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Autore: Lainthel    02/10/2012    0 recensioni
Era inevitabile, per lei, non riviverli.
Genere: Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Il primo raggio di luce del mattino entrò nella stanza della ragazza colpendola delicatamente in volto e facendole aprire debolmente gli occhi.

Con un po’ di fatica e con un sonoro sbadiglio inarcò la schiena facendola appoggiare al cuscino e attirò al petto le gambe raccogliendole e cingendole con entrambe le braccia. Con aria ancora assonnata cercò di mettere a fuoco il luogo in cui si trovava.

La scrivania, come al solito, era inondata da fogli, pastelli e matite.

Disegnare era la sua passione fin da piccola; trovava in quest’ arte la possibilità di fuggire via da quel mondo così rigido e caotico.

Il pavimento era invaso da una moltitudine di vestiti che tirava fuori dall’armadio e che ritualmente lasciava che ricoprissero il suolo.

Rivolse lo sguardo verso la piccola finestra alla sua sinistra e ammirò il panorama esterno: un viale alberato decorato da piccole casette colorate.

Per un attimo ripensò alla sua vecchia abitazione e sussultò ricordandosene solo in quel momento. Era l'inizio di un nuovo giorno, un giorno che anni addietro avrebbe preferito cancellare.

Una lacrima le scese silenziosa sulla guancia; ma con un lembo del lenzuolo subito la cacciò via.

Come ogni anno quella giornata cominciava con una serie di ricordi riguardanti la sua infanzia distrutta tragicamente. Era inevitabile, per lei, non riviverli.

 

Piangevo… continuavo a piangere e non riuscivo a smettere, le lacrime mi scorrevano ininterrottamente sul viso, e viaggiavano fino alla base del mento per poi cadere in una piccola pozzetta che avevo formato con esse.

Ricordo solo che sono tornata a casa e non ho trovato i miei genitori. Ho girato tutte le stanze alla loro ricerca fino a che non sono entrata nella loro camera. Erano sdraiati sul letto, immobili. Pensavo che stessero dormendo, così mi sono avvicinata e, come facevo sempre per  giocare, sono saltata sopra di loro. Ma non avevano reagito in alcun modo, così iniziai a scuoterli, ma niente. I loro corpi erano freddi, li coprii con le coperte, per riscaldarli. Avevo provato a chiamarli:

- Mamma, papà… svegliatevi dormiglioni è ancora giorno! -, invano.

Sentii un rumore alle mie spalle, quindi mi girai. C’ era un uomo che mi guardava. Aveva in mano un coltello, che stava pulendo accuratamente dal sangue con un fazzoletto di seta bianca. Non ricordo nient’ altro di quella persona, tranne ciò che mi fece non appena capii che aveva assassinato i miei genitori e cercai di fuggire. Mi prese in braccio mentre io urlavo e mi divincolavo dalla sua stretta. Si diresse nella mia stanza e mi distese sul letto. Era sopra di me e iniziò a togliermi i vestiti e a toccarmi ovunque. Cercai di opporre resistenza ma era troppo forte.

Ad un certo punto penso di essere svenuta perché al mio risveglio era seduto sulla sedia a dondolo accanto a me che fumava una sigaretta. Lo sento ancora adesso quell’ odore nauseante che emanava il suo corpo: fumo e alcool, probabilmente si era anche drogato. Vedendomi aprire gli occhi si alzò in piedi e lasciò cadere il mozzicone di sigaretta sul tappeto senza curarsi di schiacciarlo per spegnerlo. Mi si avvicinò con il coltello in mano.

Pensai veramente che fosse arrivata la mia ora, fino a quel momento non avevo mai pensato alla mia morte, a quello che si provava negli ultimi istanti. Rimasi lì immobile ad attendere il dolore che la lama avrebbe provocato al mio petto non appena lo avesse trapassato. Finalmente, dopo quella che mi parve un’ eternità, lo avvertii e fu talmente acuto che mi mozzò il fiato e non riuscii a gridare.

La vista mi si fece sempre più appannata.

“Beh - pensai – almeno fra poco raggiungerò mamma e papà.”. Ma avvenne un miracolo: sentii che l’ uomo veniva scaraventato via dal mio corpo, non vidi chi era stato, ma chiunque fosse gli sarei stata grata per tutta la vita, se me ne fosse rimasta ancora. Poi vidi che il mio salvatore era un ragazzo, che mi prese in braccio. Mi giunse a tratti la sua dolce e seducente voce; mi diceva di stare tranquilla, che non era ancora arrivata la mia ora: si sarebbe preso cura di me.

Non capii il motivo di tanta gentilezza, ma mi fidai ugualmente. Ormai non avevo più nulla da perdere. Avvicinò il suo viso alla mia ferita e ne diagnosticò le condizioni. Nel suo sguardo vidi un’ espressione preoccupata ma non si fece prendere dal panico. Mi guardò di nuovo e mi passò una mano tra i capelli. Poi iniziò a cantare una dolce ninna nanna e io, stremata dal dolore per tutto quel che era successo, mi addormentai profondamente.

 

Involontariamente si portò una mano al petto, lì dove ancora si intravedeva una lunga cicatrice. Le sembrava ancora incredibile essere sopravvissuta. E ancora più incredibile le sembrava essere riuscita a non annegare nel dolore.

Se ci era riuscita era solo grazie a Ryan.

Un altro ricordo le affiorò alla mente.

 

Sentii un terribile rumore rimbombarmi nelle orecchie e non potei fare altro che svegliarmi.

Ero sdraiata su un letto e attorno a me c’erano tante persone con dei lunghi camici bianchi che mi guardavano con aria preoccupata. Accanto a me ancora quel ragazzo, che mi accarezzava la testa e parlava con quella sua voce così calma e tranquillizzante.

Non capii di cosa stessero parlando: un incidente, una ferita, una barella, un’operazione. Era tutto molto frenetico e confuso. Vidi quelle strane persone allontanarsi ed uscire dalla stanza in cui mi trovavo.

“Dove sono?” mi ritrovai a pensare.

-In un ospedale. Hai una ferita sul petto e sei qui per essere curata.

Mi resi conto di aver parlato, e alla risposta di quel misterioso ragazzo mi riaffiorarono alla mente quelle scene orribili. Ricominciai a piangere, ma quella persona mi si avvicinò al viso continuando ad accarezzarmi.

-Non preoccuparti. Andrà tutto bene. Presto guarirai.

-Ho paura…

Mi asciugò teneramente le lacrime e mi sorrise. In quel momento rientrarono i medici e cominciarono a far muovere il letto. Il ragazzo fece per allontanarsi ma lo trattenni debolmente.

-Chi sei?

Rivolse uno sguardo calmo e mi prese la mano.

-Ryan, un amico.

-Ciao, Ryan. Ci vediamo dopo.

 

Non voleva piangere nuovamente. Doveva essere forte e superare quel terribile accaduto. Ci sarebbe riuscita, per se stessa e per Ryan.

Il suo salvatore le era stato vicino sempre da quel lontano giorno. L’aveva aiutata a non pensare al dolore che la cicatrice le aveva inferto nei primi tempi.

Ma soprattutto l’aveva confortata dolcemente, come solo lui era capace di fare, dopo la morte dei suoi genitori. Solo da poco era riuscita a smettere di piangere, ma a volte la tristezza era talmente intensa che non poteva fare altro che chiudersi in camera sua e dare libero sfogo alle lacrime. Ma era di nuovo capace di sorridere e di questo non poteva fare altro che ringraziare quel ragazzo.

Dal giorno in cui lo aveva conosciuto aveva fatto una promessa ai suoi genitori: che gli avrebbe voluto bene come ne aveva voluto a loro. Sarebbe stato un modo per ringraziarli di quel poco che avevano potuto fare nella sua vita. Anzi, l’unico modo.

I ricordi furono interrotti dalla porta della camera che, lentamente, si apriva.

-Sei ancora a letto?

Era Ryan, gli anni per lui sembravano non trascorrere mai agli occhi della ragazza. Quel fascino che l’aveva attirata anni prima era rimasto indelebile e immutabile.

Il ragazzo, ormai uomo, richiuse la porta dietro di se e si sedette sul bordo del letto.

-Oggi è un giorno importante. Fra un po’ andremo al negozio a prendere la tua torta preferita e poi andremo al lago. -

La ragazza lo abbracciò dolcemente e sospirò.

-Come ogni anno. –

Si ritrovò per un attimo a pensare e subito si lamentò scherzosamente:

-E come ogni anno mi toccherà pagare il gelato. –

Ryan la guardò e le sorrise.

-Beh? E’ il tuo compleanno! Un sacrificio lo dovrai pur fare in onore degli anni che passano. –

Risero entrambi sonoramente. Poi la giovane alzò lo sguardo per incontrare quello dell’uomo.

-Promettimi che sarà come l’anno scorso e come tutti gli altri anni. Anche se sono cresciuta non voglio che le cose cambino. Sarò sempre la tua bambina? –

L’uomo la baciò sulla fronte.

-Te lo prometto, Hope. Nulla cambierà. –

La ragazza appoggiò la testa sulla spalla di Ryan. Infine un ultimo, piacevole ricordo, le tornò alla mente prima di iniziare a vivere quella giornata.

 

-Che cosa fai, piccola? -

Alzai la testa dal disegno che stavo facendo e guardai Ryan in volto. Era da poco uscito di casa per una faccenda, ma mi aveva promesso che sarebbe tornato subito; e così era stato.

Aguzzando la vista vidi che reggeva in una mano un sacco e nell’altra un pacchetto regalo.

-Stavo disegnando. Guarda: questi siamo noi e questa è la nostra casetta. –

Ryan mi si avvicinò con un sorriso posando il sacco sul tavolo e porgendomi il pacchetto.

-Per te. –

Guardai quel misterioso regalo con molta tristezza sotto lo sguardo di Ryan che nel frattempo stava prendendo una torta dal sacco.

-Ma oggi non è il mio compleanno. Non ricordi che in questo giorno… -

-Lo so, piccola. Ma è proprio in questo giorno che tu hai iniziato una nuova vita. E i tuoi genitori non vorrebbero vederti triste. Anzi, al contrario. Vorrebbero che tu fossi felice. Vorrebbero vedere un grande sorriso illuminarti il volto. Perché solo così loro staranno bene, d’ora in poi. –

Mi prese il volto tra le mani come da sempre faceva.

-E ora, sorridi. Perché anche io sono felice quando ti vedo sorridere. –

Come ipnotizzata dalle sue parole, non feci altro che un sorriso.

 

Ryan aveva avuto ragione fin da allora. Aveva insegnato ad Hope che perdere qualcuno a cui si vuole davvero bene non significava per forza rinchiudersi in se stessi e continuare a piangere fino allo sfinimento.

Ma significava piuttosto vivere la vita serenamente per poter conservare nel proprio cuore solo i ricordi più belli.



***

Prima storia che pubblico nel sito, spero sia gradita!

Un saluto,

Lain

  
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