Alba di mezzanotte
{ wake up
in the city that doesn’t sleep }
Fa già buio su New York, la città che non
dorme mai, quando una figura di donna avvolta in un impermeabile compare senza
preavviso all’angolo di una strada ormai deserta. Un suono appena percettibile,
simile a un risucchio, è l’unica intrusione in un silenzio perfetto, rotto solo
di tanto in tanto dal raspare di artigli affilati in un cassonetto. La donna si
muove sicura, non guarda che dritto davanti a sé mentre percorre la striscia d’asfalto
un po’ malmesso che accoglie i suoi passi rispondendovi con un debole eco di
tacchi, ma non può fare a meno di voltarsi quando arriva all’altezza del gatto
che ha interrotto la sua cena per dedicarsi a uno scrupoloso esame della nuova
presenza.
La luce di un lampione
cattura il lampo di uno strano sorriso.
«E battile ogni tanto le
palpebre, micione.»
Il gatto sparisce nei
meandri della spazzatura in una nuvola di pelo. La donna abbassa un po’ di più
la tesa del cappello sugli occhi e prosegue la sua strada, nel passo indolente
ma impaziente di chi in un modo o nell’altro ha trovato il tempo di passare a
fare una visita a casa.
È
giunta mezzanotte, si spengono i rumori,
si
spegne anche l’insegna di quell’ultimo caffè.
Non sa neanche lui perché ha voluto
vestirsi così, o forse invece lo sa benissimo, ma non ha voglia di starci a
pensare adesso, non ha voglia di pensare a niente.
Sa solo che ha delle visite da fare, persone da vedere, posti in cui lasciare
un segno, e gli è sembrato, be’, giusto
andarci vestito così, mezzo soffocato in quel vecchio straccio che casualmente si è ritrovato addosso il
giorno in cui lui ha salvato il mondo e Amy Pond ha salvato lui e Rory
Williams ha salvato Amy Pond
e – troppo complicato, meglio lasciar perdere, l’importante è andare.
I Signori del Tempo non hanno tempo per recriminare o
rimpiangere, i Signori del Tempo non hanno tempo neanche per sentirsi soli. Neppure lui ce l’ha, il Dottore, come
sarebbe il dottore chi?, quello più solo di tutti.
L’importante è andare.
S’avvicina
lentamente, con incedere elegante,
ha
lo sguardo trasognato, malinconico ed assente;
non
si sa da dove viene né dove va.
Chi
mai sarà quell’uomo in frac?
«Eccola qui.»
Amy
tiene la busta tra le mani per qualche secondo più del necessario, immaginando
il buon profumo della carta di cui riesce a sentire la consistenza sotto il
fragile involucro azzurro – no, blu TARDIS. Inspira quel profumo che non c’è e
per l’ennesima volta si ritrova a ripassare tutte le parole scritte, una per
una, e ogni sillaba è scolpita nella sua mente e nel suo cuore e sarà più
immortale delle lettere incise nella pietra che forse proprio in questo istante
lui sta leggendo e maledicendo. Finalmente
si volta, tende le mani e con quel gesto si annuncia pronta a separarsi da
quell’ultimo pezzettino di sé che, dopo così tanti anni, aspetta ancora di
rivedere in giardino il suo immaginario dottore stropicciato.
«C’è un’ultima cosa
che voglio aggiungere, ma questa non è per lui. È per te.»
La donna seduta sul
divano di fronte a lei accavalla le gambe, in attesa. Amy
le si avvicina attraverso quel soggiorno semplice e comodo, il migliore che
avrebbe mai potuto immaginare; le siede accanto e la vede sorridere e scopre
che quel sorriso somiglia davvero tanto
ai suoi, ed è strano perché Melody Pond è cambiata così tante volte che i suoi tratti genetici
non sono che un vago ricordo, ed è naturale e giusto perché la donna che River
Song è diventata non potrebbe sorridere che così.
«Stagli vicino. Ha bisogno
di qualcuno che lo aiuti ad andare avanti.»
Sente le sue dita
calde e un po’ ruvide – non far mai
vedere che il tempo passa; tanto ci pensa lui a ricordartelo – sfilarle di
mano un pezzo di carta che è insieme un ricordo, una proposta e una promessa. Nessuna
delle due abbassa lo sguardo mentre si svolge quello scambio.
«Se conosco mio marito,
molto presto se ne andrà a spasso in qualunque altra direzione immaginabile.»
Amy
vorrebbe farle notare che quella che le ha appena dato non è una vera risposta,
ma ciò che voleva sentirsi dire glielo legge negli occhi, e allora si limita ad
annuire. Per un attimo è tutto perfetto: è a casa sua, aspetta il ritorno dal lavoro
di suo marito, ha appena varcato definitivamente la soglia che c’è tra la sua
infanzia di ragazza che ha aspettato
e la stanza successiva che è ancora tutta da scoprire e là, là accanto a lei, c’è sua figlia – ma poi la professoressa
Song, archeologa a tempo pieno e viaggiatrice del tempo a tempo perso, si alza
e l’attimo passa e la loro storia torna a essere la più pazzesca di cui si sia
mai sentito raccontare su un pianeta tanto giovane e ingenuo quale è la cara
vecchia Terra.
Infila il foglio con
la sua busta blu TARDIS in una tasca interna, si stringe nell’impermeabile e si
dirige alla porta senza guardarsi indietro.
«Sarà meglio andare. Abbiamo
un libro da mandare in stampa.»
Amy
l’accompagna, con la sgradevole sensazione che precede un arrivederci così sfrangiato
da sfociare nell’addio.
«Vieni a trovarci,
quando ne hai voglia.»
Melody
sorride e di nuovo non risponde a chiare lettere, ma ancora una volta Amy si rivede in quel sorriso e questo le basta. Non
saranno mai una famiglia normale, ma saranno sempre una famiglia.
«Da’ un bacio al papà
da parte mia... Ora ne avete tutto il tempo.»
«Già. Tutto il tempo»
sorride Amy.
Tutto il tempo.
Bonne nuit – buonanotte,
va
dicendo ad ogni cosa, ai fanali illuminati,
ad
un gatto innamorato che randagio se ne va...
In un angolo del Regno Unito, nel 2012, c’è
un uomo che ogni mattina esce di casa con un piccolo innaffiatoio in mano, e
ogni giorno disseta d’acqua e di lacrime qualche bella piantina che d’acqua e
di lacrime non ne può più, e ogni notte torna a casa con gli occhi fissi al
cielo e il cuore lontano, lontanissimo,
a una distanza che lo spazio da solo non riesce a colmare.
Adieu – addio al mondo,
ai
ricordi del passato, ad un sogno mai sognato,
ad
un attimo d’amore che mai più ritornerà.
Qualche volta Rory
si sente in colpa.
Gli viene in mente suo
padre, il buon vecchio papà che fino a poco tempo fa – ed è stupido parlare di tempo in quel frangente, eppure è proprio così – non aveva mai
fatto un viaggio più lungo del tragitto da casa al campo di golf e che ha
iniziato a muoversi sul serio solo quando si è ritrovato rapito da un pazzo con
una cabina blu; pensa alle tante parole che non si sono mai detti e a quelle
poche che alla fine hanno avuto modo di scambiarsi e a quelle infinite che non
si diranno mai; qualche volta lo sogna, addirittura, e si sveglia con un
macigno sul cuore perché in quei sogni lo vede sempre piangere e lui non ha mai
la possibilità di asciugare quelle lacrime.
Gli viene in mente
River, Melody, sua
figlia, che ha incrociato solo qualche volta nel corso della vita e che
probabilmente non vedrà mai più, che non ha mai potuto sedersi in braccio a lui
sotto l’albero di Natale e che è stata l’amica d’infanzia che in qualche modo l’ha
fatto dichiarare a Amy – e pensa che sì, è tutto un
casino, però se quelle piccole cose fanno così male a lui forse fanno un po’
male anche a lei, almeno adesso che forse, probabilmente, sicuramente è tutto
finito.
Gli viene in mente il
Dottore che viaggia da solo e non ha nessun povero essere umano da far soffrire
e allora fa del male a se stesso.
Si sente in colpa da
morire, veramente, da morire. In giro per il tempo e per lo spazio ci sono
persone che pensano a lui e a Amy intrappolati
laggiù, in una New York cui non appartengono, in un anno che per loro avrebbe
dovuto essere solo una data neanche tanto importante, e si preoccupano e ci stanno
male – ed eccolo lì, lui, Rory Williams,
intrappolato in un posto sbagliato e in un’epoca sbagliata, l’uomo più felice del mondo.
Non ne parla mai con Amy. Ne ha sentito il bisogno, all’inizio, nelle prime
lunghe notti trascorse a respirarsi l’una nelle braccia dell’altro; ma non ha
trovato le parole e lei non le ha cercate per lui. E dopotutto non c’è nulla da
dire – non conta parlare. Non conta guardare indietro, non conta guardare
avanti, basta guardare nella stessa direzione. Non conta invecchiare, l’importante
è farlo insieme.
Più di duemila anni e finalmente possono invecchiare insieme.
Qualche volta Rory si sente in colpa. Poi si sveglia, vede Amy nel letto accanto a sé e si ricorda di essere l’uomo
più felice del mondo.
Spazio dell’autrice
È
ormai ufficiale che, ogni volta che penso di aver dato fondo a tutte le mie
lacrime, Doctor Who mi fa
ricredere. E boh, o lo odio o lo amo per questo, non ho ancora deciso. ♥
Questo
mio tributo è del tutto nonsense, ma non è colpa mia. È colpa dello stato d’animo
in cui The Angels
take Manhattan mi ha scaraventata. È colpa di Amy
e di Rory, e anche di River e del Dottore, e anche un
po’ di Brian, naturalmente. E sì, ok, è pure colpa mia perché non ho saputo reagire se non
così.
Il
sottotitolo è tratto da New York, New
York (considerate la versione di Carey Mulligan:
ecco, quella è l’atmosfera giusta), mentre il frammento di lyric
che accompagna il testo è dovuto a Domenico Modugno e a quello splendore senza
tempo che è la sua Vecchio frac.
Niente,
non so davvero cos’altro dire.
Oh,
sì: buon compleanno sensei ♥
Aya ~