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Autore: AlbertoLupo    01/10/2012    0 recensioni
La storia parla di un marinaio che a seguito di un naufragio si ritrova in una grotta abitata da una donna pipistrello. Si tratta di una storia d'amore e diversità. Nel senso che una donna pipistrello non è una donna comune, ma una creatura fantastica. E se il fantastico è seducente deve fare i conti con la realtà. Sempre e comunque.
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Crack Pairing
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Arturo si accese una sigaretta e fissò la donna seduta a un lato del locale. Era alta, doveva sfiorare i tre metri, sembrava una gigantessa. Aveva mani enormi, dita lunghe che si avviluppavano attorno al bicchiere come tentacoli. Il suo viso non era brutto, ma era davvero troppo ampio per piacere.
   La donna stava bevendo una birra. Dalla faccia stanca, sembrava una che beveva abitualmente. Forse beveva perché era triste, perché, alta com’era, nessuno la voleva.
   Ad un certo punto un uomo le si avvicinò. Un tipo basso, sull’uno e 50, che al suo cospetto sembrava ancora più basso, una specie di mini-uomo.
   - Salve -, disse.
   La donna lo guardò. – Che vuoi, pulce?
   - Solo fare quattro chiacchiere con lei. Posso?
   La donna non disse né sì, né no e l’uomo sedette sullo sgabello accanto.
   - Mi chiamo Fiore.
   - Come ti chiami? -, disse la donna. Non solo era alta, ma aveva una voce cupa e remota che sembrava scagliata dalle profondità del cielo.
   - Fiore, e tu?
   - Amalia.
   - Bel nome, Amalia.
   - Fiore invece è un nome orribile.
   - Tu trovi?
   - E' un nome da finocchi. Come fa un uomo a chiamarsi Fiore? Un uomo dovrebbe chiamarsi Rocco o Giuseppe, non fiore.
   Per un po' l'uomo non disse nulla. - Comunque io non sono finocchio.
   - E cosa sei, allora?
   - Beh, se non sono finocchio sono un uomo a cui piacciono le donne.
   La gigantessa sorrise. Le sue labbra divennero larghe e curve come una falce da fieno. - Eh, non la farei così facile. Ci sono uomini a cui piacciono gli animali.
   - A me non piacciono gli animali...
   - Ci sono uomini a cui piacciono i pipistrelli.
   - I pipistrelli?
   La donna gigante annuì. - Esatto. Una volta ne conobbi uno che si era innamorato di un enorme pipistrello femmina.
   Il mini-uomo sorrise. - Mi stai prendendo per il culo Amalia, vero?
   Amalia tornò seria. - Nient'affatto. E poi questo pipistrello femmina non era brutto. Era una stupenda pipistrellessa. Sembrava una donna in tutto e per tutto, tranne per la pelle, nera e lucida e le braccia, unite ai fianchi, da una sottile membrana semitrasparente. E poi il viso. Il viso aveva occhi gialli e denti piccoli e affilati. A parte questo, la donna pipistrello era una stupenda donna che lo avrebbe fatto rizzare a chiunque. Anche a te.
   - Dove si conobbero questo tipo e la donna pipistrello?
   - In una caverna. Una caverna umida e buia che si apriva tra le rocce di una scogliera. La pipistrellessa viveva lì dentro, a due passi dal mare. Da dove stava sentiva l’eco delle onde che si frangevano contro la scogliera. Di giorno dormiva appesa a testa in giù e di notte le sue palpebre scattavano e lei prendeva il volo e volava alta sopra il mare e il villaggio. Raramente la si vedeva, perché era nera come la pece e così di notte si confondeva con le tenebre, a meno che la sua sagoma lucida e sinuosa, in volo, non si stagliasse contro la luna, allora sì che la si poteva ammirare. Lei, la donna pipistrello, sullo sfondo dell'argento lunare...
   - Come fece quel tipo che si innamorò di lei a trovarla, se lei viveva in una maledetta grotta?
   - Il tipo che si innamorò di lei era un marinaio. Ai marinai, si sa, succedono le peggiori cose e a questo tipo successe che naufragò. Un'onda più cattiva delle altre gli rovesciò la barca. Lui si ritrovò in mare. Venne sballottato un po' qua e un po' là dalle acque, finché non lo vomitarono a riva. Allora si trascinò fino all'imbocco della grotta e ci entrò.
   - E lì trovò la donna pipistrello a testa in giù -, intervenne il mini-uomo.
   La gigantessa scosse la testa. - No, perché era notte. La pipistrellessa stava volando. Il marinaio si addormentò. Quando si svegliò all'alba un po' di luce filtrava nella grotta e allora lui vide due gambe nere e lucide davanti a sé. Sollevò lo sguardo e vide che le gambe proseguivano in due cosce e le cosce si univano in un bacino dalla vita stretta e la vita stretta fioriva in un seno prosperoso. Insomma, il marinaio capì di trovarsi ai piedi di una donna, ma una donna strana... Prima cosa: era tutta nera, poi da sotto le braccia sbucava qualcosa tipo una specie di vestito e, terzo, aveva occhi gialli e senza pupilla. "Chi diavolo sei?", domandò. La donna pipistrello emise un verso rauco e rispose: "Chi sei tu!". "Sono un marinaio", disse l'uomo. "Sei un marinaio in casa mia", disse la donna pipistrello. "Questa è una grotta", disse il marinaio. "Per l'appunto, la mia grotta", ribatté la donna pipistrello. L'uomo si guardò intorno. "Una grotta è di tutti, nessuno la possiede". Se le avesse avute, alla donna pipistrello sarebbero girate le palle. Quella era la sua grotta, punto primo. Punto secondo, di solito, quando qualcuno la vedeva, gli prendeva un colpo, mentre a quel tipo lì, non tremava neanche un dito. "Se non te ne vai immediatamente, ti succhio il sangue!", disse la pipistrellessa. "Tu cosa?", chiese incredulo il marinaio. "Il sangue, ti succhio il sangue", ripeté la pipistrellessa. "Non sai che noi pipistrelli succhiamo il sangue?". "Ah perché tu saresti un pipistrello", chiese il marinaio. "Sì, certo, guarda!", la donna aprì le braccia e mostrò le membrane che si allargavano come ali tra i suoi arti e il bacino e che le permettevano di volare. "Sono un pipistrello gigantesco, sono una donna pipistrello!". "Questo lo avevo capito", disse il marinaio.  "Cosa avevi capito?", chiese la donna pipistrello. "Che eri una donna", rispose l'altro. "Una donna strana, ma comunque una donna. Non avevo capito, invece, che eri anche un pipistrello". "E da che cosa avevi capito che ero una donna?", chiese lei. A quella domanda, il marinaio sogghignò... Tu, Gelsomino, hai presente come sogghignano i marinai?
   L'uomo-pulce scosse la testa. - Mi chiamo Fiore, non Gelsomino, e no, non ce l'ho presente.
   - Diavolo, ma non sai proprio nulla, tu! -, si lamentò la gigantessa. - Ma dove hai vissuto fino ad oggi, in una cassetta delle lettere?
   - No, ho vissuto a casa mia. Come sogghignano i marinai?
   La gigantessa si calò l'ennesimo sorso di birra e spiegò: - I marinai sogghignano come se la sapessero lunga. Loro sì che han vissuto e han bevuto e viaggiato, te invece non hai combinato niente e non sai niente. Ecco com'è che sogghignano i marinai. Facendoti pesare la loro esperienza. Dunque, quel marinaio, sogghignando, rispose: "Beh, da cosa l'ho capito, dai, lo sai benissimo da cosa l'ho capito...". E la donna pipistrello: "No che non lo so, avanti, non fare il misterioso, da cos'è che si vede che sono una donna?". "Beh, dai piedi prima di tutto. Io ho aperto gli occhi, ho visto i piedi e ho subito pensato: 'toh, guarda, i piedi di una donna!'", rispose l'uomo. "Idiota!", disse la pipistrellessa, "i miei non sono piedi, sono artigli, non vedi che unghie che hanno?". E il marinaio, sempre ghignando: "Sì, ma sono anche dei piedini, dei bei piedini piccoli, da geisha giapponese, se mi posso permettere. Sono degli artiglini davvero graziosi, i tuoi!". Per un po' la donna pipistrello non profferì parola. Si trovava in crisi. Qualcuno aveva invaso la sua grotta, qualcuno che non era intimorito da lei. "Ad ogni modo te ne devi andare", disse poi. "Lo farò", rispose il marinaio, "quando sarò in grado di farlo". "Che significa?", chiese la pipistrellessa". "Significa, mia cara donna pipistrello", disse il marinaio, "che ho più o meno tutte le ossa rotte, sono ferito, affamato e assetato. Non riesco nemmeno a mettermi in piedi. Abbandonerò il tuo castello una volta che riuscirò ad alzarmi sulle mie gambe". Alla pipistrellessa quella situazione non piaceva per niente. Era sempre vissuta da sola, non sarebbe stata tranquilla con un'altra presenza nella sua grotta. E poi c'era la questione del sonno...
   - E cioè? Che tipo di problema costituiva il sonno? -, domandò il mini-uomo.
   - Beh, a testa in giù, la donna pipistrello dormiva a testa in giù, ricordi? -, rispose la gigantessa. - Nessun essere umano dorme a testa in giù. Uomini e donne dormono orizzontali, stesi su un letto come morti in una bara. Non si è mai vista una donna che dorme con i piedi aggrappati al cielo e la testa che punta al centro della terra e la donna pipistrello aveva vergogna di mostrarsi così al marinaio... E poi il sonno è una cosa maledettamente privata. Per spiegarti meglio la situazione, ti citerò un caso, un caso tratto dalla mia vita passata, pulce...
   - Mi chiamo Fiore.
   - D'accordo, Fiore. E il caso è questo: per un certo periodo io ho fatto la prostituta...
   - Oh!
   - Ehi stai arrossendo pulce, cioè Fiore, scusa... Sì, ho fatto proprio quello: la puttana. Lavoravo in un circo in qualità di gigante, ma dato che, oltre che un gigante, ero anche una donna, secondo quella canaglia del mio ex marito, lui sì un autentico pipistrello succhiasangue, per guadagnare di più, avrei potuto battere la strada. Di giorno nel tendone del circo, di notte sul marciapiede, insomma. Così, per amore verso quell'essere schifoso, mi misi a farlo, la puttana, cioè. Uno direbbe che una come me, non è tagliata per fare la puttana, una così alta da sfiorare i soffitti quando entra in una stanza, e invece, il mondo è pieno di uomini che vogliono le cose più strane. Uomini che di giorno sono un modello di rispettabilità e conformismo e di notte si trasformano, gli cresce il pelo. Per farla breve, ero sempre impegnata perché c'era sempre qualcuno curioso di capire com'è fare sesso con una gigantessa. Riguardo al discorso del sonno, durante la mia breve carriera di prostituta, a tutto mi davo disponibile tranne che a passare l'intera notte nella casa di un cliente e sai perché?
   Arturo vide il mini-uomo scuotere la testa.
   - Perché -, riprese Amalia, - il sonno è la cosa più privata, profonda e rivelatoria che ci sia. Dormire accanto a una persona significa donargli tutta se stessa. Chiudere gli occhi quando questa persona magari li ha ancora aperti, abbandonare la veglia per il mondo dei sogni quando, questa persona, magari è ancora sveglia come un grillo, significa rendersi totalmente vulnerabili e accessibili. Darsi in una misura maggiore di quanto faccia una donna che allarga le gambe per accogliere un uomo dentro di sé. Quando si dorme si è finalmente e definitivamente se stessi agli occhi del prossimo. Sai quando mi sono accorta che avevo sposato una canaglia, probabilmente il peggior uomo sulla faccia della Terra?
  Arturo vide il mini-uomo scuotere la testa una seconda volta.
   - Una notte in cui l'ho visto dormire, per l'appunto -, riprese Amalia. - Era quasi l'alba. Avevo lavorato fino a tardi. Distrutta, entro nella roulotte e lo trovo, lui, che dorme della grossa. Lo osservo immobile, ai piedi del letto. Osservo la sua faccia come riusucchiata nel buco di scolo dell'inconscio, le palpebre chiuse, le labbra aperte, la faccia molle e pesante e, improvvisamente, mi rendo conto che essere mediocre è. Sì, prima non lo avevo capito. Prima, rapita dai suoi sorrisi, dagli occhi luminosi, non me n'ero resa conto, ma ora è come se le porte della Verità mi si schiudessero e la Grande Rivelazione che giunge a me insieme all'alba, è che non amo più questo pezzo di merda, questo pezzo di merda che mi ha svenduto ad altri pur di arrotondare lo stipendio a fine mese e buttarlo in alcol e puttane. Così lascio mio marito quella mattina stessa. Lo scarico letteralmente, cioè con un calcio lo butto fuori dalla roulotte. Ecco, ora capisci perché la pipistrellessa esitava ad addormentarsi insieme a quel marinaio? Il sonno: aveva paura di scoprirsi troppo, col sonno.
   Questa volta, Arturo vide  il mini-uomo annuire.
   - Però quel marinaio ha ragione: messo com'è messo non riesce ad alzarsi -, riprese la gigantessa. - E poi sta crepando di fame. "Uscirò a prendere qualcosa da mangiare, è ancora abbastanza buio", dice la donna pipistrello, e rapida spalanca le braccia e spicca il volo dalla roccia. Meno d'un'ora dopo è di ritorno con un po' di frutta rubata ai campi dei contadini e una brocca d'acqua. Il marinaio beve e mangia avidamente. Quando ha terminato, la pipistrellessa dice: "Allora, sei abbastanza in forze da andartene, ora?". "Vediamo", dice lui, e prova ad alzarsi, ma non ce la fa. Ricade a terra. "Maledizione, la gamba!". "Quale gamba?", chiede la pipistrellessa. "La destra, devo essermela fratturata quando sono caduto dalla nave". "Fa vedere". Rapidamente, la pipistrellessa si avvicina all'uomo e, con i suoi artigli, gli strappa il tessuto dei pantaloni. L'uomo, ora che ce l'ha vicina, riesce a vederla meglio e non può fare a meno di trattarene il respiro. La donna-pipistrello è davvero è un essere singolare. Nera come la notte, ha movenze animali e aggraziate allo stesso tempo e il marinaio non può non sentirsi attratto da lei. 'Che strana cosa', pensa tra se e sé, 'di solito quelli che fanno il mio lavoro si innamorano delle sirene, donne metà umane e metà pesce, creature dalla carnagione pallida e la coda a scaglie e dai riflessi iridescenti; femmine dalla voce d'arpa, e invece a me cosa va a capitare? Di eccitarmi tutto per una donna pipistrello, una donna che, mentre parla, emette dei versi striduli da fare accapponare la pelle...'. "Che hai da guardarmi così?", chiede la donna pipistrello. "Niente, niente...", mormora il marinaio. "Hai una brutta lussazione", dice la donna pipistrello. "Lo so", dice il marinaio. "Tieni, ficcatelo tra i denti", la donna pipistrello, allunga un legnetto al marinaio. "Che hai intenzione di fare?". "Raddrizzarti la gamba". Con un colpo secco, lei aggiusta la gamba di lui; il pover'uomo caccia un urlo atroce, poi, gradualmente, il dolore diminuisce. Quando si è calmato, la pipistrellessa lo informa che solo per quel giorno gli permetterà di riposare nella grotta, ma al tramonto dovrà sloggiare e se non lo farà sulle sue proprie gambe, sarà lei a trascinarlo fuori e a buttarlo da quello stesso mare che lo ha vomitato sulla spiaggia. Detto ciò, la donna pipistrello si ritira nell'angolo più buio della caverna, si aggrappa a un rostro che spunta dal soffitto, chiude gli occhi e incomincia a dormire. Ronf... ronf...
   - Sai, Amalia -, disse Fiore, a questo punto, - sei veramente brava a raccontare le favole, davvero.
   - Questa non è una favola -, dice Amalia. - Ti sto raccontando un fatto vero. Me l'ha raccontato il marinaio stesso a cui capitò.
   - E non ti è venuto mai il sospetto che il marinaio ti abbia raccontato una bugia?
   - Levati dalla faccia quell'espressione da maestrino saccente, Fiore, perché io non ti supero solo in centimentri, anche in esperienza di vita; ne so abbastanza del genere umano da riconoscere un uomo che dice il vero da uno che dice il falso e quel marinaio mi raccontò il vero, te lo giuro sul mio mignolo sinistro, più grosso dell'affare che hai nelle mutande, ci scommetto.
   - E va bene, allora, cosa successe mentre la pipistrellessa dormiva?
   - Successero due fatti: uno di ordine cosmico, diciamo così, e l'altro di ordine individuale. Da un punto di vista cosmico, accadde che il sole sorse del tutto. Come un neonato eviscerato dal ventre della madre, sbucò dall'orizzonte per portarsi alto, sopra le acque. Innalzandosi, il sole irradiò luce sul mondo e i suoi riflessi giunsero all'interno della grotta. Da un punto di vista individuale, accadde che il marinaio, osservando meglio la donna pipistrello grazie alla luce del sole, se ne innamorò una volta per tutte.
   - Se ne innamorò mentre lei dormiva a testa in giù?
   - Esattamente piccoletto, ma questa cosa della testa in giù è un fatto secondario.
   - E perché è un fatto secondario?
   - Beh, tu ti sei mai innamorato?
   Fiore tossì. - Beh, sì, certo. Lo sono tutt'ora, di mia moglie.
   - Felicitazioni. Bene. Se stanotte ti svegliassi e, sul cuscino accanto, invece della faccia di tua moglie ci trovassi i piedi, per te la cosa costituirebbe un grande problema? Cioè se lei dormisse a testa in giù, intendo...
   - Direi di... di no...
   - Dunque, vedi che è una questione secondaria il fatto che la pipistrellessa dormisse a culoverso? La questione di primaria importanza, invece, fu che, come ti ho appena spiegato, nel sonno la pipistrellessa non poté fare altro che mostrarsi per quello che era e allora il marinaio se ne innamorò perdutamente. Vide quella creatura bizzarra, appesa con i suoi piccoli artigli al rostro, le gambe lunghe e lucide che si snodavano sinuose fino al busto e il busto, il seno e le spalle, avvolti nella membrana delle ali, vide gli occhi chiusi, le labbra morbide, semiaperte, come quelle di un bambino, i lunghi capelli neri che si scioglievano fino a sfiorare il terreno, vide quella creatura assurda che sfidava ogni umana legge e non poté fare a meno di sentirsi totalmente preso da lei. La contemplò finché le palpebre, lentamente, non gli si chiusero, ma anche allora, nel sonno, il marinaio seguitò a contemplare la donna pipistrello, perché la sognò. Fece uno sogno strano.
   - Che genere di sogno? -, domandò il mini-uomo.
   La gigantessa si scolò l'ultimo sorso di birra, poi abbatté un pugno sul petto e dalla bocca le partì un rutto che avrebbe svegliato un drago dal suo letargo millenario.
   - Un sogno difficilmente decifrabile. Gli ci volli io, al marinaio, perché lo capisse il suo sogno. Io che, dopo aver fatto la donna-gigante nel circo e la puttana per mio marito, decisi di qualificarmi nella più nobile professione di Cartomante, Futurologa e Interprete Onirica, professione che, modestamente, esercito tutt'ora, e con un certo successo.
   - E che cosa sognò il marinaio?
   - Pochi giorni dopo quella notte, entrò nella mia tenda e me lo raccontò. Io, non appena lo vidi, capii immediatamente di avere davanti un uomo turbato. Un uomo che aveva perso la tranquillità e la cognizione del tempo e dello spazio. "Chi sei?", chiesi. "Chi sono non ha importanza", disse lui, e sedette su uno sgabello, davanti a me. "Ha importanza, invece, che abbia fatto un sogno terribile". "E cos'avresti sognato?". Il marinaio cominciò a parlare. "Ho sognato di trovarmi dentro un enorme chiesa sconsacrata. O almeno non c'erano più crocefissi né immagini di santi, ma solo le panche di legno e l'altare. Sull'altare c'era qualcuno. All'inizio non capivo chi fosse, poi avvicinandomi ho visto bene. Erano mio padre e mia madre. Mio padre e mia madre mi guardavano severi. Mia madre aveva il capo chino e piangeva. Piangeva per qualcosa che avevo commesso. Invece, mio padre, mi fissava e mi scuoteva la testa.  Io, allora, improvvisamente comprendevo come mai i miei genitori ce l'avevano com me". "E perché ce l'avevano con te?", domandai. "Ce l'avevano con me", spiegò il marinaio, "perché era colpa mia se quella chiesa era sconsacrata. Se non era più un luogo di culto, col crocefisso, le statue della Madonna, dei santi eccetera. Era colpa mia se Dio non abitava più in quella chiesa, se gli affreschi del paradiso erano stati cancellati dalle arcate, se le candele votive erano tutte spente, se nei confessionali non c'erano più preti disposti a rimettere i peccati, se le panche erano vuote, se l'organo era spento, se più nessuno avrebbe pregato lì dentro. All'inizio sapevo solo di essere colpevole, senza capire di cosa, esattamente. Poi, d'improvviso, mia madre aveva smesso di piangere, il suo viso si era fatto duro come la pietra e con una mano aveva indicato qualcosa o qualcuno alle mie spalle. Allora io mi ero voltato e, seduta dietro di me, su una panca, avevo scorto una sposa. La mia sposa. Una donna imperscrutabile perché in ombra, e vestita con un abito nuziale completamente nero. Era per via di quella donna, di cui mi ero innamorato, di quella sposa bianca anziché nera che avevo scelto come compagna per la vita, se Dio, i santi, i fedeli, i preti, il mondo tutto aveva abbandonato quella chiesa, rendendola un luogo senza speranza".
   - Che sogno strano -, mormorò Fiore.
   Non è poi così strano, rifletté Arturo.
   - Strano dici, piccolo uomo? -, disse la gigantessa. - Per me, invece, è fin troppo chiaro, difatti ci misi due secondi ad interpretarlo, a spiegare al bel marinaio cosa voleva dire. La sposa era, ovviamente, la donna pipistrello. Il fatto che fosse vestita di nero, significava che si trattava di una sposa strana, bizzarra, una anti-sposa. Proprio così, il marinaio aveva avuto la sfortuna di innamorarsi dell'unica donna di cui non avrebbe dovuto innamorarsi. Una donna non donna. Una femmina per metà umana e per metà pipistrello. Una creatura che la società non avrebbe mai accettato e difatti la chiesa, che nel sogno rappresentava per l'appunto la società, l'ordine costituito, la legge di Dio e quella degli uomini, era vuota. Se n'erano andati tutti. Nessuno aveva voluto testimoniare a quell'assurdo matrimonio, se non i genitori del marinaio, ma solo per rimproverarlo, per dirgli che ciò che stava per commettere era un errore tremendo, qualcosa che il Padreterno non gli avrebbe mai perdonato.
   - Come reagì il marinaio dopo che gli avesti spiegato il sogno? -, domandò Fiore.
   - Per un pezzo non disse nulla -, ricordò Amalia. - Rimase lì, seduto, dentro la mia tenda, a capo chino, la testa immersa nei propri pensieri. Io lo osservai e non potei fare a meno di dispiacermi per lui.
   - E perché?
   - Perché vedi Gelsomino, cioè scusa, Fiore, guardando il marinaio così muto, immerso nel proprio flusso di pensieri, con quegli occhi assorti come ostriche vuote, capii una cosa che mi aveva già suggerito il sogno e cioè che non si sarebbe mai deciso, lui, ad amare la donna pipistrello, a vivere quello che provava per lei fregandosene del giudizio dei suoi genitori e della sua società. Era fermo a un bivio il marinaio. Amare o non amare? Seguire la via del cuore e passare tutta la vita nella grotta con la donna che amava o abbandonarla per sempre e ritornare tra i portuali e le barche alla vita di prima? Il marinaio non riusciva a muovere un passo né in un senso, né nell'altro. Come nel sogno. Nel sogno lui non era giunto all'altare con la donna pipistrello al proprio fianco, ma solo, davanti ai genitori che lo rimproveravano e con lei seduta alle sue spalle. C'è da provare solo una gran pena per gli incerti, gli uomini che non sanno risolversi, che non si abbandonano all'istinto, ma nemmeno riscono a tenerlo del tutto a bada. L'incertezza dell'amore è la peggiore delle condanne!
   Qui Fiore pose la stessa domanda che Arturo si era chiesto intimamente:  - Ma alla fine che ne fu del marinaio? E della donna pipistrello?
   Amalia sospirò. Trasse un ultimo sorso dalla sua pinta, si asciugò la schiuma dalle labbra col dorso smisurato della sua mano e disse: - Del marinaio si sa che un bel giorno sparì dalla circolazione. C'è chi dice che per scordare la donna pipistrello, si sia imbarcato sulla prima nave in partenza e c'è chi sostiene che invece si si è annegato, si è calato in quello stesso mare che lo aveva sputato tra le braccia e le ali della pipistrellessa. Per quanto riguarda lei, la pipistrellessa, ormai dev'essere vecchia. Chissà se vola ancora. Fino a qualche anni fa ogni tanto la si sentiva ancora la notte, lanciare il suo verso rauco e disperato alla luna... Magari ora è morta.
   - Che storia triste -, disse Fiore.
   - Già, che storia triste -, convenne Amalia. - Del resto c'è gente nata per soffrire e ce n'è altra che rotola giù dalle viscere della propria madre ridendo a crepapelle anziché disperandosi. Guarda me, ad esempio, sono alta come un gigante, tutti mi guardano con paura e schifo, ma non riesco a non amare la vita. E' più forte di me. Sprizzo felicità da ogni poro di questa smisurata pelle che mi ricopre tutta. E tu Gelsomino, così piccolo e carino, che tipo sei? Il genere romantico e disperato come il nostro bel marinaio o pure te sai prendere la vita per il verso giusto?
   - Io penso d'esser felice alla fin fine -, rispose Fiore. - Ho una moglie che amo e una casa che ho finito di pagare giusto il mese scorso... meglio di così...
   - Casa e amore, cosa chiedere di più? -, concluse Amalia, dopodiché si alzò dal tavolo e, seguita dallo sguardo di tutti - Arturo compreso - trascinò il suo enorme corpaccione fuori dal locale.
 
E io, sono un tipo felice o disperato? -, si domandò quella stessa notte Arturo, di ritorno a casa, mentre si guardava allo specchio.
   Non seppe rispondersi. Non si era mai innamorato di una donna così strana da dormire a testa in giù. Però sapeva cosa significava essere deformi, esattamente come dovevano saperlo per forza di cose Fiore, l'uomo più piccolo del mondo, e Amalia, la donna più grande del mondo.
   Già, so cosa significa essere diversi, bizzarri, si disse Arturo e, dalla tasca della giacca sfilò la mano che aveva tenuto nascosta fino a quel momento. Una mano a forma di chela di granchio, cioè divisa invece che in cinque dita, in due metà appuntite e dal bordo interno leggermente irregolare, che, unendosi, emettevano un secco rintocco: tac, tac, tac... Una mano da tenere nascosta in tasca, ma che, all'evenienza, poteva tornare utile, per difendersi, ad esempio, o spezzare il pane senza usare il coltello.
   Delicatamente, tra le metà dure e appuntite della chela, Arturo strinse una sigaretta, con quella sana se l'accese e prese a fumare sporto sul davanzale, davanti alla luna.
   Quella notte era così argentea e rotonda da sembrare anche lei deforme, diversa, unica.

 
  
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