Capitolo
Uno
Generalmente
la gente era indecisa se scegliere la
torta alla melassa o quella al lampone. Inutile dire che erano le
uniche
mangiabili in quella pasticceria. Sbuffai, guardando svogliatamente le
due
vecchiette al di là del bancone e facendomi vento con uno
strofinaccio. Non che
ci fosse caldo fuori, al contrario la neve continuava a scendere lenta
fin
dalle prime ore della mattina, ma dentro quel piccolo locale, con
dietro la
cucina, l’aria era asfissiante.
<< Signore, avete deciso? >>
Pronunciai scocciata, piegandomi con il busto sul bancone e appoggiando
il viso
su entrambe le mani.
<< Oh Signorina! E’ meglio che ci dia una mano
lei! >>
<< Siamo sempre indecise su queste due! >>
strillarono divertite.
Inarcai un sopracciglio e afferrai la torta al lampone. Quella alla
melassa,
che di solito era mangiabile, ora aveva un aspetto poco appetitoso.
<< Questa qui. Fidatevi. >>
Perlomeno non avrebbero rischiato un intossico.
Com’è che quella pasticceria
fosse ancora aperta io non ne avevo idea. Sarà forse che
l’antipatica
proprietaria era la figlia del vicesceriffo della città?
Poteva darsi.
<< Ha fatto un ottima scelta, vero? >>
<< Sì! Era quella che ti dicevo
anch’io! >>
Incartai la torta con il sottofondo dei loro borbottii eccitati, che
alla fine
mi strapparono un sorriso. Chissà se anch’io avrei
raggiunto la loro età e mi
sarei fatta ipnotizzare da una semplice torta. Era buffo, ma vero, una
volta
anziani era come tornare bambini e le cose semplici riprendevano la
loro
incredibile importanza.
<< Ecco a voi >> dissi più
cordiale e schiacciai l’occhio a
entrambe.
Dopo aver contato i loro innumerevoli spiccioli, che avevano riempito
la cassa,
se ne andarono ondeggiando. Sospirai e guardai l’orologio
alle mie spalle a
forma di gufo. Un orribile gufo. Per fortuna mancava meno di mezzora
alla fine
del mio turno.
<< Belletta? >>
Mi irrigidii immediatamente e incontrai gli sguardi divertiti di un
signore di
mezza età che stava osservando le torte esposte nel bancone.
Cercai di fare
finta di nulla e darmi un contegno ma fu tutto inutile. La voce di
quella
megera mi arrivò di nuovo alle orecchie. Non solo alle mie.
<< Belletta, cara, sei sorda? >>
Chiusi gli occhi per un attimo e misi a posto un ciuffo di capelli
castani,
sfuggiti dalla lunga coda. Mi diressi a passo svelto nella cucina e
fulminai Mary
con lo sguardo.
<< Non mi chiamo Belletta. >>
<< E’ molto carino, comunque dai sbrigati, devi
andare da Mike. Mi
servono subito altri ingredienti. >>
Guardai la sua figura coperta quasi interamente da farina, cioccolato
in
polvere e qualche liquido sconosciuto.
<< Stiamo per chiudere e ci sono ancora quasi tutte le
torte che hai
preparato stamattina sul… >>
<< Non fare storie, Belletta, altrimenti sei licenziata.
>>
Avrei voluto scaraventarle addosso la ciotola con lo zucchero che avevo
davanti
e poi scappare da quella terribile pasticceria, ma non potevo
permettermelo.
Ero indietro di quasi due mesi con l’affitto e se non avessi
pagato entro la
settimana, la proprietaria mi avrebbe buttato fuori. Come avevano fatto
tutti
gli altri in questi anni.
<< Vado subito >>
<< Ecco brava, Belletta. >>
Mi prendeva in giro, lo sapevo benissimo e odiavo la mia situazione,
per
dovermi adattare a una cosa simile. Mi strappai di dosso il grembiule e
chiamai
Jordan, che stava nel retro.
<< Sostituiscimi per qualche minuto. La megera vuole
altri ingredienti.
>>
Jordan mi diede una comprensiva pacca sulla spalla e prese il mio posto
dietro
il bancone. Uscii di fretta e raggiunsi il rifornitore della
pasticceria, in
fondo alla strada. Presi tutto e tornai indietro.
<< Eccomi, puoi andare Jordan. >>
<< Agli ordini! >>
Gli sorrisi appena e lasciai il sacchetto sul piano di lavoro di Mary,
con il
risultato di alzare di colpo la farina su cui stava lavorando che gli
finì in
faccia.
<< Oh, scusami tanto. >> dissi
candidamente, per poi uscire di
nuovo.
Servì altri due clienti e poi mi tolsi, definitivamente, il
grembiule.
<< Mary io me ne vado. >>
Nessuna risposta. Ero abituata, per cui presi la mia vecchia borsa in
tela, che
in realtà apparteneva a mia sorella e uscì
nell’aria gelida della sera. Aveva
smesso di nevicare e vidi dei bambini che facevano un pupazzo di neve.
Anch’io
e mia sorella lo facevamo con nostro padre, quando eravamo bambine. Il
vicesceriffo era un uomo tutto d’un pezzo, ma riusciva a
sciogliersi di fronte
alle sue due piccole pesti. Sorrisi di quei ricordi ormai lontani. Misi
le
cuffie del mio vecchio e scassato mp3 alle orecchie e mi alzai il
cappuccio
della felpa. Il giaccone che mi aveva comprato la mamma mi sarebbe
venuto
ancora, ma lo avevo dovuto vendere a un barbone di strada, in cambio di
quei
pochi spiccioli che mi servivano per far mangiare me e Birba, la mia
unica
amica. Arrivai dinnanzi al piccolo portoncino della palazzina della
signora
Brenny, che in quel momento era affacciata al balcone del primo piano a
parlare
con la signora Green, della casa di fronte, la stessa che mi aveva
cacciato di
casa quando non le avevo dato i soldi dell’affitto. In quel
periodo non
lavoravo e quelle poche ore che passavo in qualche pub non bastavano.
Feci in
modo di non farmi vedere e mi fiondai dentro. Salii le due rampe di
scale e
feci fatica per aprire la vecchia porta di legno del mio mini
appartamento. Una
volta dentro, mi accolse la ormai anziana Birba, la mia gatta.
<< Ciao piccola. >>
Stavo morendo di freddo così accessi il piccolo fornello che
avevo a
disposizione e ci misi davanti le mani. Cercai di arginare le lacrime
che
impietose cominciarono a rigarmi il viso, fin quando Birba non si
strusciò tra
le mie gambe. Spensi il fornello e accessi il televisore in bianco e
nero che
il marito della sinora Brenny mi aveva gentilmente concesso. Si
prendevano solo
due canali e dovevo armeggiare con le due antenne dietro
all’apparecchio per
riuscire a vederli. Non che me ne importasse, ma mi faceva compagnia.
Ero
abituata a vivere in una famiglia rumorosa e quel silenzio opprimente,
che
conosce solo chi sa cosa vuol dire essere soli, rischiava di farmi
impazzire.
Presi la scatoletta di Birba dal frigo e con un cucchiaio raccolsi il
fondo e
raschiai la lattina per racimolare i pochi rimasugli sparsi qua e la.
<< Mi dispiace Birba, è rimasto solo questo.
Domani ti farò mangiare la
mia pasta col brodo. Se ne parla dopodomani per comprarti di nuovo la
scatoletta. >>
Speravo ardentemente che Mary non mi facesse scherzi, altrimenti non
solo non potevo
comprare nulla al supermercato ma potevo anche lasciare la casa.
Rinunciai
quindi alla cena, amareggiata da quella triste previsione, e sprofondai
nella
poltrona. Poco tempo dopo Birba si raggomitolò sulle mie
ginocchia e
rassicurata in qualche modo dalla sua presenza, crollai in un sonno
senza
sogni.
**********************
In qualche modo lo sapevo, ma sentirle davvero pronunciare quelle
parole mi
fece gelare il sangue nelle vene.
<< Mary non puoi farlo davvero. >>
<< Non solo, ma ti dirò di più. Ho
ben pochi soldi quindi non posso più
permettermi di avere qualcuno nel negozio. Ce la sbrigheremo io e
Jordan, in
qualche modo. >>
<< Mary tu hai il dovere di pagarmi. Se vuoi licenziarmi,
va bene, ma
dammi almeno i miei soldi. Sono due mesi che aspetto. >>
<< Mi dispiace, Belletta. >>
Per la prima volta quel nome orribile non mi fece alcun effetto. In un
attimo
avevo perso sia i soldi che il lavoro.
<< Non posso permettertelo. >>
<< E cosa hai intenzione di fare? A tutti gli effetti tu
non lavori
neppure qui, hai forse un contratto? >> mi
canzonò, derisoria. Avrei
voluto ucciderla. Credevo che mi avrebbe almeno pagato, sapeva
benissimo che
ero in mezzo alla strada. Lacrime di disperazione, umiliazione e rabbia
mi
appannarono la vista, ma non le avrei mai dato una soddisfazione
simile. Presi
un respiro profondo e con attenzione prelevai la torta alla melassa del
giorno
prima, che avevo sconsigliato a quelle due vecchiette. Poi, sotto lo
sguardo
perplesso della megera, gliela lanciai in faccia. Le sue urla
attirarono Jordan,
che arrivò trafelato.
<< Che cosa succede? >>
<< Nulla. Ci vediamo Jordan. >>
Uscii da quella terribile pasticceria e camminai a lungo, non sapendo
dove
andare. Cominciò a mancarmi l’aria e finalmente le
lacrime, fino ad allora
trattenute, scesero sulle mie guancie. Mi fermai di colpo, attirandomi
le
lamentele di un elegante signore al telefono, che per poco non mi era
venuto
addosso. Mi passò accanto, regalandomi un occhiataccia. Fu
un attimo, vidi una
fede intorno al dito della mano, che reggeva il cellulare, una busta e
la
ventiquattrore nell’altra. Immaginai che avesse una moglie e
dei figli a casa.
Faceva di sicuro una vita tranquilla e non aveva il timore di essere
gettato
fuori di casa da un momento all’altro. Lo osservai, fin
quando non svoltò
l’angolo, un sorriso al posto dell’espressione
contrita con cui mi aveva
guardato. Strinsi la mano sulla bretella logora della borsa in tela di
Rosalie
e senza neppure rendermene conto arrivai al cimitero. Pescai dalla
tasca del
jeans un dollaro sgualcito e lo allungai al venditore di fiori, li
vicino.
L’uomo, avvolto da un enorme cappotto nero ebbe forse
compassione della mia
figura e mi allungò un piccolo mazzetto di fiori colorati,
invece del misero
tulipano a cui avevo diritto con un dollaro. Lo ringraziai con un
sorriso
triste e mi avviai alla lapide dov’erano stati seppelliti i
miei genitori.
Avrebbero dovuto essere separati ma io e Rosalie avevamo chiesto di
metterli
insieme. Non appena vidi le piccole fotografie, l’uno accanto
all’altra, mi
piegai a terra senza forze e dopo aver spazzato via la neve poggiai i
fiori
sulla lapide. Con una mano, cercai di pulire le loro fotografie e li
guardai a
lungo, chiedendogli silenziosamente cosa dovevo fare. Ero sola in tutti
i
sensi. A venticinque anni non sapevo cosa fare della mia vita. Passai
ore
interminabili, appollaiata in quella posizione, sfogandomi con i miei
genitori,
fin quando non sentii più le gambe. Un piccolo tocco sulla
spalla mi riscosse.
<< Scusi Signorina, è arrivato
l’orario di chiusura. >>
Silenziosamente, il responsabile del cimitero mi lasciò di
nuovo sola e io mi
alzai, malferma sulle gambe. Sconsolata raggiunsi
l’appartamento e come mi
aspettavo la signora Brenny, avvolta in uno scialle di lana, mi
aspettava fuori
dalla porta.
<< Si può sapere dove sei stata? Devi pagarmi
oggi. >>
<< Non posso. >>
<< Che vuol dire non puoi? >>
<< Non ho i soldi. >>
<< Come sarebbe? Sono due mesi che aspetto!
>>
Avrei voluto dirle che stavo aspettando anch’io, ma che colpa
ne avevo se Mary
Odeon mi aveva licenziata e lasciata senza soldi?
<< Sono stata licenziata senza alcun preavviso e non sono
stata pagata
per due mesi, signora Brenny. >>
La sua espressione arcigna diceva tutto, così entrai e
raccolsi le mie poche
cose nello zaino nero. Infilai Birba nella sua gabbietta e uscii di
casa.
<< Le chiedo scusa signora Brenny. Troverò il
modo di portarle i soldi
che le spettano di diritto e ringrazi suo marito per il televisore.
>>
<< Mi dispiace ragazza, ma io non so più come
aiutarti. Ho anch’io bisogno
di soldi, mio marito non lavora da anni e io faccio pulizie per quasi
tutto il
paese per riuscire a mantenermi. Ho bisogno dei soldi
dell’affitto, non posso
farti stare ancora. >>
<< Lo so. Le darò i soldi. Lo prometto.
>>
Lei sospirò e scese le scale, infilandosi nel suo
appartamento. Io la seguii e
uscì dal portone. Il miagolio di Birba mi
richiamò. Mi sedetti sul marciapiede
e la liberai.
<< So che hai fame e freddo, tesoro.
C’è l’ho anch’io.
>> le
sussurrai, affondando il viso sul suo pelo. La pioggia scelse proprio
quel
momento per venire giù, così rimisi Birba nella
sua gabbietta e mi ritirai
sotto un balcone. Alzai il cappuccio della felpa, desiderando di avere
ancora
almeno il giaccone e cercai di capire cosa fare. Non potevo rimanere
fuori tutta
la notte o sarei morta assiderata. All’improvviso il vecchio
furgone della
mamma mi tornò in mente. Era ancora posteggiato vicino alla
mia vecchia casa,
ormai abitata dal Signor Brenton, proprietario di una falegnameria.
Cominciai a
correre sotto la pioggia, cercando di non disturbare troppo la mia
gatta. Non
ci volle molto per arrivare e con un tuffo al cuore rividi il vecchio
Pick Up rosso
ruggine sul ciglio della strada. Nessuno l’aveva
più spostato da lì, dopo la
morte dei miei genitori. Aprii lo zaino e cercai una piccola scatola
rossa dove
trovai le chiavi. Lo aprii e m’infilai dentro con Birba, la
liberai e subito
lei si posizionò sul cruscotto. Solo allora ricordai che
spesso andava in giro
con la mamma, quindi aveva riconosciuto il posto. Naturalmente non
c’era alcun
riscaldamento, ma era sempre meglio che stare sotto la pioggia. Aprii
il
cruscotto, facendo drizzare le orecchie di Birba e con mia enorme
sorpresa
trovai una piccola coperta. La mamma era solita viaggiare con quella
sulle
gambe, nelle giornate d’inverno, perché non voleva
che papà le comprasse una
macchina nuova solo per quello. Mi poggiai addosso la coperta, che era
pregna
ancora del profumo della mamma. Birba ci si infilò sotto e
entrambe rimanemmo
in quella posizione, osservando la pioggia battere sul vetro.
**************************
Un
ticchettio continuo mi svegliò all’improvviso. Mi
spaventai quando vidi il viso di Jordan dietro il finestrino. Lo aprii
e lo
guardai confusa.
<< Bella che ci fai qui? >>
Cosa avrei dovuto rispondergli, a questo punto? Mi stiracchiai
leggermente e il
muso di Birba spuntò da sotto la coperta.
<< Non sono riuscita a pagare l’affitto.
>>
<< Perché non sei venuta da me?
>>
Non ci avevo neppure pensato. Avevo conosciuto Jordan nella
pasticceria, da
subito eravamo andati d’accordo, ma oltre qualche birra, non
eravamo mai usciti
insieme.
<< Non voglio disturbare nessuno, troverò una
soluzione. >>
<< E nel frattempo vuoi continuare a dormire in questo
furgone? >>
Aprii la portiera e mi tirò fuori, per un braccio.
<< Jordan non… >>
<< Basta storie! Prendi il tuo gatto e andiamo
>>
Avevo troppa fame e sentivo troppo freddo per oppormi ancora,
così afferrai
Birba e il mio zaino nero. Non sapevo dove abitasse Jordan, ma lo
scoprii poco
dopo. Era una villetta molto simile a quella dei miei genitori, con un
piccolo
giardino d’avanti.
<< Scusa il disordine, ma vivo solo da un bel
po’ ormai. >> disse
non appena entrammo.
In realtà era tutto piuttosto ordinato ma non dissi nulla e
posai Birba su una
poltrona.
<< Posso, vero? >> dissi indicando il gesto
che avevo appena fatto.
<< Sì, sentiti pure a casa tua. Tra
l’altro mi piacciono i gatti, ne
avevo uno da piccolo. >>
Sorrise e si avviò in cucina. Mi guardai un po’
attorno e constatai che anche
la disposizione interna delle camere somigliava a quella di casa mia.
Si
trovava nella stessa zona, quindi dovevano essere state progettate
tutte nella
stessa maniera. Questo in qualche modo mi fece sentire più a
mio agio in quel
nuovo ambiente.
<< Bella, parliamo dopo. Adesso perché non vai
di sopra a farti un bagno
caldo? Io preparo la colazione, nel frattempo. >>
Jordan non mi dette tempo di rispondere e rientrò
velocemente in cucina. Mi
morsi il labbro, pensando che era quello che desideravo. Timidamente
salii le
scale con il mio zaino ed entrai in bagno. Decisi di farmi solo una
doccia, per
non occupare troppo i suoi spazi. Non c’era acqua calda
nell’appartamento della
Signora Brenny, quindi rifare una doccia calda fu un immenso sollievo.
Mi feci
anche lo shampoo, perché i miei capelli erano diventati un
groviglio di nodi,
con la pioggia e la neve. Cercai di perdere meno tempo possibile
nell’asciugarmeli e poi scesi di nuovo giù. Sentii
i miagolii di Birba in
cucina e sorrisi quando la vidi con il muso
all’insù, mentre osservava Jordan
cucinare.
<< Eccomi, grazie mille. Jordan non so davvero come
ringraziarti.
>>
<< Smettila! Saresti dovuta venire ieri. >>
Mi lanciò un occhiata di rimprovero e io solo in quel
momento notai il suo
buffo grembiule con le orecchie da coniglio.
<< Oh, non farci caso. Questo coso l’ha
lasciato quel bastardo, prima di
andare via. >>
Inarcai un sopracciglio e ripensai alla sua frase, mentre lui mi
metteva
davanti un piatto strapieno di uova, bacon e pane tostato.
<< Sì Bella, io sono gay se te lo stai
chiedendo. >>
Arrossii e lo guardai colpita.
<< Non me lo stavo chiedendo. >>
Mi guardò divertito e poi si sedette di fronte a me.
<< Ah! Cosa do al tuo gatto? Ho del riso con il tonno in
frigo, rimasto
da ieri. >>
<< Andrà benissimo grazie, ma non voglio
disturbarti. >>
Lui si alzò di nuovo e dopo aver servito Birba si sedette
nuovamente.
<< Sei un tesoro, davvero >> dissi di nuovo
mentre cominciavo a
mangiare.
Erano mesi che non facevo una colazione del genere e cercai di
trasmettere
tutta la mia gratitudine a quel ragazzo con i miei continui sorrisi di
ringraziamento.
<< Bella non posso nemmeno immaginare come è
stata la tua vita. So dei
tuoi genitori e ho sempre pensato che sei una ragazza incredibilmente
forte.
>> disse non appena finimmo di mangiare.
<< Grazie Jordan, ma purtroppo non è
così. Come vedi non sono in grado di
badare a me stessa. >>
<< Questo non è vero. Pochi avrebbero la tua
forza. >>
Sorrisi debolmente e pensai a mia sorella Rosalie. Se
l’avesse conosciuta si
sarebbe reso conto che la più forte delle due era lei. Si
era fatta coraggio ed
era andata a Chicago per cercare lavoro, io non avevo voluto lasciare
questa
cittadina, perché non me la sentivo. Non volevo abbandonare
i miei genitori
anche se sapevo bene che non c’erano più. La cosa
migliore sarebbe stata
seguire mia sorella, che si era fatta ospitare da una vecchia compagna
di
scuola e aveva fatto diversi lavori. Dopo due anni aveva incontrato
l’uomo
della sua vita. A me non piaceva molto, certo era bello fisicamente, ma
aveva sempre
quell’espressione così severa che quasi mi metteva
a disagio. In realtà non l’avevo
mai visto di persona, ma solo in foto e una volta l’avevo
sentito al telefono.
Ricordavo ancora la sua voce profonda augurarmi buon natale. Era stato
lui a
telefonarmi, non mia sorella che sembrava essersi dimenticata di me.
Strinsi la
mano attorno al bicchiere, da cui stavo bevendo e lo posai sul tavolo.
Era il
primo anno che stavano insieme, lei e Edward. I primi anni Rose mi
chiamava
spesso e per qualche mese riuscì anche a mandarmi pochi
soldi in busta. Dopo
che aveva conosciuto l’avvocato Cullen non si era fatta quasi
più sentire. Mi
aveva mandato una foto che ritraeva lei e il suo ragazzo, seduti su una
panchina. Lei sorridente, con i lunghi capelli biondi sulle spalle e
gli occhi
azzurri chiarissimi, lui con un sorriso lievemente accennato ma un
espressione
quasi del tutto seria. Quella telefonata mi aveva sorpreso, lui voleva
farmi
gli auguri da parte di entrambi. Ricordo ancora il suono della voce
spensierata
di mia sorella in sottofondo, rumori di bicchieri, posate, come se
stessero
apparecchiando una tavola. Io invece ero in un Motel in cui avevo
vissuto i
primi anni con i pochi risparmi dei miei genitori, lavoravo in un
negozio di
animali e stavo guardando un vecchio film alla tv, con una tazza di
cioccolata
tra le mani. Quella sarebbe stata la mia cena di Natale.
L’avevo ringraziato
debolmente e avevo chiuso la comunicazione. In fondo ero contenta per
lei, ma
avvertivo un dolore sordo al cuore. Mi sentivo dimenticata
dall’unica persona
importante della mia vita. Non ero stata invitata nella sua nuova
famiglia,
cosa che io avrei fatto per lei. Non che volessi infilarmi nella sua
vita,
questo mai, ma volevo ricordargli che aveva una sorella di ventidue
anni da sola
in Motel la notte di Natale. Dopo neppure un mese vendetti il
telefonino per
poter fare la spesa. Nessuna traccia di lei da allora. Alle volte
dimenticavo
persino la sua esistenza.
<< Bella? >>
<< Sì? Scusami, ero sovrappensiero.
>>
<< Ho notato. Senti io ora vado a lavoro. >>
<< E io tolgo il disturbo! >>
<< No, aspetta! Tu non vai da nessuna parte. Prima ti
stavo dicendo che
ho intenzione di chiamare il mio ex. Lui è il proprietario
di un Hotel e mesi
fa cercava qualcuno che si occupasse di fare le pulizie nelle camere.
Forse ha
ancora bisogno di qualcuno. >>
<< Jordan sarebbe fantastico, ma non voglio metterti in
difficoltà.
>>
Lui venne da me e mi abbracciò.
<< Per te questo ed altro. Tu riposati, io
sarò di ritorno per pranzo.
>>
<< Jordan, davvero non posso rimanere qui senza far
nulla. Cercherò
lavoro in giro. >>
<< Non se ne parla! Ti sei vista allo specchio? Hai delle
occhiaie
terribili, devi assolutamente dormire. Ti do la camera degli ospiti che
non è
stata quasi mai usata. >>
<< Non so come sdebitarmi. >>
Lui mi schiacciò l’occhio e dopo avermi baciato la
fronte andò via. Presi un
respiro profondo e portai il mio zaino nella stanza che credetti fosse
quella
degli ospiti. L’armadio era vuoto, lo scrittoio pure e il
letto era
perfettamente sistemato. La voglia di distendermi subito era forte, ma
decisi
di sistemare almeno la cucina. Non era educato approfittarmi della
gentilezza
di quel ragazzo. Trovai Birba che ancora leccava il suo piatto. Povero
tesoro!
Le allungai una fetta di bacon rimasta sulla padella e lei la
divorò in un
attimo.
<< Solo per questa volta. Sai che ti fa male.
>>
Lei mi guardò, leccandosi il muso più volte. Una
volta sistemato tutto, tornai
di sopra e finalmente mi distesi sotto le coperte. Gli occhi divennero
pesanti
come piombo e riuscii ad avvertire tutta la stanchezza che fino ad
allora mi
ero sforzata di ignorare. Ripensai alle parole di Jordan. Se veramente
quel
posto era ancora disponibile potevo ritenermi fortunata, anche se il
solo fatto
di aver incontrato qualcuno di così gentile sulla mia strada
era un enorme
regalo. Uno spiraglio di luce in mezzo alle nubi grigie che popolavano
ormai la
mia esistenza.
************
Ecco
il primo capitolo. Ringrazio tutte le persone che
hanno messo questa storia tra le seguite, preferite e le ricordate.
Soprattutto
mi scuso di nuovo e ringrazio ancora una volta le persone che mi
avevano
commentato precedentemente. Purtroppo per un errore la storia
è stata
cancellata, quindi credevo di aver perso i primi recensori. Per il
resto… beh,
spero che mi farete sapere qualcosa, capisco che spesso il prologo
viene
commentato poco, però insomma se non trovo riscontro nelle
vostre opinioni mi
sa che facevo meglio a non ripubblicarla questa storia. In ogni caso,
per
qualsiasi domanda o chiarimento io sono a disposizione!
P.S=
Ho modificato la grandezza del font, perché alcuni
di voi mi hanno detto che era troppo piccolo per poter leggere bene,
quindi se
ci sono ancora problemi mandatemi un messaggio, così posso
risolvere. Purtroppo
mi sa che ho un problema con il programma dell’HTML
perché a me la fa vedere in
una maniera e poi quando posto in un'altra, quindi non fatevi problemi
a
segnalarmelo!
A
presto!