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Autore: WilKia    28/09/2012    6 recensioni
Un'altro dei miei deliri senza senso, in cui ho rivisitato la storia di Rapunzel con dei personaggi un po' più... GLEE
- “Ops.”
Mormorò all’indirizzo di Lord Tubbington che era saltato via spaventato.
“E ora che ne facciamo di lui Tubb?”
Domandò perplessa, ottenendo solo uno sguardo serio dal gattone. -
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: FemSlash | Personaggi: Brittany Pierce, Quinn Fabray, Rachel Berry, Santana Lopez, Sue Sylvester | Coppie: Brittany/Santana, Quinn/Rachel, Quinn/Santana, Rachel/Santana
Note: Cross-over, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Once upon a Time…



CAPITOLO I







Il fuoco scoppiettava allegro nel grande camino della stanza, diffondendo una luce tenue e rilassante e bandendo il freddo dell’inverno ormai imminente.
Il grosso micio che dormiva beatamente sull’ampio letto drappeggiato di morbide coperte, sussultò indignato quando una bambina di cinque anni entrò spalancando violentemente le porte, e corse ridendo verso il letto in un turbinio di lunghi capelli biondi.
“Ehi ehi ehi, scricciolo. Cosa credi di fare? – la rimproverò la giovane donna che la seguiva – avanti, sul letto. Lo sai che non voglio che giri a piedi nudi in inverno. Altrimenti…”
“Altrimenti le dita dei piedi mi si congelano e poi cadono.”
Concluse la piccola roteando gli occhi annoiata, ma rivolgendole un sorriso sdentato.
“Su salta dentro.”
La invitò ricambiando il suo sorriso e sollevando un angolo delle coperte perché potesse intrufolarcisi.
La piccola si arrampicò sul grande letto, attardandosi a regalare una generosa grattata di orecchie al micione, che si era riacciambellato a dormire, prima di infilarsi sotto le coperte.
La giovane donna le rimboccò accuratamente le coperte e si chinò ad abbracciarla, posandole un lieve bacio sulla punta del nasino.
“Buona notte amore mio – sussurrò appoggiando la fronte contro la sua, mentre la bimba le avvolgeva le braccia intorno al collo, stringendola forte – fai tanti sogni belli.”
Concluse posandole un altro bacio sulla guancia paffuta e morbida.
“Mammina, mi racconti una storia?”
Domandò la piccola spalancando i suoi occhioni azzurri e imbronciando le labbra, sapendo bene che la madre non era capace di negarle nulla davanti a quell’espressione da cucciola.
“È molto tardi…”
Tentò debolmente di resistere.
“Ma io non ho sonno.”
Protestò la piccola sbadigliando sonoramente.
La donna ridacchiò e si sedette sul bordo del letto, sistemandole una ciocca di capelli biondi dietro l’orecchio ed approfittandone per donarle una carezza.
“Per favore?”
Insistette la bimba sporgendo ancora di più il labbro inferiore.
“E va bene – si arrese con un sospiro, sorridendo per la sua incapacità di resistere a quel musino adorabile – che storia ti piacerebbe sentire?”
“Voglio la storia più stupendissima che conosci.”
Trillò lei allegra, saltellando sul letto e mandando all’aria le coperte.
“Va bene, va bene piccolo grillo – rise la donna – non c’è bisogno di smontare tutto il letto.”
La fece risistemare, rimboccandole di nuovo le coperte e si mise più comoda, stendendosi accanto a lei e prendendola tra le braccia, poi iniziò a raccontare.


C’era una volta, in un paese lontano, un regno felice governato da un Re buono e saggio e da una bellissima e dolce Regina.
I due sovrani desideravano tanto un erede che potesse regnare dopo di loro e un bel giorno la Regina annunciò di essere in attesa di un bambino.


“Aveva visto una cicogna sulla torre del castello mamma?”
Domandò la bimba che pendeva dalle sue labbra.
Adorava ascoltare la sua voce calda e leggermente roca e non perdeva mai occasione di chiederle di raccontarle una favola o, meglio ancora, di cantare.
“Certamente – confermò la donna – una grande cicogna aveva fatto il nido sulla torre più alta del castello e tutto il regno festeggiò l’arrivo imminente dell’erede tanto atteso. Ma purtroppo i festeggiamenti durarono poco.”
“Perché?”


Purtroppo la Regina si ammalò.
Il Re fece chiamare tutti i medici del regno e anche quelli dei regni vicini, ma nessuno di loro riuscì a capire quale male affliggesse la Regina, né come curarla.
Un giorno, mentre il Re passeggiava nervosamente davanti alla porta della camera della Regina malata, una voce melodiosa attirò la sua attenzione.
Era una voce come non ne aveva mai sentite, eppure alla sua corte si erano presentati tutti i migliori menestrelli e cantastorie, tutte le migliori cantanti e attrici, gli artisti più disparati dai saltimbanchi ai migliori compositori e drammaturghi.
Ammaliato seguì quella voce attraverso i lunghi corridoi del castello e oltre le grandi sale, talvolta dovette fermarsi, poiché il suono rimbombante dei suoi passi nei saloni gli impediva di seguire quella voce misteriosa e dopo aver attraversato gran parte del castello inseguendo quella strana canzone, si ritrovò nel giardino del castello.
Ma la voce non si fermò, continuò a cantare, invitandolo a seguirla mentre si addentrava nel giardino, imboccando un labirinto di alte siepi, fitte e buie come una notte senza luna.
Dopo un lungo vagare tra i fiori in boccio, il Re si ritrovò al centro del grande labirinto.
Si guardò intorno confuso. Nessuno, fino a quel momento, era mai riuscito a raggiungere il centro del labirinto, perfino il miglior esploratore del regno aveva desistito dall’impresa.
La voce misteriosa si era fermata proprio nel momento in cui aveva varcato l’ultimo arco verde punteggiato di gigli che conduceva a quell’ampia radura.
Il Re prese a guardarsi intorno spaesato, tentando di capire quale strada prendere per ritornare a palazzo ed uscire da quel labirinto infernale, quando uno strano luccichio fluttuante attirò la sua attenzione.
Il Re osservò quella strana luminescenza dorata che sembrava balzare da un lato all’altro della radura, come un raggio di sole impazzito catturato dallo specchietto di un bambino dispettoso, e si sfregò gli occhi sbalordito nel tentativo di schiarirsi la vista.
Gli era sembrato infatti di scorgere una minuscola figura umana tra i bagliori di quella piccola luce.


“Era una fata!”
Trillò la piccola iniziando a saltellare eccitata sul letto.
“Era una fatina, vero mamma?!”
“Certo che era una fata.”
Sorrise la donna dandole con l’indice un colpetto sulla punta del nasino.


In effetti si trattava niente meno che della principessa della fate.
Devi sapere che la Regina del Regno Fatato si era un tempo innamorata di un mortale e da quell’amore era nata una figlia per metà fata e per metà umana.
Una volta cresciuta dovette scegliere se rimanere nel mondo degli umani con suo padre o se seguire la madre nel Regno Fatato. La fanciulla scelse di restare tra gli umani e poco tempo dopo l’erede del regno in cui viveva si innamorò di lei e ne fece la sua regina.


“Quindi – intervenne di nuovo la piccola, scrutandola con un’espressione seria e concentrata – la fatina è la sorella della Regina malata?”
“Proprio così.”
Confermò la madre facendole l’occhiolino.


Un raggio di sole si fermò sulla figura svolazzante della fatina, abbagliando per un istante il Re che dovette distogliere lo sguardo, e quando riuscì di nuovo a guardare, si trovò davanti una bellissima donna dai ridenti occhi azzurri e con lunghi capelli biondi, molto somigliante alla sua sposa.
“Chi sei tu?”
Domandò il Re sbalordito.
“Il mio nome è Holly – rispose la donna – e sono la principessa del Regno Fatato. Mia madre mi ha inviata qui da te, mossa dall’amore per mia sorella, poiché la notizia della sua malattia ha varcato anche il confine magico tra i nostri due regni.”
Il Re gioì sollevato.
“Quindi sei venuta a portarle una medicina? A compiere una magia che possa guarirla?”
“Ahimè non esiste medicina che la possa aiutare, né magia, non in questo mondo – rispose la fata mestamente – ma c’è un modo per salvarla.”
Aggiunse riportando subito la speranza nel cuore del re.
“Mia sorella dovrà fare ritorno con me nel Regno Fatato. Laggiù infatti non esistono vecchiaia e malattie e la morte non può oltrepassare i confini su cui regna mia madre. Laggiù il maleficio che ha causato la malattia di mia sorella non sarà più efficace e lei potrà dare alla luce la vostra bambina.”
Alla parola bambina il Re aveva iniziato a sorridere senza controllo per la notizia che avrebbe avuto una figlia, ma presto tronò ad adombrarsi.
“Hai detto maleficio?”
La fata annuì.
“È stato quello a causare la sua malattia.”
“Quindi dovranno rimanere nel Regno Fatato per sempre?”
Domandò triste.
“No – rispose la fata con un sorriso – non appena mia sorella e la vostra bambina saranno in forze, io stessa le riporterò da te.”
“Quando dovete partire?”
“Verrò a prendere mia sorella con una lettiga questa notte stessa, al sorgere della luna nuova.”
Spiegò Holly.
“Addio fino a questa notte, mio buon Re.”
Aggiunse infine, prima di sparire in un bagliore accecante.
Quando il Re riuscì di nuovo a vedere, si ritrovò seduto sulla sua poltrona davanti alla camera della Regina malata e si domandò se la fata Holly gli avesse davvero fatto visita o se fosse stato tutto solo un sogno.


“Ed era vero mamma?”
“Certo che era vero.”


Come promesso, la fata Holly fece ritorno quella notte stessa, accompagnata da una scorta di guardie del Regno Fatato, con una lettiga su cui fece adagiare amorevolmente sua sorella.
Prima di partire Holly consegnò al Re una bacinella d’argento, spiegandogli che se l’avesse riempita di acqua pura di fonte e vi avesse guardato dentro alla luce del chiaro di Luna, avrebbe potuto vedere la Regina anche a distanza.
Poi il corteo fatato partì e in pochi istanti sparì nel buio della notte.
Passarono cinque Lune e ogni sera il Re aveva osservato la bacinella d’argento sotto il chiaro di Luna e aveva visto la sua Regina tornare in forze, mentre la loro bimba cresceva dentro di lei.
Infine, in una notte di plenilunio, la Regina mise al mondo una bellissima bambina dagli occhi azzurri e i capelli biondi, con il più bel sorriso che il Re avesse mai visto.
I neogenitori chiesero alla fata Holly di essere la sua madrina e in base a questo onore, la fata chiamò la piccola Brittany.
Non appena l’immagine della sua bambina fu scomparsa dalla superficie dell’acqua incantata, il Re ordinò che tutte le campane suonassero a festa nel regno, e iniziò ad attendere con impazienza il ritorno della sua amata sposa e della loro piccola.
Trascorse un’altra Luna, durante la quale il Re organizzò un grande banchetto per accogliere la principessina Brittany e festeggiare il ritorno della sua Regina.
Tutto il regno era in festa. Le piazze erano decorate con festoni dei colori dell’arcobaleno, le campane suonavano a festa e tutti si riunivano a cantare e ballare.
Finalmente il Re ricevette un messaggio in cui la fata Holly gli annunciava che la seconda notte di Luna piena avrebbe accompagnato la Regina e la piccola principessa nella radura al centro del bosco, dove la famiglia Reale avrebbe finalmente potuto riunirsi.
La prima notte di Luna piena il Re non riuscì a dormire e si agitò per tutto il giorno seguente, impaziente che il Sole tramontasse.
Quando finalmente le prime stelle spuntarono nel cielo notturno, il Re poté correre incontro alle sue amate.
Rimase nel buio della radura, impaziente che la Luna facesse la sua comparsa, e proprio quando il primo raggio argentato oltrepassò la coltre degli alberi, la piccola luce della fata Holly avanzò nella radura, seguita da vicino dalla Regina, radiosa nella sua bellezza e ancora più bella agli occhi del Re per il piccolo fagotto rosa che stringeva tra le braccia.
I due sposi si corsero incontro e si strinsero felici in un forte abbraccio.
“Ecco, mio amato – sospirò felice la Regina – ti presento nostra figlia.”
Concluse porgendogli il fagottino rosa, che prese ad agitarsi e ad emettere piccoli gorgoglii e gridolini.
Il Re allungò le braccia incantato, felice di poter finalmente tenere in braccio la sua principessina, ma prima che potesse anche solo sfiorare la copertina rosa in cui era avvolta, si udì una risata gracchiante e una grossa nuvola nera oscurò la Luna.
Improvvisamente la fata Holly gridò e il Re estrasse la spada, voltandosi verso di lei e proteggendo la sua famiglia con il proprio corpo.
“Fuggite!”
Gridò Holly, ma prima che l’eco della sua voce si spegnesse, una fitta rete di rami si avviluppò agli alberi che delimitavano la radura, ostruendo qualsiasi via di fuga.
La Regina strinse più forte al petto al sua bambina, avvicinandosi al Re che puntò minaccioso la spada contro il buio che li fronteggiava.
“Chi è là?”
Gridò autoritario.
L’unica risposta che ottenne, fu di nuovo il risuonare di quella risata sinistra e poco dopo videro avvicinarsi la luce della fata.
Quando la luce fu abbastanza vicina, la Regina tremò e il Re strinse con più forza la sua spada.


“Perché mamma?”
Domandò la bambina, ormai completamente rapita dalla storia.
“Perché la fata era stata rinchiusa in una gabbia.”


"La strega dei boschi.”
Mormorò la regina spaventata.

“Chi è?”
“Un tempo era una fata – spiegò la donna rigirandosi una ciocca di capelli biondi tra le dita – ma ci fu una disputa tra lei e la madre di Holly e della Regina. La fata che a quel tempo governava sul Regno Fatato, dopo aver giudicato la loro controversia, la bandì. Quando poi la madre di Holly e della Regina salì al trono, cercò di riappacificarsi con lei, ma ormai era troppo tardi. La rabbia e la solitudine avevano avvelenato il suo cuore, trasformandola nella Strega dei boschi.”
“E che cosa voleva?”


“Bene, bene, bene. che cosa abbiamo qui?”
Sogghignò la strega avanzando lentamente nella radura, una mano protesa a sorreggere la gabbia in cui aveva intrappolato Holly e un cappuccio calcato in testa ad oscurarle il viso di cui erano visibili solo gli occhi, che brillavano sinistri illuminati dalla luce della fata.
“Che mi venga un colpo se non sono al cospetto della Regina mezzosangue e del suo consorte, nonché della folle lucciola salterina.”
Disse sarcastica scuotendo la gabbia in cui aveva imprigionato la fata.
“Non capita tutti i giorni di incontrare per caso entrambe le figlie della mia vecchia amica. Ma vedo che c’è qualcuno che non ho ancora conosciuto…”
Continuò scrutando il fagottino rosa stretto tra le braccia della Regina.
“Non ti avvicinare, Strega!”
Ringhiò il Re, frapponendosi tra lei e la regina.
Gli occhi chiari della strega si strinsero minacciosi.
“Tu osi dare ordini a me?! – sibilò infuriata – come ti permetti, bifolco insolente.”
La strega sollevò la mano libera e improvvisamente la spada volò via dalla stretta del Re, rigirandosi a mezz’aria per puntarsi contro il suo petto.
Il Re fissò la punta della lama, ma non indietreggiò di un passo, fissando la strega con occhi duri.
“Mi stai forse sfidando? Tua madre non ti ha insegnato che non si scherza con il fuoco?!”
A quelle parole, un getto di fiamme scaturì dalle sue dita protese, avvolgendosi in due anelli intorno al Re e alla Regina, separandoli.
La donna indietreggiò spaventata, cercando di tenersi il più lontana possibile dal fuoco.
Ad un tratto, il muro di fiamme davanti a lei si aprì e la strega avanzò verso di lei.
“Che cosa vuoi da me?”
Domandò la Regina.
“Oh è molto semplice, mia cara. Voglio mandare un messaggio, impartire una lezione.
Voglio che la tua cara mammina impari cosa significa perdere qualcosa a cui si tiene più della propria vita. E sarai tu a mostrarglielo per me.”
La strega mosse le dita e lunghe radici sbucarono dal terreno avviluppandosi intorno alle braccia della Regina, immobilizzandola, mentre altre fronde si avvolsero sulla bambina, strappandola al suo abbraccio e depositandola tra le braccia della strega.
“No! Brittany!”
Gridò la Regina tentando di divincolarsi.
“No! – esclamò Holly – lasciala. Ti prego, Sue. Prendi me, ma lascia la bambina.”
“Prendere te? E cosa potrei farmene di una lucciola troppo cresciuta? Non mi saresti utile nemmeno per illuminare i libri di incantesimi nelle notti senza Luna.”
“Ti prego non portarmi via la mia bambina – implorò la Regina piangendo disperata – ti prego!”
In quel momento il Re balzò oltre il muro di fiamme e si scagliò addosso alla strega, ma due lingue di fiamme gli si avvilupparono intorno ai polsi, trattenendolo, mentre gridava per il dolore.
“Molto eroico, ma ora sto iniziando ad annoiarmi. Addio, miei carissimi nemici.”
La strega lasciò cadere a terra la gabbia in cui era imprigionata Holly, poi ruotò su sé stessa, avvolgendosi nel suo mantello insieme alla bambina e scomparve con lei in uno sbuffo di fumo.
Come la strega se ne fu andata, anche le fiamme e le fronde incantate che tenevano prigionieri il Re e la Regina scomparvero e la fata Holly riuscì finalmente a liberarsi dalla sua gabbia.
Il Re accorse immediatamente al fianco della sua sposa, che si era accasciata a terra, singhiozzando disperata con le mani premute sul volto.
“La mia bambina.”
Singhiozzò la povera Regina, nascondendo il viso contro il petto del Re che la strinse tra le braccia, incurante del dolore lancinante ai polsi ustionati.
Holly sparse la sua polvere di fata sulle ferite del Re che si rimarginarono, lasciando solo delle brutte cicatrici, e con le lacrime agli occhi assunse la sua forma umana per potersi inginocchiare ad abbracciare la sorella.
“La troveremo – mormorò il Re con voce rotta – tenteremo anche l’impossibile finché non avremo ritrovato la nostra Brittany.”
“Non sarete soli, il Regno Fatato non avrà tregua finché non riabbracerete la vostra bambina.”
“Bisogna dare l’allarme.”
Sospirò il Re.
“Ci penso io.”
Si offrì Holly e in men che non si dica riassunse la sua forma fatata e volò via in cerca dei primi soccorsi.


“E sono riusciti a ritrovare la principessina?”
Domandò la piccola con gli occhioni azzurri spalancati e velati di qualche lacrima.
“Sia i sudditi del Regno che il Popolo Fatato cercarono in lungo e in largo, setacciando tutto il Reame, quelli confinanti e anche quelli più remoti, ma nessuno trovò traccia della piccola Brittany né della strega dei boschi.
Passarono lunghi anni e si avvicinava quello che sarebbe stato il diciottesimo compleanno della principessa Brittany e ormai il Re e la Regina continuavano a sperare solo grazie al Popolo Fatato che come promesso continuava a cercare la principessa perduta.”
“E dove l’aveva nascosta, mamma? In una prigione sottoterra? Dentro un albero? L’aveva trasformata in un fiore, o in un ranocchio?”
“Niente di tutto questo – sorrise lei – devi sapere che, nel folto del bosco, c’era una radura segreta, tenuta nascosta da un anello di alte montagne. L’unico modo per raggiungerla era attraverso una galleria talmente ben nascosta che solo chi sapeva esattamente dove cercarla l’avrebbe trovata.
E in mezzo alla radura si ergeva un’altissima torre, senza porte e con un’unica stanza sulla cima. Era lassù che la strega dei boschi aveva tenuto nascosta la principessa per tutti quegli anni e Brittany era cresciuta credendola sua madre.”
“Ma perché l’aveva tenuta lì?”
“Perché aveva scoperto un segreto.
La Regina, pur essendo per metà fata non aveva mai manifestato i poteri magici del popolo di sua madre. La magia sembrava invece essersi rivelata nella piccola Brittany, in un modo molto particolare.”
“Come?”
Domandò la piccola pendendo dalle sue labbra.
“I suoi capelli erano magici e la strega li usava per riottenere la magia che consumava nei suoi incantesimi. Le bastava spazzolare i lunghissimi capelli biondi di Brittany cantando un semplice incantesimo e la magia dei suoi capelli fluiva in lei.”
“E alla fine la fata Holly ritrova la principessa e la riporta alla sua mamma e al suo papà, vero?”
“Mmm, non proprio.”
“Quindi Brittany è rimasta per sempre nella torre?”
“Certo che no, ma non è stata la fata Holly a trovarla.”
“E chi allora?”
“L’ultima persona che ci si sarebbe aspettati.”
Rispose lei con un luccichio misterioso negli occhi.


Era una bella mattina di maggio e il sole primaverile splendeva nel cielo limpido.
Si avvicinava il diciottesimo compleanno della principessa Brittany e come ogni anno il Regno si preparava per festeggiarla, poiché anche se era perduta non era dimenticata.
Ogni anno, dopo il tramonto del sole nel giorno del suo compleanno, il Re e la Regina facevano volare una lanterna perché, ovunque fosse, la loro bambina potesse sapere che i suoi genitori la amavano e continuavano ad aspettare il suo ritorno, così come tutto il regno che seguendo l’esempio dei sovrani liberava centinaia di lanterne, dando vita ad un fiume di luci che, per una sola notte all’anno, invadeva il cielo.
Ma ancora mancava un giorno al compleanno della principessa e il giovane che si era arrampicato sul tetto del castello non era certo interessato alle lanterne, né tantomeno al panorama mozzafiato che si poteva godere da lassù.
Forse un po’ interessato al panorama lo era, infatti rimase incantato ad osservarlo finché un omone alto e dinoccolato non gli si avvicinò scoordinatamente, rischiando varie volte di inciampare, anche nei suoi stessi piedi.
“Cortez – chiamò aggrappandosi all’asta di una bandiera per sorreggersi – sbrigati, abbiamo un lavoro da fare.”
“Rilassati Hudson.”
Rispose il giovane voltandosi e lisciandosi i sottili baffetti prima di incrociare con noncuranza le braccia al petto.
“Stavo solo dando un’occhiata. Non ho dimenticato perché siamo qui.”
“Non si direbbe visto quanto te la stai prendendo comoda.”
“Allora voi due volete darvi una mossa?!”
Sibilò un terzo uomo rispuntando dalla botola in cui si era appena infilato, i suoi capelli rossi che quasi si mimetizzavano tra le tegole.
“Arriviamo, stecchino.”
Sbuffò il più piccolo, scocciato.
Tre uomini tanto diversi non si erano mai visti insieme.
Rick Nilson, detto stecchino, non tanto per il suo fisico smilzo, quanto per la sua abitudine di girare sempre con un bastoncino stretto tra i denti.
Finn Hudson alto e impacciato e con l’aria decisamente poco sveglia.
E infine Diego Cortez con il suo fascino esotico, sottolineato dalla sua pelle ambrata e dai misteriosi occhi, neri quanto i capelli che portava legati in un codino, e dal suo sorrisetto sarcastico sotto i baffi sottili e curati.
Un uomo sveglio ed intelligente come Diego Cortez non si sarebbe mai fatto vedere in giro con due trogloditi simili in circostanze normali.
Ma per quanto potesse sembrare strano, quei tre uomini avevano uno scopo comune.
“Sbrighiamoci. E vedete di non fare troppo baccano voi due.”
Sibilò Cortez intrufolandosi in un corridoio e percorrendolo silenziosamente, ruotando gli occhi scocciato ogni volta che uno dei due incapaci che lo seguivano riusciva a fare tanto rumore quanto un intero battaglione di guardie reali in marcia.
I tre si intrufolarono furtivamente in una stanza e Cortez sbirciò da una balconata .
“Centro!”
Sussurrò legandosi il capo di una corda intorno ai fianchi in un’imbragatura rudimentale.
“Avanti bestioni, vedete di rendervi utili.”
Sibilò gettando l’altro capo della corda al più alto dei due, alzando gli occhi al cielo in cerca di pazienza quando l’uomo mancò clamorosamente la presa.
Hudson e Nilson lo calarono oltre il balcone, esattamente sopra gli oggetti scintillanti che si trovavano sui tre piedistalli al centro del salone sottostante.
Cortez si guardò intorno, osservando divertito le guardie che davano le spalle alle tre corone reali, tenendo gli sguardi fissi sulle due arcate che davano accesso alla sala.
Prese delicatamente i tre gioielli, riponendoli con cautela nella borsa che aveva a tracolla, sogghignando quando vide una delle due guardie sbadigliare sonoramente.
“Eh già, immagino debba essere una vera noia starsene qui tutto il giorno, in attesa che accada qualcosa.”
“Oh, non ne hai idea…”
Rispose la guardia annoiata.
Prima che potesse rendersi conto di quello che era appena accaduto, Cortez si era già riarrampicato sulla balconata e quando il primo grido d’allarme echeggiò tra i corridoi del castello, i tre ladri stavano già fuggendo verso la foresta.
“CORTEZ!”
Urlò con rabbia una voce di donna.
“Oh, sembra che l’affascinante capitano delle guardie reali, abbia notato la mia firma in quest’impresa.”
“Non potevi tenere quella tua boccaccia chiusa?”
Ansimò Nilson alle sue spalle.
“Mi dispiace, non ho saputo resistere.”
Ghignò seguendo Hudson che aveva appena imboccato un sentiero.
“E adesso, genio della lampada?”
Borbottò, quando si trovarono davanti un’alta parete di roccia.
“Dannazione, dovevamo svoltare al primo sentiero a sinistra, non al primo a destra. Torniamo indietro.”
“Ceertooo, andiamo a tuffarci direttamente tra le braccia delle guardie reali. Gran bel piano Frankenstein.”
“Allora tu che proponi di fare? Eh, baffetto?”
“Stecchino sale sulle tue spalle, io sulle sue, scavalco, poi lo aiuto a salire e a quel punto tiriamo su anche te.”
I due energumeni si scambiarono uno sguardo ottuso.
“Benissimo – ringhiò il rosso – ma prima consegnami la borsa con le corone reali.”
“La vostra mancanza di fiducia nel mio onore mi offende profondamente.”
Borbottò lanciandogli la borsa contro il petto, con un’espressione scocciata dipinta in volto.
I due uomini si sistemarono l’uno sulle spalle dell’altro appoggiandosi contro la parete di roccia e Cortez prese la rincorsa arrampicandosi sulle loro spalle per poi gettarsi oltre la sommità della barriera che li ostacolava.
“Avanti, adesso aiutami a salire.”
Disse Nilson allungando la mano verso di lui, innervosito dal suono di passi in corsa che iniziava a sentirsi in lontananza.
“Oh, giusto. Avevamo detto che avremmo fatto così, vero?”
Domandò lui appoggiandosi un dito sul mento con aria pensosa.
“Già. Cosa stai aspettando?”
“Scusate ragazzi, ma ho appena ricordato di avere un impegno importante. Non mi posso proprio trattenere. E poi i vostri amici, che stanno arrivando, non vedono l’ora di abbracciarvi.”
Sogghignò indicando le guardie reali che erano appena entrate nel suo campo visivo in lontananza.
“Se non ci aiuti a salire – intervenne Hudson, con un filo di panico nella voce – le corone torneranno al loro posto e non avrai la tua parte di bottino.”
“Mmm parli per caso di queste corone?”
Sghignazzò sollevando la borsa che aveva abilmente sgraffignato, mentre si arrampicava sulle spalle dei due uomini.
“Ma che diavolo?”
Ringhiò il più piccolo dei due portandosi una mano al fianco nel punto in cui, fino a pochi istanti prima, pendeva la borsa con le corone.
“Ci si vede, ragazzi. Salutatemi tanto le guardie reali.”
Ghignò Cortez facendogli l’occhiolino, prima di voltarsi e fuggire via con uno scatto.
Si era allontanato solo di un centinaio di metri, quando una figura saettante sbucò da un cespuglio, in perfetta rotta di collisione con il suo corpo.
Un paio di braccia si strinsero intorno alla sua vita, mentre perdeva l’equilibrio e ruzzolava a terra.
In qualche modo riuscì a divincolarsi dal corpo avvinghiato al suo e a rialzarsi, ritrovandosi a fissare un paio di occhi verdi, freddi e determinati, sormontati da un elmetto di ferro lucente.
“Capitano Fabray – salutò con un elegante mezzo inchino – è sempre un piacere rivederti.”
“Vediamo di farla facile, Cortez – replicò la donna non lasciandosi incantare nemmeno un secondo dai suoi modi affascinanti – restituiscimi le corone e forse non ti prenderò a calci nel tragitto fino alle segrete.”
“Andiamo Fabray, quante volte ci siamo trovati in questa situazione?”
“Troppe per i miei gusti.”
“E quante volte io me ne sono andato tranquillamente e tu sei tornata in città a mani vuote?”
“Levati dalla faccia quel sorrisetto autocompiacente, l’ho visto talmente tante volte che mi da il voltastomaco.”
Cortez si portò una mano all’altezza del cuore, dipingendosi un’espressione ferita sul volto.
“E io che pensavo che il tuo continuo accanimento fosse una dimostrazione del tuo trasporto nei miei confronti.”
“Ho per te lo stesso trasporto che potrei avere per lo sterco di cavallo.”
Replicò la guardia reale.
“Stai ferendo i miei sentimenti.”
“Ferirò ben altro che i tuoi sentimenti se non mi consegni immediatamente quelle corone.”
Ringhiò lei minacciosa sguainando la spada dal fodero.
“Perché vuoi mettermi in difficoltà? Lo sai che combattere con le donne è contro i miei princi…”
Non fece in tempo a finire la frase che la guardia reale gli si scagliò contro, menando un forte fendente che il ladro riuscì a schivare gettandosi a terra.
Mentre ruzzolava raccolse un lungo ramo che usò per parare il fendente successivo, un attimo prima che raggiungesse il suo collo.
“Arrenditi Cortez!”
Ordinò la donna tra un affondo e una parata.
“Solo se tu ammetterai che darmi la caccia ti diverte quanto a me diverte essere la tua spina nel fianco.”
“Mi dispiace, ma non ammetterei mai di avere sentimenti positivi per una spina nel fianco.”
“Però stai ammettendo che effettivamente io sono la tua spina nel fianco – sorrise Cortez – e che hai dei sentimenti di qualche tipo per me, la cosa si fa interessante…”
Continuò fintando un affondo.
“Dimmi, quante notti hai sognato di potermi mettere le manette ai polsi?”
Concluse sollevando allusivamente le sopracciglia.
La guardia reale non riuscì a trattenersi dal roteare gli occhi annoiata e tanto bastò al ladro per compiere un rapido movimento di polso con cui riuscì a sottrarle di mano la spada che dopo un aggraziato volteggio in aria atterrò con precisione nel suo palmo proteso.
Cortez ridacchiò e gettò la spada lontano tra i cespugli solo per sentirsi piombare di nuovo addosso il corpo atletico della donna, che lo fece sbilanciare.
I due rotolarono per terra per alcuni istanti, mentre il capitano delle guardie tentava di strappare il bastone dalla presa del ladro, ma alla fine si ritrovò con il ramo premuto contro le spalle e gli occhi irridenti di Cortez puntati dritti nei suoi, mentre l’uomo la immobilizzava a terra mettendosi a cavalcioni dei suoi fianchi.
Strinse con forza i pugni intorno al bastone, iniziando a spingervi contro con tutta la forza che aveva per scrollarsi il ladro di dosso.
I due si fissarono a lungo, una luce determinata negli occhi verdi della guardia reale e una divertita di sfida in quelli neri del ladro.
“Arrenditi Cortez!”
Sibilò la donna tentando di divincolarsi dalla sua presa.
“Non mi sembra che tu sia nella posizione di ordinarmi qualcosa, Quinn.”
Sogghignò il ladro, sapendo bene quanto la irritasse quando la chiamava per nome.
Poi sembrò ripensarci e il suo sguardo penetrante assunse un tono di malizia.
“Beh certo, se fossimo senza vestiti, potresti darmi tutti gli ordini che vuoi…”
Soffiò abbassando la voce ad un tono roco e sensuale, mentre si sistemava meglio sui suoi fianchi, ma mantenendo una, se così si poteva definire, rispettosa distanza da lei.
“Preferirei entrare nuda in un formicaio!”
Ringhiò facendo scattare minacciosamente la testa in avanti.
Cortez colse il movimento e le andò incontro, premendo con forza le labbra sulle sue.
Quinn spalancò gli occhi indignata, ma contro ogni sua volontà, si ritrovò a pensare di non aver mai baciato delle labbra tanto piene e morbide.
Non si sarebbe mai aspettata che un uomo potesse avere delle labbra così.
Come? Ma che cosa cavolo mi sta passando per la testa?! Sveglia Quinn. Questo tizio è il ricercato n°1 del regno.
Si separò dal bacio con un movimento stizzito, fissando uno sguardo inceneritore in quegli occhi neri.
Cortez si passò languidamente l’indice sinistro sul labbro inferiore, rivolgendole un sorriso seducente, prima di dipingersi un’aria greve sul volto.
“Lo so è stato bello anche per me, ma tra noi non potrà mai funzionare – mormorò con tono melodrammatico – scusa tesoro, non è colpa tua, sono io che non sono affatto adatto a te. Tu credi di conoscermi, ma in realtà non sono come sembro.”
E detto questo le premette un altro rapido bacio sulle labbra, prima di alzarsi velocemente e correre via.
“Addio!”
Gridò.
Quinn rimase un attimo interdetta a fissare il tetto di foglie sopra di lei, poi diede un colpo di addominali nel tentativo di sollevarsi, solo per ritrovarsi di nuovo schiacciata a terra trattenuta dal bastone che il ladro le aveva lasciato addosso.
Si voltò a guardare le due estremità del bastone e ne trovò una incastrata sotto una radice, mentre l’altra era in qualche modo stata fissata ad una grossa pietra.
“Maledetto farabutto, figlio di…”
Ringhiò, iniziando a strisciare sulla schiena per scivolare via da sotto il ramo.
Si rialzò, scuotendosi di dosso le foglie secche e la polvere che le erano rimasti addosso e si risistemò l’elmetto sui corti capelli biondi.
“CORTEZ!”
Gridò, ripartendo all’inseguimento.
“Ti prenderò! Fosse anche l’ultima cosa che faccio.”


“Ma mamma… – interruppe la bambina – cosa c’entra questo ladro? Che fine ha fatto la principessa Brittany? Credevo che questa fosse la sua storia.”
“Certo, ma ti assicuro che quel ladro è molto importante per la storia della principessa Brittany. Vedrai.”
Sorrise lei.
“Sei sicura?”
Domandò la piccola incrociando le braccia sul petto e guardandola seria.
“Sicuro che sono sicura.”
Rispose, avvicinandosi a mordicchiarle il nasino, facendola ridere.
“Va bene, allora andiamo avanti.”


Mancavano un paio d’ore al mezzogiorno della vigilia del suo compleanno e Brittany si era svegliata presto quella mattina.
Aveva già riordinato la sua casa lì in cima alla torre, e fatto le pulizie. Appena finito aveva fatto il bagnetto a Lord Tubbington, il micio che un giorno sua madre le aveva portato, dopo che le aveva detto più volte di sentirsi sola.
Negli ultimi quattro anni Lord Tubbington era stato il suo unico amico.
“Lo so, Tubb – mormorò massaggiandogli il pelo con le mani insaponate, mentre il micio puntava su di lei uno sguardo a metà tra l’indignato e il supplicante – abbi pazienza, lo sai che è per una buona causa.”
Concluse avvolgendolo in un asciugamano e stringendolo al petto, mentre lo strofinava per asciugarlo.
“Abbiamo una missione importante da portare a termine e dobbiamo essere al meglio.”
Gli spiegò dandogli un bacino sul naso prima di lasciarlo andare.
Quindi prese la spazzola e iniziò a pettinare i suoi lunghissimi capelli.
Aveva appena finito e riposto la spazzola con uno sbuffo, quando sentì la familiare voce della madre chiamarla da sotto la torre.
“Brittany sciogli i capelli.”
La ragazza corse alla finestra e fece passare i capelli in un gancio attaccato sopra l’apertura per poi lasciarli cadere lungo la torre.
“Avanti, pelandrona – disse secca la donna dopo aver afferrato la lunga e spessa ciocca bionda – issa.”
Brittany iniziò a sollevarla, ritirando i suoi capelli dentro la stanza, strattonandoli a forza di braccia al ritmo impartito dagli ordini secchi di sua madre.
Non appena mise piede nella stanza, la donna controllò la piccola clessidra che portava appesa al collo.
“Un minuto e ventotto secondi – scandì – hai migliorato la tua media, ma so che puoi fare ancora meglio.”
“Buongiorno madre.”
Rispose lei diligente.
Sue si guardò intorno aggrottando le sopracciglia davanti all’ordine e alla pulizia che regnavano nella torre solitamente caotica e invasa dalle matite e pastelli colorati e dai fogli ricoperti dei disegni, solitamente ritratti di Lord Tubbington, che Brittany produceva costantemente.
Alla fine mise da parte l’ordine insolito con un’alzata di spalle.
“Madre – esordì Brittany titubante ed eccitata allo stesso tempo – c’è una cosa di cui ti vorrei parlare.”
“Non ora, Brittany. Stanotte ho lavorato molto ed ho consumato molta magia. Sono stremata.”
Brittany colse il messaggio e si affrettò a sistemare la poltrona e lo sgabello su cui sedevano, quando Sue ricaricava le sue energie magiche dai suoi capelli. La spinse frettolosamente sulla poltrona piazzandole la spazzola in mano ed iniziò a cantare l’incantesimo talmente in fretta che Sue riuscì a malapena a passarle un paio di volte la spazzola tra i capelli, prima di essere investita da un’ondata di magia tanto rapida e forte da farle girare la testa per un minuto buono.
“Insomma, si può sapere che ti prende stamattina?”
Brittany colse la palla al balzo.
“Ecco madre… vedi domani è il mio compleanno e…”
“Mi sembra di ricordare che il tuo compleanno sia già stato l’anno scorso.”
La interruppe Sue alzandosi.
“Beh, sai com’è madre, i compleanni hanno il vizio di tornare ogni anno.”
“Non necessariamente – esclamò la donna con convinzione – il mio ha smesso di arrivare dopo il ventinovesimo e questo è successo più di vent’anni fa.”
Brittany ci pensò su un minuto prima di annuire.
Dopotutto chi era lei per decidere come avrebbe dovuto comportarsi un compleanno, sarebbe arrivato se e quando avesse voluto lui.
Questo, naturalmente, non cambiava il fatto che il suo compleanno sarebbe arrivato l’indomani, quindi ritornò all’attacco.
“Dunque, come stavo dicendo, domani sarà il mio compleanno e c’è una cosa che vorrei chiederti come regalo.”
“E che cosa sarebbe?”
Domandò Sue annoiata.
“Vorrei andare a vedere il fiume di luci.”
Disse tutto d’un fiato.
La donna si voltò verso di lei, rivolgendole uno sguardo confuso.
“Il che?”
“Il fiume di luci che volano in cielo.”
Spiegò lei con fare ovvio.
“Cioè le stelle?”
“No – la corresse – le stelle sono sempre lì, tutte le notti. Il fiume di luci, invece, compare una sola notte all’anno e sempre per il mio compleanno.”
Le labbra di Sue si assottigliarono in un’espressione di disappunto e Brittany si fece piccola sotto il suo sguardo severo.
“Pensavo che, magari, visto che ormai ho diciotto anni, potrei uscire ed andarlo a vedere da vicino…”
“Uscire?”
Domandò la donna con voce contrariata.
“Pensavo che avessimo discusso l’argomento abbastanza approfonditamente ormai. Sai bene come la penso in merito.”
Brittany abbassò la testa delusa, preparandosi a sorbire di nuovo la solita ramanzina su quanto il mondo fosse brutto e pericoloso, pieno di animali feroci, malattie e criminali senza scrupoli pronti a…
“…pronti a rapirti, imprigionarti o addirittura ucciderti per impadronirsi della magia dei tuoi capelli, o per venderla a persone ancora più senza scrupoli di loro.
Solo qui sei al sicuro – concluse la donna con un sospiro e addolcendo lievemente la voce – sei la persona più dolce ed innocente che esista, Brittany. Non voglio che il mondo ti contamini.”
Brittany lasciò cadere le spalle sconfitta.
Sapeva bene che sarebbe stato inutile insistere e che continuare il discorso avrebbe portato solo ad una spiacevole discussione.
Sue l’abbracciò posandole un bacio sulla fronte.
“Bene. Discorso chiuso – disse poi sbrigativa, sciogliendosi bruscamente dall’abbraccio – e togliti quel broncio dalla faccia, ti da un’aria da tonta.”
Brittany si sforzò di accontentarla, ma la sua espressione rimase triste e delusa.
“Ora fammi scendere, così posso andare a recuperare qualcosa per il pranzo. Hai qualche richiesta?”
Domandò sporgendosi oltre la finestra, già stringendo una ciocca di capelli tra le mani.
“Sorprendimi.”
Rispose Brittany in tono triste, mentre già la stava calando dalla torre.
“Torno presto.”
Gridò Sue allontanandosi e rivolgendole un gesto vago della mano, senza nemmeno voltarsi.
“Non preoccuparti, non vado da nessuna parte…”
Rispose mestamente, quando la vide scomparire nell’ombra della galleria.

Cortez sfrecciava per la foresta saltando le rocce e le radici che trovava sul suo percorso.
Quell’inseguimento lo stava sfiancando, il capitano Fabray non era mai stata tanto determinata. Probabilmente la sua determinazione era dovuta anche al loro piccolo incontro ravvicinato di poco prima, pensò con un ghigno.
In un paio di circostanze, Quinn l’aveva quasi raggiunto e Cortez si era dovuto inventare un espediente per depistarla.
Il suo cuore di furfante aveva pianto di disperazione quando, per distrarre Quinn, aveva dovuto gettare una delle tre corone tra i cespugli, in modo che rinunciasse ad inseguirlo per recuperare il prezioso oggetto.
Questo, tuttavia, non le aveva impedito di rimettersi alle sue calcagna, non appena raccolta la corona, costringendolo a gettarsene un’altra alle spalle quando la guardia si era di nuovo avvicinata troppo a lui.
Cortez si fermò in mezzo ad una radura, poggiando i palmi delle mani sulle ginocchia, respirando affannosamente.
Quell’inseguimento stava durando decisamente troppo per i suoi gusti e gli era già costato i due terzi del suo prezioso bottino.
Doveva escogitare qualcosa se non voleva rinunciarvi completamente ed evitare la galera.
“CORTEZ!”
L’urlo di Quinn alle sue spalle era decisamente troppo vicino.
Si risollevò e si rimise a correre, ma fatti solo pochi passi sentì i troppo familiari latrati dei segugi reali, proprio davanti a lui.
“¡Maldicìon!”
Ringhiò.
Era in trappola.
Indietreggiò verso una parete di roccia ricoperta di edera, guardandosi intorno in cerca di una via di fuga, mentre si premeva contro le pietre alle sue spalle.
Ma non appena la sua schiena poggiò contro la parete, quella che credeva essere solida roccia cedette sotto il suo peso, mentre le fronde di edera si aprivano, facendolo cadere all’indietro.
Cortez riuscì a stento a soffocare un grido di sorpresa.
Non appena le fronde d’edera si richiusero sulla cavità che l’aveva inghiottito, i passi affrettati del capitano Fabray risuonarono nella radura, seguiti poco dopo da quelli pesanti e ritmati di altri soldati.
“Capitano – chiamò una delle guardie – dov’è finito quel farabutto?”
Cortez sogghignò.
“Lo stavo inseguendo – spiegò Quinn disorientata – l’ho perso di vista solo pochi istanti quando ha abbandonato la corona della regina, prima di entrare in questa radura.”
Concluse sollevando i due monili che aveva recuperato.
Il ladro digrignò i denti contrariato.
“I cani hanno fiutato il suo odore, non può essere lontano.”
“Allora fateli cercare!”
Ringhiò Quinn.
Cortez si guardò intorno e decise che il posto più sicuro fosse quello più lontano possibile da Quinn e dalle sue guardie reali.
Osservò la galleria scura che si trovava davanti a lui, indeciso se proseguire o meno, quando un ordine perentorio di Quinn verso i soldati cancellò ogni suo dubbio, spingendolo ad avanzare nell’oscurità.
Dopo vari minuti, una tenue luce comparve davanti a lui e infine la galleria lo condusse di nuovo all’aperto.
Batté varie volte le palpebre nel tentativo di riabituare gli occhi alla luce accecante del sole e, non appena riuscì a guardarsi intorno, la sua bocca si spalancò per lo stupore.
Si trovava in una bellissima piccola valle, piena di fiori colorati che impreziosivano l’erba verde e rigogliosa. I monti la circondavano completamente, sembravano quasi stringerla in un tenero abbraccio protettivo.
E proprio al centro della valle, si ergeva una torre altissima, più alta perfino della torre di guardia del castello da cui era appena fuggito col suo bottino.
Cortez si avvicinò curioso e fece il giro dell’edificio in cerca di un accesso, ma non ne trovò alcuno.
“Scommetto che c’è un panorama fantastico da lassù.”
Mormorò tra sé e sé con un sorrisetto, notando una finestra solitaria quasi sulla cima.
Senza pensarci troppo, estrasse i due pugnali che aveva sempre con sé celati all’interno degli stivali e, conficcandoli nelle fessure tra le pietre con cui era costruita la torre, iniziò la sua lenta scalata.
Arrivato alla finestra, gettò i pugnali all’interno, in modo da potersi aggrappare al davanzale di legno e si issò faticosamente dentro la stanza.
Si chinò esausto sul davanzale, inspirando a pieni polmoni l’aria frizzante e pulita, mentre il suo sguardo vagava sul paesaggio sottostante.
Un sorriso soddisfatto gli incurvò le labbra piene.
“Non mi sbagliavo. Un panorama da mozzare…”
Prima che potesse finire la frase ci fu uno strano suono metallico, come l’echeggiare di una campana rotta, mentre un dolore acuto gli esplodeva nella testa.
Poi tutto divenne buio.

Lord Tubbington si avvicinò cautamente al corpo steso prono sul pavimento di legno, iniziando ad annusarlo sospettoso.
“Attento Tubb, potrebbe essere un mostro mangiagatti, pronto a strapparti la pelliccia per farsi un cappello.”
Bisbigliò Brittany, stringendo convulsamente il manico della padella con cui aveva stordito quello sconosciuto spuntato dal nulla.
Lord Tubbington non si scompose e continuò la sua ispezione.
Finito di annusare accuratamente il nuovo arrivato, sembrò decidere che fosse innocuo e si sistemò comodamente nella curva alla base della sua schiena, appoggiando il mento su una natica soda per poi mettersi tranquillamente a dormire.
Brittany inclinò la testa, osservando la scena perplessa, prima di azzardarsi ad avvicinarsi un po’ di più.
Dopotutto, l’istinto di Lord Tubbington non sbagliava mai.
Si avvicinò cautamente all’uomo privo di sensi e si accucciò al suo fianco curiosa.
Era la prima volta che vedeva un’altra persona che non fosse sua madre, e la curiosità la stava divorando.
Titubante, protese l’indice a sfiorare i suoi capelli neri. Era la prima volta che vedeva dei capelli neri e non poteva non chiedersi se anche al tatto fossero diversi dai suoi.
La sorprese trovarli così morbidi e setosi e si ritrovò ad accarezzarli piano, godendo di quella sensazione morbida sul palmo della mano.
“Sono quasi più morbidi del tuo pelo, sai Tubb?!”
Mormorò con un piccolo sorriso all’indirizzo del gattone addormentato.
Con estrema cautela spostò una ciocca ribelle che copriva il volto dell’intruso, sistemandogliela dietro l’orecchio.
Appena il suo volto fu scoperto lasciò andare un sospiro che non si era nemmeno accorta di aver trattenuto.
Osservò attentamente quei lineamenti sconosciuti, stranamente attratta da quella pelle ambrata, leggermente imperlata di sudore, e il suo sguardo si perse per un momento sulle labbra piene, atteggiate in un piccolo broncio a metà tra la sorpresa e l’indignazione.
“Ehi, Tubb – ridacchiò – hai visto? Anche lui ha i baffi, come te.”
Il micio si limitò a rivolgerle uno sguardo di traverso, prima di sistemarsi più comodamente, sollevandosi sulle zampe per stiracchiarsi un po’.
Nella procedura allungò una zampa, sguainando gli artigli per stiracchiarsi meglio, conficcandoli nel gluteo dello sconosciuto.
“Ahi!”
Si lamentò battendo le palpebre.
Brittany agì d’istinto e prima che il poveretto fosse del tutto vigile, gli assestò una seconda padellata sulla testa, spedendolo di nuovo nel mondo dei sogni.
“Ops.”
Mormorò all’indirizzo di Lord Tubbington che era saltato via spaventato.
“E ora che ne facciamo di lui Tubb?”
Domandò perplessa, ottenendo solo uno sguardo serio dal gattone.







Angolo della pazza

Ehm, salve… *si nasconde dietro un ombrello gigante, prestatole dal suo fedele amico Wile E. Coyote per ripararsi dai pomodori marci volanti*

Allora come avrete notato mi sono molto liberamente ispirata al cartone della Disney “Rapunzel”, ovviamente tratto dalla storia dei fratelli Grimm.

L’idea mi girava in testa già da un po’ e all’inizio pensavo di fare semplicemente una shot, ma dato che 1 stava già venendo lungherrima, 2 mi stava impiegando un sacco di tempo, ho pensato di dividerla in 3 – 4 capitoli e vedere voi cosa ne pensate, se l’idea vi piace vado avanti a scrivere anche le parti successive, in caso contrario la finisco qui e accantono l’intero progetto.
Però ho bisogno del vostro feedback, quindi commentate, insultatemi, datemi della pazza, qui o su Twitter , però fatemi sapere qualcosa.

Nel frattempo io continuo a lavorare anche agli altri miei progetti, quelli storici che ormai conoscete e qualcosina di nuovo bolle in pentola…

Chiudo qui, non so se e quando arriverà il seguito di… sta cosa qua, il suo destino è nelle vostre dita, perciò RECENSITE ;)

WilKia, chiude. >.<


   
 
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