li aveva seguiti. Ma subito le sue speranze crollarono.
“Non prendertela con i tuoi uomini. Non sono stati loro ad urlare ma io.”
L'uomo iniziò a voltarsi in tutte le direzioni, brandendo il fucile con mani tremanti. Esattamente come la folla.
“Chi va là! Mostrati vigliacco!”
“Ah, se ancora potessi mostrare il mio volto. Ma purtroppo mi è impossibile. Solo i miei abiti mi sono rimasti.”
E come per avvallare ciò che era stato appena detto, ecco fluttuare una maglietta nera nell'aria.
“Vi prego, non scappate!”
Troppo tardi. Quei validi uomini erano corsi via,cercando ti tornare il più in fretta possibile alle loro abitazioni sicure. Una risata leggera riempì l'aria notturna. Levinja recuperò la maglia e la indossò, guardando quegli uomini con il suo solito sorriso sulle labbra. Mentre tornava al villaggio abbandonato si soffermò a guardare la Luna riflettersi nelle acque del fiume. Era passato poco più di un anno da quando aveva visto quello stesso spettacolo, affacciata al balcone di quel lussuoso palazzo. Eppure le sembrava un'eternità. Erano cambiate tante cose. Aveva imparato a sopravvivere vivendo dei soli frutti della terra, a credere in se stessa, a farsi male e saper sopportare il dolore.
“Levinja.”
Si voltò a quel richiamo incontrando gli occhi di Orel.
“Me la pagherai, ragazzina!”
L'aria si riempì di nuovo della sua risata.
Sì, erano cambiate tante cose. Aveva finalmente trovato una famiglia.



 

  
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