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Autore: Mick_ioamoikiwi    01/10/2012    7 recensioni
La giovane vittima si accasciò a terra, cercando di arrestare il flusso di sangue con la sua delicata mano.
L’unica voce amica era quella del poliziotto davanti a lei, aveva i suoi stessi occhi e continuava a dirle che sarebbe andato tutto bene, ma lei in cuor suo lo sapeva, sentiva che le rimaneva poco tempo.
Sorrise, avvicinandosi al poliziotto davanti a lei, lo guardò negli occhi. Lo abbracciò
un’ultima volta, e con gli ultimi respiri che le rimanevano gli disse addio.
Genere: Song-fic, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa non è giustizia!


«A che ora è il processo?»
«Alle 09.34, mi hanno detto che è un giudice corrotto.» Strinse le mani lungo il bordo del lavandino.
«Si, me lo ha riferito John. Brutta faccenda...»
«Già... finirà male, me lo sento.» Si guardò nello specchio del bagno, aggiustandosi la cravatta grigia e lucidando un’ultima volta il distintivo. Era giunto il momento della verità, dopo quasi un anno di indagini che ogni volta finivano in un punto morto. Erano riusciti ad incastrare il killer del vicolo: la sua unica vittima, Barbara Anderson, una giovane studentessa, si era ritrovata nel posto sbagliato al momento sbagliato. Il poliziotto era il testimone chiave dell’accusa, quello che aveva soccorso invano la ragazza in quel vicolo della 37° strada ma anche quello che aveva ferito l’aggressore sparandogli un proiettile nell’avambraccio sinistro.
«Andiamo Jerry o il procuratore si incazzerà.»
«Arrivo.»
Il Palazzo di Giustizia era tremendamente grande, ventisette aule di tribunale e cinquantotto giudici, la maggior parte corrotti perché la mafia aveva una grande influenza a Rochester, nello stato di New York. Quella era una delle cose che maggiormente disgustava Jerry Hobson, agente del Dipartimento di Polizia. Dopotutto lui serviva la giustizia, e il fatto che chi dovesse applicarla non lo facesse solo per prendere più soldi gli dava la nausea: aveva appena incastrato un assassino, ma per probabilità statistica lo avrebbero rilasciato con una pacca sulla spalla e con qualche migliaio di dollari di cauzione.

Era fermo in piedi davanti alla porta dell’aula di tribunale quando la guardia giurata gliel’aprì, mostrando tutto il pubblico seduto sulle panchine tra cui spiccavano i genitori della vittima. L’assassino stava sorridendo, probabilmente il giudice aveva già ricevuto il suo compenso e ora non gli rimaneva che aspettare la fine dell’udienza. Quando anche quest’ultimo entrò in aula, Hobson poté notare un impercettibile strizzatina dell’occhio destro del giudice al killer: qualcosa dentro di lui si mosse, ma fece finta di niente... strinse i pugni e cercò di calmarsi. Pochi minuti dopo, uno dopo l’altro, entrarono anche i giurati.
Lo chiamarono al banco dei testimoni per ultimo: il suo primo sguardo venne rivolto alla difesa, l’imputato stava sorridendo. Disgustato, girò lo sguardo verso l’accusa in modo da concentrarsi sulle domande che gli sarebbero state poste di lì a poco.
Il procuratore distrettuale si alzò in piedi non appena Hobson finì il suo giuramento. Le domande rievocarono ogni ricordo di quel giorno.
«Dove si trovava quella sera?» Chiese il procuratore.
«Ero in servizio, insieme al mio collega qua presente.» Indicò un uomo seduto tra le fila dietro il banco dell’accusa.
«Come avete trovato la vittima?»
«Siamo passati davanti a quel vicolo, abbiamo sentito le urla della vittima e ci siamo lanciati all’inseguimento dell’imputato. Sono riuscito a sparargli all’avambraccio destro e a fermarlo.»
«L’imputato potrebbe alzare la manica destra?»
L’assassino, con tanto di sorriso stampato in faccia, alzò la manica della tenuta da carcerato: si poteva chiaramente distinguere la cicatrice causata da un proiettile, cosa che fece agitare tutta la giuria.
Bene. Signor Hobson, può dirci in che condizioni era la vittima? »
Quando siamo arrivati purtroppo non c’era più niente da fare..ho tentato di tenerla sveglia invano. E’ morta tra le mie braccia.»
Alzò lo sguardo verso i genitori di lei. La madre, quando incrociò i suoi occhi verdi, scoppiò in lacrime: erano maledettamente simili a quelli della giovane figlia. Hobson abbassò lo sguardo sul banchetto di legno: si sentiva terribilmente male, avrebbe dato sicuramente di stomaco nonostante quella non fosse la prima volta che testimoniava, ma la ragazza era giovanissima e aveva potuto sentire la sua vita scivolargli tra le dita. 
«Non ho altre domande vostro onore.» Il procuratore distrettuale tornò a sedersi. Ora toccava alla difesa.
«Signor Hobson, lei è a conoscenza del fatto che il mio cliente è stato in servizio in Afghanistan?»
«No.» Hobson rimase spiazzato ma doveva stare impassibile.
«Quindi possiamo presumere che non sia una ferita dovuta alla sua semiautomatica? »
«Credo di si ma...»
«E non c’è nessun testimone che possa provare che sia il mio cliente l’assassino giusto?»
«No. Purtroppo no. Ma la scientifica ha trovato il suo DNA sotto le unghie della vittima.»
«So che si conoscevano, potrebbe averlo graffiato giorni prima, noi non potremo mai saperlo! »
«E’ possibile.»
«Quindi possiamo concludere dicendo che non avete uno straccio di prova per accusare il mio cliente.»
Hobson rimase in silenzio. Quella era la cruda realtà, e lo sapeva fin dal principio. Era stato tutto uno sbaglio. 
«Non ho altre domande.» Seguendo l’esempio del procuratore, l'avvocato di Lamar tornò a sedersi, mostrando un sorriso identico a quello del suo cliente, mentre la giuria si incamminò verso la sala riunioni per decidere il verdetto.
[...] I minuti sembrarono interminabili: ormai era finita, non aveva fatto il meglio che poteva, aveva deluso i genitori della vittima e permesso ad un assassino di rimanere libero. Dopo quasi un quarto d’ora la giuria tornò in aula, con il verdetto stretto nelle mani dell’ultimo giurato, che lo passò al giudice.
«L’imputato si alzi. » Disse la guardia in tono minaccioso.
«Per l’omicidio della studentessa Barbara Anderson, come si dichiara la giuria?»
Il primo a destra della giuria, tentennante e leggermente pallido annunciò: «Noi dichiariamo l’imputato-» Guardò verso l’assassino e di nuovo verso il giudice. «Dichiariamo l’imputato non colpevole
Era fatta, il suo mondo gli era crollato addosso tra i pianti della madre della vittima e le urla di gioia del killer e dei suoi compagni. Hobson fece per andarsene quando il killer gli si avvicinò.
«Devo ringraziarti, dopotutto non è stato difficile ucciderla... sono bastati un paio di complimenti e un drink, ed era nelle mie mani. Solo che la poveretta si è agitata e ho dovuto intervenire... ci rivediamo in giro Hobson!» disse sogghignando.
«Maledetto bastardo! Io t’ammazzo!» Disse Hobson a bassa voce.
 
All’uscita del tribunale una schiera di giornalisti era pronta ad intervistare il killer del vicolo, la moglie e i figli erano pronti ad abbracciarlo, perché gli avevano creduto sin dal principio ma c’era anche un’altra persona fuori che lo stava aspettando, puntandogli una pistola in pieno petto.
«Tua figlia era solo una stupida puttanella, Hobson, lo sapevi anche tu!»
Hobson strinse più che poté il dito attorno al grilletto e sparò un colpo, centrandolo al cuore. I giornalisti li accerchiarono, mentre il suo collega, sconvolto dall’accaduto, lo proteggeva, altri due poliziotti lo arrestarono, portandolo in centrale. 
 
«Jerry, guardami, GUARDAMI HO DETTO! »
«Non ho niente da dire John... non ho niente da dire.»
«Perché gli hai sparato?!»
«Quello l’ha uccisa! Ha ucciso la mia bambina!» Scoppiò in lacrime, coprendosi il volto rigato con le due possenti mani che avevano premuto il grilletto di poco prima.
«Tua figlia?!» Era incredulo. «Jerry, quella era tua figlia?!»
«Sì.» Riferì tra i singhiozzi. «E’ nata poco dopo che io e Alicia abbiamo divorziato. Ovviamente lei ha preso il cognome del patrigno, ma lei era mia figlia! E quel mostro me l’ha portata via...» Fece una pausa, guardando con gli occhi bagnati di lacrime la foto della figlia che teneva stretta nelle mani: era bellissima, i lunghi capelli mori le ricadevano morbidi sul viso, gli occhi verdi, come quelli del padre, mentre il suo sorriso radioso cingeva il tutto come la pioggia autunnale in un giorno di metà novembre. «JOHN LEI ERA MIA FIGLIA DANNAZIONE! HO DOVUTO UCCIDERLO... HO DOVUTO.» Scoppiò a piangere, nessuno lo aveva mai visto piegarsi dal dolore in quel modo, nemmeno John, che lo conosceva da quasi vent’anni di servizio passati insieme.
Il poliziotto davanti a lui si alzò e, con gli occhi lucidi e pieni di rabbia, disse: «Jeremy Hobson, è in arresto per l’omicidio di Lucas Lamar, tutto ciò che dirà potrà essere usato contro di lei in tribunale, ha-»
Nella mente di Hobson si avviò una sequenza di immagini offuscate, che sovrastavano il suono della voce del collega. Nessuno sapeva davvero cos'era successo quella sera perchè era solo. Aveva mentito davanti ad una giuria di dodici persone corrotte, ma questo era niente in confronto al dolore che stava provando in quel momento.
Il vicolo stretto della 37a che puzzava di immondizia era appena illuminato, una ragazza stava urlando mentre un uomo le stava sbottonando i jeans e le baciava il collo, assaporando l’attesa del suo corpo snello e seducente. In un attimo le sirene della polizia invasero tutto il vicolo, generando un eco stridulo e continuo. L’uomo preso dal panico afferrò il coltello dalla cintura dei pantaloni, colpendo la giovane vittima appena sotto il cuore e scappando. Uno dei due poliziotti gli sparò nell’avambraccio destro ma continuò a correre lo stesso, riuscendo a divincolarsi fra la folla. La giovane vittima si accasciò a terra, cercando di arrestare il flusso di sangue con la sua delicata mano.
L’unica voce amica era quella del poliziotto davanti a lei, aveva i suoi stessi occhi verdi e continuava a dirle che sarebbe andato tutto bene, ma lei in cuor suo lo sapeva, sentiva che le rimaneva poco tempo. Sorrise, avvicinandosi al poliziotto davanti a lei, lo guardò negli occhi. Lo abbracciò un’ultima volta, e con gli ultimi battiti che le rimanevano disse «Ti voglio bene, papà.» Lui la strinse più forte che poté, piangendo, impotente, mentre la figlia esalava gli ultimi respiri. Le accarezzò i capelli, cantandogli una canzone che si disperse con le sirene dell’auto. «...There is nothing left of you / I can see it in your eyes / Sing the anthem of the angels / And say the last goodbye...» Morì così, fra le braccia del padre che non aveva mai conosciuto.

 
   
 
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