4.
I can
make
you … my woman.
- Mi prometta che non
dirà
nulla a Brad!
- Che mi venga un
accidenti!
Le labbra di Tim, morbide,
piene, si poggiarono leggere su quelle delicate di Susan. Una risata
increspò
quelle di entrambi subito dopo, prima che Jim pronunciasse il suo
consueto “stop”.
Tim si alzò in fretta
dal
letto a baldacchino in cui stavano girando le “bedroom
scenes”. Non sarebbe
rimasto un minuto di più. Non poteva, non ci riusciva. Non
era facile girare
mezzo nudo per un set con lei che
era
sempre tra i piedi. Era pur sempre un uomo e gli istinti non svaniscono
con la
recitazione.
Rosso di vergogna
abbandonò il set, rifugiandosi in camerino. Si
buttò sul divano, pregando il
cielo che lei non si fosse accorta di nulla. Era bastato un fottuto
sguardo
prima del bacio, che stare sopra di lei in quel
modo era diventato un’impresa.
- Vaffanculo! –
urlò tirando
un calcio alla sedia che aveva di fronte a lui. Si tolse la ridicola
vestaglia
azzurra che aveva addosso, rimanendo in slip, le mani intrecciate nei
capelli e
il respiro pesante.
“Sei
un attore, cazzo!” continuava a ripetersi nel
cervello, una litania che,
sperava, l’avrebbe aiutato a controllarsi.
Dopo un paio di minuti,
sentì bussare alla porta.
- Cazzo, Jim, lasciami in
pace! – disse mentre si dirigeva verso la porta –
Voglio stare da s… - stava
per dire mentre apriva la porta, quandò scoprì
che dietro non vi era Jim.
- Scusami, non volevo …
-
cercò di dire Susan.
- Oh, Susan, scusami tu.
Sono un po’ nervoso … - provò a dire
Tim, impacciato e agitato.
Restarono senza parole,
continuando a guardarsi, aspettando l’uno la mossa
dell’altra, una reazione,
una parola. Si leggevano dentro senza dare una risposta alle loro
domande.
Forse perché nulla c’era da dire o chiedere.
Tim era in trance.
Susan sembrava non capire
l’uragano che aveva dentro, o che stesse cercando di
ignorarlo. Non era da lei
correre dietro i colleghi, specialmente in quella misera tenuta che
aveva
addosso, quel completino intimo bianco come la neve. Alla fine decise
di dire
qualcosa.
- Io… -
- Non dire nulla. –
rispose precipitoso Tim, prima di afferrarle il collo e attirarla a
sé.
La baciò, non come
prima,
quel finto bacio delicato e gentile. No. Quello era un bacio vero.
Muoveva le labbra
su quelle di lei come un affamato divorerebbe una pesca matura.
La sentì gemere, piccola
e
fragile contro di lui. Tim la tirò nel camerino, chiudendo
la porta con un
pugno. Lei si staccò da lui, l’aria spaesata e il
fiato corto.
- Che ci succede?
Tim rimase spiazzato da
quella domanda.
- Non lo so! – rispose
–
So solo che non faccio altro che pensarti.
Lei sorrise, per poi
fiondarsi sulle labbra di lui. Le loro mani iniziarono a viaggiare
senza meta,
accarezzandosi, stringendosi, sfiorandosi, spogliandosi di quei pochi
indumenti
che avevano addosso. Continuando a baciarla, Tim spinse lievemente
Susan sul
divano, accarezzandole i seni e inebriandosi del suo profumo. Dalle
labbra
passò al collo, continuando un percorso di baci di cui
entrambi conoscevano la
meta.
- Tim…- gemette Susan,
mentre lui infilava il viso tra le sue gambe, gentile e delicato.
L’esatto
opposto di Frank, eppure ugualmente sensuale, travolgente, seducente.
Cose che
Susan non si era lasciata sfuggire mentre si trovava ad un passo dalla
vertigine. Tim sollevò il capo e iniziò la
risalita, tornando ad occuparsi
delle sue labbra. Posizionò con dolcezza il bacino contro
quello di lei,
scivolandole dentro quasi senza accorgersene. Entrambi si liberarono in
un
urlo, il piacere che s’impossessava di ogni centimetro della
loro pelle, i
nervi che si scioglievano dal controllo del cervello.
Si muovevano l’uno contro
l’altra come se poi si fossero persi per sempre, come se
quella fosse l’unica
notte che il destino gli aveva concesso, come due nuovi Romeo e
Giulietta che,
senza morire, avrebbero dovuto rinunciare al loro amore.
Tim non riusciva a
staccare lo sguardo dal volto di lei, imperlato di sudore, ma sereno,
felice,
la bocca socchiusa per manifestare ad alta voce quanto stesse adorando
quel
momento, sentirlo suo e di nessun altra.
In pochi minuti vennero
travolti da un orgasmo che sembrava infinito, le loro voci arrochite e
i loro
corpi sudati e bollenti.
Tim poggiò il capo sul
petto di lei, esausto ma felice, libero da quelle paure che lo
imprigionavano
da settimane.
Susan era serena; per la
prima volta da quando si era sposata, si sentiva davvero amata e non
dall’uomo
a cui aveva giurato amore eterno. Il calore di Tim non era per niente
paragonabile alla fredda razionalità di Chris.
Fuoco e ghiaccio, dolce e
amaro, poesia e prosa.
Gli passò una mano tra i
ricci neri come la pece, ma brillanti come il sole, studiando con lo
sguardo
quel volto degno di un dio greco, gli occhi verdi nascosti dietro le
palpebre
ma, ne era certa, che continuavano ad ardere anche al buio.
- Susan? – la sua voce
profonda come il mare, soave come il vento che fa vibrare le cicale.
- Dimmi!
- Credi che abbiamo
sbagliato?
Susan rimase muta davanti
a quella domanda, Tim le lasciò il tempo di elaborarla.
- Amare non è mai un
errore. – disse lei infine – È il
destino che te lo fa credere quando t’impedisce
di farlo. Non abbiamo sbagliato nulla, Tim. – disse lei
sollevandogli il viso,
per poterlo guardare negli occhi – Dobbiamo solo accettare
l’idea che è solo
una notte rubata. – disse accarezzandogli i capelli.
Tim sentì il suo cuore
scendere giù, come se, una volta raggiunto lo stomaco,
l’avrebbe vomitato.
Susan poté leggere il dolore di lui in quegli occhi verde
mare e le sembrò di
vedere il riflesso della sua anima in uno specchio.
Si baciarono.
Disperatamente.
Due anime gemelle separate
sul nascere.