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Autore: Tale    29/09/2012    1 recensioni
Una gita in un luogo triste quanto caro a chi lo visita. Un amore diverso da quello che popola i romanzi rosa, un sentimento al di fuori del tempo e della morte.
Un piccolo spaccato di vita scritto per il bisogno di raccontare, di ricordare. Per te, che ci sei sempre stato.
Genere: Malinconico, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Passato, presente, futuro



Ha piovuto. È facilmente intuibile dalle gocce che lente scivolano sul marmo freddo, esposto ad ogni intemperie.
Gli alberi, lì intorno, si agitano al vento gelido che imperversa quest’oggi. Probabilmente, a breve, pioverà di nuovo.
Mi abbasso, fino ad arrivare con il viso all’altezza dei fiori appassiti. L’inverno è ormai arrivato, inutile negarlo con il naso sepolto in una sciarpa di lana spessa e una giacca imbottita addosso.
Infilo la mano tra le foglie, fino a raggiungere quei gambi morti. Come tutto lì, penso.
Li estraggo dal loro apposito contenitore, sostituendo quelli con un mazzo di grosse margherite colorate. Fanno parte di una promessa, in fondo.
Qualcuno passa alle mie spalle, i suoi passi risuonano sulla ghiaia bagnata. Quando mi volto, un’anziana signora mi sorride, comprensiva.
È questo che mi piace di quel luogo così triste. Lì tutti sono uguali, sanno esattamente cosa provi la persona che sosta a due, tre, dieci postazioni da loro. Così come lo so io.
Ricambio il sorriso gentile della vecchina, prima di tornare a rivolgere la mia attenzione ai fiori, che dispongo con cura aprendoli con le dita. Finalmente un tocco di colore, niente petali di plastica dai colori apatici. Non su quella lapide, almeno.
Mi alzo, tornando a sovrastare la lastra di marmo, adesso più vivace. Lentamente, percependo il terreno scivoloso sotto i piedi, mi dirigo verso il secchio dell’immondizia.
Lì gettò i fiori appassiti, una composizione piuttosto esigua lasciata probabilmente da qualche lontano parente in visita. Nessun altro avrebbe comprato fiori veri, oltre a me e qualche ospite d’eccezione.
Afferro uno degli annaffiatoi messi a disposizione dalla struttura, spingendolo sotto il getto di acqua gelata.
Tornando alla postazione “26” del campo “80”, mi fermo poco distante ad osservare la fotografia poggiata sopra il marmo, all’altezza dell’incisione.
È sbiadita oramai, quasi bianca. La camicia azzurra si distingue a malapena dalla pelle lattea del viso, la montatura degli occhiali indistinguibile dalle lenti trasparenti. Ciò che più colpisce però sono gli occhi marroni, un colore così caldo e intenso da non poter essere distrutto nemmeno dal trascorrere inesorabile del tempo. Perfetti, come lui.
Mi avvicino, attenta a non scivolare e inzupparmi con l’acqua dell’innaffiatoio oltre che con la fanghiglia che c’è per terra.
Con cautela, riverso il contenuto del secchio di plastica sul marmo.
Adesso sembra finalmente tornare allo splendore iniziale, quando il dolore era ancora vivo come il colore di quella nuova composizione floreale.
Gli intarsi color del granito rilucono al passaggio dell’acqua, conservando la loro lucentezza anche al procedere della stoffa che l’asciuga. 
Completata quella minuziosa operazione, mi soffermo ancora un attimo a fissare la lapide.
Quanti ricordi, quante lacrime e sorrisi può conservare un pezzo di pietra?
 
Con la solita attenzione, mi accomodo meglio sul gradino lì affianco. Le labbra mi si stirano spontaneamente in una smorfia serena.
‹‹Ciao, nonno›› sussurro alla fotografia. ‹‹È un po’ che non ci vediamo. Come stai?››
La signora, che passando mi aveva guardata sorridendo, si volta verso di me. Dista solo qualche tomba, il suo sguardo è lo stesso di prima, solo un poco più lucido. Sta soffrendo, anche lei.
‹‹Oggi è il mio compleanno, sai? Non posso restare molto, infatti. Tra poco la mamma verrà a prendermi, poi prenderò parte ad una festa organizzata per i miei vent’anni››. Sospiro, prima di stropicciarmi gli occhi che hanno cominciato a bruciare impercettibilmente. Dopo quindici anni, fatico ancora a trattenere le emozioni. Penso che sia una cosa a cui non ci si abitua mai. Si può solo imparare a conviverci, con il dolore.
‹‹Ci saranno proprio tutti, un evento più unico che raro›› soffio, ironica. ‹‹La zia Caterina si è improvvisamente ricordata di avere una nipote, da qualche parte. Così si è impegnata ad affittare il locale più carino in città. Papà invece porterà la sua nuova compagna, Tiziana. Penso che, senza la presenza di quella donna, non avrei potuto contare nemmeno sulla sua. Non che me ne importi poi molto, a dire il vero››.
Le parole escono graffianti, più delle unghie laccate di rosso che accarezzano la superficie di marmo, ormai completamente asciutta.
‹‹Mamma, sebbene non sia proprio entusiasta all’idea di trascorrere del tempo con papà, si è detta felice di partecipare a quella serata. So che lo fa per me, e per Giulia, che al momento sembra essere in buoni rapporti con tuo figlio. Almeno lei…››
Mentre parlo, una goccia si abbatte pesante sul pavimento di ghiaia ancora infangato dalla precedente precipitazione.
‹‹Oh, piove›› esclamo, poco sorpresa. ‹‹Era nell’aria, si sentiva. Un po’ come i lampi, che annunciano a pochi secondi di distanza un tuono.
Forse farei meglio ad andare, anche se ho ancora molte cose da raccontarti. Come del mio nuovo ragazzo o dell’università, che frequento da qualche mese ormai››.
Una lacrima si mescola alla pioggia, che adesso scende fitta e gelida, penetrando la giacca pesante e la pelle già infreddolita.
‹‹Torno presto però, te lo prometto. Mi manchi, mi manchi tanto.
Da quando te ne sei andato, niente è al suo posto. Mi piacerebbe tanto potermi rifugiare nelle tue parole affettuose, nei tuoi abbracci e sentire che finalmente qualcuno che mi capisca a questo mondo c’è››.
Mi fermo a riflettere, questa volta silenziosamente.
Quant’è vero, il bisogno che ho di lui. Purtroppo però Dio, o chiunque altro abbia potere decisionale in questo universo disordinato, l’ha scelto per sé.
Se solo quel giorno avessi saputo. Se qualcuno mi avesse raccontato cosa stava accadendo, invece di impedirmi di salutarlo per un’ultima volta.
Come si dice, è acqua passata. Ed io ero molto piccola.
‹‹Ti voglio bene, nonno. Dormi bene, a presto››.

 
Mentre esco a passo spedito dal cimitero, in cielo una nuvola dispettosa si muove con me, lasciando che si apra un varco e lasci filtrare un timido raggio di sole tra le gocce pesanti.
Un “grazie” scivola dalle mie labbra commosse e sorridenti, consapevole che quello sia il più bel regalo di compleanno che abbia mai ricevuto.
L’ospite della serata sarai tu, nonno. Lo sarai sempre. 
  
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