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Autore: slice    30/09/2012    2 recensioni
Affetta da Shipping compulsivo, partecipo all'iniziativa del forum « Collection of Starlight, » said Mr Fanfiction Contest.
Questa ff è ambientata a Konoha nella fascia di tempo che intercorre tra lo scontro con Pein e l'inizio della guerra, con un piccolo exploit alla fine della storia per il dopoguerra. Parla di come Tenzo e Sakura potrebbero avvicinarsi secondo me e delle pazzie che si fanno perché quando ci si innamora si diventa scemi. E poi parla anche di caffè, sì.
Non so nulla, eh: non so se sono ic né se ho scritto qualcosa di plausibile. A me lo sembra sufficientemente, altrimenti non l'avrei scritta, ma boh. Di sicuro è corretta, perché è stata betata. Se ci è sfuggito qualcosa tiratelo a me che non è colpa della beta.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Altri, Sakura Haruno
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Naruto Shippuuden, Dopo la serie
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Crack, fanon o canon? Slash, het o threesome?
GOD SAVE THE SHIP!
I ♥ Shipping è un'idea del « Collection of Starlight, » said Mr Fanfiction Contest, « since 01.06.08 »

Prompt: Tenzo/Sakura, caffè











La caffeina aiuta, non fa miracoli
di slice





Forse non sono stata chiara: basta rasenshuriken, ma anche rasengan nani e super iper rasengan, per un po'!” disse Sakura, inferocita, “possibile che tu non comprenda l'entità dei danni che ti procuri?”
“Ma, Sakura chan...” ragliò Naruto, con quel chan incrinato dalla paura di ritrovarsi il naso al pari delle sopracciglia.
La kunoichi si massaggiò una tempia, prima di voltarsi nuovamente verso il maestro.
“E lei...” aggrottò la fronte, “ma che razza di bambino imprudente è diventato? Gettarsi così, in mezzo...” continuò borbottando, senza rivolgersi più a nessuno in particolare.
Kakashi sorrideva sotto la maschera, con quegli occhi ridotti a una fessura di scuse in una posizione ideale per scorgere perfettamente tutta la stanchezza e l'apprensione dell'allieva.
“Mi dispiace, Sakura, starò più attento,” disse, placando all'istante i borbottii della ragazza.
Lei sospirò, ricordandosi di aver sentito quella frase innumerevoli volte, in altre situazioni, e di non aver riscontrato cambiamenti nel comportamento del maestro. Tuttavia, quel tono adulto, colpevole, riusciva a convincerla e, ogni volta, finiva quasi con stupore nuovamente lì, a sospirare.
“Le donne diventano molto premurose con l'uomo che amano,” disse Sai, sorridendo, e Naruto pensò che stesse chiedendo un pugno.
“Sta' zitto!” gracchiò Sakura, la cui tensione non riusciva mai ad adagiarsi del tutto, grazie ai casi patologici che erano i suoi compagni di squadra.
Tenzo sorrise nel vedersi svolgere davanti quella scenetta, una delle tante che alleviavano le giornate dopo il disastro che si era lasciato dietro lo scontro con Pein. Erano necessarie, per tutti loro, ma in particolar modo per chi aveva qualcosa di cui incolparsi.
Per quanto lo riguardava, aveva con sé la colpa enorme di non essere stato presente. Il numero nove bruciava ancora sul suo palmo, in alcuni momenti, ma quando si toccava con il pollice, in un gesto istintivo, non vi trovava niente d'insolito. Avevano sfiorato una tragedia e se non fosse stato per la preziosa lungimiranza del Quarto Hokage, Konoha probabilmente non avrebbe visto neanche quella leggera speranza che arrancava per le strade dissestate, le case distrutte e i cantieri appena allestiti.
Avevano scoperto tutto molto presto.
Naruto aveva mangiato una decina di ciotole di ramen da Teuchi, quel giorno; rideva con Kiba, prendendo in giro Shikamaru che non poteva andare da nessuna parte senza essere tallonato da Shiho, che si sentiva in colpa. Avevano passato del tempo a scambiarsi sguardi perplessi, Tenzo e Kakashi, e a chiedersi la stessa cosa: cosa fosse successo, prima di tutto, ma anche quanto stesse bene, realmente, il genin.
Quando gli amici si furono congedati, tutti pieni d'impegni, persino Shikamaru, Naruto aveva appoggiato le bacchette sul ramen appena terminato e aveva sorriso. Kakashi, dopo aver scambiato un altro breve sguardo con il Capitano, aveva chiesto al kohai se fosse tutto a posto. Naruto aveva abbassato la testa e socchiuso gli occhi in quel suo modo doloroso, ma subito dopo c'era stato spazio per un sorriso, prima di chiocciare una risata semplice, serena, di gola: aveva conosciuto suo padre, in quel posto strano tra la sua mente e la sua pancia, dove dormiva la Volpe. Era stato bello anche per loro, udire quelle parole, aveva scatenato una bella sensazione. Sembrava necessario, adesso che era avvenuto, oltre che logicamente conveniente, era qualcosa che sapeva di giustizia, in quella vita di incertezze, paure e odio, quella del ninja, per non parlare di quella di un jinchuuriki.
“Capitano Yamato!”
Per quel richiamo così vicino e dal tono profondamente irritato, Tenzo prese paura come non gli capitava da anni, rischiando di cadere dalla sedia.
“Non è possibile, non mi ascolta nessuno,” brontolò Sakura mentre tornava al capezzale del maestro per rimettere la cartella al suo posto.
Kakashi lo guardò in un modo strano, alzando un sopracciglio, come per invitarlo a non aggravare la loro situazione con un ninja medico fornito di potenza tale da ridurli in pezzi talmente piccoli da poter essere spazzati sotto un tappeto. Tenzo gli rivolse a sua volta uno sguardo di sufficienza.
“Scusa, Sakura, ero sovrappensiero...” sorrise poi, beccandosi ugualmente l'ovvia occhiataccia della ragazza.
“Mi faccia un favore, Capitano, mi vada a prendere un caffè,” scandì lei, collerica, per essere sicura che le sue parole venissero recepite.
Tenzo annuì, ignorando pazientemente l'occhio derisorio di Kakashi.



Naruto!” urlò Sakura dalla collinetta su cui si era incrociata con un addetto alla documentazione delle scorte mediche per l'imminente guerra. “Che diavolo ci fai lì?”
Il ninja che aveva davanti si tappò un orecchio.
“Sakura san, le manca una firma sola,” così me ne vado e salvo i timpani, era compreso ma non lo disse.
“Oh,” sobbalzò lievemente lei, riportando l'attenzione ai fogli che aveva tra le mani, “tutto a posto, grazie per il tuo lavoro, Yamaarashi san,” disse, restituendogli il plico prima di inchinarsi.
Lui le sorrise, facendo altrettanto, perché in fondo trovava che la kunoichi fosse piacevole quando la sua voce non toccava picchi ultrasonici, poi proseguì per l'ospedale per ricevere altre liste che avrebbero necessitato di altre firme.
“Naruto!” urlò di nuovo, Sakura, “esci di lì!” si massaggiò una tempia, pronta a scendere nella piazzola e rimettere in riga anche i sassi. E lo avrebbe fatto se qualcuno non avesse interrotto i suoi propositi con una domanda.
“Perché non lasci che passi un po' di tempo a fare... l'idiota?” sorrise il nuovo venuto, nel pronunciare quell'insulto con una sfumatura di amore fraterno.
“Lo so che se l'è meritato, ma non voglio che perda contatto con questa realtà. Ci sono molte cose da fare e altrettante da digerire.”
Sakura era rivolta verso il compagno e dava le spalle al Capitano, tuttavia avvertì l'imminente intrusione di quest'ultimo e lo anticipò.
“So che Naruto non lo farebbe mai davvero, ma...” s'interruppe, addolcendo involontariamente il tono, “è come un gioco per noi: lui mi spinge a volare, io lo riporto a terra, è un perfetto equilibrio e non voglio romperlo. Se il suo sogno è intervallato dalla mia realtà il risveglio non sarà traumatico.”
Ci fu un momento di silenzio tra i due jounin, Yamato fissò intensamente quei capelli rosa, pensando a quanto la kohai apparisse ragazzina fuori e a quanto fosse diventata donna dentro. Naruto irruppe nell'aria gridando qualcosa mentre si gettava all'inseguimento di Sai e a lui venne spontanea una domanda.
“E se un giorno non volesse svegliarsi?”
Sakura si voltò a guardarlo con rinnovata serenità.
“Gli romperò la testa,” disse, ovvia, con un sorriso inquietante, “così scopriremo finalmente cosa diamine c'è dentro,” concluse, poggiando il pugno sulla mano come se fosse giunta ad una piacevole conclusione. Come se stesse offrendo un incentivo.
Tenzo rise, socchiudendo poi gli occhi ad un ricordo abbastanza recente.
“Sai, in un certo momento sono stato molto sicuro che tu fossi innamorata di lui,” e disse le ultime parole ridendo per l'espressione dell'altra.
Sakura sospirò, tornando a guardare in basso mentre il jounin si avvicinava, affiancandola.
“Tutti s'innamorano di lui, in un modo o in un altro,” disse, seguendo con lo sguardo il compagno di squadra impegnato a sbraitare contro Sai. Sorrideva, con uno sguardo materno che fece sorridere anche lui, di rimando. “L'amore, quello tra due innamorati, consuma, spoglia, lascia basiti... il mio amore per Naruto non ha tutta questa potenza. Purtroppo.”
Sakura guardava giù, ai piedi della collinetta di terra e Tenzo poté osservarle il viso, contratto in quella smorfia di dolore appena accennata eppure così carica di significato; comunicava una profondità strana che, per un momento, al Capitano sembrò irraggiungibile.
Volse anche lui lo sguardo nella voragine.
“Ti sei appena contraddetta: non esiste un solo tipo d'amore. Allora perché dovrebbe esistere un solo modo d'amare?”
Sakura rimase impressionata da quelle parole. Si voltò verso il suo interlocutore senza sapere cosa dire.
Nella sua infanzia aveva definito in fretta e furia quello che sentiva per quel bambino moro, cupo e solitario, l'aveva voluto definire in fretta anche e soprattutto per essere sicura di non aver buttato via l'amicizia con Ino invano. Negli anni successivi aveva però presto scartato questa insicurezza, ragionevole per quanto lei l'avesse disprezzata, potendo confermare l'amore con quel suo continuo interesse per quello stesso ragazzino. Nell'adolescenza non aveva fatto queste riflessioni, lei lo sapeva bene, non avvertiva incertezze in quel sentimento. Poi la vita l'aveva costretta a crescere e nel tempo aveva semplicemente smesso di porsi quesiti a cui da sola non riusciva a rispondere. Aveva smesso di avvertire un così forte sentimento per qualcuno che non c'era e non c'era mai stato, per qualcosa di lontano che non riusciva a raggiungere; aveva capito che era solo la necessità di avere proprio ciò che non poteva, a farla stare così male.
Allora l'ansia l'aveva consumata per un lungo periodo, la notte, quando si trovava da sola con i suoi pensieri e quell'amore insano voleva prendere nuovamente piede attirandola con la promessa di un obiettivo. Sakura si era trovata ad allontanare qualcosa che sentiva l'avrebbe costretta di nuovo a pensare che il suo punto fermo fosse volere Sasuke, ad ogni costo, piuttosto che proteggere Naruto, Kakashi e Yamato, Sai, Ino, i suoi genitori e tutti gli altri, tutto il villaggio. Riconoscere che quel rassicurante vortice era in realtà nero di dolore e rifiutare ciò che per anni le aveva permesso di andare avanti, nutrendosi esclusivamente di passato, non era stato affatto facile. C'erano senbon conficcati nel suo cuore e ci conviveva male. Tuttavia, lei non aveva intenzione di arrendersi, Naruto le aveva insegnato bene, e ogni volta che piangeva silenziosamente nella sua stanza, al buio delle stelle, immaginava quel suo cuore, stanco a sedici anni, che si toglieva uno di quegli aghi affilati. Uno ad uno sarebbero caduti tutti, prima o poi.
L'ansia non se ne era andata, però. Era mutata in qualcosa che scavava fra tutte le insicurezze lasciate da quella battaglia: Sakura si incupiva nel realizzare con angoscia che quell'esperienza si sarebbe ripetuta, convinta che l'amore sarebbe stato sempre così, per lei, in un qualche modo. Non aveva mai pensato di poter amare con altro spirito. Semplicemente non l'aveva mai guardata da quel punto di vista.
Quella frase, quelle parole, erano acqua calda dopo una tempesta.
“Sakura... ?”
Si accorse di avere la bocca aperta e di essere rimasta a fissare il Capitano, probabilmente con aria stralunata.
“Nh... è un bel concetto! Anche se devo ammettere che mi ha confusa: sembra uno scioglilingua!” sorrise, in imbarazzo, deviando l'attenzione sulla ridondanza della frase.
“Tutto bene?”
Tenzo l'aveva vista sbiancare, non a livelli preoccupanti, ma era chiaro che qualcosa nelle sue parole l'avesse turbata. Si avvicinò di un passo, per istinto, in un gesto di rassicurazione e lei sorrise nuovamente.
“Ma certo, sono solo un po' stanca, ho bisogno di un caffè,” disse, inchinandosi brevemente prima di voltarsi e dirigersi verso uno dei tanti capannoni nelle vicinanze.
Un rasengan esplose in quella che già era una voragine e per fortuna il fragore coprì gran parte del bercio di Naruto:
“Io non ho il pene piccolooo!”



Sakura frequentava spesso per brevi pause le zone relax sparse per l'ospedale e la caffetteria se la godeva solo a pranzo quando aveva più tempo.
Un giorno aveva incontrato là, Yamato, seduto ad uno dei tavolini bianchi, quelli in fondo, più nascosti, tanto che la prima volta si era chiesta se non volesse rimanere da solo.
“Oh, no, mi nascondo da Genma: non perde mai tempo per essere simpatico come una vasectomia...” e la sua faccia era così buffa che Sakura era scoppiata a ridere.
Lui ogni volta che sedeva a quel tavolo sembrava sempre più vicino a quella tonalità spettrale e sempre troppo giù per riuscire a dormire decentemente, così si faceva una capatina in ospedale e - quando Genma finiva il turno, preferibilmente - girava per i corridoi alla ricerca di Shizune affinché gli desse un rimedio.
“Non deve essere bello essere stanchi anche per dormire.”
Lui aveva annuito con un sospiro e lei si era offerta di pensare a qualcosa che lo tirasse su, così come aveva fatto con le pillole del soldato per Naruto.
Con le poche settimane di preparativi davanti avrebbe avuto un sacco di cose da fare, ma aveva promesso che sarebbe riuscita a dargli sollievo. La ricostruzione del villaggio era in fondo stata messa in massima parte sulle sue spalle, per quanto riguardava le strutture in legno.
Yamato aveva sorriso.
Sakura amava quel sorriso. All'inizio si era immaginata così anche il sorriso di Kakashi. Sembrava una cosa da niente ma vedere finalmente il sorriso di qualcuno che ti guida era stato come ricevere un abbraccio: caldo e rassicurante. L'aveva subito catalogato come uno splendido sorriso e per i primi tempi era così occupata a sovrapporlo al viso di Kakashi che non aveva fatto caso alla sconvenienza dei suoi pensieri. Poi, dopo la realizzazione, era stata colta da una sorta di ridarella acuta che Ino aveva descritto schizofrenia da trauma infantile e il trauma l'aveva chiamato Sasuke. In modo molto originale, tra l'altro.
Quello che la divertiva era indubbiamente il pensiero di aver trovato normale ammirare il sorriso di un uomo così apertamente con se stessa, aver pensato con così tanta naturalezza ad un uomo, un uomo a lei vicino, gentile, loquace e privo di vendette nella lista di cose da fare prima di morire.
Eppure c'era anche qualcos'altro, che però la divertiva e la inquietava allo stesso tempo.
Una sera, quando Tenzo l'aveva fatta ridere mettendo le mani in modo da proiettare sul muro la faccia di Kakashi, blaterando di stupidi ritardi in falsetto, si era accorta di come quel che aveva dentro non le ricordasse affatto quello provato con Sasuke, ma allo stesso tempo era come se avesse la certezza che si trattasse della stessa cosa.
Strano e inebriante.
Poi c'erano le sue parole.
Era così abituata a sapere di amare qualcuno senza avere un qualche riscontro, dall'altra parte, che muoversi in un'infatuazione - così l'avrebbe definita se costretta a farlo a voce alta - con una persona che interagiva, la confondeva sempre di più, rendendole paradossalmente chiaro di cosa si trattasse.
In quel momento, seduta a un tavolo della saletta relax del primo piano dell'ospedale, Sakura si passò una mano sulla fronte, in un gesto istintivo, cercando forse di scacciare quei pensieri. Lo sguardo le cadde sulla sua tazza di caffè e poco dopo ve ne apparve un'altra, sul tavolino.
“Passavo di qua e ti ho vista con la testa tra le mani, tutto bene?”
Lei sorrise per la sua premura e annuì.
“Stessi turni di sempre e preparativi per una guerra necessitano di una quantità di energie di cui non dispongo, pare,” ammise, prima di finire il contenuto della tazza. “E non sono neanche l'ideale se si vuole avere un bell'aspetto!” rise, con le mani che correvano a sistemarsi un ciuffo caduto sugli occhi.
“Oh, non preoccuparti, non hai niente che non vada,” sorrise lui, “anche se scommetto Ino sia furiosa...”
Sakura si fermò un momento e nel pensare a quella definizione rivide perfettamente la scena d'isteria che quella mattina l'amica le aveva offerto. Senza preavviso scoppiò a ridere dando conferma al Capitano, il quale mise su un'espressione saputa.
Poi lei abbassò gli occhi, improvvisamente seria.
“Mi sento in colpa quando rido...”
Si vergognava di stare così bene in quei pochi brevi istanti in cui le accadeva di dimenticarsi dell'imminente guerra, tanto che aveva smesso di uscire la sera e lasciava Ino a gridare per ore sul suo pianerottolo fino a quando non si accontentava di rimanere a bere un tè in silenzio.
Le sembrava irrispettoso, frivolo, le pareva di non avere rispetto nel cercare lo svago e neanche quando lo riceveva, inaspettato, era capace di goderselo.
Lui sorbì il caffè lasciandole il tempo di frugare nei suoi pensieri in profondità così da rendere le sue parole quel faro che sperava sarebbero state per illuminare un nuovo punto di vista. Poi diede un colpetto di tosse e quando la vide riscuotersi, catturò i suoi occhi.
“Credo che sia un male smettere di vivere, che sia la più grande mancanza di rispetto nei confronti della vita non godersi i momenti sereni, così come non reagire a quelli pesanti,” osservò per un attimo i suoi occhi verdi sgranarsi, “è solo la mia opinione, ma puoi adottarla se ti piace, l'importante è che tu per nessun motivo al mondo smetta di ridere, di piangere, di vivere, Sakura.”
Il suo sorriso amaro incontrò la tazza da caffè, giacché aveva chinato la testa, poi un flebile grazie arrivò alle sue orecchie.



Sapere che c'è sempre qualcuno, accanto a te, è rassicurante. Sakura aveva avuto modo di sentire sia il calore della presenza di Naruto che il gelo della distanza di Sasuke e credeva che pochi alla sua età avessero già realizzato quanta differenza poteva fare quel gelo. Erano dosi equiparate eppure il gelo era capace di spegnere il calore come acqua su un fievole falò. Per quanto lei si fosse sempre sforzata di cercare il calore, appena i suoi pensieri erano la sua unica compagnia non era stata capace di avvertirne neanche una scintilla. Sasuke le mancava, lo voleva con sé, al sicuro, principalmente perché voleva salvarlo, ma anche per non sentire più quel tremendo e spietato freddo.
Questa e altre elucubrazioni la spinsero a passare più tempo in laboratorio e con il naso nei libri polverosi che parlavano di erbe usate raramente, modificò quello che avrebbe dato al jounin, spacciandolo per il tonico promesso. Lui lo avrebbe ingurgitato giornalmente e lei avrebbe stretto i denti fino alla partenza.
Non si sentì in colpa subito. Mentre lo creava aveva bene in testa il suo obbiettivo e nessuno avrebbe potuto cambiare una virgola alla sua logica. Poi, davanti alla macchinetta del caffè del terzo piano, lui si rigirò la pillola tra le dita, scoprendola trasparente, le sorrise e poi la ingoiò.
Sakura si sentì male al pensiero di quel sorriso così fiducioso. Sentì di averlo tradito. La sera stessa avrebbe voluto dirgli di non prenderne più, ma ogni volta che ci provava qualcosa dentro di lei urlava forte e le faceva sempre la stessa domanda: vuoi vedere ancora quel sorriso?
Che sciocca, pensava lei, eppure quella vocina la frenava sempre giusto in tempo. Lui le chiedeva se fosse tutto a posto e lei annuiva. Lui si fidava e sorrideva e lei lo stava tradendo, ma un giorno forse l'avrebbe ringraziata o almeno capita; perché si chiedeva spesso se l'avrebbe mai capita. Sakura pensando in modo razionale non riusciva a scusare il suo gesto, si condannava e capiva di aver sbagliato, poi però arrivavano tutte quelle motivazioni, tutta quella paura e il suo comportamento assumeva sfumature diverse, comprensibili. Tuttavia non era tanto ingenua da credere che quello potesse essere anche il punto di vista di qualcun altro.
Non riusciva a smettere di pensare che, sì, voleva rivedere quel sorriso tutti i giorni e avrebbe sempre preferito essere odiata da lui al ritorno, piuttosto che piangerlo.
Aprendo la piccola porta che permetteva di accedere al tetto dell'ospedale, lei non credeva che avrebbe potuto incontrare qualcuno, tanto meno lui. Il Capitano trasformò l'aria stupita e ritirò la mano che aveva proteso verso la porta per aprirla, sorrise e la salutò.
“Te ne stavi andando?”
“Sì, ma...”
Le indicò la balaustra come per invitarla a trascorrere lì del tempo con lui e si diresse in quella direzione per primo.
Non disse nient'altro se non alla fine, prima che Sakura finisse la pausa. Rimasero in silenzio a lungo, lui rispettando il suo e lei troppo stordita dai pensieri per riuscire a comunicare qualcosa a voce.
“Me lo dirai, prima o poi?” disse alla fine.
“Cosa?”
Lei scattò come risvegliata da un'illusione, quasi spaventata.
“Cosa ti turba così, me lo dirai?”
Annuì, sul momento, ma non era sicura che sarebbe riuscita a dirglielo prima che lui lo scoprisse da solo.



Il sangue puzzava da morire, le pareva che l'odore fosse addirittura più forte del solito mentre si toglieva il camice per metterlo nel giusto contenitore. Lasciò il corridoio di chirurgia in fretta e con la testa leggera si fermò davanti alla macchinetta del caffè.
Faceva proprio schifo andare in ricognizione prima di una guerra e morire ancora prima di poter difendere il proprio villaggio dalla minaccia. Non c'era nessun rispetto da parte del nemico, per nessuna situazione. Minacciava già le loro vite e le vite di tutti gli abitanti dei villaggi, ma questo non bastava, si appostava nei d'intorni e attendeva di trovare un ninja in ricognizione, una donna a raccogliere erbe, una bambina a cercare i fiori per la partenza del padre. Sentiva l'indignazione, la rabbia, l'impotenza e altre emozioni forti, orribili, agitarsi dentro di lei, solo che agitandosi tutte insieme facevano male e il dolore la paralizzava.
“Sakura!”
Naruto le si fermò ad un palmo dal viso e, quando lei si voltò, Yamato aveva appena svoltato l'angolo per riacciuffarlo.
“Forza, Naruto, vai a farti fare quei benedetti prelievi!”
Kakashi poco più indietro ricambiò lo sguardo perplesso del Capitano e si portò via il jinchuuriki urlante.
“Lo so che te lo chiedo spesso, ultimamente, ma stai bene?”
“No.”
Sakura chiuse la bocca; era così assorta che non si era accorta di avere le labbra dischiuse come un'ebete e, pur rimanendo a fissare la macchinetta del caffè, la richiuse.
Tenzo si frugò in una tasca interna del giubbotto e ne estrasse qualche monetina. Quando le ebbe inserite nella macchinetta, si rivolse nuovamente alla kohai.
“Ti piace davvero il caffè, mh?”
“Mi aiuta a pensare.”
Lui prese il caffè dalla piccola apertura in basso e glielo mise tra le mani, poi fece una leggera pressione su una spalla affinché lei indietreggiasse fino alle sedie, addossate alla parete.
“Sakura, cos'è successo?” chiese, una volta seduto.
Lei si voltò a guardarlo, per la prima volta in quell'occasione.
“Ho fatto una cosa che non dovevo fare, ma più vado avanti e più sono convinta di aver fatto la cosa giusta.”
Lui aprì bocca, le labbra si mossero ma non seppe cosa dire, aggrottò la fronte nel tentativo di comprendere e, credeva che lei avrebbe parlato ancora, invece si alzò e si diresse a passo svelto in un altro reparto.



La porta del suo ufficio venne spalancata con abbastanza forza da farla sbattere sul muro.
“Tieni,” Yamato le posò un bicchierino di caffè sulla scrivania e lei si massaggiò le tempie, “adesso pensa in fretta e spiegami bene che cos'è questo!”
Ino guardò il gesto vago della mano di Sakura nella sua direzione e uscì dall'ufficio chiudendosi la porta dietro.
“Lo so, ho sbagliato. Puoi odiarmi se vuoi, da vivi si possono fare un sacco di cose.”
“Sakura.”
Lei sospirò forte e si rilassò sullo schienale.
“Cosa?”
“Hai falsificato il mio test per non farmi partire?”
La kunoichi spostò in fretta gli occhi dai suoi, si morse un labbro e dondolò in avanti, prima di posarli nuovamente sul suo viso.
“Sì.”
Lui non se l'era aspettato e rimase interdetto da quella resa.
“Cosa...? Perché?” gli venne spontaneo chiedere, con le braccia allargate e lo sconforto disegnato in volto.
Lei non rispose e abbassò lo sguardo sul suo grembo.
Sakura aveva passato le ultime settimane a convincersi che quello che provava non era quel qualcosa di più che tanto odiava dover riconoscere. Era diverso da come lo ricordava e questo l'aveva fatta piangere di felicità. Preferiva guardarlo da lontano per sempre che vederlo andar via con il suo cuore. Non poteva succedere un'altra volta. Non un'altra volta.
Tenzo aggrottò la fronte. Le braccia tornarono rapidamente lungo il corpo e nella sua mente miriadi di pensieri e ricordi si accavallarono.
“Quindi anche Kakashi e Naruto...”
“Naruto verrà protetto da tutti noi e Kakashi è stato nominato comandante di un'unità, perciò non avrebbe avuto senso farlo per loro.”
“Che assurdità...”
La ragazza si stropicciò gli occhi e buttò la testa indietro, congiungendo le mani per placare quel molesto tremolio.
“Non importa, così ho deciso.”
Si alzò e le rotelline della sedia cigolarono più indietro, in quel rapido scambio di battute quasi rabbiose, aggirò la scrivania fino ad arrivargli davanti.
Lui automaticamente si voltò, seguendo il suo movimento.
“Cosa? Io prendo decisioni da solo da quando ho otto anni, Sakura.”
“Dovresti ringraziarmi, c'è chi prega affinché le proprie analisi gli permettano di rimanere con la propria famiglia.”
“Konoha è la mia famiglia, dovresti saperlo che questo” sventolò il certificato d'idoneità con diverse scritte e segni rossi sopra, “è un castigo per uno shinobi!”
“Il mio senso di colpa si affievolirà quando tornerò e ti troverò vivo!”
Aveva urlato, forte, tanto che il silenzio appena conquistato le sembrò assordante. Infastidita da quegli occhi profondi, distolse lo sguardo.
“Che cosa mi hai dato?” cercò di prenderla per il verso giusto con un tono basso, affinché ragionasse.
Quando aveva letto quel foglio era stato preso da un vago malessere, una certa malinconia. Nel cercare la causa di tutti quei segni rossi fra i risultati, si era ricordato di ciò che Sakura gli aveva fornito e non aveva potuto evitarsi di catalogarla come l'unica anomalia, l'unica cosa che avesse potuto fare la differenza tra i suoi esami di routine e quelli che stringeva in mano. Era stato furioso in un primo momento, era infatti rimasto a casa a girare per il salotto, poi si era deciso ad intraprendere un discorso lungo e calmo su ciò che aveva fatto e infine la camminata dal suo appartamento all'ospedale gli aveva permesso di alterarsi di nuovo.
“Era davvero un tonico. L'ho solo modificato. Non hai niente che non vada, solo che non è certificabile per il momento: si tratta di una pianta, abbastanza rara, il cui estratto sballa i valori per una finestra di tempo larga quanto la dose assunta.”
Lui sospirò di stanchezza e si appoggiò alla scrivania con il sedere, vi poggiò anche le mani e il foglio penzolò a testa all'ingiù.
“Perché l'hai fatto?”
“Perché di gelo ne ho abbastanza, ho bisogno che il calore mi rimanga vicino.”
Il silenzio nuovamente li invase, sbattendo prepotente sui timpani.
Non era intenzionata a dichiararsi, ma nemmeno voleva mentire e la sua emotività le impediva di pianificare una discussione come quella.
Lui la osservò a lungo senza fare una piega e lei sentì male allo stomaco quando capì che la sua ammissione non gli aveva provocato il benché minimo sussulto. Si voltò verso la finestra e si appoggiò con una mano al davanzale mentre l'altra si premeva sullo stomaco dolente. Puntò gli occhi umidi al cielo sperando che le lacrime si fermassero lì, che la ascoltassero, per una volta.
“Mi dispiace...” sussurrò.
“Ti dispiace?” la interruppe.
“Sì, certo che mi dispiace, il mio è egoismo!” quasi gridò voltandosi nuovamente e trovando quegli occhi neri brillanti a causa della luce che entrava dalla finestra. Spostò lo sguardo sul pavimento al centro della stanza. “Non sono riuscita ad essere egoista quella volta, lo farò adesso!” spiegò, con calma meccanica, prima di uscire dall'ufficio e chiudersi piano la porta alle spalle.



Tsunade sospirò.
C'era stato un tempo in cui dedicarsi solo a Shizune le aveva permesso di vivere una vita distaccata dal villaggio, come se occuparsi di allenarla fosse una distrazione dalla morte delle persone care, come se il suo viaggio fosse cominciato per lei. Non si era mai vergognata di essersi lasciata andare a quel torpore, aveva fatto di tutto per sopravvivere, semplicemente, e lo aveva fatto nel modo che le era parso migliore in quel momento.
Diventare Hokage aveva tutta un'altra connotazione, ne era stata cosciente fin dalla prima volta in cui aveva appreso cosa ci facesse Jiraiya sul suo cammino, ma non aveva mai pensato che fosse stato un male: aveva certamente bisogno di tornare a prendersi cura degli altri; quello era il suo nindo, dopotutto.
Tornare, nonostante ciò, non era stato facile. No, passare da due a un villaggio più un jinchuuriki con gli occhi limpidi del fratello, non era stata affatto una passeggiata. C'erano stati momenti in cui, presa dal panico, rimpiangeva il suo vagabondare e altri in cui si rendeva consapevole del vero motivo per cui se ne era andata. Tuttavia quando arrivò il momento di accogliere un'altra Shizune, non si scoprì affatto arrugginita e, anzi, la naturalezza degli eventi la faceva sorridere per la stupida che era stata e le paranoie ridicole che si era fatta in merito.
Sakura le si era affezionata in particolar modo e lei si era affezionata a quella ragazzina così fragile e così forte insieme. Come un'incosciente, una fragile incosciente, continuava a cadere, quella ragazzina, e con forza si ostinava a rialzarsi. Era stato un allenamento per entrambe, in un qualche modo.
C'erano stati anche momenti imbarazzanti più o meno associati all'alcool e questo le aveva legate anche con quel qualcosa che lega le amiche. Tsunade conosceva bene Sakura e capiva i meccanismi di quel colpo di testa.
Riaprì gli occhi e li fissò in quelli del Capitano.
“Se è arrivata fino a questo devi avergliene dato motivo.”
Tenzo si sarebbe aspettato di tutto, ma quell'affermazione, che sotto intendeva una domanda piuttosto intima, lo fece sobbalzare leggermente. Kakashi, lì accanto, rimase in silenzio, ma lui si sentiva l'occhio nero bruciare sul profilo. Annuì. Pur consapevole che non fossero affari loro, sapeva che in quella stanza c'erano solo persone che volevano bene a Sakura e l'interesse non era certamente per fare del gossip.
“Tuttavia questo non la giustifica. Sakura sarà sospesa, quando potrò permettermi di farlo.”
“Non sono qui per una sua eventuale punizione, voglio...”
“Sì. So cosa vuoi. Sei stato assegnato alla squadra che accompagnerà Naruto, perciò non ci sarà bisogno di esami d'idoneità, basteranno gli ultimi di routine.”
Lui annuì e si voltò, deciso ad andarsene, ma la voce del capo villaggio lo richiamò.
“Yamato, qualunque cosa deciderà di fare, sia deciso. E chiaro.”
Sapevano tutti e tre che non si stava riferendo alla missione con un Jinchuuriki tardo, questa volta, e Tenzo annuì con meno convinzione, lentamente, mentre Tsunade già interpellava Kakashi su altre questioni. Poi uscì dall'ufficio deciso a parlare con Sakura.




Mentre la aspettava all'uscita dell'ospedale, dopo essersi informato da Shizune sull'orario del suo turno, Tenzo aveva preparato una specie di scaletta per un discorso che prevedeva, tra altre cose, il farla ragionare sulla sua azione e il farle comprendere il perché fosse stato necessario per lui rivolgersi all'Hokage. Molti di questi punti però si erano lacerati velocemente, nella sua testa, fino a perdere significato, quando gli occhi verdi della kunoichi avevano incontrato i suoi e si erano spalancati, sorpresi.
Di certo non si aspettava che lei cambiasse direzione bruscamente, decisa a fare un'altra strada piuttosto che affrontarlo.
“Non scappare.”
Capì di aver iniziato nel peggiore dei modi quando lei gli rivolse uno sguardo tale da gelarlo sul posto.
“Io non scappo, non gioco con i sentimenti degli altri. Poi,” respirò affannosamente e strinse i pugni sui libri che aveva in mano, “mi lascio salvare la vita quando succede, senza renderli ridicoli agli occhi dei loro maestri.”
Si voltò e prese a camminare a grandi falcate nervose.
“Lo sai che hai sbagliato.”
Lei rallentò e lui le andò dietro, in silenzio.
Sakura sapeva di aver sbagliato e sapeva anche di meritarsi che Kakashi e Tsunade conoscessero i fatti, ma soprattutto sapeva, anche se cercava di negarlo, che lei avrebbe fatto lo stesso per riuscire ad essere ammessa. Per quanto avrebbe voluto, perché ne aveva bisogno ora che sembrava tutto quello fosse davvero simile a ciò che aveva provato per Sas'ke, non riuscì a dargli colpe. Aveva visto quel che voleva disperatamente vedere, in quel sorriso. Aveva bisogno di un sorriso tutto per sé, forse anche per via di quello di Naruto ormai rivolto verso Hinata, ma soprattutto un sorriso da ricambiare, amico e amante.
Si fermò e poi si voltò, titubante.
“Sakura, non ho mai giocato con i tuoi sentimenti.”
Il suo tono la innervosì.
“Ma fammi il favore, lo sapevi che cosa stava accadendo, avresti dovuto fermarmi invece di farmi credere che...” strinse le labbra in una linea dritta.
“Certo che lo sapevo e non ti ho fermato perché andava bene così. Va bene così.”
Quelle parole la bloccarono, già a bocca aperta, impegnata nell'azione di ribattere che si era approfittato della sua ingenuità.
Il giorno prima, in quell'ufficio, c'era l'indifferenza di chi non è colpito da certe parole e da certi sentimenti, c'era una stanza vuota, fredda, come quella panchina; un'altra dichiarazione, seppur velata, che tintinna sul pavimento, lontana da lei. E da lui.
“No, tu non... No. Le mie parole erano chiare e non hai fatto una piega.”
Confusa, pensava a come potesse aver frainteso l'impassibilità con cui le sue parole si erano scontrate.
“Pensi che non mi accorga quando provo qualcosa per una donna? O se vengo ricambiato? Sapevo cosa stava accadendo, ci ho fatto i conti settimane fa!”
Lei spalancò occhi e bocca e non si scansò quando un dito del Capitano scivolò sulla sua guancia, senza fare pressione.
Lui si era calmato improvvisamente vedendola realizzare. L'Hokage aveva ragione a dirgli di essere esplicito perché Sakura non era certo una bambina, ma non aveva esperienze che l'aiutassero in quelle circostanze; conosceva solo il calore dell'amicizia di Naruto e il gelo del rifiuto di Sasuke.
In quel momento anche quelle parole assunsero un significato più solido, pregno.
“Mi sono accorto che non avevi capito solo ieri, nel tuo ufficio, ma ero troppo arrabbiato... Ero davvero arrabbiato, Sakura, e non volevo affrontare quell'argomento con tutta quella rabbia.”
Si passò una mano tra i capelli e indugiò un attimo lì, mentre lei abbassava la testa.
“Mi dispiace...” disse la kunoichi.
“Hai sbagliato a farlo, ma capisco il perché di quel gesto.”
Sakura alzò gli occhi su di lui, mentre riprendeva a parlare.
“Dispiace a me per non essere stato più diretto e per... aver alzato la voce, ieri,” si fermò, spostando il peso da una gamba all'altra e distolse brevemente lo sguardo puntandolo oltre la testa della kunoichi, “è stato il pensiero che mi avessi paragonato a un ragazzino che non sapeva cos'aveva tra le mani a infastidirmi ancora di più!” e sbuffò, falsamente imbronciato.
Sakura si dimenticò di ridere per il veloce cambio di atmosfera, ma sentì il formicolio nello stomaco e le labbra si piegarono lo stesso all'insù.
“Ti prometto che ce la metterò tutta per non farmi ammazzare, Sakura!” disse, ad un tratto, piegandosi in avanti, “mi credi?”
Lei annuì, stringendosi i libri al petto mentre si mordeva le labbra per non cedere a tutte quelle emozioni.
“Sai che ancora non abbiamo preso un caffè decente, lontano dall'ospedale?”
Annuì ancora e uno sbuffo divertito le scappò dallo sterno ancora gonfio d'ansia.
“Allora che ne dici, andiamo?” e le offrì il braccio.
Lei ci appoggiò la mano e cominciò a camminargli a fianco, mentre lui continuava a parlare.
“Ero nell'ufficio dell'Hokage e Kakashi mi stava guardando malissimo, si sente come un padre, sai? E quindi è come se attentassi alla sua bambina, devi capirlo...”
Ciarlava e gesticolava e i suoi occhi neri le sembrarono così brillanti che riuscì a distogliere lo sguardo solo perché lui si voltò a guardarla. Sakura udì il suono del suo sorriso mentre il viso le si accaldava, ma lo avvertì scottare solo quando lui le baciò una guancia.
“... Ed è stato allora che mi son ricordato che non gliene avevo fatto cenno, un po' non sono affari suoi e un po' credevo l'avesse intuito, ma comincio a pensare che lo sapessi solo io!”



* * *



Gai rise, seduto in cima a quel palazzo, Genma e Raido allungarono il collo, poiché dalla loro posizione le fronde degli alberi non gli permettevano di vedere bene. Raido si sporgeva poco perché la guerra gli aveva lasciato un fianco dolorante.
Kakashi era caduto in un dialogo ancora più laconico del solito e loro si erano decisi a spostare l'attenzione nella direzione in cui lui guardava, trovandosi Tenzo e Sakura seduti su una panchina.
“Ah!” disse Genma, avvicinandosi all'orecchio del ninjacopia con la scusa di poter sbirciare di più, in quella posizione, “Guarda Tenzo come si diverte!”
Kakashi spostò l'occhio serio su di lui e Genma smise di ridere.
“Dai, non essere ridicolo, Kakashi,” lo riprese Raido.
Lui sospirò.
“Lo so... È che crescono così in fretta.”
“Ma sentite che frase da genitore!” urlò Gai, mentre gli assestava una poderosa pacca sulla schiena.
“Poi, ecco, Sakura è stata sospesa,” continuò Raido, suscitando così l'ilarità di Genma che aveva capito dove stesse andando a parare, “qualcosa dovrà pur fare, per non annoiarsi!”
“Ma vaffanculo...” sputò Kakashi, prima di sussultare.
In quel momento Sakura aveva tirato su i piedi e poggiato le gambe sulle ginocchia di Tenzo, lui si era sporto per baciarla.
“Oh, e quella mano?”
Genma si sporse per indicare la mano del jounin sulla coscia della ragazza.
“Ma guarda quello!” scoppiò Hatake.
“Corri Kakashi, vagli a dire che si prendano una stanza!” ridacchiò Raido, prima che la sua risata venisse seppellita dalla voce di Genma.
“E tutte quelle effusioni, che scandalo... Ah, tu non lo faresti mai!”
Kakashi sbuffò e poi sorrise, suo malgrado, scuotendo la testa.
“Spero che cachiate shuriken.”





Owari















Non so quanto possa essere grave l'azione di Sakura nel Narutoverso, riesco però a farla semplice in questa situazione perché circoscritta a quelle tre persone e diciamo che Tsunade proprio perché non lo sa nessun altro fa un po' la mafiosa, archiviandola e un po' giustificandola perché conosce la sua allieva.
In ogni caso ringrazio Aya88 per avermela betata. Chu! Questa te la dedico volentieri, tata! ^^

Le donne diventano molto premurose con l'uomo che amano,” disse Sai.
“Sta' zitto!” gracchiò Sakura.
Queste due battute fanno parte di un film, il quinto film shippuden. L'ho prese pari pari.





I personaggi e i luoghi non mi appartengono e non c'è lucro.



  
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